Mediazione e processo.   Note a margine di recenti pronunciamenti giurisprudenziali

Di Silvana Dalla Bontà -

Sommario: 1. Mediazione e processo: una co-esistenza virtuosa? Il ruolo centrale di tutti i protagonisti della soluzione del conflitto/contenzioso: parti, avvocati e giudici. – 2. Due angoli visuali per affrontare il tema: il tentativo di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale e i costi della mediazione… – 3. (segue) …alla luce di recenti pronunciamenti giurisprudenziali. – 4. Mediazione ‘obbligatoria’ e domanda riconvenzionale: le Sezioni Unite escludono il tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda riconvenzionale. – 5. Le argomentazioni delle Sezioni Unite: tra domande riconvenzionali eccentriche, non eccentriche, i precedenti in materia di contenzioso agrario… – 6. (segue) …e il rischio di “eccesso di mediazione”. – 7. La motivazione delle Sezioni Unite quale spunto per una riflessione di ampio respiro: dalla condizione di procedibilità in ipotesi di cumulo di domande… – 8. (segue) …alla centralità del ruolo dell’avvocato (e del mediatore) nella promozione di un ‘uso potenziato’ della mediazione ed un suo rapporto virtuoso con il processo. – 9. I costi della mediazione: tra patrocinio a spese dello Stato, incentivi fiscali e… d.m. n. 150 del 2023. – 10. (segue) Reazioni (eccentriche) della giurisprudenza di merito e la risposta degli organismi di mediazione. – 11. Cooperazione, proporzionalità e promozione della soluzione consensuale: le coordinate di un modello di giustizia civile virtuosa. L’insegnamento delle ELI-Unidroit European Rules of Civil Procedure.

1.Mediazione e processo: una co-esistenza virtuosa? Il ruolo centrale di tutti i protagonisti della soluzione del conflitto/contenzioso: parti, avvocati e giudici

È dall’entrata in vigore della disciplina organica della mediazione finalizzata alla conciliazione, con il d.lgs. n. 28 del 2010 adottato su spinta euro-unitaria in occasione dell’implementazione della direttiva 2008/52/CE[1], che il rapporto tra mediazione e processo costituisce oggetto di attento studio ed è sotto la puntuale lente applicativa della giurisprudenza[2]. Si tratta di un rapporto che non ha mancato, né manca tuttora, di essere controverso: cosa che, a ben vedere, può sembrare quanto meno curiosa.

Mediazione e processo si presentano, infatti, quali strumenti di risposta alla controversia affatto diversi: l’una è via a-giurisdizionale, autonoma e consensuale di soluzione (auspicabilmente) del conflitto e (in conseguenza) della lite; l’altro è via giurisdizionale, eteronoma e impositiva della decisione del conflitto giuridicamente qualificato, i.e. della lite[3].

Alla luce di siffatte fondamentali differenze, parrebbe non darsi ragione del persistente tribolato rapporto fra mediazione e processo: a rigore, infatti, l’una via – la mediazione – non avrebbe motivo di intrecciare l’altra – il processo – dal momento che ove le parti riescano a risolvere il loro conflitto fuori dal processo, determinando esse stesse in maniera condivisa – con l’ausilio di un terzo mediatore – la loro regola di condotta vincolante per il futuro, non vi è più di che ricorrere al giudice. Viceversa, ove accordo tra le parti in conflitto non si dia, la via giurisdizionale, quale espressione di un potere-servizio indefettibile dello Stato, è sempre possibile e praticabile.

Ebbene, poste dette coordinate, si intende come la co-esistenza di mediazione e processo sarebbe per se virtuosa, non dandosi pertanto di che commentare sulla loro correlazione.

La realtà, però, ha mostrato e mostra che così non è: il rapporto tra mediazione e processo risulta (ancora) oggetto di acceso dibattito dottrinale come di giurisprudenza copiosa[4]; e ciò si riscontra anche allorché si volga lo sguardo extra moenia e a livello euro-unitario, dove non sopito è il confronto sull’effettiva attuazione di quella “equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario” che l’art. 1, par. 1 della direttiva 2008/52/CE pone apertamente tra i suoi obiettivi[5].

Nel nostro ordinamento, ‘motivo portante’ di questo travagliato rapporto viene da sempre ricondotto principaliter alla previsione del tentativo obbligatorio di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale: previsione e meccanismo che nel creare una ‘prossimità’ tra processo e mediazione, avrebbe condotto ad un “esasperato formalismo” e alla conseguente “perdita dello spirito genuino” della mediazione[6]. Ne sarebbe dimostrazione, per taluni, la nutrita giurisprudenza sviluppatasi sulla disciplina della ‘mediazione obbligatoria’ – e sue correlate ramificazioni – sin dalla sua formulazione originaria[7].

A riguardo, non è casuale che, anche alla volta della recente riforma della giustizia civile e degli strumenti complementari alla giurisdizione, da più parti si auspicasse l’abolizione della figura della c.d. mediazione obbligatoria, per lasciare in vita soltanto quella volontaria[8]. Ciò avrebbe consentito il superamento di tutte le questioni interpretative ed applicative legate alla disciplina del tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale[9]; questioni che da tempo impegnano avvocati, da un lato, e giudici, dall’altro, con inevitabili ricadute sulle parti che vivono il conflitto.

Ora, anche a voler ritenere fondata siffatta opinione, non pare però che le argomentazioni da questa addotte colgano in pieno l’essenza della questione.

La virtuosa co-esistenza di mediazione e processo, infatti, non sembra possa univocamente legarsi all’eliminazione della ‘mediazione obbligatoria’; al contrario, essa richiede altro e molto di più. Quella benefica co-esistenza può discendere soltanto dal ruolo che avvocati, parti, mediatori e anche – ma solo in un momento temporalmente successivo – giudici decidano di assumere e giocare rispetto al valore e all’obiettivo della gestione autonoma e responsabile del conflitto[10]. Non solo. È doveroso sin d’ora evidenziare come centrale nell’avanzamento di un tale moto culturale sia il ruolo, tra tutti i soggetti testé citati, dell’avvocato[11]. Le considerazioni raccolte nelle pagine a seguire tenteranno di dimostrarlo, anche a fronte delle sollecitazioni provenienti da talune recenti pronunce giurisprudenziali, di legittimità e di merito, sul rapporto tra mediazione e processo.

È l’avvocato, infatti, colui che – nella sua funzione e nel suo ruolo professionale, che fatalmente lo rende “leader sociale” – per primo raccoglie il conflitto della persona che lo vive, la sua narrazione, i suoi bisogni, le sue esigenze e i suoi interessi, ancor prima che le sue istanze di giustizia[12]. Quale professionista che interviene sulla conflittualità, egli offre la sua competenza come farmaco – parola, questa, scelta qui con intenzione, in ragione del significato che il suo etimo greco, “φάρμακον”, consegna: quello di ‘medicamento/rimedio’ o, all’opposto, ‘veleno’. L’intervento dell’avvocato potrà, a seconda di come inteso e praticato, curare od acuire il conflitto.

Ne deriva che la scelta per la cura del conflitto o, all’opposto, per la sua esacerbazione passi per il modo in cui l’avvocato ‘sente’ ed interpreta la sua professione ed il suo intervento, e per come egli lo veicola a chi a lui si rivolge: la persona che vive il conflitto, i.e. il suo assistito.

2.Due angoli visuali per affrontare il tema: il tentativo di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale e i costi della mediazione…

Alla luce di quanto detto, due sono gli elettivi angoli visuali da cui si intende in questa sede esaminare il tema della co-esistenza virtuosa di mediazione e processo, al fine di individuare quali possano essere e siano (taluni de)i fattori decisivi per la sua concreta realizzazione: la previsione del tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale e i costi della mediazione.

La selezione, tra tutti, di questi due profili si giustifica per la centralità che essi hanno rivestito, sin dall’adozione del lontano d.lgs. n. 28 del 2010, nelle argomentazioni contrarie alla possibilità di una co-esistenza virtuosa di mediazione e processo. Come noto, infatti, per un verso, la scelta dell’imposizione ex lege del tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale è stata ritenuta costrizione calata dall’alto sulla potenziale parte attrice, ostacolata dall’assolvere tale onere nell’accesso immediato alla via giudiziale[13]. Per altro verso, i costi della mediazione sono stati visti quale inconveniente aggiuntivo a carico del potenziale attore (ed oggi anche del potenziale convenuto, ove egli partecipi alla mediazione), gravandolo di un esborso economico ulteriore rispetto alle spese giudiziali, allorché, conclusa la mediazione senza accordo, si dia avvio al processo[14]. Nemmeno la mediazione obbligatoria jussu judicis è andata esente da rilievi critici, dal momento che, intrapresa la strada del processo, non si è vista ragione di essere costretti dal giudice ad un tentativo di mediazione e a spese ulteriori rispetto a quelle processuali ove il tavolo di mediazione non porti alla conciliazione della lite.

Si intende pertanto come mediazione c.d. obbligatoria e costi della mediazione costituiscano prospettive privilegiate da cui muovere nel ragionare sulla possibilità di una co-esistenza virtuosa di mediazione e processo e sulle modalità in cui questa possa aver luogo.

3. (segue) …alla luce di recenti pronunciamenti giurisprudenziali

La centralità che mediazione c.d. obbligatoria e costi della mediazione ricoprono nell’indagine su realizzazione e promozione di una co-esistenza virtuosa di mediazione e processo è confermata da recenti pronunciamenti giurisprudenziali che si indirizzano frontalmente a questi temi, offrendo soluzioni e motivazioni che meritano attenzione: non solo per l’impatto che essi hanno, o potranno avere, sul contezioso intorno alla disciplina della mediazione, ma anche per le riflessioni di più alta levatura che essi sollecitano con riguardo ad una concezione di ‘giustizia’ matura e completa, capace di far sapientemente co-esistere mediazione e processo.

Il riferimento è qui, da un lato, alla sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite su rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363-bis c.p.c. in merito alla soggezione o meno della domanda riconvenzionale al tentativo di mediazione ai fini della sua procedibilità[15]; dall’altro, a taluna giurisprudenza di merito che ha disapplicato la normativa sulla mediazione obbligatoria in ragione dei costi eccessivi in cui incorrerebbero le parti ove fossero costrette ad avvalersene[16].

A tali pronunce si intende dare di seguito partito esame, al dichiarato fine di ricavare dalla loro lettura critica argomenti a favore della teorizzazione di una co-esistenza virtuosa di mediazione e processo, in linea con quanto, a livello sovranazionale, non solo enuncia la direttiva 2008/52/CE, ma da ultimo promuovono le European Rules of Civil Procedure, quale modello di disciplina paneuropea del processo civile stese dall’European Law Institute e dall’Unidroit[17].

4. Mediazione ‘obbligatoria’ e domanda riconvenzionale: le Sezioni Unite escludono il tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda riconvenzionale

Su rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363-bis c.p.c. proposto con ordinanza dal Tribunale di Roma[18] e dichiarato ammissibile dalla Prima Presidente della Corte di cassazione[19], le Sezioni Unite si sono pronunciate sulla questione dell’“obbligo di mediazione (e del relativo onere adempitivo) in caso di domanda riconvenzionale, in ipotesi in cui una mediazione sia già stata effettuata prima della proposizione della domanda riconvenzionale” con riguardo a quella principale soggetta a c.d. mediazione obbligatoria ex lege.

Affermata dal giudice remittente, e confermata dalla Prima Presidente della Suprema Corte, la sussistenza di tutti i presupposti applicativi del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione – la necessità di soluzione della questione ai fini della decisione del giudizio pendente; la sua novità; la sua grave difficoltà interpretativa, la sua riproponibilità in numerosi giudizi[20] – cinque sono state le possibili soluzioni alla questione formulate dal Tribunale di Roma. In particolare, quest’ultimo ha chiesto alle Sezioni Unite di prendere in esame, ed eventualmente optare per, una delle seguenti soluzioni: (1) ritenere obbligatorio il soddisfacimento della condizione di procedibilità anche per la domanda riconvenzionale, con onere di re-instaurazione del procedimento di mediazione in capo all’attore, pena l’improcedibilità dell’intero giudizio; (2) qualificare come obbligatorio il tentativo di mediazione sulla domanda riconvenzionale, con onere di dar corso alla mediazione in capo al convenuto, pena l’improcedibilità della sola domanda riconvenzionale; (3) dichiarare tout court la domanda riconvenzionale improcedibile, senza alcuna possibilità di ‘sanatoria’, per non aver il convenuto introdotto la domanda riconvenzionale al tavolo di mediazione debitamente avviato dall’attore prima di adire la via giudiziale; (4) ritenere non necessario il tentativo di mediazione sulla domanda riconvenzionale (come su quelle proposte da eventuali terzi intervenuti), essendo un tentativo di mediazione già stato svolto sulla domanda principale; (5) considerare necessario il tentativo di mediazione sulla domanda riconvenzionale soltanto nel caso in cui questa comporti un allargamento della compagine soggettiva del processo per conseguente chiamata in causa o intervento volontario di terzi, dal momento che questi ultimi sarebbero portatori di interessi diversi e bisogni ulteriori rispetto a quelli delle parti originarie, e pertanto potenzialmente idonei a riaprire la possibilità di giungere ad un accordo compositivo dell’intera lite[21].

Come anticipato, tra le varie possibilità interpretative, le Sezioni Unite si determinano per l’esclusione del tentativo di mediazione a pena di improcedibilità sulla domanda riconvenzionale nel caso in cui esso sia già stato svolto sulla causa oggetto della domanda principale.

L’articolata motivazione a sostegno di tale soluzione merita particolare attenzione per i passaggi destinati ad offrire interessanti spunti di riflessione sul tema che qui occupa: l’individuazione delle giuste ‘coordinate di vita’ per una co-esistenza virtuosa di mediazione e processo. Con questo intento, si intende pertanto restituire una pur breve sistematizzazione degli argomenti addotti dalla Corte a giustificazione dell’esclusione del tentativo obbligatorio di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda riconvenzionale.

5. Le argomentazioni delle Sezioni Unite: tra domande riconvenzionali eccentriche, non eccentriche, i precedenti in materia di contenzioso agrario…

Le Sezioni Unite esordiscono nel loro argomentare con una ricognizione della disciplina dedicata, nel d.lgs. n. 28 del 2010 e sue successive modifiche, al tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale. In particolare, esse ricordano ciò che prevede – oggi, a seguito della riforma introdotta dal d.lgs. n. 149 del 2022 – l’art. 5 d.lgs. n. 28 cit., ossia, per un verso, che “[c]hi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia” nelle materie ivi elencate “è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione” quale “condizione di procedibilità della domanda giudiziale”; per l’altro, che l’improcedibilità è “eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza”. Da siffatta formulazione del dato positivo la Corte – correttamente – ricava che tale condizione di procedibilità della domanda giudiziale costituisce un “presupposto processuale”, il cui difetto la legge consente di sanare retroattivamente qualora il giudice rilevi il mancato esperimento del tentativo o la sua pendenza, sì da permetterne la conclusione[22].

Ciò richiamato e premesso, le Sezioni Unite volgono attenzione alla figura della domanda riconvenzionale, onde esaminare se e a quali condizioni essa, ove su causa per cui la legge prevede la c.d. mediazione obbligatoria, possa considerarsi soggetta alla condizione di procedibilità data dall’esperimento del tentativo di mediazione.

Riprendendo un tema oggetto di risaputo confronto dottrinale e giurisprudenziale, il Supremo Collegio rammenta la distinzione tra domande riconvenzionali c.d. non eccentriche ed eccentriche, qualificando le prime come domande proposte dal convenuto nei confronti dell’attore e legate alla domanda originaria di quest’ultimo per le connessioni espressamente previste dall’art. 36 c.p.c. o per la sussistenza di quel “collegamento obiettivo”[23] – di tralatizio conio[24] – “tale da rendere consigliabile e opportuna la celebrazione del simultaneus processus di domanda principale e riconvenzionale”; collegamento obiettivo la cui valutazione di sussistenza viene rimessa alla discrezionalità del giudice e alla sua motivazione, ove ritenga di escluderlo. Diversamente, domande riconvenzionali eccentriche devono intendersi, secondo la Corte, quelle non connesse alla domanda originaria dell’attore se non per il profilo squisitamente soggettivo[25].

Ancorché richiamata tale distinzione, le Sezioni Unite ritengono di escludere per qualsiasi tipo di domanda riconvenzionale la condizione di procedibilità data dal tentativo di mediazione. Tale pur unitaria esclusione viene diversamente giustificata per domande riconvenzionali non eccentriche ed eccentriche.

Quanto alle prime, queste non soggiacerebbero alla suddetta condizione di procedibilità in quanto il loro oggetto “si collega all’oggetto del processo già introdotto dall’attore”. Le Sezioni Unite lapidariamente sostengono che così debba essere perché “[l]a mediazione è stata già esperita senza esito positivo, prima del processo o nel termine concesso dal giudice, dall’attore” e perché “[l]a mediazione obbligatoria si collega non alla domanda sic et simpliciter, ma al processo, che ormai è pendente (…): in quanto essa si collega alla causa, non alla domanda come tale, in funzione deflattiva del processo”[26].

A tale conclusione la Corte ritiene di giungere, da un lato, in ragione del silenzio legislativo in merito alla soggezione della domanda riconvenzionale alla c.d. mediazione obbligatoria – silenzio persistente anche a seguito della riforma introdotta dal d.lgs. n. 149 del 2022; dall’altro, alla luce del fine da attribuirsi al tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Questo si rinverrebbe, secondo le Sezioni Unite, nella “reale spinta deflattiva” riconosciuta allo strumento della mediazione sin dalla sua introduzione nel nostro ordinamento[27], in quanto “misura di contenimento del contenzioso civile” volta a “preservare”, e così “economizzare”[28], la risorsa giurisdizionale di per sé “non illimitata”[29], nonché a promuovere il “miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario e dell’accelerazione dei tempi di definizione del contenzioso civile”[30]. La mediazione c.d. obbligatoria, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, avrebbe pertanto come fine “l’auspicata non introduzione della causa” grazie alla sua previa soluzione in via stragiudiziale[31].

Ne deriva – prosegue il Supremo Collegio – che avendo la mediazione “esclusive finalità di economia processuale”[32], questa non potrebbe conseguirsi allorché “la domanda principale sia stata regolarmente proposta dopo che la mediazione abbia già fallito l’obiettivo” e si imponga “una nuova mediazione obbligatoria relativa alla riconvenzionale”[33]. Ove così si facesse, infatti, il giudice, già investito della causa introdotta dall’attore, non verrebbe di questa spogliato neppure se la mediazione sulla domanda riconvenzionale avesse successo, dal momento che ciò porterebbe al massimo ad una riduzione del thema decidendum, ma non ad una sua completa eliminazione.

Argomentazioni diverse, ma convergenti nell’esito, vengono spese dalle Sezioni Unite in merito alle domande riconvenzionali eccentriche[34]. Riscontrato come anche per queste l’imposizione del tentativo di mediazione non assicurerebbe un effetto pienamente deflattivo, la Corte evidenzia il vulnus ai principi di certezza del diritto e ragionevole durata del processo che una tale previsione comporterebbe.

A tale constatazione le Sezioni Unite giungono a mente delle riscontrate criticità emerse nella giurisprudenza formatasi in applicazione dell’art. 46 l. n. 3 del 1982 – poi abrogato dal d.lgs. n. 150 del 2011, ma il cui art. 11 ne riproduce il testo senza significative alterazioni – che impone, a chi intende proporre in giudizio una domanda relativa a una controversia in materia di contratti agrari, di tentare la conciliazione presso l’ispettorato provinciale dell’agricoltura competente per territorio[35].

Ebbene, ferma in principio nel ritenere che nel contenzioso agrario il tentativo di conciliazione debba precedere anche la domanda riconvenzionale, la giurisprudenza di legittimità finisce però per ricorrere ad una serie di distinguo, che, nel temperare l’onere del convenuto, gettano le parti nelle nebbie dell’incertezza applicativa.

Giocando su sottili quanto impervie distinzioni, infatti, la giurisprudenza ha ritenuto la domanda riconvenzionale soggetta al previo tentativo di conciliazione solo quando essa: ampli l’ambito della controversia rispetto ai limiti delineati nel già esperito tentativo di conciliazione di cui alla domanda principale; investa aspetti nuovi della controversia, che se conosciuti e valutati dalle parti unitamente a quelli su cui già pende il processo, potrebbero condurre ad una definizione bonaria della lite; non si ricolleghi direttamente al contrasto tra le parti ed alle pretese già fatte valere dall’attore in sede di conciliazione; non si tratti di domanda che faccia valere richieste già dedotte dal convenuto nella conciliazione avviata a suo tempo dall’attore[36].

Evidente è l’intento che sospinge questa articolata giurisprudenza: erodere l’onere di un nuovo esperimento conciliativo allorché venga introdotta, a giudizio instaurato, una domanda riconvenzionale, sì da evitare che la sua proposizione miri soltanto a “ritardare il processo”[37].

Ancorché apprezzabile, tale obiettivo appare alle Sezioni Unite perseguito dalla giurisprudenza in materia di contenzioso agrario con ‘dubbi mezzi’, dal momento che essa àncora l’onere di rinnovare il tentativo di conciliazione, allorché sia proposta domanda riconvenzionale, a criteri fondati su un “linguaggio vago” e “concetti controvertibili”, destinati a pregiudicare la certezza del diritto[38]. Senza contare, poi, che nei casi in cui il tentativo di conciliazione debba nuovamente esperirsi, vanificata sarebbe la ragionevole durata del processo.

Di qui, la conclusione delle Sezioni Unite per l’esclusione di una ‘trasposizione’ degli orientamenti giurisprudenziali maturati in materia agraria al contenzioso civile e commerciale oggetto di applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 28 cit.

6. (segue)…e “rischio di eccesso di mediazione”

Così partitamente descritti gli inconvenienti di una mediazione imposta quale condizione di procedibilità della domanda riconvenzionale (eccentrica e non), le Sezioni Unite giungono a sintesi, denunciando il pericolo che una tale opzione interpretativa comporterebbe: quello di un “eccesso di mediazione”; rischio temuto e scongiurato, invece, dalla disciplina di diritto positivo, che esclude – ricorda la Corte – duplicazioni degli strumenti conciliativi quali filtri della giurisdizione; sottopone a termine ragionevole la sollevazione dell’eccezione di improcedibilità della domanda giudiziale per mancato esperimento della mediazione; prevede una durata massima del procedimento di mediazione.

Non solo. Se è vero – rammentano ancora le Sezioni Unite richiamando consolidata giurisprudenza costituzionale – che il diritto di accesso al giudice “non comporta l’assoluta immediatezza del suo esperimento” ma ben può convivere con ipotesi di giurisdizione condizionata che evitano l’“abuso della giurisdizione” ed offrono un “modo di soddisfazione della posizione sostanziale più pronto e meno dispendioso”, non di meno gli oneri che esse impongono non possono essere “tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale”[39].

Ne discende che, ove previste dalla legge, le condizioni di procedibilità della domanda giudiziale non possano essere interpretate in senso estensivo ed esse non violino il diritto di azione soltanto ove il tentativo conciliativo “risulti idoneo a produrre il risultato vantaggioso del c.d. effetto deflattivo, senza mai divenire tale da provocare un inutile prolungamento dei tempi del giudizio”[40].

Di qui, il necessario e imprescindibile contemperamento di “effetto deflattivo, ragionevole durata e divieto di inutili intralci” che, nella questione interpretativa che occupa le Sezioni Unite, le induce a concludere per l’affermazione che la “condizione di procedibilità” di cui all’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 e successive modifiche, sia “da applicare al solo atto introduttivo, non a tutte le ‘domande’ proposte nel processo”[41]. In caso contrario, finirebbero per esperirsi “tante successive mediazioni non simultanee” destinate ad essere utilizzate “in modo disfunzionale” e con una sorta di “effetto boomerang” sull’efficienza della risposta della giustizia[42]; laddove, invece, la mediazione, quale strumento di “contemperamento di interessi”, è “esperimento” finalizzato al raggiungimento di un accordo negoziale “che non avrebbe senso diluire o prolungare oltre misura”[43], ma è piuttosto da leggersi alla luce dell’individuazione di un “appropriato meccanismo di coordinamento, ispirato alla considerazione necessariamente unitaria della vicenda sostanziale dedotta in giudizio”[44].

In tale direzione, ricordano le Sezioni Unite, si muove d’altronde il mediatore, che “nel diligente adempimento del suo incarico”, esorterà “le parti a mettere ogni profilo ‘sul tappeto’, ivi comprese le richieste del convenuto”, in vista della “trattazione congiunta di più interessi di cui le varie parti siano portatrici” in un unico procedimento di mediazione, affinché essi “vengano (…) adeguatamente ponderati e non ridotti forzatamente ‘a pari merito’”[45].

“Per ogni altro profilo” – sostiene il Supremo Collegio – “sussiste il compito generale del giudice, ai fini di risparmiare risorse giurisdizionali e non emettere la sentenza, di tentare e proporre egli stesso la conciliazione (artt. 185, 185-bis c.p.c.), dove il tentativo di conciliazione potrà avere svolgimento con maggiore probabilità di esito positivo”[46]. Il giudice, infatti, “in adempimento del suo compito essenziale, conoscendo gli atti e le parti, ha tutto l’agio e le competenze per tentare la conciliazione lungo tutto il corso del processo, così come ora prevede l’art. 185-bis c.p.c., ‘fino al momento in cui fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione’”[47].

Di qui, l’enunciazione finale del principio di diritto sulla questione posta dal rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma: “[l]a condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 sussiste per il solo atto introduttivo del giudizio e non per le domande riconvenzionali, fermo restando che al mediatore compete valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed al giudice esperire il tentativo di conciliazione, per l’intero corso del processo e laddove possibile”.

7. La motivazione delle Sezioni Unite quale spunto per una riflessione di ampio respiro: dalla condizione di procedibilità in ipotesi di cumulo di domande…

Come anticipato, l’articolata motivazione a sostegno del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite offre non poche sollecitazioni in merito al tribolato rapporto tra mediazione e processo, che tanto più si colgono ove gli argomenti addotti vengano esaminati da una prospettiva più ampia.

Ad un’analisi della sentenza da tale angolatura deve però premettersi una rigorosa verifica di taluni passaggi centrali della motivazione, per loro importanza tradotti anche nel principio di diritto poc’anzi restituito; passaggi che, sia detto fin d’ora, non convincono per le seguenti ragioni.

Le Sezioni Unite esordiscono qualificando come “presupposto processuale” il tentativo di mediazione legislativamente previsto, con riguardo a determinate controversie, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Da siffatto inquadramento la Corte manca però di trarre le dovute, coerenti conseguenze. Nonostante quelle premesse, essa sostiene, infatti, che “[l]a mediazione obbligatoria si collega non alla domanda sic et simpliciter, ma al processo (…): in quanto essa si collega alla causa, non alla domanda come tale”. Di qui la conclusione, come da principio di diritto, secondo cui “[l]a condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 sussiste per il solo atto introduttivo del giudizio e non per le domande riconvenzionali”.

Ebbene, non può che evidenziarsi come il ragionamento delle Sezioni Unite pecchi di rigore e discutibili si mostrino quindi le conclusioni cui perviene.

Come con nitore taluna dottrina processualcivilistica evidenzia, allorché si costruisca come presupposto processuale il previo tentativo di mediazione sulla causa oggetto di (potenziale) domanda giudiziale, obbligate sono le ricadute di tale costruzione sulle ipotesi di processo cumulato. Se in caso di simultaneo processo si realizza un contenitore processuale formalmente unico ma in cui distinti rimangono i procedimenti relativi alle singole cause cumulate anche in riferimento al vaglio delle questioni di rito, si intende come l’integrazione dei presupposti processuali – chiaro profilo di rito – vada verificata singolarmente per ogni causa. Tali presupposti, infatti, sono ‘agganciati’ “non al processo in quanto percorso unico formalmente inteso, bensì (…) ai suoi oggetti”[48]. Ad essere conseguenti, ne deriva che la verifica della sussistenza del presupposto processuale-avvenuto tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, e quindi di sua decidibilità nel merito, vada effettuata per ogni singola domanda (compresa quella riconvenzionale) calata nell’unico contenitore del simultaneus processus, e non possa invece collegarsi al solo “atto introduttivo” della domanda proposta dall’attore.

Di qui, l’“errore” in cui le Sezioni Unite incorrono; “errore” – consapevolmente? – giustificato dalla proposta di una lettura costituzionalmente orientata della disciplina positiva. Allacciare il presupposto processuale del previo tentativo di mediazione al processo formalmente unico, e non ad ogni singola domanda giudiziale cumulata, infatti, risponderebbe – si lascia intendere – alla necessità di non pregiudicare eccessivamente il diritto alla tutela giurisdizionale, e così i ritardi e gli impedimenti che un “eccesso di mediazione” provocherebbe ove si diluisse il tentativo di conciliativo in tante successive mediazioni, ogni qualvolta venga proposta una domanda riconvenzionale dopo una mediazione già tentata, ma non riuscita, sulla domanda attorea originaria.

Orbene, è qui – nel richiamo delle Sezioni Unite all’“eccesso di mediazione” – che le riflessioni si spostano dal piano rigorosamente processualcivilistico alla prospettiva di più ampio respiro che più sopra si richiamava: quella di chi guarda allo scenario che ha occasionato il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione con gli occhi – e le categorie – di chi conosce e frequenta lo strumento della mediazione, affatto diverso dal processo, ma con cui può virtuosamente co-esistere.

8. (segue) …alla centralità del ruolo dell’avvocato (e del mediatore) nella promozione di un ‘uso potenziato’ della mediazione ed un suo rapporto virtuoso con il processo

Come visto, le Sezioni Unite pagano in punto di rigore ricostruttivo nel trarre le debite conseguenze dalla costruzione del tentativo di mediazione quale presupposto processuale, per evitare quell’“eccesso di mediazione” che, a loro dire, non solo affaticherebbe lo svolgimento del processo pregiudicando la tutela giurisdizionale, ma, fallendo nella funzione deflattiva, non riuscirebbe a rispondere a quell’“eccesso di giurisdizione” che i metodi conciliativi dovrebbero curare.

Ebbene, biasimo possono – giustamente – suscitare l’“errore” ricostruttivo in cui la Corte incorre al cospetto dell’operare della verifica sui presupposti processuali in caso di simultaneo processo, così come i passaggi in cui le Sezioni Unite, con enfasi quasi monocorde, assegnano al tentativo di mediazione una finalità esclusivamente deflattiva del contenzioso civile.

Se del primo errore si è detto, meritano ora riflessione i plurimi passi della sentenza annotata che alla funzione deflattiva della mediazione accordano un ruolo centrale, se non preminente.

Ora, non v’è dubbio che essi siano passibili di critica[49]. È dato oramai acquisito, infatti, che gli strumenti a-giurisdizionali, autonomi e consensuali di soluzione del contenzioso rivestano finalità diverse ed ulteriori rispetto a quella del (mero) decongestionamento del carico giudiziario[50]. Non stupisce, tuttavia, che le Sezioni Unite si attenzionino soprattutto – anche se non solo: sul punto si tornerà a breve – sulla funzione deflattiva della mediazione. Va detto, infatti, che la prospettiva da esse abbracciata non può che essere quella dell’organo giudicante chiamato ad esercitare la funzione giurisdizionale nel processo e dalla cui prospettiva la riuscita della mediazione si misura – innanzitutto – sulla sua capacità di evitare, risolvendo il conflitto, l’instaurazione della lite avanti la macchina giudiziaria[51].

A ben vedere, d’altronde, al giudice non è da chiedersi un punto di vista diverso: la mediazione, come si diceva in esordio, ben co-esiste con il processo proprio perché l’una e l’altro rappresentano mezzi diversi di risposta al contenzioso. A ciascuno corrisponde il suo ambito di azione, sulla base dei propri ‘fondamentali’, delle proprie dinamiche, delle proprie tecniche e …del proprio oggetto[52].

Oggetto del processo ed oggetto della mediazione divergono, ed è in questa diversità che sembra in parte intravedersi la ragione profonda dell’“errore processualcivilistico” in cui la Corte incorre, e che più sopra si è evidenziato.

La mediazione accoglie la complessità del conflitto, ovvero quel coacervo di interessi, bisogni, esigenze, che nascono dal verificarsi di un evento storico di ‘scontro’ tra due o più parti[53]. Con la conseguenza che ancorché, per come oggi disciplinata, la domanda di mediazione (non può che) menziona(re) (anche) una ‘pretesa giuridica’[54], essa dovrebbe però costituire soltanto il ‘mezzo’ per aprire il tavolo di mediazione a tutto ciò che, dal punto di vista delle parti coinvolte, quell’accadimento conflittuale ha occasionato e si è in esso intrecciato[55]. Di questo, d’altronde, il conflitto si alimenta, come all’opposto, grazie alla sua (ri-)elaborazione, esso può sciogliersi nel raggiungimento di una soluzione condivisa.

Di ciò le Sezioni Unite danno segno di essere al fondo consapevoli, non solo laddove richiamano quel passaggio della giurisprudenza di legittimità che discorrendo dell’oggetto su cui intervengono gli strumenti consensuali di soluzione della controversia parla di “considerazione necessariamente unitaria della vicenda sostanziale dedotta”, ma anche laddove esaltano la figura del mediatore nell’esercizio diligente del suo incarico. Di costui, dice la Corte, è il compito di esortare “le parti a mettere ogni profilo ‘sul tappeto’”.

Da qui la convinzione che sia ‘sul tappeto’ – i.e. al tavolo – di mediazione, aperto dal potenziale futuro attore, che gli interessi sottesi all’eventuale domanda riconvenzionale del convenuto debbano essere esplorati e discussi; e non in un momento successivo, a processo iniziato, al solo fine di integrare un presupposto processuale ancorato alla domanda riconvenzionale ivi proposta. Quanto mai preziosi, ai fini del raggiungimento di un accordo tra le parti, sono infatti i loro interessi compatibili, incompatibili, consequenziali, e quindi quelli che sarebbero sottesi, in un (successivo) processo, a domande riconvenzionali legate da un nesso di compatibilità, incompatibilità o consequenzialità con l’accoglimento della domanda dell’attore[56].

Non stupisce, quindi, che da una prospettiva di più ampio respiro – quella del tavolo di mediazione che guarda alla complessità del conflitto e non alla rigidità delle pretese giuridiche e della lite – si possa immaginare che, aperto detto tavolo, esso ‘consumi’ tutti i possibili successivi che potrebbero aprirsi ogni qualvolta venga proposta una domanda (riconvenzionale, eccentrica o meno) in giudizio[57]. Se persino nel processo si assiste alla progressiva relativizzazione del ruolo identificativo del titolo della domanda giudiziale a vantaggio del bene della vita che con essa si vuole perseguire, in un’esaltazione della funzione teleologico-funzionale della domanda giudiziale[58], nonché, per altro verso, ad una ‘sanzione’ del suo frazionamento[59], non si vede come il tavolo di mediazione che si apra su un determinato conflitto non possa (e debba) attrarre a sé esplorazione e discussione di tutti gli interessi che ad esso sono sottesi, al fine di rinvenire, in radice ed una volta per tutte, la sua soluzione.

Ebbene, che ciò sia possibile e in concreto si realizzi, non dipende invero né dall’enunciazione di principi di diritto quali quello formulato nella sentenza annotata, né, a ben vedere, dalla sola figura e professionalità del mediatore. Tutto ciò è e sarà possibile soltanto ove anche (e soprattutto) l’avvocato svolga nella misura più piena il ruolo di accompagnatore del proprio assistito verso la soluzione più appropriata del conflitto[60]. È l’avvocato, infatti, che assiste la parte nella scelta del tavolo di mediazione, nella sua preparazione e nel suo impiego più fecondo.

Per questo, lo si conceda, bene avrebbero fatto le Sezioni Unite, nel loro articolato argomentare, a tributare valore e peso – come d’altronde la Corte non ha mancato in altre occasioni di fare[61] – al ruolo decisivo dell’avvocato nel promuovere una mediazione dove tutti gli interessi siano messi proficuamente “sul tappeto” e “vengano (…) adeguatamente ponderati e non ridotti forzatamente ‘a pari merito’”.

Solo avvocati educati ed allenati alle potenzialità della mediazione saranno infatti pronti ad assistere la persona seduta al tavolo di mediazione nella condivisione degli interessi sottesi alla domanda riconvenzionale che potrebbe eventualmente proporsi nel processo, nella consapevolezza che, ad agire diversamente, si finirebbe per avere una mediazione ‘a uso depotenziato’.

L’alternativa, d’altronde, la indica – con passaggi che lasciano invero perplessi – la sentenza in commento: fallito un tavolo di mediazione ‘ad uso depotenziato’ si apre giocoforza il processo, condotto da un giudice che ha “il compito generale (…), ai fini di risparmiare risorse giurisdizionali e non emettere la sentenza, di tentare e proporre egli stesso la conciliazione (artt. 185, 185-bis c.p.c.)” e che, in adempimento di questo suo “compito essenziale, conoscendo gli atti e le parti, ha tutto l’agio e le competenze per tentare la conciliazione lungo tutto il corso del processo”[62].

Enunciati ed aggettivi ‘pesanti’, questi, che dovrebbero indurre non poco a riflettere anche in merito alla virtuosa co-esistenza di mediazione e processo, dal momento che suggeriscono che il giudice possa farsi ‘conciliatore’ lite pendente con finalità (meramente?) deflattive sulla base di non ben precisate, ancorché asserite, competenze.

In questo suo ruolo, strumento chiave è ritenuta la proposta conciliativa o transattiva ai sensi dell’art. 185-bis c.p.c., ancorché non sia ad oggi ancora chiaro sulla base di quali presupposti e in che modo essa possa venire formulata dal giudice. A riguardo un indice interessante – su cui vale la pena di riflettere – sembra suggerito dalla Corte costituzionale, che riferendosi in una recente pronuncia sull’art. 696-bis c.p.c. alla proposta conciliativa del giudice, vede in questa una funzione “riconducibile all’aequitas, intesa come giustizia del caso singolo” e un’“estrinsecazione della funzione giurisdizionale” del giudice[63]. Una funzione, quindi, sempre e comunque decidente[64], e non di promozione dell’autonomia privata delle parti[65]; una funzione decidente secondo equità cui però non si annoda – come accade, seppur entro determinati limiti, per le decisioni giudiziali secondo equità – il diritto delle parti di impugnazione, e che alimenta la sensazione di una certa ‘ambiguità’ della figura del giudice che così si conduca[66].

Parti ed avvocati ne siano pertanto consapevoli e, anche alla luce di ciò, sappiano svolgere, allorché siedano al tavolo di mediazione e comunque prima di instaurare il processo, le loro ponderate valutazioni.

9. I costi della mediazione: tra patrocinio a spese dello Stato, incentivi fiscali e… d.m. n. 150 del 2023

Se fin qui si è detto del tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in relazione ad una possibile co-esistenza virtuosa tra mediazione e processo, rimane ora da esaminare il secondo profilo cui questa indagine è indirizzata: i costi della mediazione. Aspetto tra i più delicati sin dall’entrata in vigore della disciplina del d.lgs. n. 28 del 2010, il costo della mediazione rappresenta, infatti, angolo visuale imprescindibile per saggiare la concreta possibilità di un sistema integrato di giustizia che sappia accortamente combinare vie a-giurisdizionali e giurisdizionale di soluzione del contenzioso civile.

Ri-delineata nelle sue coordinate essenziali dal d.lgs. n. 28 del 2010 come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, la disciplina del costo della mediazione è stata dettagliata dal d.m. n. 150 del 2023, che ha sostituito il vecchio d.m. 180 del 2010.

Se, da un lato, il sostegno ‘economico’ al ricorso alla mediazione è stato promosso dall’introduzione del patrocinio a spese dello Stato nelle ipotesi di mediazione obbligatoria ex lege – e si ritiene anche jussu judicis – (cfr. Capo II-bis d.lgs. n. 28 cit.) nonché dall’effettiva attivazione di crediti di imposta maturati dalle parti sul compenso versato all’avvocato che le assiste in mediazione e sulle somme dovute all’organismo di mediazione (cfr. art. 20, co. 1 e 2 d.lgs. n. 28 cit.), dall’altro, si deve evidenziare come le articolate novità che la decretazione ministeriale introduce ruotino tutte intorno al ‘mutamento di sguardo’ che il legislatore della riforma ha riservato al c.d. primo incontro di mediazione.

Superando il dato positivo previgente e la lettura datane (anche) dal giudice di legittimità, il nuovo art. 8, co. 6 d.lgs. n. 28 cit. assegna al primo incontro la funzione di vera e propria sessione di mediazione, e non più di mero momento informativo delle parti volto a raccoglierne la volontà o meno di proseguire nel procedimento di mediazione[67].

Di qui, la necessitata onerosità del primo incontro, indipendentemente dal suo esito (conciliativo o meno), contemplata dall’art. 17, co. 3 d.lgs. n. 28 cit., e specificata dal d.m. n. 150 del 2023, che in estrema sintesi contempla quanto segue.

All’avvio della mediazione, ciascuna parte è tenuta al pagamento, oltre che delle c.d. spese vive, della c.d. indennità di mediazione, comprensiva di spese di avvio e di spese di mediazione riferite al primo incontro, dettagliate, rispettivamente, ai commi 4 e 5 dell’art. 28 d.m. n. 150 cit.[68]. In ipotesi di mediazione c.d. obbligatoria le somme dovute per spese di avvio e di mediazione sono ridotte di 1/5 (cfr. art. 28, co. 8 d.m. n. 150 cit.)[69].

Tali importi sono gli unici dovuti nel caso in cui il primo incontro si concluda senza raggiungimento dell’accordo; ove invece questo sia raggiunto, ciascuna parte sarà tenuta a versare, ai sensi dell’art. 28, co. 7 d.m. n. 150 cit., le ulteriori somme – detratti i suddetti oneri già sborsati per il primo incontro – calcolate ai sensi dell’art. 30, co. 1 d.m. n. 150 cit. In particolare, tali somme sono calcolate, per gli organismi di mediazione pubblici, in conformità alla tabella di cui all’allegato A del d.m. cit., mentre per gli organismi privati, in conformità alla tabella approvata dal responsabile del registro degli organismi di mediazione tenuto presso il Ministero della giustizia. Detto importo subisce peraltro una maggiorazione del 10%, in ragione del raggiungimento dell’accordo al primo incontro.

Ove il procedimento di mediazione prosegua oltre il primo incontro e l’accordo venga raggiunto in uno degli incontri successivi, gli importi previsti dalla suddetta tabella di cui all’allegato A, per gli organismi pubblici, o da quella degli organismi privati, saranno maggiorati del 25% (art. 30, co. 2 d.m. cit.). A tale maggiorazione se ne possono aggiungere altre due: la prima, rimessa al responsabile dell’organismo di mediazione, e pari ad una maggiorazione del 20% degli importi massimi tabellarmente indicati, allorché sussista una delle condizioni di cui all’art. 31, co. 3 d.m. cit., per gli organismi pubblici, e all’art. 32, co. 3 d.m. cit., per quelli privati; la seconda maggiorazione, possibile dietro accordo delle parti, sulla base dei criteri di cui all’art. 31, co. 4 d.m. n. 150 cit., per gli organismi pubblici, e all’art. 32, co. 4 d.m. n. 150 cit., per quelli privati.

Nel caso invece in cui il procedimento di mediazione prosegua oltre il primo incontro ma senza raggiungimento dell’accordo, ciascuna parte deve versare le ulteriori spese di mediazione calcolate sulla base della citata tabella di cui all’allegato A del d.m. cit., per gli organismi pubblici, o di quella predisposta dall’organismo privato. Sono detratti gli oneri del primo incontro e non è prevista maggiorazione alcuna.

10. (segue) Reazioni (eccentriche) della giurisprudenza di merito e la risposta degli organismi di mediazione

Non v’è dubbio che la decretazione ministeriale in punto di disciplina di dettaglio sulla determinazione delle indennità di mediazione abbia suscitato più di una perplessità tanto in dottrina che fra gli operatori pratici[70]. La sua (inutile) complessità, infatti, stride non poco con la vocazione alla ‘prossimità’ al cittadino che lo strumento della mediazione dovrebbe comportare[71].

Non rispondono a tale tratto della mediazione le involute disposizioni del d.m. n. 150 del 2023 che disciplinano i costi del primo incontro, i costi della mediazione ove essa prosegua oltre il primo incontro, nonché le varie ipotesi di maggiorazione contemplate.

Di qui, le reazioni di taluna giurisprudenza di merito, che, preoccupata dei costi eccessivi della mediazione, è arrivata a disapplicare la normativa sul tentativo di mediazione obbligatoria ex lege (art. 5 d.lgs. n. 28 cit.) con una presa di posizione che, a parere di chi scrive, supera però il segno.

Il riferimento è ad un’ordinanza del Tribunale di Verona che giunge a sostenere che “la norma in tema di mediazione (…) sia in contrasto con i principi fondamentali della UE, a fortiori a seguito della entrata in vigore, il 15 novembre, del d.m. 24 ottobre 2023, n. 150, che, tra le altre cose, ha elevato gli importi delle spese per la mediazione, determinando un incremento dei complessivi costi che le parti devono sostenere per la mediazione obbligatoria e che, aspetto da non dimenticare, sono comprensivi di quelli per l’assistenza difensiva obbligatoria”. Anche tenendo conto della riduzione prevista per i casi di mediazione obbligatoria, continua il Tribunale di Verona, “il costo della mediazione che si arrestasse al primo incontro varia da un minimo di euro 364,00 (euro 80 per le spese della mediazione, senza spese vive, oltre ad euro 284,00 per il compenso per il difensore per la fase di attivazione) per le controversie di valore più basso ad un massimo di euro 1.596,00 (euro 226,00 per le spese della mediazione, senza spese vive, oltre ad euro 1.370,00 per il compenso del difensore per la fase di attivazione) per le controversie di valore più elevato”.

Ne discende, conclude il giudice veronese, che alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di giurisdizione condizionata a tentativi di conciliazione[72], “nessuno dei predetti importi si può (…) considerare poco significativo”.

A nulla rileverebbe, secondo il giudice di merito, la previsione, ai sensi dell’art. 20, co. 1 e 2 d.lgs. n. 28 cit., della maturazione in capo alla parte di crediti di imposta sulle somme versate (all’avvocato e all’organismo di mediazione), dal momento che “la sua concreta determinazione dipende dal valore della controversia, dalla disponibilità di fondi da parte dello Stato e dal numero delle richieste”. Si tratterebbe, pertanto, di “una posta incerta sia nell’an che nel quantum mentre il costo che la parte deve sostenere è effettivo e immediato”.

Ebbene, oggetto di critica da parte dell’Organismo congressuale forense[73] come di attenta dottrina[74], la pronuncia in commento, pur cogliendo il punctum dolens della decretazione ministeriale sui costi della mediazione, non può trovare condivisione. Non solo essa manca di svolgere una valutazione sulla “convenienza economica” della mediazione alla luce di tutti i fattori che possono determinarla[75], ma – soprattutto – conferisce al giudice di merito la discrezionalità di disapplicare la disciplina disegnata dal legislatore in tema di mediazione, laddove, invece, il suo vaglio di conformità alla Costituzione o alla direttiva 2008/52/CE spetterebbe alla Corte costituzionale e alla Corte di giustizia dell’Unione europea[76].

Più accorti si sono mostrati, al contrario, quegli organismi di mediazione, che, forti dell’esperienza guadagnata sul campo e di un benefico pragmatismo, hanno saputo ‘semplificare’ con opportuni accorgimenti la complicata disciplina del d.m. n. 150 cit. In particolare, essi hanno previsto ‘tariffari asciutti’, privi cioè di quelle maggiorazioni, discrezionali o concordate, sugli importi da versare all’organismo di mediazione più sopra menzionati. In caso di organismi di mediazione pubblici, inoltre, la scelta in merito alla determinazione dell’ammontare per le spese di mediazione, è stata, nella forcella tra importi minimi e massimi fissati per scaglione di valore della controversia dal suddetto allegato A, per gli importi minimi[77].

Non solo. Consapevoli dell’importanza per l’utente di chiarezza e prevedibilità dei costi della mediazione, anche in vista della diffusione di credibilità ed utilità dello strumento, gli organismi di mediazione più attenti hanno dato efficace seguito alla previsione di cui all’art. 22, co. 1, lett. u, d.m. n. 150 cit., secondo cui nel regolamento di procedura dell’organismo si dovrebbe offrire “l’illustrazione, anche con esempi pratici, dei criteri di calcolo degli importi previsti dalla tabella delle spese di mediazione”.

Si tratta di un passo in avanti verso una disciplina più accorta dei costi della mediazione, nella cui direzione sembra si stia muovendo anche una ‘correzione’ ministeriale al d.m. n. 150 cit.[78]. Un passo che favorisce quella co-esistenza virtuosa di mediazione e accesso alla via giurisdizionale solo grazie alla quale si può guardare con fiducia ad un sistema integrato di giustizia.

11. Cooperazione, proporzionalità e promozione della soluzione consensuale: le coordinate di un modello di giustizia civile virtuosa. L’insegnamento delle ELI-Unidroit European Rules of Civil Procedure

Se l’indagine sinora svolta sollecita una riflessione di ampio respiro su contesto e modo attraverso cui promuovere un modello virtuoso di giustizia civile che sappia coniugare mediazione e processo, non può dimenticarsi che nella medesima direzione sospingono con forza anche considerazioni maturate nello spazio giuridico europeo. Quest’ultimo, infatti, sempre più inquadra le vie risolutive del contenzioso civile alla luce di principi quali quelli di collaborazione, proporzionalità e promozione della soluzione consensuale, nella consapevolezza che la risorsa e il servizio ‘giurisdizione’ sono scarsi e quindi preziosi, e perciò da ‘preservare’ per quelle situazioni conflittuali che, per delicatezza o necessità di una decisione che funga da ‘precedente’, possono trovare risposta esclusivamente nella decisione giurisdizionale.

Ne dà prova il quadro che emerge dalle European Rules of Civil Procedure, risultato di un imponente quanto fecondo lavoro dell’European Law Institute e dell’Unidroit, in uno sforzo di sintesi delle diverse tradizioni processuali europee teso ad offrire un modello di disciplina del processo civile che si ponga quale sincretico termine di confronto per i singoli ordinamenti nazionali come per le istituzioni dell’Unione europea nella loro produzione legislativa in merito alla giustizia civile[79].

Combinando armonicamente principi comuni alle variegate culture processuali europee, elementi salienti della disciplina processuale dell’Unione europea e risultati di indagini comparatistiche paneuropee, le European Rules of Civil Procedure raccolgono spinte che da tempo attraversano in Europa (e non solo) le riflessioni sulla giustizia (civile) e su una sua necessitata rivisitazione a fronte dell’emergente complessità e massificazione della conflittualità nonché della crescente esaltazione dell’autodeterminazione degli individui nella gestione di ‘fisiologia’ e ‘patologia’ delle loro relazioni[80].

Per quel che in questa sede maggiormente preme, è dato evidenziare come l’architettura disegnata da questa disciplina-modello si fondi su tre assi portanti che, ciascuno singolarmente ed in sinergia con gli altri, ambiscono a consegnare un’immagine rinnovata di giustizia, che si ponga quale maturo compimento delle tradizioni culturali e processuali che sino ad oggi l’hanno informata: si tratta dei principi di cooperazione (Co-operation), proporzionalità (Proportionality) e consensualità nella soluzione del contenzioso (Settlement)[81].

Quali nuovi “tria” di una rinnovata “costruzione” della giustizia, essi esortano, nel fondo, a ripensare al modo di intendere la giustizia nel suo complesso e del processo nello specifico[82].

Non è un caso che il principio di cooperazione apra il trittico di principi che informano le European Rules of Civil Procedure, sancendo alla Rule 2, che “parties, their lawyers and the court must co-operate to promote the fair, efficient and speedy resolution of the dispute[83].

In ragione della sua collocazione e valenza ‘introduttiva’, non v’è dubbio che il principio assolva al compito di intonare tutto il corpus di Rules ad un nuovo approccio alla conflittualità: non più solo ed univocamente avversariale, bensì collaborativo. Un approccio, cioè, che induca a superare – pur senza (rin)negarne l’esistenza e talvolta l’indispensabilità – l’orizzonte della (sola) contrapposizione tra pretesa e contro-pretesa giuridica delle parti, per guardare (anche) alle radici profonde della loro lite, e così agli interessi che al fondo la muovono; interessi che, se integrati in modo soddisfacente, possono portare alla vera soluzione del conflitto, al conseguente superamento della lite e di qui alla sua estinzione[84]. In altri termini, l’idea sottesa all’enunciazione del principio di cooperazione è quella di evidenziare la necessità di abbandonare il radicato automatismo del ricorso alla via giurisdizionale non appena il conflitto sorga[85].

Di qui, il secondo principio dei “tria”: il principio di proporzionalità, rivolto alle parti, agli avvocati e al giudice, che impone loro una cooperazione per una gestione proporzionata dell’iter di soluzione del contenzioso (Rules 6 e 5). Si tratta, con evidenza, dell’esito di una raggiunta consapevolezza: quella circa la scarsità e preziosità del bene e servizio “giurisdizione”, con la conseguente necessità di un ricorso alle corti ponderato e ad un’attenzione a tempo e denaro spesi nel processo[86].

Non stupisce, pertanto, che al principio della proporzionalità si riannodi il terzo dei “tria” nella “costruzione-giustizia” edificata dalle European Rules of Civil Procedure: la soluzione consensuale del contenzioso (Settlement), alla cui promozione le Rules ambiscono attraverso un ripensamento del ruolo di parti, avvocati e giudice. Se parte ed avvocato sono chiamati a cooperare con l’altra parte per risolvere stragiudizialmente la controversia prima di ricorrere al processo (Rule 9(1)(2)), il giudice è tenuto ad assicurarsi, attraverso l’impiego del suo judicial case manangement, che il componimento amichevole del contenzioso avvenga anche lite pendente (Rule 10)[87].

Ne emerge potente l’immagine di una giustizia plurale, che coniuga con efficacia auto- ed eterodeterminazione e che poggia sul fondamento relazionale del diritto, espressione di una “visione antropologicamente positiva” di ogni essere umano – protagonista del percorso verso la soluzione della controversia (parte, avvocato o giudice che sia) – in quanto ritenuto responsabile e quindi meritevole di fiducia[88].

Che così possa essere dipende in primo luogo dalla cultura civile[89], di cui nel nostro ordinamento si nutre quel dovere inderogabile di solidarietà sociale sancito nell’art. 2 Cost., e che merita di trovare centralità nell’educazione e formazione di giuristi.

* Il contributo si pone a sviluppo della relazione tenuta in occasione del Convegno “Mediare, riparare, conciliare. Giustizia riparativa e consensuale nel procedimento davanti al giudice di pace”, i cui Atti sono in corso di pubblicazione nella Collana *Quaderni della Facoltà di Giurisprudenza di Trento*, a cura di Silvana Dalla Bontà, Gabriele Fornasari e Elena Mattevi.

[1] Per tutti, a riguardo, N. Trocker, A. De Luca (a cura di), La mediazione civile alla luce della direttiva 2008/527CE, Firenze, 2011; F. Ghirga, Strumenti alternativi di risoluzione della lite. Fuga dal processo o dal diritto. (Riflessioni sulla mediazione in occasione della pubblicazione della Direttiva 2008/52/CE), in Riv. dir. proc., 2009, 357 ss.; E. Zucconi Galli Fonseca, La nuova mediazione civile nella prospettiva europea: note a prima lettura, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 653 ss.

[2] Sul punto si veda, per tutti, l’analitica trattazione delle questioni sollevate dalla disciplina italiana di cui al d.lgs. n. 28 del 2010, e successive modifiche, sulla mediazione finalizzata alla conciliazione nelle controversie civili e commerciali, offerta da D. Dalfino, Mediazione civile e commerciale, Bologna, 2016, passim.

[3] Sulla differenza tra metodi autonomi ed eteronomi di soluzione della controversia, v., per tutti, F.P. Luiso, Diritto processuale civile. V. La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, 13a ed., Milano, 2023, 15 ss.

[4] V. a riguardo D. Dalfino, Mediazione civile e commerciale, 2a ed., Bologna, 2022, passim.

[5] V., in merito, G. De Palo, M.B. Trevor, EU Mediation Law and Practice, 1st ed., Oxford, 2012, 8-10, che a riguardo elaborano la c.d. Balanced Relationship Target Number Theory (abbreviata con l’acronimo di “BRTN”), secondo cui ai sensi del citato art. 1, par. 1, direttiva 2008/52/CE in ogni Stato membro dell’Unione europea, dovrebbe esservi, in relazione al numero totale di cause instaurate ogni anno avanti alle corti, un numero minimo o una percentuale di cause risolte tramite la mediazione. Detto numero minimo o percentuale – il c.d. Balanced Relationship Target Number – costituirebbe l’unico modo quantificabile per verificare se l’“equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario” indicata dalla dir. cit. sia stato raggiunto: sul punto v., da ultimo, G. De Palo, Mediating Mediation Itself. The Easy Opt-Out Model Settles the Perennial Dispute between Voluntary and Mandatory Mediation, in Giustizia consensuale, 2023, 285 ss., spec. 295 ss.

[6] In questi condivisibili termini D. Dalfino, “Primo incontro”, comparizione personale delle parti, effettività della mediazione, in Foro it., 2019, I, 3259 ss.

[7] Da ultimo, a riguardo, M. Bove, Mediazione obbligatoria, in D. Dalfino (a cura di), La nuova “giustizia complementare”, in Gli Speciali de Il Foro italiano, Roma-Piacenza, 2023, 3 ss., spec. 11.

[8] Così, ancor prima della riforma al d.lgs. n. 28 del 2010 introdotta dal d.lgs. n. 149 del 2022, per tutti, G. Monteleone, La mediazione “forzata”, in Giusto proc. civ., 2010, 21 ss.; nonché, più di recente, Id., La mediazione obbligatoria: conciliazione o giurisdizione surrogata? Brevi riflessioni critiche, in www.judicium.it (10.07.2023).

[9] Indaga la costellazione di quaestiones sollevate dalla previsione del tentativo di mediazione quale condizione ex lege di procedibilità della domanda giudiziale di cui, oggi, all’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 come novellato dal citato d.lgs. n. 149 del 2022, M. Bove, Mediazione obbligatoria, cit., 5 ss.

[10] A riguardo si consenta rinvio al mio Fra mediazione e decisione. La riforma apre ad un nuovo paradigma di giudice?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2023, 21 ss.; Id., Il costo della giustizia consensuale, in Riv. arb., 2023, 325 ss., prec. 342; P. Lucarelli, Mediazione dei conflitti: una spinta generosa verso il cambiamento, in Giustizia consensuale, 2021, 15 ss., prec. 20; Id., La nuova mediazione civile e commerciale, ivi, 2023, 339 ss., prec. 348 ss.; F. Ghirga, La cultura della mediazione, in Riv. dir. proc., 2024, 45 ss., prec. 54 ss.; L. Breggia, Il diritto come relazione: essere giurista al tempo delle riforme, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2024, 343 ss., spec. 346 ss.

[11] V. per approfondimenti sul ruolo dell’avvocato nella gestione del contenzioso, si vis, S. Dalla Bontà, Fra mediazione e decisione. La riforma apre ad un nuovo paradigma di giudice?, cit., 38 ss.

[12] È la definizione che ne dà F.P. Casavola nella lezione “L’avvocato come leader sociale” tenuta in occasione della sua iscrizione, quale socio d’onore, nella Camera degli Avvocati di Napoli il 30 ottobre 2014, e richiamata da G. Verde, La funzione sociale dell’avvocato nel tempo presente, in Iura & Legal Systems, 2019, 19 ss.

[13] In questo senso G. Monteleone, La mediazione “forzata”, cit.; M. Bove, Mediazione obbligatoria, cit., 5 ss.

[14] Con riguardo a tale profilo v. la panoramica offerta da D. Dalfino, Mediazione civile e commerciale, 2a ed., cit., 185 ss. Sollevano dubbi di costituzionalità circa la previsione della mediazione c.d. obbligatoria in relazione all’art. 3 Cost., dal momento che chi voglia introdurre una controversia tra quelle per le quali la mediazione preventiva è obbligatoria si trova esposto a costi superiori rispetto alle azioni che non subiscono tale onere preventivo, L. Dittrich, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, n Riv. dir. proc., 2010, 575 ss., prec. 584; nonché G. Reali, La mediazione obbligatoria riformata, in Giusto proc. civ., 2014, 729 ss., prec. 742.

[15] Trattasi di Cass., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452, pubblicata in Foro it., 2024, I, 752, con nota di A. Zanello; e commentata da E. Zucconi Galli Fonseca, Mediazione e nuove domande, in Giustizia consensuale n. 1/2024 (in via di pubblicazione).

[16] Il riferimento è a Trib. Verona, ord., 24 novembre 2023, in Dejure.

[17] A riguardo v. infra par. 11.

[18] Trib. Roma, ord., 13 giugno 2023, n. 13193.

[19] Trattasi dell’ordinanza della Prima Presidente della Corte di cassazione del 5 luglio 2023.

[20] Sull’istituto del rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363-bis c.p.c. v. G. Trisorio Liuzzi, La riforma della giustizia civile: il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale, in www.judicium.it (09.12.2023); F. Santagada, Sub art. 363-bis c.p.c., in R. Tiscini (a cura di), La riforma del processo civile. Commento al d.leg. 10 ottobre 2022 n. 149, Pisa, 2023, 525 ss.; V. Capasso, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione e il “vincolo” di troppo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2022, 587 ss.; R. Tiscini, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione dell’art. 363 bis c.p.c. La disciplina. La casistica, in Giust. civ., 2023; F.S. Damiani, Il rinvio pregiudiziale in Cassazione, in Giusto proc. civ., 2023, 55 ss.; A. Briguglio, Il rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di cassazione, in www.judicium.it; A. Mondini, Il rinvio pregiudiziale interpretativo introdotto dal nuovo art. 363 bis c.p.c., in D. Dalfino (a cura di), La riforma del processo, in Gli Speciali de Il Foro italiano, Roma-Piacenza, 2023, 312 ss.; e, per una fine prospettiva comparata, M. Marinelli, La saisine pour avis de la Cour de Cassation e il nuovo rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c.: divagazioni su norme giuridiche e “norme culturali”, in Riv. dir. proc., 2024, 67 ss.

[21] Per un’attenta ricostruzione dell’argomentazione svolta dal Trib. Roma, ord., 13 giugno 2023, n. 13193 cit., v. E. Borselli, Il problema della mediazione obbligatoria sulla controversia oggetto di domanda riconvenzionale: la parola alle sezioni unite, in www.judicium.it (08.11.2023).

[22] Così al punto 3.1 di Cass., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452 cit.

[23] Sulle forme di connessione, di previsione positiva ed elaborazione giurisprudenziale, tra domanda principale e domanda riconvenzionale, v. per tutti E. Vullo, voce Riconvenzione, in Dig. it., sez. civ., XVII, Torino, rist. 1999, 526 ss.; S. Evangelista, voce Riconvenzionale (domanda), in Enc. giur., XXVII, Roma, 1991, 6 ss.

[24] Per una ricognizione attenta della giurisprudenza su tipologie di connessione tra domande principale e riconvenzionale tale da rendere questa ammissibile, v., da ultimo, a commento dell’ordinanza del Tribunale di Roma che ha rimesso alle Sezioni Unite ex art. 363-bis c.p.c. la questione del rapporto tra domanda riconvenzionale e mediazione obbligatoria, E. Borselli, Il problema della mediazione obbligatoria sulla controversia oggetto di domanda riconvenzionale, cit., § 5.

[25] V. punto 2 di Cass., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452 cit.

[26] Così al punto 3.2 di Cass., sez. un., cit.

[27] A riguardo Cass., sez. un., cit. richiama la relazione illustrativa al d.lgs. n. 28 del 2010.

[28] Così al punto 3.2 di Cass., sez. un., cit.

[29] In questi termini il richiamo è a C. cost., 19 aprile 2018, n. 77, punto 13, in Foro it., 2019, I, 97 ss.

[30] Sono queste le parole di C. cost., 18 aprile 2019, n. 97, punto 3.3.3, in www.lanuovaproceduracivile.com 2019.

[31] Così al punto 3.2 di Cass., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452 cit.

[32] Ibidem.

[33] Ibidem.

[34] V. punto 3.3 di Cass., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452 cit.

[35] Così al punto 3.3.1 di Cass., sez. un., cit.

[36] Restituisce con puntualità l’esperienza (difficile) della conciliazione nelle liti agrarie, alla luce delle Sezioni Unite qui in commento, E. Zucconi Galli Fonseca, Mediazione e nuove domande, cit., § 4, e ivi ampi e precisi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, la quale mette ben in luce come il contenzioso agrario “insegn[i] quanto sia difficile districarsi, quando si decide di adottare parametri fondati sui criteri individuatori dell’azione, petitum e causa petendi, o peggio, sullo sfuggente concetto di vicenda sostanziale”.

[37] Così al punto 3.3.1 di Cass., sez. un., cit.

[38] Ibidem.

[39] V. punto 3.3.2.2 di Cass., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452 cit.

[40] Ibidem.

[41] V. punto 3.3.2.3 di Cass., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452 cit.

[42] Così al punto 3.4 di Cass., sez. un., cit.

[43] In questi termini al punto 3.3.2.3 di Cass., sez. un., cit.

[44] Così punto 3.3.2.2 di Cass., sez. un., cit., richiamando C. cost., 12 dicembre 2019, n. 266.

[45] V. punto 3.4 di Cass., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452 cit.

[46] Ibidem.

[47] In questi termini Cass., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452 cit., punto 3.2.

[48] Così testualmente, da ultimo, M. Bove, Mediazione obbligatoria, cit., 11, richiamando S. Menchini, Il processo litisconsortile. Strutture e poteri delle parti, Milano, 1993, 129. Escludevano che la domanda riconvenzionale, su materia per cui l’allora art. 5-bis d.lgs. n. 28 del 2010 (previgente) prevedeva il tentativo obbligatorio di mediazione, fosse sottoposta a condizione di procedibilità, F.P. Luiso, Diritto processuale civile. V. La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, 11a ed., Milano, 2021, 83, secondo cui “[l]a ratio del tentativo obbligatorio di conciliazione rende ragionevole interpretare restrittivamente la disposizione come riferita solo a chi propone l’atto introduttivo del giudizio. Si tratta, infatti, di istituto che ha esclusive finalità di economia processuale, sicché dilazionare il processo (…) ogni qualvolta venga proposta una nuova domanda in corso di giudizio è eccessivo rispetto allo scopo, visto che la domanda proposta per prima è già stata sottoposta inutilmente al tentativo di conciliazione e dovrà comunque essere decisa nel merito”; sulla stessa linea A. Proto Pisani, Appunti su mediazione e conciliazione, in Foro it., 2010, IV, 142 ss., spec. 145; L. Dittrich, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in Riv. dir. proc., 2010, 575 ss., prec. 585-586; G. Balena, Mediazione obbligatoria e processo, in Giusto proc. civ., 2011, 333 ss., spec. 341; R. Tiscini, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2011, 143 ss.

[49] In questo senso anche E. Zucconi Galli Fonseca, Mediazione e nuove domande, cit., § 2, che rifiuta la concezione, veicolata dalla pronuncia in commento, per cui la mediazione sia da vedersi “in negativo”, e sospinge, invece, per una visione “in positivo” dello strumento, da considerarsi “uno (…) fra quelli contenuti nella cassetta degli attrezzi di chi ha una lite da risolvere”.

[50] Per tutti, sul tema, P. Lucarelli, Mediazione dei conflitti: una spinta generosa verso il cambiamento, cit., 15 ss.; A. Simoncini, E. Cremona, Mediazione e Costituzione, in Giustizia consensuale, 2022, 3 ss., prec. 16 ss., che nel superamento di una visione della mediazione come ‘mezzo’ per la deflazione del carico giudiziario, ne esaltano il suo essere ‘fine’, nel quadro dei valori costituzionali e di un’accezione della giustizia oltre la giurisdizione. In questo senso, la mediazione trova il proprio fondamento nell’art. 2 Cost., quale pietra miliare – nella sua previsione del dovere inderogabile di solidarietà sociale – di un’antropologia relazionale non individualista, ma comunitaria, che valorizza e promuove le spinte coesive presenti nella società civile che il tavolo di mediazione può raccogliere e valorizzare. A quel tavolo, infatti, come ricorda P. Consorti, Oltre la mitezza, la gentilezza del diritto, ivi, 2023, 667 ss., può trovare emersione quella dimensione del diritto che si prende cura delle relazioni personali e fa prevalere la dimensione dell’ascolto rispetto a quella dell’assertività, insistendo sugli elementi unitivi a discapito di quelli divisivi, e che non si appoggia sull’esercizio del potere, ma sulla ricerca del consenso. Non solo. La mediazione diventa strumento prezioso per affrontare i problemi che segnano la vita dei contratti ad esecuzione prolungata o periodica – tra tutti le sopravvenienze – in termini non più di inadempimenti o violazioni di doveri, bensì di crisi di cooperazione, cui è possibile dare efficace risposta mediante la comprensione delle cause delle crisi e delle dinamiche conflittuali e la conseguente genesi di soluzioni creative mediante l’esercizio consapevole dell’autonomia: così P. Lucarelli, L. Ristori, I contratti commerciali di durata. Crisi di cooperazione e governo del cambiamento, Torino, 2016.

[51] Lo ricorda anche la Prima Presidente della Corte di cassazione, Margherita Cassano, nella relazione di apertura dell’anno giudiziario 2024, laddove ricorda che “nel settore civile le pendenze sono diminuite dell’8,2 per cento nei tribunali e del 9,8 per cento nelle corti d’appello. La durata media dei procedimenti si è ridotta in primo grado del 6,6 per cento e in appello del 7 per cento. Il disposition time è sceso del 6,4 per cento nei tribunali e del 6,4 per cento nelle corti d’appello. Fra i tanti aspetti delle modifiche normative che hanno reso possibili questi risultati confortanti desidero citarne uno in particolare: la mediazione. Dai dati ministeriali emerge, infatti, una sua significativa applicazione soprattutto nelle cause in tema di successione, divisione ereditaria, diritti reali, condominio, assicurazione, responsabilità extracontrattuale già instaurate, a dimostrazione di un mutamento condiviso di cultura di giudici e avvocati”. Ancorché in modo illuminato, ella soggiunga che “[c]ome osservato nella dottrina, il valore della mediazione non risiede soltanto nella sua capacità deflativa, quanto piuttosto nella sua idoneità a realizzare la coesione sociale, a porre al centro la persona, prima ancora che la ‘parte’, a restituire agli individui l’opportunità di comprendere le ragioni del conflitto e di acquisirne la consapevolezza, a promuovere l’ascolto empatico dell’altro, a gestire relazioni efficaci attraverso il confronto” (25 gennaio 2024, apertura anno giudiziario 2024, relazione, 6-7).

[52] Lo sottolinea con nitore E. Zucconi Galli Fonseca, Mediazione e nuove domande, cit., § 4, che rammenta come “la mediazione e il processo operano su piani diversi: la prima è diretta all’emersione degli interessi delle parti, il secondo è finalizzato all’accertamento dei diritti”.

[53] Per tutti, sulle forme del conflitto e sulla differenza tra sua soluzione secondo un ordine imposto o negoziato, alla luce della distinzione tra potere, diritto e interessi, v. G. Cosi, L’accordo e la decisione. Modelli culturali di gestione dei conflitti, Torino, 2017, 114 ss. L’attenzione per la complessità del contenzioso si accompagna alla progressiva attenuazione della fiducia senza riserve per una conoscibilità sicura, e così per una classificazione definitiva, della realtà, quale invece segnò le codificazioni ottocentesche: sul punto v. P. Grossi, Mitologie giuridiche della modernità, 3a ed., Milano, 2007 e N. Irti, L’età della codificazione, 4a ed., Milano, 1999, nonché, dalla prospettiva della giurisdizione, N. Picardi, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Milano, 2007; A. Dondi, Aspetti della complessità e riscontri nella nozione di complessità processuale, in Id. (a cura di), Elementi per una definizione di complessità processuale, Milano, 2011, 3 ss.

[54] Su tale profilo v. da ultimo N. Minafra, La domanda di mediazione, in D. Dalfino (a cura di), La nuova “giustizia complementare”, cit., 199 ss.; G. Impagnatiello, La domanda di mediazione: forma, contenuto, effetti, in www.judicium.it (01.04.2011).

[55] In questa direzione E. Borselli, Il problema della mediazione obbligatoria sulla controversia oggetto di domanda riconvenzionale, cit., § 4, che, dalla prospettiva della mediazione, avverte come una “processualizzazione” della domanda di mediazione non risponderebbe a natura e finalità dell’istituto, al cui tavolo, come ricorda I. Pagni, Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risoluzione negoziale delle liti e tutela giudiziale dei diritti – Introduzione, in Le Società, 2010, 620 ss., “sono gli interessi (…) l’elemento che le parti tengono in considerazione”, come accade “nel momento in cui si siedono al tavolo delle trattative per stipulare un qualsiasi contratto”. Ne discende che “la domanda di mediazione rappresenta quindi l’innesco di una discussione destinata a proiettarsi su orizzonti i più ampi possibili”: così A. Zanello, Il nuovo corso della mediazione post-Cartabia: spunti di riflessione ex parte mediatoris, in Foro it., 2024, I, 766 ss., prec. 769.

[56] Quanto sostenuto nel testo trova conferma nella restituzione dell’esperienza maturata sul campo da Id., op. loc. ult. cit., che mette in luce come “[n]elle locazioni, ad esempio, quando oggetto e ragioni della pretesa vengono indicati con la sintetica espressione ‘locazione-sfratto per morosità’, il mediatore normalmente parla dei canoni e della morosità, ma di sicuro indaga anche sul deposito cauzionale, sui possibili danni invocati o invocabili dal conduttore, sulla possibile eccezione di non conformità del bene all’uso, sulla intenzione di chiudere ovvero di mantenere o rinnovare il rapporto, e ancora sui rapporti personali, sugli aspetti emotivi, sulla convenienza di guardare avanti e di non restare troppo rivolti al passato, spesso nella non costruttiva ricerca di una qualsiasi colpa dell’altro nell’insorgenza e nel persistere della lite. Sulla scorta di indicazioni generiche, ma più che sufficienti, perché le parti quasi sempre conoscono benissimo l’oggetto del contendere, magari radicato in anni/decenni di contrasto, nelle procedure in materia successoria, eredità e diritti reali gli aspetti personali e familiari trovano sempre spazio e rilievo preminenti”.

[57] Apre all’eventuale utilizzo della c.d. mediazione demandata ai sensi dell’art. 5-quater d.lgs. n. 28 del 2010 come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, allorquando “l’istanza presentata dal convenuto getta davvero una nuova luce sulla vertenza, aprendo una potenziale strada di mediazione che prima non c’era”, E. Zucconi Galli Fonseca, Mediazione e nuove domande, cit., § 5.

[58] Su tale tensione v., per tutti, A. Chizzini, La tutela giurisdizionale dei diritti. Art. 2907, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2018, 447 ss., che ripercorre, con dotta analisi, la vexata quaestio dell’identificazione della domanda giudiziale e gli approdi più recenti e moderni cui dottrina e giurisprudenza sono gradualmente, ma non senza differenziazioni, pervenute.

[59] Per l’inquadramento del tema – di teoria generale, dalle importanti ricadute pratiche, del fenomeno della frazionabilità del diritto nella domanda giudiziale – nelle sue diverse declinazioni e soluzioni, v., per tutti, ancora Id., op. ult. cit., 66 ss., e ivi puntuali riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, in una disamina che affronta funditus l’annosa questione del rapporto tra diritto sostanziale e processuale e la figura, ricorrente nel diritto vivente, ma taciuta nel diritto positivo italiano, dell’abuso del processo.

[60] A riguardo si permetta ancora rinvio al mio Fra mediazione e decisione. la riforma apre ad un nuovo paradigma di giudice?, cit., 40 ss.; nonché, da ultimo, L. Breggia, Il diritto come relazione: essere giurista al tempo delle riforme, cit., 356. È in questo modo che l’avvocato diventa costruttore di relazioni sociali, come ben mettevano in luce R. Pound, The Lawyer as a Social Engineer, in 3 Journal of Public Law, 292 (1954) e L.L. Fuller, The Lawyer as Architect of Social Structures, in K.I. Winston (ed.), The Principles of Social Order: Selected Essays of Lon L. Fuller, Oxford-Portland, 2001, 285, nonché architetto di partecipazione democratica, come evidenza C. Menkel-Meadow, The Lawyer’s Role(s) in Deliberative Democracy, in 5 Nevada Law Journal, 347 (2004/2005).

[61] Il riferimento è al passaggio di Cass., 27 marzo 2019, n. 8473, punto 3 (in Foro it., 2019, I, 3250, con commento di D. Dalfino, “Primo incontro”, comparizione personale delle parti, effettività della mediazione; in Giur. it., 2019, 2128 con annotazione di F.P. Luiso, Mediazione obbligatoria, il giudice e la legge; in www.judicium.it con commento di P. Lucarelli, La sentenza della Corte di Cassazione 8473/2019: un raro esempio di uroboro; in Questione Giustizia, 2019 con nota di C. Giovannucci Orlandi, La Cassazione n. 8473/2019: una rondine che speriamo non faccia primavera), che rammenta come, con riguardo all’avvocato, il tempo attuale “segna anche la progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l’acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate”.

[62] In questi termini, lo si ripete, si esprime il punto 3.2 di Cass., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452 cit.

[63] Così testualmente al punto 4.3.1 di C. cost., 8 novembre 2011, n. 222, in Rep. Foro it., 2024, voce Conciliazione in genere, mediazione, negoziazione assistita, commentata da F.P. Luiso, Una sentenza buona, ma insufficiente, in www.judicium.it (28.12.2023), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 696-bis, co. 1, primo periodo, c.p.c. nella parte in cui dopo le parole “da fatto illecito” non prevede “o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico”, in quanto la disposizione, ammettendo la consulenza tecnica preventiva per i soli crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni di fonte contrattuale o da fatto illecito, e non anche per tutti i diritti di credito derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico, secondo la indicazione fornita dall’art. 1173 c.c., dà luogo ad una differenziazione priva di una ragionevole giustificazione e alla violazione, in danno dei titolari dei crediti esclusi, della garanzia ex art. 24 Cost., cui non osta l’ampia discrezionalità del legislatore in ambito processuale.

[64] Sulla piena riconducibilità del giudizio di equità alla giurisdizione in senso proprio, v., per tutti, la fine ricostruzione di A. Chizzini, La tutela giurisdizionale dei diritti, cit., 263 ss.

[65] Per un approfondimento critico a riguardo si permetta rinvio a S. Dalla Bontà, Il giudice quale promotore di una giustizia consensuale, in S. Dalla Bontà-E. Mattevi, Giustizia e mediazione. Dati e riflessioni a margine di un progetto pilota, Napoli, 2022, 51 ss., spec. 67 ss., e, a seguito della riforma del processo civile introdotta dal d.lgs. n. 149 del 2022, Id., La (nuova) introduzione e trattazione della causa nel processo di prime cure e i poteri lato sensu conciliativi del giudice. Un innesto possibile?, in Giustizia consensuale, 2022, 587 ss., spec. 619 ss.

[66] Chi scrive parlava di giudice ‘ambiguo’ in Fra mediazione e decisione. La riforma apre ad un nuovo paradigma di giudice?, cit., 21; espressione ripresa da R. Tiscini, Il ruolo del giudice e degli avvocati nella gestione delle controversie civili, Napoli, 2023, 72.

[67] Sulle novità di contenuto e funzione del primo incontro si permetta rinvio a S. Dalla Bontà, Il primo incontro di mediazione, in D. Dalfino (a cura di), La nuova “giustizia complementare”, cit., 213 ss.; nonché P. Lucarelli, La nuova mediazione civile e commerciale, cit., 345 ss.; A.M. Tedoldi, La mediazione civile e commerciale nel quadro della riforma ovvero: omeopatia del processo, in Giustizia consensuale, 2022, 477 ss., prec. 505 ss.; E. Gabellini, Il procedimento di mediazione riformato: tra incertezze giurisprudenziali e novità introdotte dal d.m. 24 ottobre 2023, n. 150, in Judicium, 2024, 3 ss., prec. 17 ss.

[68] In particolare, ai sensi dell’art. 28, co. 4 d.m. n. 150 cit., “[s]ono dovuti e versati a titolo di spese di avvio i seguenti importi: € 40,00 per le liti di valore sino a € 1.000,00; 75,00 per le liti di valore da € 1.000,01 sino a € 50.000,00; € 110,00 per le liti di valore superiore a € 50.000,00 e indeterminato”. Ai sensi dell’art. 28, co. 5 d.m. n. 150 cit. “[s]ono dovuti a titolo di spese di mediazione i seguenti importi: € 60,00 per le liti di valore non superiore a € 1.000 e per le cause di valore indeterminabile basso; € 120,00 per le liti di valore da € 1.000,01 sino a € 50.000,00, e per le cause di valore indeterminabile medio; € 170,00 per le liti di valore superiore a € 50.000,00, e per le cause di valore indeterminabile alto”.

[69] Ove la parte chiamata in mediazione non dovesse aderire alla mediazione, gli importi di cui nel testo saranno dovuti dalla parte che ha attivato il procedimento: il primo incontro, infatti, dovrà comunque avere luogo, come si evince dall’art. 22, co. 1, lett. q, d.m. n. 150 cit.

[70] Sul punto v. la puntuale analisi di F. Ferraris, Il regolamento di procedura e le spese di mediazione secondo il nuovo d.m. n. 150 del 2023 (ovvero come rendere sovrabbondante ciò che avrebbe dovuto rimanere essenziale, comprensibile e contenuto), in via di pubblicazione in Giustizia consensuale n. 1/2024; E. Gabellini, Il procedimento di mediazione riformato, cit., 21 ss.; dalla prospettiva degli operatori pratici, v. F.R. Iannuzzi, S. Pieroni, Mi scusi a quanto ammontano le spese di mediazione? Il calcolo relativo all’ammontare delle spese di mediazione diventa più articolato, in La Mediazione, 2024, n. 29, 10 ss.

[71] Così F. Ferraris, Il regolamento di procedura e le spese di mediazione secondo il nuovo d.m. n. 150 del 2023, cit., § 10, che accortamente ricorda come la mediazione dovrebbe essere “uno strumento user-friendly la cui ‘plasticità’ ne costituisce il vero architrave”; nonché F.R. Iannuzzi, S. Pieroni, Mi scusi a quanto ammontano le spese di mediazione?, cit., 11, che evidenziano come “[l]a nuova formulazione delle indennità di mediazione risulta (…) macchinosa e non aiuta sempre a rappresentare in maniera chiara e certa i costi che gli utenti intendono affrontare a seconda dei diversi scenari di sviluppo dei procedimenti stessi”.

[72] In questo senso noto è il richiamo a C. Giust. UE, 18 marzo 2010, Alassini c. Telecom Italia ed al., cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08, in Giur. it., 2010, 2585 ss., con nota di C. Besso, Obbligatorietà del tentativo di conciliazione e diritto all’effettività della tutela giurisdizionale; nonché la successiva C. Giust. UE, 14 giugno 2017, Menini-Rampanelli c. Banco Popolare, causa C-75/16, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1631, con nota di F. Ferraris, ADR e consumatori: rapporti e interferenze.

[73] V. il comunicato stampa dell’OCF reperibile al seguente indirizzo: www.organismocongressualeforense.news-/comunicati-stampa/comunicato-stampa-grave-errore-del-tribunale-di-verona-ocf-irrinunciab-ile-la-difesa-tecnica-in-mediazione/.

[74] V. F. Ferraris, Il regolamento di procedura e le spese di mediazione secondo il nuovo d.m. n. 150 del 2023, cit., § 9; E. Gabellini, Il procedimento di mediazione riformato, cit., 21-22.

[75] Si pensi, oltre al resto, agli incentivi fiscali potenziati dalla novella del d.lgs. n. 28 del 2010, che si muovono sul piano dell’esenzione dall’imposta di registro entro il limite di valore, oggi, di 100.000 euro, e non più 50.000, (art. 17, co. 2 d.lgs. cit.), nonché dei citati crediti di imposta menzionati nel testo: a riguardo, per tutti, L.V. Caramia, I profili tributari della mediazione riformata, in D. Dalfino (a cura di), La nuova “giustizia complementare”, cit., 307 ss. Come ricorda a tal ultimo riguardo E. Gabellini, Il procedimento di mediazione riformato, cit., 21, se nel passato la promessa dei crediti d’imposta non era stata mantenuta dal legislatore, essa ha invece trovato riscontro con il d.m. 1° agosto 2023, il quale prevede peraltro che, nell’ipotesi in cui le risorse stanziate non dovessero essere in grado di soddisfare le richieste, i benefici prescritti dalla legge non verranno ridotti o ridimensionati, ma la parte eccedente sarà compensata con un corrispondente aumento del contributo unificato (art. 20, co. 2). Di rilievo è l’accoglimento da parte del Ministero della giustizia, con decreti del 20 aprile 2024, delle istanze per il riconoscimento dei crediti di imposta presentati da parti, avvocati e organismi di mediazione, ai sensi dell’art. 20 d.lgs. n. 28 del 2010 come novellato, in riferimento a procedimenti di mediazione svolti dal 1° luglio al 31 dicembre 2023. Considerazione a parte merita, inoltre, il beneficio in termini di coesione e resilienza sociale che la mediazione può comportare: per riflessioni di più ampio respiro sui costi della mediazione si consenta di rinviare a S. Dalla Bontà, Il costo della giustizia consensuale, cit., 325 ss.

[76] Di diverso avviso G. Monteleone, Aumentano i dubbi sulla legittimità della mediazione imposta a pena di improcedibilità, in www.judicium.it (29.12.2023), secondo cui “[è], dunque, auspicabile che tutti gli Organi giurisdizionali dello Stato seguano la strada tracciata dal Tribunale di Verona, mandando in soffitta non la conciliazione giudiziaria, ma l’artificiosa condizione di procedibilità prevista dalle norme sulla mediazione preventiva con tutto il suo corredo sanzionatorio volto ad imporne l’adempimento”. Contra M. Moriconi, Commento a ordinanza del 24.11.2023, Tribunale di Verona in tema di disapplicazione della norma sulla mediazione obbligatoria, reperibile al seguente indirizzo www.adrmedyapro.it/Formazione/view-doc/6613.

[77] Lo mette opportunamente in luce F. Ferraris, Il regolamento di procedura e le spese di mediazione secondo il nuovo d.m. n. 150 del 2023, cit., § 10, che richiama l’efficace legal design del tariffario della Camera di Conciliazione di Milano, organismo della Camera di Commercio di Milano.

[78] V. F.R. Iannuzzi, S. Pieroni, Mi scusi a quanto ammontano le spese di mediazione?, cit., 11, che avanzano la proposta di ridurre le spese di mediazione qualora l’accordo sia raggiunto al primo incontro, evitando che l’importo maturi per l’intero e di fissare, oltre il primo incontro, un costo a singolo incontro di mediazione, anche in questo caso diviso per scaglioni. In questo modo, gli utenti potrebbero conoscere con esattezza il costo del singolo incontro.

[79] Trattasi delle European Rules of Civil Procedure adottate nel 2020 dall’European Law Institute e dall’Unidroit, sulla scia dei Transnational Principles of Civil Procedure e delle Transnational Rules of Civil Procedure, stese dall’American Law Institute e dall’Unidroit nel 2004. Risultato di un imponente quanto fecondo lavoro iniziato nel 2013 con il coinvolgimento di 40 soggetti, tra accademici e pratici provenienti da 25 giurisdizioni, oltre che di osservatori esterni della Commissione dell’Unione europea e della Conferenza dell’Aia, le European Rules of Civil Procedure rappresentano un modello di disciplina del processo civile che per il suo carattere di soft law fa della sintesi e al contempo della flessibilità il suo punto di forza per diventare fonte di ispirazione per legislatori nazionali ed euro-unitario. Per il testo di questa legge modello v. ELI – Unidroit Model European Rules of Civil Procedure, Oxford, 2021.

[80] Per un’introduzione ai fondamenti delle Model European Rules of Civil Procedure, con particolare riguardo a loro genesi, modalità di confezione ed aree di intervento, v. R. Stürner, The ELI/UNIDROIT Model European Rules of Civil Procedure. An Introduction to Their Basic Conceptions, in RablesZ, 2022, 421 ss.; R. Caponi, Le regole modello europee ELI-Unidroit sullo sfondo della riforma italiana del processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2022, 717 ss.

[81] Ai Principles è dedicata la Part I, Section 2 delle European Rules of Civil Procedure. Sulla decisione di anteporre alle Rules ‘di dettaglio’ i ‘principi’ v. L. Cadiet, S. Amrani-Mekki, (Rules 2-8) General Principles: Co-operation and Proportionality, in A. Stadler, V. Smith e F. Gascón Inchausti (eds.), European Rules of Civil Procedure. A Commentary on the ELI/UNIDROIT Model Rules, Chelthenham-Northhampton, 2023, 2.001-2.014. L’idea, non nuova ma di influenza illuministica, trova i suoi antesignani nei principes directeurs du procès del codice di procedura civile francese del 1960, nonché nell’Overriding Objective delle Civil Procedure Rules inglesi della riforma di Lord Woolf. Quali espressione dell’“esprit du code” (così G. Cornu, L’élaboration du Code de procédure civile, in Revue d’histoire des facultés de droit et de la science juridique, 1995, 241 ss., prec. 250-255), essi assolvono ad una funzione tanto ermeneutica quanto euristica, ponendosi quali guida nell’interpretazione e al contempo disciplina di profili non esplicitamente regolati dalle Rules.

[82] Così R. Caponi, Le regole modello europee ELI-Unidroit sullo sfondo della riforma italiana del processo civile, cit., 726, che così magistralmente tratteggia senso e fine dell’architettura disegnata dalle European Rules of Civil Procedure: “[l]e regole Eli-Unidroit ruotano su due pilastri normativi che si equilibrano l’uno con l’altro. Il primo è piantato fuori dal processo ed è costituito dal fondamento stesso della cultura e della civiltà europee nell’evo moderno, cioè l’acquisita centralità della libertà e dell’autonomia dell’individuo nei vari àmbiti della vita. Sul piano della giustizia civile, ciò si traduce nella promozione rigogliosa dell’iniziativa e del ruolo permanentemente attivo delle parti nel comporre consensualmente la controversia o singoli aspetti di essa. L’altro pilastro è piantato all’interno della giustizia civile ed è costituito dall’intersezione e bilanciamento dinamici tra il principio di cooperazione e il principio di proporzionalità, che danno forma dall’interno al tessuto delle regole”.

[83] La Rule 2 fa propria una concezione del processo quale cosa “né solo delle parti né solo del giudice”. Se vero è, infatti, che l’instaurazione del processo civile è risposta all’interesse privato delle parti, esso al contempo comporta l’esercizio di una funzione, quella giurisdizionale, che è pubblica e finanziata dallo Stato. Di qui, il dovere di cooperazione tra parti, avvocati e giudice, onde assicurare la più proporzionata soluzione della controversia, grazie ad un loro dialogo effettivo nonché all’eventuale contrattualizzazione della procedura mediante accordi processuali tra parti o accordi di procedura tra parti e giudice: così L. Cadiet, S. Amrani-Mekki, (Rules 2-8) General Principles: Co-operation and Proportionality, cit., 2.020-2.023. Ne emerge quella che R. Stürner, The ELI/UNIDROIT Model European Rules of Civil Procedure, cit., 452, chiama efficacemente una “co-operative procedural working community”, che unisce parti, avvocati e giudice nella ricerca della soluzione del caso concreto.

[84] Lungi dallo sminuire centralità ed indefettibilità della tutela giurisdizionale, l’impianto delle European Rules of Civil Procedure ne vuole invece favorire l’impiego con riguardo alle (sole) situazioni conflittuali e contenziose che realmente abbisognano dell’intervento dello jus dicere: così, si vis, S. Dalla Bontà, Mediation: A Sleeping Beauty. La promessa della giustizia consensuale alla luce della riforma della giustizia civile, in Giustizia consensuale, 2023, 251 ss., prec. 281-282, richiamando le penetranti riflessioni di G. Verde, L’evoluzione del ruolo della magistratura e le ricadute sul nostro sistema di giustizia, in Riv. dir. proc., 2022, 1155 ss., spec. 1156 ss.; A. Garapon, Le Gardien des promesses. Justice et démocratie, Paris, 1996; e R. Caponi, Processo civile: modelli europei, riforma Cartabia, interessi corporativi, politica, in Questione Giustizia, 30 maggio 2023.

[85] In questo senso le acute riflessioni di A. Simoncini, E. Cremona, Mediazione e Costituzione, cit., 8; nonché R. Caponi, Processo civile: modelli europei, riforma Cartabia, interessi corporativi, politica, cit.; L. Breggia, Il diritto come relazione: essere giurista al tempo delle riforme, cit., 347 ss.

[86] Il principio di proporzionalità, quale criterio prestato dall’economia al diritto, dovrebbe rispondere all’esigenza di effettività dell’accesso alla giustizia e diventare perciò punto di equilibrio tra efficienza ed equo processo, sì che la risorsa scarsa della giurisdizione possa essere garantita a tutti. Di qui, la necessità di volgere costantemente lo sguardo al concreto conflitto/contenzioso, ma al contempo alle pendenze che gravano sull’intera macchina giudiziaria, sì che le risorse vengano distribuite equamente. V., ancora, a riguardo, L. Cadiet, S. Amrani-Mekki, (Rules 2-8) General Principles: Co-operation and Proportionality, cit., 2.039; R. Stürner, The ELI/UNIDROIT Model European Rules of Civil Procedure, cit., 453 ss.; R. Caponi, Le regole modello europee Eli-Unidroit sullo sfondo della riforma italiana del processo civile, cit., 726 ss.

[87] Con riguardo al ruolo del giudice, il principio della soluzione consensuale della lite impone a costui di promuovere il settlementat any stage of the proceedings” impiegando il suo potere-dovere di direzione materiale del processo, che può assumere forme diverse ai sensi della Rule 49. In particolare, la promozione della soluzione consensuale della controversia lite pendente insiste, in primo luogo, sul dovere del giudice di assicurarsi che le parti prendano in considerazione l’eventualità di un componimento bonario della controversia nella fase preparatoria e nelle udienze destinate a fissare la sua gestione del processo (Rule 10(1)); nonché sul dovere del giudice di informazione delle parti circa la varietà di tipologie di metodi consensuali di soluzione della lite (Rule 10(2)). A tale dovere giudiziale di informativa in merito a esistenza e praticabilità di metodi diversi dal processo di composizione della controversia, si aggiunge la facoltà di esercitare poteri più incisivi, come quelli di: (i) convocare personalmente le parti (Rule 10(1), nonché Rules 16(2) e 49(10)); (ii) suggerire o consigliare alle parti il ricorso ad un determinato metodo di soluzione consensuale della lite (Rule 10(2)); (iii) assumere egli stesso un ruolo attivo nel tentativo di conciliazione, assistendo le parti nel raggiungimento di un accordo ed eventualmente anche nella sua stesura (Rule 10(3)); (iv) mediare tra le parti, ma in tal caso, ove egli nel mediare raccolga informazioni inaudita altera parte, dovrà astenersi dal decidere la controversia (Rule 10(4)).

[88] Così L. Breggia, Il diritto come relazione: essere giurista al tempo delle riforme, cit., 346, sulla scia del pensiero di T. Greco, La legge della fiducia. Alle radici del diritto, Bari-Roma, 2021, 11, 71, 88.

[89] Importanti sono le conseguenze della valorizzazione della dimensione relazionale e cooperativa del diritto nel campo della formazione del giurista: essa implica, infatti, la sfida di un’organizzazione dell’insegnamento del diritto nelle università che riservi adeguato spazio al profilo della cooperazione rispetto a quello conflittuale, lasciando la scena alla dimensione orizzontale anziché solo verticale del diritto: v. G. Resta, La legge della fiducia e la fiducia nelle leggi. Considerazioni a margine del volume di Tommaso Greco, in Etica e politica, XXV, 2023, 168 ss.