Luci e ombre nello Schema di decreto legislativo correttivo e integrativo delle disposizioni processuali introdotte con la riforma Cartabia

Di Laura Salvaneschi -

1.L’ideazione e la stesura delle norme introduttive della c.d. riforma Cartabia sono state caratterizzate da una pressione inusitata imposta dall’Europa. La velocità dell’elaborazione, con l’acceleratore premuto addirittura da una improvvisata entrata in vigore anticipata, non ha giovato alla chiarezza di alcune delle disposizioni che caratterizzano la riforma, in particolare con riferimento alla fase introduttiva del rito ordinario e all’affiancamento a quest’ultimo di un rito di cognizione semplificato i cui tratti essenziali lasciano indeterminato il momento centrale delle memorie integrative.

E’ stato così che gli interpreti, gli osservatori e, più in generale, la prassi, si sono immediatamente attivati per segnalare i problemi. Esce ora, a un anno di distanza dall’entrata in vigore della riforma, lo Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive[2] delle norme in vigore proprio al fine di offrire soluzioni operative rispetto ai temi sollevati.

Le attuali disfunzioni che nascono dall’art. 171-bis c.p.c. erano evidentemente note a chi ha lavorato sul correttivo, tanto è vero che l’art. 171-bis c.p.c. ne esce integralmente rinnovato e nella Relazione si legge che ciò è avvenuto “con la funzione di dirimere perplessità ed eliminare alcuni inconvenienti verificatisi nella prassi giudiziaria”.

Vediamo, seppure nel modo sintetico imposto dai tempi di questo intervento, se e quanto la proposta correttiva è soddisfacente rispetto ai problemi che è chiamata a risolvere, con particolare riferimento alla fase introduttiva del rito ordinario e ad alcuni snodi del rito semplificato.

2. Il primo comma dell’art. 171-bis c.p.c. dello Schema correttivo dispone che “Scaduto il termine di cui all’art. 166, entro i successivi quindici giorni il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità del contraddittorio”. Dice la Relazione che “Il primo comma ha lo scopo di chiarire che il compimento, da parte del giudice, delle verifiche preliminari circa la regolarità del contraddittorio è doveroso e deve avvenire, d’ufficio, entro i quindici giorni successivi alla scadenza del termine per la costituzione del convenuto”. Il correttivo batte dunque sulla doverosità, come a rispondere a chi, uscita la riforma, ha pensato che il nuovo meccanismo della fase introduttiva sia automatico e destinato a proseguire anche se il provvedimento del giudice non arriva. Ma sancire in un primo comma autonomo rispetto al testo della attuale norma che l’attività di controllo del giudice è doverosa non cambia la sostanza delle cose, né risolve quello che è oggi il tema nevralgico: preso atto che si tratta di una attività dovuta, come del resto è già, il problema è quello di che cosa accade se il provvedimento del giudice non interviene, oppure interviene in un tempo che non è quello previsto dal codice. Rispetto a questi interrogativi della prassi, la proposta normativa prova a dare una risposta, che è quella che in ogni caso i termini successivi non decorrono senza che il giudice si sia pronunciato. Tornerò poi su questo tema seguendo lo schema della disposizione.

Al primo comma ne segue un secondo che indica quali sono le verifiche preliminari che il giudice è chiamato a compiere e sul punto non ci sono grandi modifiche rispetto al testo attuale dell’art. 171-bis c.p.c.. Viene espunta la menzione del provvedimento di cui all’art. 171, c. 3, c.p.c., ma solo perché questa norma è stata modificata, chiarendo espressamente che la parte che non si costituisce nel termine alla stessa assegnato è dichiarata contumace dal giudice istruttore con il decreto di cui all’art. 171-bis c.p.c. In questa modifica non vi è però nulla di nuovo, perché anche oggi nessuno dubita che la sede per la declaratoria di contumacia delle parti non costituite sia il provvedimento del giudice di cui all’art. 171-bis c.p.c., nonostante l’attuale riferimento normativo alla pronuncia con “ordinanza del giudice istruttore”. Personalmente lascerei il riferimento alla dichiarazione di contumacia anche nel primo comma dell’art. 171-bis c.p.c., perché non c’è dubbio che il provvedimento del giudice disciplinato da questa norma sia deputato alla sua declaratoria e la ripetizione può non essere inutile.

Rimane dunque assodato, ove ve ne fosse bisogno, che il convenuto che non si costituisce nei settanta giorni precedenti l’udienza incorre nelle decadenze di cui all’art. 167 c.p.c., ma può ancora costituirsi prima della declaratoria di sua contumacia fino a quando non sia intervenuto il provvedimento del giudice che la dichiari perché sarebbe assurdo pensare che, a fronte della pur tardiva costituzione del convenuto comunque intervenuta prima del provvedimento del giudice, questi sia tenuto a dichiararne la contumacia per il solo fatto che la costituzione non è intervenuta nel termine di cui all’art. 166 c.p.c.. Quanto all’attore, mi sembra che lo Schema correttivo lasci aperto il problema di che cosa accada nell’ipotesi in cui il convenuto si sia costituito in termini, ma non lo abbia fatto l’attore. Manca infatti un coordinamento con l’art. 290 c.p.c. che prevede che in questo caso se l’attore è contumace il processo prosegue solo se lo chiede il convenuto. Prima della riforma questa richiesta poteva essere fatta in udienza e l’espressione di una volontà contraria provocava l’estinzione del processo; nel regime attuale, posto che la richiesta del convenuto deve collocarsi necessariamente dopo la scadenza del termine per la declaratoria di contumacia dell’attore, per coordinare le disposizioni che regolano la dichiarazione di contumacia con il disposto dell’art. 290 c.p.c. occorre pensare che la eventuale richiesta del convenuto di proseguire il processo debba intervenire nella prima memoria ex art. 171-ter c.p.c., in assenza della quale, oppure quando la stessa venga utilizzata per esprimere volontà contraria alla prosecuzione, il processo si estingue[3]. Lo Schema correttivo introduce un doppio provvedimento di controllo del giudice prima che il processo prosegua con la redazione delle memorie integrative, ma, mancando in questa fase ogni momento di interlocuzione del giudice con le parti, bisognerà ancora attendere la prima memoria integrativa del convenuto per sapere se il processo debba o meno continuare.

Viene poi aggiunta all’interno del secondo comma dell’art. 171-bis c.p.c. la menzione dell’art. 271, “allo scopo di chiarire che anche la chiamata del terzo ad opera del terzo chiamato deve essere autorizzata dal giudice con le medesime modalità, anziché alla successiva udienza di prima comparizione, in modo da prevenire inutili dilazioni e regressioni del processo”. Per la verità, l’art. 183 sposta – e continua a spostare anche nel testo del correttivo – alla prima udienza solo l’autorizzazione alla chiamata del terzo effettuata dall’attore, non di quella del terzo, ma che si arrivi in udienza a doverla autorizzare è vero, dato che dopo il provvedimento ex art. 171-bis, c. 1, c.p.c. c’è attualmente l’udienza. Non mi pare però che l’inserimento di questo incombente nel testo della norma cambi di molto la situazione, posto che, fatta dal convenuto in comparsa di risposta la dichiarazione di cui all’art. 269, c. 2, c.p.c. e fissata dal giudice la nuova udienza da cui decorre a ritroso il termine per la costituzione del terzo, se questi dovesse fare a sua volta richiesta di chiamata di terzo, nel secondo giro di verifiche preliminari proposte nel nuovo testo dell’art. 171-bis c.p.c. si arriverebbe comunque a una udienza ulteriore necessaria per la costituzione del terzo chiamato dal terzo. Nella sostanza con la modifica contenuta nello Schema correttivo si risparmia quindi solo che l’ulteriore spostamento avvenga direttamente in udienza.

Rimane infine fermo, seppure con dizione leggermente diversa rispetto al testo attuale, che il giudice che opera i correttivi richiamati deve fissare una nuova udienza.

3. La novità inserita in questa fase del giudizio è invece che, prima della nuova udienza fissata con il provvedimento di cui all’art. 171-bis c.p.c., è previsto un ulteriore controllo, dovendo il giudice verificare nuovamente, prima che il giudizio proceda e almeno cinquantacinque giorni prima della nuova udienza, che tutto questa volta funzioni. Il termine per il secondo provvedimento del giudice è lo stesso in cui le verifiche preliminari devono (o dovrebbero) essere compiute con il primo (70 -15 = 55), ma è espresso in modo diverso perché ormai il termine di cui all’art. 166 c.p.c., già decorso da tempo, non poteva più costituire il dies a quo di quello dato al giudice per provvedere.

Mi sembra dunque sottinteso che con questo secondo provvedimento ex art. 171-bis, c. 1, c.p.c., il giudice dovrà trarre le conseguenze di ciò che rispetto al primo ordine non è stato eventualmente fatto: così ad esempio dichiarare l’estinzione del processo o la cancellazione della causa dal ruolo se non è stato integrato il contraddittorio ex art. 102 c.p.c. o chiamato il terzo ex art. 107 c.p.c., oppure non è stata rinnovata la citazione ex art. 164, c. 2, c.p.c. , ecc., o di ciò che può essere ancora fatto, come ad esempio la chiamata di un terzo da parte del terzo ai sensi dell’art. 271, c. 2, c.p.c..

In un sistema in cui prima dell’udienza le parti sono chiamate a depositare le memorie integrative con definitiva formazione del tema del contendere, l’introduzione di un secondo controllo del giudice prima di dare l’avvio all’ulteriore trattazione scritta ha evidentemente il senso di non consentire che quest’ultima si svolga senza una preventiva soluzione di tutti gli eventuali problemi segnalati dal giudice con il provvedimento di cui all’art. 171-bis c.p.c., con il rischio quindi di arrivare all’udienza dovendo ulteriormente rinviare gli incombenti successivi ed eventualmente reiterare la trattazione scritta di cui all’art. 171-ter c.p.c.

Pur comprendendo la finalità della correzione, mi continua a lasciare un senso di insoddisfazione l’idea che il giudice sia chiamato a risolvere i problemi del contraddittorio “in solitaria”, senza cioè quel confronto con i difensori delle parti che prima trovava la propria sede nell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., confronto che è di indubbia utilità, soprattutto laddove si tratti di chiarire dubbi sulla notifica, sui poteri di rappresentanza, ma anche sulle scelte relative alla costituzione del contraddittorio. Il tema è stato sollevato da subito in molte sedi, segnalando l’opportunità che il giudice in questa fase possa, anche in assenza di ogni previsione in proposito, promuovere lo svolgimento di una udienza informale, proprio al fine di sciogliere eventuali dubbi relativi alla costituzione delle parti, alla loro rappresentanza e, più in generale, all’integrità del contraddittorio, con l’ausilio dei difensori delle parti. Questa possibilità trova il proprio fondamento nell’art. 175 c.p.c. e nei poteri del giudice di direzione del procedimento; l’istituzionalizzazione di questa eventuale udienza, o comunque di altre modalità di contatto tra giudice e parti, realizzata anche per il tramite dei protocolli che sono  stati illustrati nel corso di questo seminario[4], è soluzione di sicuro giovamento per il procedimento, che meriterebbe anche un crisma normativo.

Senza questo confronto almeno informale, seguendo le indicazioni dello Schema correttivo, il dialogo tra il giudice e i difensori delle parti sui vizi del contraddittorio, degli atti introduttivi e delle formalità di costituzione delle parti, viene del tutto meno perché il suo svolgimento non è più possibile nemmeno nelle memorie integrative. Si legge infatti nella Relazione che il giudice conferma o differisce l’udienza quando “all’esito delle verifiche preliminari (che siano quelle compiute per la prima volta o quelle reiterate a seguito dell’adozione dei provvedimenti previsti dal secondo comma)” “rileva che il contraddittorio è stato regolarmente instaurato e non è quindi più necessario adottare alcun provvedimento correttivo”. Il che significa che sui vizi del contraddittorio e su quelli che riguardano la regolare costituzione delle parti il giudice è chiamato a provvedere senza che vi sia alcuna sede di interlocuzione, posto che le memorie integrative intervengono solo dopo che il primo o il secondo controllo del giudice avrà dato esito positivo sulla soluzione di ogni problema.

In questa situazione vedo quindi con favore le soluzioni che sono state prospettate negli interventi che hanno preceduto il mio, volte a istituzionalizzare la fissazione di una udienza filtro “informale”, o interlocuzioni scritte tra giudice e parti capaci di favorire comunque il colloquio su temi rispetto ai quali il contraddittorio può essere di sicura utilità, anche in relazione al passaggio dal rito ordinario a quello semplificato giustamente anticipato a questa fase del procedimento.

Questa interlocuzione preventiva del giudice con le parti potrebbe inoltre essere utile nella situazione, pur non frequente, in cui il convenuto sia costituito in assenza della costituzione dell’attore. In questo modo il giudice, chiamato dallo Schema correttivo a emanare un secondo  provvedimento di controllo, potrebbe già disporre che la causa sia cancellata dal ruolo e il processo si estingua, oppure confermare o differire l’udienza provocando così la prosecuzione del processo senza necessità di attendere la prima memoria scritta del convenuto.

4. Nel testo proposto nello Schema correttivo rimane poi ferma, seppure con nuova formulazione e posizione sistematica, la previsione che quando non sia invece necessario provvedere con i correttivi, il giudice deve comunque emanare il decreto, confermando l’udienza fissata in citazione, oppure differendola fino a un massimo di quarantacinque giorni. Viene però scandita in un comma diverso rispetto a quello dedicato alle verifiche sulla corretta instaurazione della lite (il terzo dell’art. 171-bis c.p.c.) l’indicazione della doverosità della segnalazione delle questioni rilevabili d’ufficio di cui il giudice ritiene opportuna la trattazione nelle memorie integrative, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda. In effetti, nel testo attuale, che concentra nel primo comma dell’art. 171-bis c.p.c. tutte le attività che nello Schema correttivo vengono scandite in due commi diversi, non è chiaro se le questioni (“Tali questioni”) menzionate nell’ultima parte del primo comma dell’art. 171-bis c.p.c. da trattarsi nelle memorie integrative siano solo quelle che vengono indicate nella frase immediatamente precedente[5], oppure anche quelle che riguardano i vizi del contraddittorio richiamate nella prima parte del primo comma dell’art. 171-bis c.p.c.. Allo stato attuale direi che la trattazione scritta può riguardare tutte le questioni menzionate dalla norma, con qualche giovamento in relazione alla possibilità di raccogliere osservazioni delle parti anche sulla regolarità del contraddittorio; nel sistema delineato dallo Schema correttivo, invece, non c’è alcun dubbio che prima di dare avvio alla trattazione scritta debbano essere risolti tutti i temi che riguardano la costituzione delle parti e il contraddittorio, con la già segnalata negatività della mancanza di una sede di interlocuzione con i difensori delle parti e l’opportunità di individuare rimedi a questa situazione, per lo meno attraverso protocolli che indirizzino la prassi volti a favorire comunque il dialogo tra giudice e difensori delle parti.

5. L’ultimo comma della norma come delineata dallo Schema correttivo prevede poi che “i termini di cui all’art. 171-ter c.p.c. iniziano a decorrere quando è pronunciato il decreto di cui al terzo comma”. Risolvendo un tema oggi molto controverso, si chiarisce dunque che i termini per le memorie integrative iniziano a decorrere solo quando è pronunciato il decreto del giudice (il primo o il secondo) dopo la soluzione di tutte le diverse questioni preliminari e, sempre seguendo quanto dispone l’ultimo comma dell’art. 171-bis c.p.c. nello Schema correttivo “si computano rispetto all’udienza fissata nell’atto di citazione o a quella fissata dal giudice istruttore a norma del presente articolo

Con queste ultime previsioni il legislatore del correttivo, come si evince chiaramente dalla Relazione, ha inteso dunque eliminare ogni dubbio: (i) sul fatto che il giudice deve provvedere e in ogni caso emettere un provvedimento di conferma o differimento dell’udienza anche se non adotta provvedimenti correttivi a seguito delle verifica preliminari; (ii) sul fatto che il giudice deve provvedere nei 15 giorni successivi alla costituzione del convenuto o nei 55 anteriori alla nuova udienza fissata con il primo decreto ex art. 171-bis, c. 1, c.p.c.; (iii) sul fatto che – e questa è la previsione più importante – le parti, potendo e dovendo aspettare il primo o il secondo decreto del giudice al fine del calcolo dei termini per le memorie integrative, non si troveranno più alle prese con il complicato tema dei termini che decorrono “da soli” e il dubbio su che cosa si debba fare se il provvedimento del giudice non arriva, oppure arriva quando già i termini per le memorie integrative stanno decorrendo.

Risolto ogni problema allora? Non ne sono sicura. Manca, mi sembra, una disposizione esplicita che eviti che il giudice che non riesce a rispettare i termini di legge, non riscontrando vizi del contraddittorio oppure a valle della loro soluzione, emani un provvedimento di conferma dell’udienza fissata in citazione, o di quella ulteriore fissata ai sensi dell’art. 171-bis, c. 1, c.p.c. quando già i termini – molto brevi – a disposizione delle parti per il deposito delle memorie integrative stanno già decorrendo. Si dirà che è ovvio e implicito che il giudice che emani il provvedimento quando i quaranta giorni prima dell’udienza fissata in citazione stanno già decorrendo non potrà fare altro che rinviare l’udienza per rispettare i termini in questione, tuttavia provvedimenti “tardivi” con conferma dell’udienza, oppure suo insufficiente slittamento, in quest’anno di applicazione della riforma ne sono stati segnalati e sarebbe quindi preferibile limare ulteriormente la disposizione per superare definitivamente il problema.

Rimane poi aperto un tema molto più insidioso. Nell’esperienza del primo anno di applicazione della riforma si sono visti più provvedimenti, magari anche tempestivi, che si limitano a prendere atto dell’avvenuta costituzione del convenuto e procedono quindi a confermare o rinviare l’udienza tenendo evidentemente conto dei carichi del giudice. Chiaramente ciò può significare che le verifiche preliminari sono state fatte con la dovuta attenzione e non si sono riscontrati problemi, ma qualora significhi invece che in questa corsa a ostacoli tra le scadenze della fase introduttiva, le verifiche sono state trascurate o effettuate in modo sommario pur di procedere nel rispetto dei tempi assegnati al giudice dall’art. 171-bis c.p.c., potrà continuare a succedere che in udienza, dopo che le parti nelle memorie integrative avranno segnalato eventuali temi, si debba ricominciare tutto da capo come nel gioco dell’oca. E’ infatti indiscutibile che ci sono vizi in presenza dei quali non si può procedere, neppure qualora siano rilevati per la prima volta in udienza, uno fra tutti, per fare l’esempio più eclatante ma non l’unico, la pretermissione di un litisconsorte necessario.

Nella struttura attuale del processo, anche come delineata dallo Schema correttivo, il tema che non ci sia spazio per effettuare verifiche preliminari adeguate rimane dunque irrisolto. L’unico strumento organizzativo[6] per mettere il giudice in grado  di compiere verifiche adeguate e in termini in tempi così ristretti è l’Ufficio per il processo. Non è questa la sede per parlare dei correttivi che sarebbero necessari in relazione a questo istituto, quello che è certo però è che uno dei compiti degli addetti a questo ufficio è proprio quello di adiuvare il giudice nel compimento delle verifiche preliminari. Solo lavorando sulla composizione e sulla formazione dell’Ufficio per il processo, dotandolo di strutture e personale stabili e adeguati, possiamo dunque sperare di dare impulso positivo alla fase introduttiva del giudizio ordinario, che è e rimane molto faticosa.

6. Da ultimo, l’art. 171-bis c.p.c. è stato integrato al quarto comma con una disposizione molto positiva. Da tutti era stato segnalato che la conversione di rito all’udienza interviene tardivamente, dopo che tutte le attività di parte sono state esperite e suggerito che a ciò potesse dunque provvedere il giudice con il provvedimento emanato all’esito delle verifiche preliminari. Lo Schema correttivo anticipa dunque il momento in cui il giudice può convertire il rito, consentendogli anche di fissare un termine perentorio perché le parti possano integrare gli atti introduttivi. Nel rito ordinario, infatti, la carenza di preclusioni probatorie che maturino con gli atti introduttivi fa si che le parti possano provvedervi successivamente con le memorie integrative, mentre una volta operata la conversione del rito le carte delle parti devono essere tutte sul tavolo, salva la possibilità, ma non la certezza, di poter effettuare ulteriori integrazioni con le memorie di cui all’art. 281-decies c.p.c.

La correzione proposta è per questa parte sicuramente opportuna e l’anticipazione della valutazione del giudice sulla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato fa cadere di conseguenza l’indicazione contenuta oggi nel primo comma dell’art. 171-bis c.p.c. circa l’invito alle parti a esprimere le proprie considerazioni sulla conversione di rito nelle memorie integrative. Va da sé che, ancora una volta, la mancanza di una sede di interlocuzione tra giudice e parti anche su questo aspetto fa sentire il suo peso perché viene a mancare del tutto ogni possibilità di dibattito preventivo con le parti su un tema che può essere delicato e cruciale. Non per nulla la Relazione si preoccupa di specificare che, essendo venuto meno il contraddittorio delle parti sulla conversione di rito nelle memorie integrative, è stata integralmente rivista la previsione – contenuta nell’attuale art. 181-bis c.p.c. – che il provvedimento di conversione è definitivo in quanto pronunciato con ordinanza non impugnabile. Si pensa quindi che all’udienza, sentite le parti, il giudice possa ancora tornare sulle proprie decisioni e tornare al rito ordinario. E’ difficile però capire a cosa serva tornare indietro e cambiare nuovamente il rito una volta che le parti hanno integrato gli atti introduttivi nel termine appositamente assegnato loro dal giudice, posto che è proprio la fase introduttiva a segnare la maggiore differenza tra i due riti.

Inutile a questo punto segnalare, ancora una volta, quanto più possa essere utile una sede anche informale volta in via preventiva al dibattito sulla questione, come non hanno mancato di rilevare anche gli interventi che hanno preceduto il mio[7], richiamando prassi che non si possono che condividere perché prevedono l’istituzione di una udienza informale che consenta nel contraddittorio delle parti una valutazione immediata sulla questione. Si tratta di prassi che dovrebbero indurre a una rimeditazione circa l’opportunità che si traducano in proposte correttive normative invece che consentire il proliferare di rimedi che per definizione non possono essere uniformi sul territorio nazionale.

7. Anche il rito semplificato di cognizione trova nello Schema correttivo una proposta di soluzione ad alcuni problemi con riferimento particolare alla sua fase introduttiva. Le revisioni dell’art. 281-decies c.p.c. non sono però del tutto convincenti, così come non lo è la sua formulazione attuale.

Lo Schema correttivo vuole chiarire “i dubbi circa l’ambito di applicazione del rito semplificato” e la Relazione specifica quindi che “Posto che la disposizione del primo comma prevede che tale rito si applica obbligatoriamente nella ricorrenza dei presupposti da esso indicati, sia che la cognizione spetti al tribunale in composizione collegiale sia nel caso in cui sia competente il giudice singolo, la modifica apportata al secondo comma è volta a chiarire che la causa quando è di competenza del tribunale in composizione monocratica può sempre essere introdotta nelle forme del rito semplificato, anche se non è di pronta soluzione”. Il secondo comma della disposizione viene di conseguenza modificato nel senso che quando il giudice è monocratico “il giudizio può essere introdotto nelle forme del procedimento semplificato anche se non ricorrono i presupposti di cui al primo comma”.

Ora, seguendo il senso letterale delle parole, il nuovo testo non può che significare, come d’altra parte ribadito anche dalla Relazione, che, quando il giudice è monocratico, si può procedere con il rito semplificato di cognizione anche se la causa non è di pronta soluzione e quindi, per seguire la scansione del primo comma, succeda, pur alternativamente, che i fatti di causa sono controversi, oppure la domanda non sia fondata su prova documentale o non sia di pronta soluzione o richieda un’istruzione complessa, insomma in tutti i casi in cui non ricorrano i presupposti di cui al primo comma dell’art. 281-decies c.p.c..

Non è però così, perché il seguente art. 281-duodecies c.p.c. specifica, immediatamente dopo, che il giudice alla prima udienza “se rileva che per la domanda principale o per la domanda riconvenzionale non ricorrono i presupposti di cui all’art. 281-decies, dispone con ordinanza non impugnabile la conversione del rito”. Il che dimostra che quando non ricorrono i presupposti dell’art. 281-decies, c. 1, c.p.c. il procedimento non può comunque seguire le forme del rito semplificato perché in questo caso si deve cambiare il rito.

Capisco che la norma come riformulata dice che il giudizio, in assenza dei requisiti di cui al primo comma dell’art. 281-decies c.p.c., può essere “introdotto” col rito semplificato e altro è la trattazione della lite rispetto alla sua introduzione. Questa distinzione, sottile e un po’ sofistica, può indicare dunque – a dispetto della spiegazione della modifica contenuta nella Relazione – la volontà del legislatore del correttivo di sottolineare che il rito semplificato nelle cause monocratiche può essere scelto dall’attore quando sussistono i presupposti per la trattazione semplificata quanto alla sua posizione, dipendendo poi dall’atteggiamento assunto dal convenuto la possibile trasformazione della lite in causa che non è di pronta soluzione e quindi richiede di essere trattata con rito ordinario. E questa è forse l’unica spiegazione plausibile di un insieme di norme che consentono all’attore di introdurre il giudizio davanti al giudice monocratico con il rito semplificato anche nelle ipotesi in cui manchino i presupposti del primo comma dell’art. 281-decies c.p.c. e poi, in assenza dei presupposti stessi, predica comunque la necessità della conversione di rito[8].

Tuttavia, in un sistema in cui il giudice può sempre disporre la passerella sia nell’uno che nell’altro rito e la parte non subisce alcuna sanzione per l’errore nell’introduzione del giudizio, la verità rimane quella che i due riti concorrono a scelta dell’attore, che è libero di impostare la causa seguendo lo schema della citazione, ovvero quello del ricorso e ciò sia davanti al giudice monocratico che a quello collegiale. Sia la versione attuale delle norme che quella contenuta nello Schema correttivo consente dunque che venga introdotta una causa complessa con rito semplificato, con compressione dei termini di costituzione del convenuto che non vengono poi recuperati nel passaggio del rito, funzionale solo a consentire la successiva trattazione scritta di cui all’art. 171-ter c.p.c. Nella prospettiva del convenuto, che può essere chiamato a difendersi in un termine davvero soffocante anche quando il ricorso introduca una lite strutturalmente complessa, i chiarimenti voluti dallo schema correttivo non sono dunque di grande aiuto.

Da ultimo per quanto riguarda l’art. 281-decies c.p.c., lo Schema correttivo con il terzo comma chiarisce che anche l’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposizione a precetto e quella agli atti esecutivi quando l’esecuzione non sia iniziata, si possono proporre con rito semplificato. L’indicazione è opportuna perché scioglie i dubbi che, in particolare con riferimento all’opposizione a decreto ingiuntivo, si agitavano in materia, posto il permanente riferimento contenuto nell’art. 645 c.p.c. alla forma della citazione quale atto introduttivo del procedimento. Nonostante il favore della Cassazione con riferimento all’opposizione a decreto ingiuntivo per l’utilizzo del procedimento sommario di cognizione quale alternativa a quello ordinario[9], i dubbi in materia sono oggi ancora molti e tali da indurre a preferire sempre le forme della citazione, per questo la proposta di modifica è senz’altro opportuna. Segnalo però che mentre l’art. 645 c.p.c. è stato modificato di conseguenza, sono invece rimasti invariati gli articoli 615 e 617 che andrebbero quindi anch’essi modificati.

Lo Schema correttivo modifica poi l’art. 281-duodecies c.p.c., chiarendo che la facoltà dell’attore di introdurre in udienza novità la cui esigenza nasce dalle difese avversarie riguarda anche le domande e non solo le eccezioni e interviene anche sul controverso “giustificato motivo”, capace di aprire il procedimento al deposito di memorie integrative. La formulazione della norma nel prevedere il deposito di memorie integrative ne subordina e circostanzia l’ammissione a “quando l’esigenza sorge dalle difese della controparte”. Questa formula toglie discrezionalità al potere del giudice di aprire il procedimento al deposito di ulteriori memorie finalizzate alla precisazione e modificazione delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni delle parti, nonché all’indicazione di mezzi di prova e al deposito di documenti, attutendo la possibilità di interpretazioni differenziate dei presupposti per la concessione di memorie integrative da parte di giudici diversi.

Sebbene il “giustificato motivo” sia ora fonte di non poche discussioni, la proposta operata dallo Schema correttivo inserisce nel rito, di fatto, una preclusione probatoria che scatta con gli atti introduttivi. Il ricorrente non sa infatti mai a priori se il convenuto si costituirà e se, quindi, potrà fruire della possibilità di integrare le prove già proposte quale conseguenza delle difese del convenuto; la nuova formulazione, quindi, se entrerà in vigore, renderà comunque necessaria la formulazione di tutte le difese e di tutte le deduzioni istruttorie dell’attore fin da subito.

L’intenzione del legislatore, espressa nella Relazione, è quella di favorire con questa modifica l’uso del rito semplificato rispetto a quello ordinario. E’ però difficile dire oggi se questo rito se ne gioverà davvero, in quanto preclusioni così strette possono evidentemente anche non piacere alla prassi, finendo col favorire ancor più la scelta per il rito ordinario. E se questo sarà l’esito delle correzioni, del tutto in linea con quella che è l’esperienza generalizzata del primo anno di applicazione del nuovo rito, la sperimentazione effettuata dal Tribunale di Rovigo che ci è stata precedentemente illustrata deve insegnarci qualcosa. L’anticipazione del tempo della conversione di rito operata dallo Schema correttivo segna un punto positivo nell’andamento del nuovo processo civile, ma la riforma ne uscirà rafforzata se la valutazione del giudice potrà essere effettuata nel contraddittorio con le parti, che sia orale o scritto, informale o istituzionalizzato rileva meno, ma è invece importante che ci sia.

[1] Questo scritto contiene alcune delle riflessioni esposte nel corso dell’intervento che ho tenuto nel Primo seminario su “La riforma della giustizia civile”, svoltosi in data 7 marzo 2024 e organizzato da Magistratura democratica a un anno dall’entrata in vigore delle riforma Cartabia. Il compito che mi era stato affidato era quello della illustrazione dello «Schema di decreto legislativo concernente disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149», approvato dal Consiglio dei ministri il 15 febbraio 2024 e trasmesso al Parlamento il 6 marzo 2024, affinché esprimano pareri le Commissioni giustizia del Senato e della Camera. Dati i limiti temporali dell’intervento ho concentrato l’attenzione soprattutto sulle modifiche del primo libro del codice di rito e sulla  fase introduttiva del rito ordinario. Riprendo ora con questo scritto le riflessioni elaborate con riferimento alla fase introduttiva del rito ordinario, unitamente ad altre riguardanti le modifiche del rito semplificato di cognizione.

[2] Si tratta dello Schema di decreto legislativo menzionato nella nota precedente.

[3] Così F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, Milano 2023, sub art. 171 c.p.c., p. 67.

[4] Mi riferisco in particolare al Protocollo di Firenze, in corso di studio in quella sede, illustrato dall’avv. Michele Mondini, che introduce una udienza intermedia o filtro, da svolgersi di preferenza alla presenza delle parti, utile a risolvere una serie di questioni che vanno dall’udienza non solo per la concessione della provvisoria esecutività al decreto ingiuntivo di cui all’art. 648, ma anche a quella per la sua sospensione ai sensi dell’art. 649 c.p.c., alla discussione circa l’assenza delle condizioni di procedibilità, oppure alla formulazione della proposta di cui all’art. 185-bis c.p.c. e in ogni caso in cui la causa possa essere ritenuta matura per la decisione si questioni preliminari. Per queste e altre funzioni una udienza intermedia si rivela di sicura utilità per l’efficienza del processo e la sua possibilità andrebbe quindi istituzionalizzata.

[5] E cioè le questioni rilevabili d’ufficio di cui il giudice ritiene opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato.

[6] Tralascio di ribadire nel testo la mia ferma convinzione, che soluzioni incisive per rimediare alla crisi ormai endemica della giustizia civile si sarebbero dovute ricercare molto più in misure organizzative e aumento degli organici dei giudici piuttosto che in modifiche normative.

[7] Mi riferisco in particolare all’intervento della dott. Paola Di Francesco, Presidente di sezione del Tribunale di Rovigo che ci ha spiegato che con Nota scritta 7 marzo 2023 il Tribunale di Rovigo ha da subito istituito la prassi di una prematura conversione di rito che precede la trattazione scritta dell’art. 171-ter c.p.c., con una udienza apposita per discutere del tema, sospendendo al contempo i termini per il deposito delle memorie integrative. Così operando il Tribunale di Rovigo ha disposto nel primo anno di sperimentazione della riforma il 90% di conversioni dal rito ordinario a quello semplificato, circostanza questa che dovrebbe fare riflettere il legislatore che sta operando il correttivo.

[8] Lo Schema correttivo ha voluto dare una risposta alle immediate notazioni che, ad esempio, il primo presupposto, quello cioè che i fatti non siano controversi, non può essere noto all’attore al momento dell’introduzione del giudizio, potendo l’eventuale non contestazione essere misurata solo sulle difese del convenuto, nonché all’osservazione che il rapporto tra il primo e il secondo comma dell’attuale art. 281-decies c.p.c. non è di immediata lettura. Tuttavia questa risposta non mi sembra cambiare nella sostanza le cose perché i due riti rimangono nella sostanza a scelta iniziale dell’attore, che può poi subire la conversione del rito da parte del giudice, unico vero artefice della scelta del procedimento.

[9] Cass. 23 novembre 2022, n. 34501.