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Note a margine di un recente dibattito in tema di travisamento della prova
Di Margherita Pagnotta -
Il riaffiorato contrasto giurisprudenziale in tema di censurabilità per cassazione del cosiddetto travisamento della prova riporta l’attenzione sull’annesso tema del controllo del fatto nel giudizio di legittimità.
Generalmente al giudice di legittimità non si riconosce alcuna possibilità di porre ad oggetto del proprio esame il modoattraverso il quale il giudice di merito ha discrezionalmente operato le proprie scelte sul significato da attribuire ai fatti e ai mezzi di prova esaminati.
Occorre dunque domandarsi se e in che misura è ammesso un controllo del giudizio sul fatto da parte della Suprema Corte.
La precedente versione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. consentiva di proporre il ricorso per cassazione “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”[2].
In particolare, la possibilità di sindacare l’insufficienza della motivazione, che maggiormente rileva ai nostri fini, concerneva l’ipotesi in cui il giudizio di fatto risultasse fondato su argomentazioni non idonee a sorreggere la decisione e non plausibili sul piano logico. In ipotesi del genere, il controllo del giudizio di fatto si giustificava alla luce delle censure formulate nei limiti del vizio di motivazione.
Lo stesso, per molto tempo, si è ritenuto del travisamento della prova.
Il travisamento della prova è una fattispecie di creazione giurisprudenziale con cui deve intendersi non già una valutazione dei fatti ma una constatazione o un accertamento che una valutazione probatoria, utilizzata dal giudice ai fini della decisione, è contraddetta da uno specifico atto processuale. Si tratta, dunque, di un travisamento delle risultanze processuali relativamente ad un fatto che è controverso e per questo censurabile per cassazione, stante la vecchia formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., solo nei limiti del vizio di motivazione[3].
Il vizio di motivazione, come descritto dalla antecedente formulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo o lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico; se, invece, l’omessa valutazione dipende da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice, per una svista, ritiene inesistente un fatto o un documento, la cui esistenza risulti incontestabilmente accertata dagli stessi atti di causa, è configurabile un errore di fatto deducibile esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.[4]
La giurisprudenza maggioritaria è rimasta a lungo ferma nel considerare il travisamento denunciabile in Cassazione solo e soltanto nei suddetti limiti del n. 5, ritenendo, infatti, che lo stesso derivi o da una svista (un errore di percezione) e allora l’unico rimedio è la revocazione, o da un giudizio, sia pure viziato dalla distorsione della realtà processuale, e allora l’unico rimedio è lo strumento dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Tertiumnon datur, nemmeno per violazione dell’art. 115 c.p.c., in quanto – precisa la Corte – il principio per cui il giudice deve decidere secondo quanto allegato e provato non può considerarsi dirsi violato quando le prove siano state valutate in un modo piuttosto che in un altro[5].
Questa è stata la situazione fino a quando il legislatore del 2012 è intervenuto sull’art. 360, comma 1, n. 5,[6] nell’ intenzione di limitare l’accesso al giudizio di legittimità e arginare la marea di ricorsi per cassazione che, censurando un vizio di motivazione, si proponevano in realtà di richiedere un riesame del fatto. Di qui la scelta di ritornare alla nozione più restrittiva del vizio che era stata formulata nella prima versione del codice di procedura civile del 1940, per di più introducendo, all’art. 348-ter c.p.c., la previsione secondo cui il vizio del n. 5 non è più deducibile in caso di doppia conforme di merito.
Dunque, dopo la riforma del 2012, il nuovo testo del n. 5 prevede quale motivo di ricorso per cassazione l’“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, chiudendo così le porte al vizio di motivazione, con evidenti ricadute anche sul controllo del giudizio di fatto dei giudici di merito avanti alla Corte di legittimità.
Questa disposizione è stata poi interpretata dalle Sezioni Unite con due sentenze gemelle del 2014[7], le quali hanno inteso in senso estremamente restrittivo il nuovo testo, affermando, per l’appunto, che essa non riguarda più il vizio di motivazione e che il vizio di motivazione sindacabile in Cassazione è solo quello che si traduce in una violazione di legge costituzionalmente rilevante. In particolare, nei casi in cui la motivazione risulti graficamente mancante, contenente delle affermazioni così contraddittorie e inconciliabili tra loro da rendere impossibile ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per arrivare a una determinata decisione, o nelle ipotesi di motivazione apparente, la sentenza sarà censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, in quanto la motivazione viziata nei termini anzidetti rende la sentenza inidonea allo scopo e quindi nulla (ex artt. 132, n.4, e 156 comma 2 c.p.c. e 111 Cost.).
Il nuovo n. 5 dell’art. 360 introduce, dunque, un vizio di legittimità del tutto nuovo: sotto questo profilo la sentenza è censurabile solo quando il giudice, nella valutazione degli elementi di prova rilevanti per il suo giudizio, abbia omesso di considerare un fatto decisivo per la risoluzione della controversia. Con questa nuova formulazione, chiariscono le Sezioni Unite, non c’è più spazio per censurare in Cassazione l’insufficienza della motivazione ovvero i vizi logici di motivazione, il cattivo uso o l’erronea scelta delle massime di esperienza[8]. Permane, tuttavia, la possibilità di sindacare per violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. quelle decisioni del giudice di merito relative al giudizio di fatto che non costituiscono il frutto di scelte discrezionali, ma pretendono il rispetto di disposizioni che regolano in maniera vincolante un determinato ambito di giudizio: si tratta di ipotesi riferibili per lo più al giudizio di ammissione delle prove e alle regole che lo disciplinano (ad esempio il controllo sulla sussistenza degli estremi di cui all’art. 2729, comma 1, c.c. o la mancata pronuncia del giudice su un’istanza istruttoria avanzata dalla parte).
Con questo cambio di prospettiva e questa nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., denunciare il travisamento della prova in sede di legittimità sembra non essere più possibile: infatti, se la possibilità di censurare il giudizio di fatto deve reputarsi limitata al solo caso in cui il giudice di merito abbia omesso di esaminare un fatto decisivo, è evidente che il travisamento, che non è mai un omesso esame ma è tutt’al più un cattivo esame, non può più essere denunciato per cassazione, ma può essere soltanto motivo di revocazione della sentenza di merito.
È a questo punto che si innesta nuovamente il contrasto giurisprudenziale tra coloro che, alla luce della nuova formulazione del n. 5, escludono che possa denunciarsi in sede di legittimità una qualche forma di travisamento[9] e coloro che, invece, trovando appiglio in alcuni più risalenti orientamenti della giurisprudenza[10], continuano a distinguere tra travisamento del fatto e travisamento della prova, ammettendone la sindacabilità per cassazione sub specie di violazione dell’art. 115 c.p.c.[11]
Per comprendere il cuore del problema su cui le diverse sensibilità della Corte di cassazione civile faticano a incontrarsi, occorre porsi il seguente quesito: considerando, come più volte ricordato, che al giudice di legittimità è inibita la possibilità di sindacare il modo attraverso il quale il giudice di merito ha valutato la prova ed essendo il travisamento della prova propriamente un giudizio sul modo in cui il giudice di merito ha assunto le sue determinazioni sul significato da attribuire alla prova, come sarà possibile per il giudice di legittimità riconoscere rilevanza a detto travisamento?
E ancora, occorre domandarsi – sulla scorta del dibattito sviluppatosi nel recente convegno-: può il giudice di merito legittimamente attribuire a un mezzo di prova qualunque significato e cioè, riprendendo l’utilissimo esempio del consigliere Dell’Utri[12], può il giudice ritenere che una fotografia che ritragga insindacabilmente un’automobile raffiguri, invece, un fiume?
Lo spazio che si apre alla sindacabilità del travisamento della prova in sede di legittimità sta proprio qui: ossia nella possibilità di censurare talune determinazioni assunte dal giudice di merito sul significato di una prova che non sonounavalutazione circa il valore da attribuire alla prova ma statuizioni volte a cogliere il significato obiettivo ed insindacabile della prova. Occorre evidenziare, peraltro, che il travisamento della prova così inteso assume rilievo solo quando determina un conseguente travisamento del fatto: e, infatti, il travisamento del fatto riguarda la ricostruzione derivante dalla valutazione di insieme di ogni singola prova, mentre il travisamento della prova è pertinente ad una prova singola e può non rilevare qualora, per l’appunto, non determini un conseguente travisamento del fatto.
Accogliendo, dunque, la tesi che esclude la possibilità di denunciare il travisamento della prova in cassazione dopo la soppressione del vizio di motivazione, si può affermare che qualora il giudice di merito abbia statuito sul contrasto insorto tra le parti circa il significato della fotografia, riconoscendo espressamente nella fotografia dell’automobile la riproduzione fotografica di un fiume, avrebbe svolto una valutazione della prova e, dunque, tale valutazione non sarebbe in ogni caso più censurabile in sede di legittimità (se non nel caso-limite della motivazione non costituzionalmente giustificabile). Una simile decisione, infatti, proprio in quanto fondata sui fatti probatori travisati e sui quali le parti hanno avuto modo di discutere, sfuggirebbe tanto all’ambito di applicabilità dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (trattandosi di fatti il cui esame non fu omesso), quanto al limitato spazio di incidenza dell’estremo rimedio di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c. (trattandosi di un fatto su cui il giudice si è espressamente pronunciato).
La decisione appare certamente ingiusta, ma può dirsi anche illegittima? Probabilmente si, in quanto la valutazione discrezionale di un testo probatorio dovrebbe sempre rispettare dei confini, che sono propriamente identificabili con il perimetro di tutti i significati possibili di un testo che rispondano a una logica spiegabile, aperta alla condivisione collettiva. Al di fuori di quel perimetro disegnato dagli imperatividella logicae delragionamento argomentativo, le scelte del giudice nell’attribuzione di significati al testo non costituiscono più l’esercizio di una valutazionediscrezionale, ma sono solo l’esplicazione di un imprevedibile e incontrollabile arbitrio in forza del quale sarebbe possibile inventare qualunque significato dei testi probatori disponibili.
Che fare, dunque, contro una pronuncia di questo genere? Ammettere la censura del travisamento della prova inteso nei termini anzidetti sembra l’unica soluzione: quando il giudice inventa una prova non sta piùvalutando il mezzo probatorio sottoposto al suo esame ma lo sta “creando”, ponendosi in contrasto con la regola contenuta nell’art. 115 c.p.c. per cui: “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”; ma anche rispetto all’art. 116 c.p.c. che richiede al giudice in “prudente apprezzamento” nella valutazione delle prove.
Deve, inoltre, sottolinearsi che la Corte Costituzionale[13], pronunciandosi a proposito della revocazione con riferimento ai provvedimenti diversi dalle sentenze, ha qualificato la correzione dell’errore di percezione del giudice quale corollario del canone del giusto processo e, dunque, quale principio di rilevanza costituzionale. Questo comporta che se si scegliesse di aderire all’orientamento per cui l’errore di percezione o è censurabile con revocazione o non è controllabile in Cassazione avremmo un vuoto di tutela al quale comunque andrebbe trovato un correttivo, ricercando in qualche modo uno spazio per questo controllo. Peraltro, non bisogna dimenticare che il travisamento della prova diventa motivo di responsabilità del magistrato[14] sia nel processo penale che in quello civile e, quindi, a maggior ragione, risulta difficile pensare ad un sistema che non consente la correzione di un errore di questo tipo ma poi riconosce al magistrato una responsabilità sul punto.
Escluso però, per le già menzionate ragioni, che il travisamento della prova possa essere denunciato ex art. 360 n. 5, dove va collocato? Dunque, la giurisprudenza[15] che ammette la possibilità di correggere l’errore di percezione del giudice di merito mediante la denuncia in sede di legittimità del travisamento della prova, ritiene veicolabile tale censura ex art. 360, comma 1, n.4 per violazione del (più volte richiamato) articolo 115 c.p.c.[16]
Tale norma, infatti, nell’imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti, implicitamente vieta di fondare la decisione su prove “immaginarie”, cioè reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte. Si tratterebbe di un vizio radicale della sentenza che ne determinerebbe la nullità.
Tra le critiche che si sollevano a questa ricostruzione, la più diffusa riguarda il timore, certamente fondato, che l’adozione di tale prospettiva possa generare un uso strumentale del vizio del travisamento della prova, con l’obiettivo di condurre il giudice di legittimità a tornare sulla valutazione nel merito dei fatti di causa e, dunque, la conseguente legittima preoccupazione di una moltiplicazione artificiosa dei ricorsi in sede di legittimità. Tuttavia, ciò che spinge all’accoglimento di questo orientamento è un senso di giustizia civile che non consente di legittimare un’ulteriore limitazione del diritto delle persone di difendere le proprie ragioni nel processo, al solo scopo di ridurre i flussi abnormi di controversie condotte all’esame di una Suprema Corte, che è un problema da risolvere per altre strade e non certo imponendo al cittadino di dover accettare una sentenza ingiusta e illegittima.
[1] Il 14 marzo 2023 si è tenuto un convegno organizzato dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di cassazione, dal titolo “Errare Humanum…Travisare Diabolicum. La questione del travisamento nel ricorso per cassazione”, per consentire alle due sezioni della Corte presso cui si era manifestato il contrasto (la sezione lavoro e la terza sezione) di confrontarsi sui punti di dissenso. Peraltro, già l’8 febbraio, la sezione lavoro aveva rimesso la questione alle Sezioni unite (con l’ordinanza interlocutoria Cass. civ., sez. lav., 29 marzo 2023, n. 8895), e successivamente lo stesso ha fatto la terza sezione il 29 marzo, con l’ordinanza interlocutoria Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2023, n. 11111, prospettando la tesi opposta a quella sostenuta dalla sezione lavoro.
[2] Secondo il testo del n. 5 dell’art. 360 del codice del 1940, il ricorso per cassazione era consentito “per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il testo poi modificato dalla riforma del 1950 prevedeva il ricorso per “omessa insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto della controversia prospettato dalle parti, o rilevabile d’ufficio”.
[3] In questo senso Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, Vallardi, 1959- 1962, II, 2, pg. 210, citava adesivamente la massima di Cass. 6 febbraio 1962, n. 222 secondo cui “il travisamento dei fatti può costituire motivo di ricorso per cassazione soltanto se si risolva in mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia, e cioè su un elemento della fattispecie che, se esaminato, avrebbe potuto determinare una diversa soluzione della causa”.
[4] Così Cass. 3 febbraio 2000, n. 1195; Cass. 1° agosto 2001, n. 10475; Cass. 27 luglio 2005, n. 15672; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, Jovene, 1956, II, p. 630.
[5] Cass. 17. aprile 1962, n. 734; Cass. 19 luglio 1963, n. 19; Cass., S.U., 30 maggio 1966, n. 1412; Cass. 5 luglio 1971, n. 2093; Cass. 30.1.2003, n. 1512; Cass. 27.1.2003, n. 1202; Cass. 1143 del 2003.
[6] Modificato con l’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134.
[8] Così Cass. S.U. 7 aprile, nn. 8053 – 8054. Evidenzia peraltro la Corte che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.
[9] Si vedano, tra le numerose, Cass. 3 novembre 2020, n. 24395; Cass. 15 novembre 2021, n. 34210; Cass. 17 maggio 2022, n. 15777; Cass. 29 dicembre 2022, n. 38014; Cass. 6 febbraio 2023, n. 3581. In particolare, si veda Cass. n. 24395/2020 secondo cui :“Questa Corte ha da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione[…]restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile né nel paradigma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., né in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c., attribuisce rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante”.
[11] In questo senso Cass. 25 maggio 2015, n. 10749; Cass. 12 aprile 2017, n. 9356; Cass. 5 novembre 2018, n. 28174; Cass. 18 agosto 2021, n. 23079; Cass. 26 aprile 2022, n. 12971.
[12] Intervento svolto, il 14 marzo 2023, nell’Incontro di studi organizzato dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di cassazione, dal titolo “Errare Humanum…Travisare Diabolicum. La questione del travisamento nel ricorso per cassazione”, tenutosi a Roma, presso la Corte di cassazione.
[14] Cfr. art. 2 n. 3 della L. n. 18 del 27 febbraio 2015, avente ad oggetto la “Disciplina della responsabilità civile dei magistrati”, di modifica della L. n. 117 del 13 aprile 1988.
[15] In questo senso Cass. 25 maggio 2015, n. 10749; Cass. 12 aprile 2017, n. 9356; Cass. 5 novembre 2018, n. 28174; Cass. 21 gennaio 2020, n. 1163; Cass. 26 aprile 2022, n. 12971.
[16] In questo senso concludono anche I. PAGNI e R. POLI nell’intervento svolto, il 14 marzo 2023, nell’Incontro di studi organizzato dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di cassazione, dal titolo “Errare Humanum…Travisare Diabolicum. La questione del travisamento nel ricorso per cassazione”, tenutosi a Roma, presso la Corte di cassazione”.