Obblighi da contratto preliminare inadempiuti e poteri di modificazione giuridica sostanziale del giudice nella sentenza ex art. 2932 c.c., (anche) con riferimento particolare alla fattispecie “derivata” della sentenza traslativa “condizionata”  

Il contributo muove dalla disamina delle opinioni maturate dalla dottrina processualistica sulla natura giuridica della sentenza che, ai sensi dell’art. 2932 c.c., produce gli effetti del contratto preliminare non concluso soffermandosi, in dettaglio, sulla ricostruzione dogmatica offerta dal Montesano sul tema. Su tale sfondo, lo studio si dipana attorno ad una peculiare “declinazione” di detta fattispecie, di matrice giurisprudenziale: la sentenza che, accogliendo la domanda, attua coattivamente l’obbligo di contrarre nascente dal preliminare di vendita immobiliare, subordinando l’effetto traslativo del diritto sul bene venduto al versamento del prezzo (o del residuo prezzo). L’A., analizzato il fenomeno con riguardo preminente all’atteggiarsi, nella specie, della prestazione “condizionata”, aderisce alla tesi abbracciata, in parte qua, dalla Corte regolatrice, la quale, per un verso, qualifica l’obbligazione principale di pagamento del prezzo “elemento essenziale intrinseco” del rapporto sinallagmatico e ‒ conseguentemente ‒ “causa di risoluzione contrattuale” il suo inadempimento; per altro verso, riconosce, più a monte, al giudice ‒ nei limiti della domanda ‒ il potere-dovere di modulare il contenuto della pronuncia in funzione dell’attuazione di «un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni».     

Di Giuseppina Mastrogiovanni -

Sommario: 1. – Premessa. 2. – Contratto preliminare ed esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il preliminare inadempiuto ai sensi dell’art. 2932 c.c.: rilievi generali. 3. – Natura giuridica della sentenza che produce gli effetti del contratto preliminare non concluso e dell’attività giurisdizionale ad essa prodromica. 4. – (Segue) Contratto preliminare e tutela costitutiva secondo la ricostruzione proposta dal Montesano. 5. – Contratto preliminare e “dinamiche processuali”: premessa. 6. – Obblighi da contratto preliminare inadempiuti e poteri attuativi del giudice nella sentenza “traslativa condizionata”: inquadramento della fattispecie e disamina delle posizioni della dottrina e della giurisprudenza. 7. – Effetto traslativo “condizionato” e poteri di modificazione giuridica sostanziale del giudice nella sentenza ex art. 2932 c.c.: necessità di ricostruzione analitica del fenomeno, con riguardo preminente alla qualificazione della prestazione “condizionata”. 8. – Equilibrio sinallagmatico delle obbligazioni nascenti dalla sentenza “condizionata” e sua “capacità espansiva”. Notazioni conclusive.

1. Il ricorso allo strumento della contrattazione preliminare è prassi assai frequente nel settore delle vendite immobiliari: le parti, attraverso il contratto preliminare, «costituiscono immediatamente un vincolo obbligatorio in ordine all’alienazione di un bene, con effetti analoghi a quelli della vendita obbligatoria, riservando ad un successivo contratto la creazione del titolo costitutivo dell’effetto reale»[1].

La giurisprudenza di legittimità ha svolto, negli anni, una funzione centrale nella soluzione delle questioni processuali concernenti l’attuazione degli obblighi nascenti da tale fattispecie negoziale, tanto in riferimento alla normativa di diritto comune[2], quanto in riferimento a quella speciale concorsuale[3]. Alcune di esse si sono rivelate, per la più attuale dottrina processualcivilistica, un’occasione proficua per riflettere sui principi di diritto elaborati in materia dal diritto vivente, anche alla stregua dell’inquadramento dogmatico dell’istituto, come consegnatoci dalla dottrina civilistica tradizionale.

Prendendo spunto da alcuni recenti arresti della Suprema Corte, il presente lavoro muove dalla disamina delle più rilevanti opinioni maturate dagli interpreti sulla natura giuridica della sentenza che, ai sensi dell’art. 2932 c.c., produce gli effetti del contratto preliminare non concluso e dell’attività giurisdizionale ad essa prodromica, per indagare, poi, sullo sfondo di siffatta ricostruzione, una specifica “declinazione” di detta fattispecie di tutela, segnatamente la sentenza che, in accoglimento della domanda, attua coattivamente l’obbligo di contrarre nascente dal preliminare di vendita immobiliare, subordinando l’effetto traslativo del diritto sul bene venduto al versamento del prezzo (o del residuo prezzo) nel termine ovvero alle condizioni indicate dal giudice nella sentenza medesima.

2. Viene definito “preliminare” il contratto con cui le parti si obbligano a stipulare un successivo contratto, detto “definitivo”, del quale nel preliminare deve essere già fissato il contenuto essenziale[4].

Effetto principale discendente dal perfezionamento del contratto preliminare è la nascita dell’obbligo alla stipulazione del contratto definitivo.

L’attuazione delle prestazioni finali, convenute nel preliminare, è, dunque, subordinata alla detta stipulazione[5].

Il contratto preliminare è assoggettato alla disciplina del contratto in generale.

Pertanto, in caso di inadempimento, si configura, in via di principio, un’ipotesi di responsabilità contrattuale, che consente sia di agire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., per ottenere il risarcimento del danno, sia di avvalersi degli altri strumenti di impugnativa negoziale previsti dalla legge.

Oltre ai rimedi di carattere “generale”, l’inadempimento in parola dà altresì accesso ‒ come noto ‒ ad un rimedio “particolare”, regolato all’art. 2932 c.c., mediante il quale la parte non inadempiente può domandare in sede giudiziale un provvedimento che tenga luogo del contratto definitivo non concluso.

Precisamente, l’art. 2932 c.c., rubricato «Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto», dispone, al primo comma, che «[s]e colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso», soggiungendo, al secondo comma, che «[s]e si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile»[6].

La norma si muove in un delicato e conteso “spazio di confine” tra il diritto sostanziale e il diritto processuale[7].

Nel suo grembo convergono, difatti, studi sia giusprivatistici che processualistici.

Lungi dall’esaminare a fondo, in questa sede, le molteplici questioni scrutinate in subiecta materia dalla dottrina ed i corrispondenti intricati risvolti applicativi, è apparso necessario, a chi scrive ‒ come si è anticipato in premessa ‒ delineare preliminarmente il contesto, di più ampia latitudine, nel quale la stessa si colloca, affrontando solo dopo, ex professo, la tematica ‒ più specifica ‒ dei caratteri e dei limiti “contenutistici” di un peculiare archetipo di sentenza ex art. 2932 c.c., quella c.d. traslativa “condizionata”.

3. La previsione di cui all’art. 2932 c.c. disciplina, secondo l’opinione pacifica, una forma di tutela cognitiva e non esecutiva: ciò, in ragione dell’assenza, in essa, degli elementi strutturali propri dell’actio executiva[8].

A parere, poi, della dottrina maggioritaria ‒ a partire da quella tradizionale, a tanto sospinta dalla intentio legislatoris espressa in tal senso in sede di approvazione del vigente codice civile[9] ‒ la tutela cognitiva in esame integra una species di azione costitutiva[10].

Si sostiene, in particolare, che la consacrazione in una norma di legge della c.d. esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre abbia capovolto l’impostazione del problema ‒ così come concepito sino alla codificazione del 1942 ‒, giacché, per effetto di questa, «[n]on si tratta più di stabilire la natura e il contenuto del contratto preliminare, per decidere se esso ammette l’esecuzione specifica, bensì di stabilire quali conseguenze l’ammissione dell’esecuzione specifica abbia sulla natura e sul contenuto del contratto preliminare»[11]. Assunto, questo, dal quale si ritiene discenda una dirimente conseguenza: dalla stipulazione del contratto preliminare non sorge sic et simpliciter «un obbligo di stipulare al quale corrisponde un diritto alla stipulazione»; più efficacemente, da essa nasce «il titolo per la costituzione della situazione giuridica determinabile in forza del contratto definitivo»[12].

L’obbligo di contrarre assurge, così, a «condizione per la costituzione della situazione giuridica». Condizione che, nel caso di specie, consiste nell’esprimere la «volontà attuale che si produca quella situazione in futuro», in ciò trovando espressione, a ben vedere, l’“essenza” costitutiva dell’azione da contratto preliminare inadempiuto: essendovi in esso già «piena ed intera la volontà dell’effetto», «si può produrre quell’effetto anche se il promittente non vuole più produrlo»[13].

In contrapposizione alla tesi in rassegna si è, all’inverso, escluso che quella configurata dall’art. 2392 c.c. sia un’azione costitutiva in senso proprio. Ciò, sul rilievo che, nella specie, si sarebbe in presenza non già di un diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale, bensì di una semplice pretesa all’adempimento di un’obbligazione avente ad oggetto un facere giuridico, da cui la conseguenza che alla sentenza di accoglimento della domanda andrebbe riconosciuta natura di condanna, dalla funzione, al contempo, anche esecutiva[14].

Tale opinione, ripudiata là dove riconduce l’azione al nostro esame nell’alveo della tutela di condanna, rappresenta, di contro, jus receptum quanto all’attribuzione, ad essa, della predetta “funzione esecutiva” ‒ ovvero, se si preferisce, di “finalità esecutiva”[15] ‒, non solo per la collocazione topografica della fattispecie, ma anche (e soprattutto) per la sua singolare “configurazione strutturale”[16].

I rilievi svolti sul punto, in particolar modo quello inerente al rapporto che il legislatore instaura tra l’oggetto dell’obbligo inadempiuto ed il potere (atecnicamente qualificabile) “esecutivo” che il giudice in questa sede è chiamato ad esercitare, hanno costituito, inoltre, la premessa in virtù della quale una parte della dottrina ha attribuito alla tutela in esame una connotazione non meramente costitutiva quanto, piuttosto, “costitutivo-determinativa”[17].

4. Un apporto fondamentale alla teorica dei profili processuali del contratto preliminare è stato fornito dagli studi del Montesano.

L’illustre giurista ha dedicato al tema anzitutto un lavoro monografico, realizzato nel 1953, intitolato «Contratto preliminare e sentenza costitutiva»[18]. È tornato, in seguito, a trattarne in altri saggi, rispettivamente, del 1970 («Obbligazione e azione da contratto preliminare»)[19]; del 1987 («La sentenza ex art. 2932 c. c. come accertamento costitutivo dell’equivalenza tra contratto preliminare e contratto definitivo ad effetti differiti?»)[20]; del 2001 («Contenuti e sanzioni delle obbligazioni da contratto preliminare»)[21].

Nell’Opera «Contratto preliminare e sentenza costitutiva»[22] l’Autore, mediante questo primo ‒ per taluni versi “lungimirante” ‒ approccio alla fattispecie regolata all’art. 2932 c.c., introduce la tematica dell’obbligo di conclusione di un contratto partendo dalla considerazione del Carnelutti secondo la quale «non si contrarrebbe preliminarmente, se non ci si volesse obbligare meno che contraendo definitivamente, e non ci si obbligherebbe meno se l’adempimento specifico fosse coercibile»[23].

Soffermandosi in dettaglio sui contenuti dell’obbligo al cui inadempimento si riferisce l’art. 2932 c.c., l’Autore pone l’accento sulla distinzione tra “forma legale” e “forma convenzionale” del negozio giuridico, chiarendo che, mentre nel primo caso è l’ordinamento che impone ad essentiam una forma al negozio; nel secondo, sono le parti a predisporre una certa forma come requisito di validità di un negozio, ovvero, rectius, come “negozialmente impegnativa”.

Detta distinzione richiama quella tra “produzione del comando” e “produzione dell’effetto negoziale”, consentendo di dedurre[24] che «il cosiddetto obbligo di creare la nuova forma di un negozio già concluso ha ad oggetto non la conclusione di un contratto, ma la creazione di una prova storica del precedente negozio, documentata diversamente da quello, in termini più sintetici ma impropri, la creazione di una nuova documentazione del negozio», nella specie a contenuto confessorio[25].

Tanto dedotto sul piano sostanziale, l’indagine trasmigra sul fronte dei risvolti processuali dell’inadempimento da contratto preliminare.

A questo proposito l’Autore, premettendo l’assunto (pacifico) per cui, avendo ad oggetto «l’obbligo di creare la documentazione condizionante gli effetti contrattuali (…) un fare infungibile, cioè un’attività personale dell’obbligato», la sua violazione «non può dar luogo ad una specifica esecuzione forzata, ma fa nascere il diritto al risarcimento dei danni»[26], si domanda «come sia possibile la produzione degli effetti contrattuali prevista dall’art. 2932»[27].

Nel dar risposta al quesito, egli ‒ sulla scorta della tesi gradatamente forgiata nell’Opera in rassegna ‒ afferma che «il “contratto definitivo” non è un contratto, ma una prova confessoria documentata che condiziona gli effetti di un contratto già creato, cioè un mero presupposto della materia di quegli effetti»[28].

Ciò “impatta” sulla prospettiva da cui guardare giacché, così ragionando, non occorre più rinvenire nella sentenza il “surrogato” del contratto; occorre, invece, assegnare alla sentenza la funzione di «rimuovere (…) quella disposizione contrattuale che subordina la produzione degli effetti, già interamente disciplinati dal comando negoziale, alla creazione di una certa prova, normalmente documentata, del contratto»[29].

Più precisamente, la sentenza ex art. 2932 c.c., «risolvendo l’obbligo “di concludere il contratto definitivo”, rimuove la condizione e quindi permette il prodursi degli effetti contrattuali»[30].

Il legislatore ‒ ad avviso del Montesano ‒ ha qui impiegato l’espressione “sentenza costitutiva degli effetti del contratto non concluso” per individuare, in realtà, quel «fenomeno che (…) deve definirsi come sentenza risolutiva dell’obbligo di creare la documentazione condizionante gli effetti di un comando contrattuale già prodotto»[31].

Detto altrimenti, «anche se gli autori del codice non ne sono stati consapevoli, con l’art. 2932 si applica in un’ipotesi particolare il generale principio sancito dall’art. 1453 cod. civ., secondo il quale nei contratti con prestazioni corrispettive, quando un contraente non adempie il suo obbligo, l’altro può chiedere la risoluzione giurisdizionale del contratto»[32].

Il pensiero dell’Autore sul fenomeno all’esame si ritrova, a tenore ‒ nella sostanza ‒ invariato, anche negli scritti successivi.

Nell’ultimo scritto dedicato al tema[33] è tuttavia possibile cogliere la maggiore organicità delle soluzioni esposte; ciò, anche alla luce dell’incidenza, su queste, delle evoluzioni normative nel frattempo intervenute, in particolare sul terreno del diritto sostanziale[34].

In esso, il Montesano analizza i profili della individuazione del contenuto dell’obbligazione nascente dal contratto preliminare e delle sanzioni derivanti dal suo inadempimento.

Con riguardo al primo profilo, egli, nel ribadire l’assunto che «[l]a sentenza, che a norma dell’art. 2932 c.c. produce “gli effetti del contratto non concluso” presuppone che tali effetti siano già predisposti da un contratto perfezionato tra le parti», evidenzia come «la necessità che il “titolo”, di cui si fa parola nell’art. 2932, sia contrattuale, risulta da ciò che la sentenza deve produrre effetti che hanno disciplina in tutto e per tutto contrattuale, e non può fare altro, non può, in specie, creare essa stessa il contenuto contrattuale»[35].

Nel contempo, esaminando in combinato disposto il dettato degli artt. 2932 e 1351 c.c., rileva che, a ben guardare, il contratto preliminare «non è definitivo sol perché le parti ne hanno escluso tale sua normale configurazione legale, esercitando un’autonomia che l’ordinamento, consentendo il preliminare (art. 1351 c.c.), ha loro riconosciuto»[36]. Di qui, dunque, la conclusione per cui «le obbligazioni nascenti dal contratto preliminare consistono non nel concludere un contratto ‒ come dice l’art. 2932 c.c., recependo una definizione tradizionale, tuttora diffusa ma manifestamente erronea ‒ bensì nel vincolarsi:

«a) a non far nulla, nel periodo intercorrente tra il preliminare e il definitivo, per impedire che a tempo debito sia giuridicamente e materialmente possibile la “definitivizzazione” del negozio e quindi la produzione degli effetti già irremovibilmente predisposti dalle parti (ad esempio, a non alienare il bene promesso in vendita);

b) a cooperare ad un atto bilaterale, che fissi il tempo del pieno ingresso nell’ordinamento del precetto negoziale già perfezionato col preliminare»[37].

La diversità delle due principali obbligazioni ‒ appena indicate sub a) e b) ‒ che sorgono dalla conclusione del preliminare si riflette, poi, secondo il Montesano, sulle sanzioni attuabili nel caso di inadempimento.

Precisamente, nell’ipotesi di violazione del primo obbligo (sub a)), poiché “il precetto negoziale non è stato ancora recepito dall’ordinamento”, e quindi non è assoggettabile alle sanzioni previste per lo specifico tipo contrattuale prescelto dalle parti, l’unico rimedio esperibile[38] è quello generale del risarcimento del danno per inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c.

Diversamente, se ad essere violato è il secondo degli obblighi prospettati (sub b)), sono azionabili sia la sanzione risarcitoria di cui al predetto art. 1218 c.c., sia quella di cui all’art. 2932 c.c., ricorrendone i presupposti, occorrendo nondimeno precisare che «[t]ale sanzione (…) è produttiva degli effetti contrattuali, nel senso, però, non che essa sostituisca il contratto come fonte giuridica di quegli effetti ‒ essendo già integra, come s’è visto, col contratto preliminare, la fattispecie legale propria degli effetti medesimi ‒ ma ch’essa fissa il momento in cui il già perfezionato precetto negoziale viene recepito dall’ordinamento con la disciplina e le tutele proprie del tipo di contratto prescelto dalle parti»[39].

5. Individuati i profili generali della tutela costitutiva ex art. 2932 c.c. e tracciate le linee direttrici di una delle più significative ricostruzioni dogmatiche del tema al nostro esame, è ora possibile affrontarne lo studio da un diverso angolo visuale, quello delle sue “dinamiche applicative”.

Come anticipato in premessa, il diritto vivente ha svolto, in tale contesto, un ruolo essenziale.

Ed infatti, grazie all’impulso della prassi giurisprudenziale si è assistito alla naturale creazione di “singolari interconnessioni” di diritto positivo involgenti, da un lato, la disciplina sostanziale del contratto preliminare; dall’altro, le connotazioni processuali dell’istituto, queste ultime evocate (principalmente) dalla sua immediata riconducibilità nell’alveo della species di tutela cognitiva di cui all’art. 2932 c.c.

Nel presente scritto si è scelto di approfondire uno dei suddetti profili dinamici, invero divenuto, come si dirà fra breve, una vera e propria “variante” di tutela ex art. 2932 c.c., preordinata ad ottenere una peculiare sentenza, c.d. “traslativa condizionata”.

Al fondo di questa scelta v’è l’esigenza di analizzare e ricondurre a sistema talune questioni ‒ tuttora aperte ‒ rinvenute nei più recenti e rilevanti arresti di legittimità[40].

Prima però di entrare nel vivo della trattazione di tale specifica tematica, appare necessario partire dalla seguente constatazione, attualmente ineludibile in materia.

Quando, oggi, si discorre, in àmbito processuale, di “contratto preliminare”, non si può prescindere dal rammentare il principio ‒ ancorché di più ampio respiro ‒ scolpito da un’importante pronuncia del 2015[41].

Con essa le Sezioni Unite ‒ approdando a conclusioni opposte rispetto a quelle sino ad allora accolte[42] ‒ hanno fissato un punto fermo sulla questione ‒ di tenore più generale ‒ dei limiti di ammissibilità dei nova nel processo di cognizione ordinaria, e lo hanno fatto ‒ com’è noto ‒ muovendo dal problema specifico dell’ammissibilità della “conversione” della domanda di esecuzione coattiva del contratto preliminare ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento dell’avvenuto trasferimento di titolarità del diritto oggetto del contratto[43].

La Corte ha dovuto, in particolare, nuovamente stabilire[44] se la successiva domanda di accertamento integri un’ipotesi di emendatio libelli e, in quanto tale, sia formulabile in primo grado nei limiti posti dal previgente art. 183 c.p.c. (ora dal neo-introdotto art. 171-ter c.p.c.), ovvero se, di contro, essa rappresenti un’ipotesi di mutatio libelli e sia, pertanto, implicitamente vietata.

Le Sezioni Unite, sulla scorta ‒ tra le altre ‒ della considerazione per cui l’assunto su cui tradizionalmente poggia la distinzione tra mutatio ed emendatio libelli[45] non trova «completo riscontro nella struttura e nella portata precettiva dell’art. 183 c.p.c.»[46], hanno statuito:

i) in via di principio, che «[l]a modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali»;

ii) in riferimento al profilo particolare della “evoluzione processuale” della domanda ex 2932 c.c., che ‒ in quanto sussistano i presupposti de quibus ‒ «deve ritenersi ammissibile la modifica, nella memoria all’uopo prevista dall’art. 183 c.p.c., della iniziale domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo»[47].

La successiva giurisprudenza di legittimità, oltre ad aver meglio tratteggiato nei contenuti il rapporto tra le due diverse domande (definendolo di “teleologica complanarità”[48]), ha poi chiarito, in tal modo completandone la disciplina, che la domanda c.d. “complanare” ‒ se ed in quanto tempestivamente proposta ‒ «non necessariamente dovrà sostituirsi alla domanda originaria, ma potrà ad essa cumularsi (quale domanda principale o in via vicaria)»[49].

Tanto precisato, è bene sottolineare che le quaestiones juris oggetto dei paragrafi seguenti non presentano ‒ sotto un profilo strettamente tecnico ‒ “punti di contatto” con la tematica delle domande c.d. “complanari”; concettualmente si collocano, rispetto ad essa, su un “binario parallelo”.

Ciò malgrado, prima di dar corso al predetto studio si rivela opportuno evidenziare come l’avvento ed il successivo consolidarsi di un siffatto rinnovato significato di emendatio libelli ‒ e dei suesposti precipitati ‒ abbia giocoforza “ridimensionato” il “peso” che non soltanto la fattispecie che ci si appresta ad illustrare, ma, più in generale, qualsivoglia questione interpretativa inerente alla (originariamente) invocata tutela costitutiva ex art. 2932 c.c. può oggi avere sulla decisione di merito richiesta dall’attore e, più a monte, sulle “modalità concrete” con cui egli ‒ alla luce di quanto gli è concesso per opera del diritto vivente ‒ può esercitare il suo diritto di difesa.

Rebus sic stantibus, è infatti logico e legittimo pensare che, proposta domanda di esecuzione coattiva dell’obbligo di concludere un contratto preliminare inadempiuto, l’attore, le volte in cui la pretesa azionata lo consentirà, piuttosto che insistere ovvero sviluppare ulteriormente le difese poste a fondamento della domanda di tutela costitutiva preventivamente dispiegata, sceglierà, secondo opportunità[50], di modificare sul piano oggettivo la propria azione: i) o dando ancora spazio alla tutela ex art. 2932 c.c., ossia “aggiungendo” (in via principale o subordinata) alla domanda originaria di costituzione dell’effetto traslativo del diritto quella “complanare” di accertamento dell’avvenuto trasferimento dello stesso; ii) o, più radicalmente, eliminando la domanda di cui all’art. 2932 c.c. dallo spettro valutativo del giudice, ovverosia “sostituendola” integralmente con quella di accertamento mero, a tutto danno, però, in tale ultimo caso, delle occasioni effettive di applicazione della fattispecie processuale al nostro esame.

Sul presupposto, dunque, di tale doverosa puntualizzazione, l’indagine può a questo punto spostarsi e convergere sull’oggetto ed i limiti della tutela di cui all’art. 2932 c.c., allorché essa venga invocata dal promissario alienante per “sanzionare” il promissario acquirente che non abbia adempiuto l’obbligo di stipulare un contratto definitivo traslativo della titolarità del diritto di proprietà su un bene immobile dietro versamento contestuale del prezzo di acquisto (intero o residuo) pattuito.

6.La qualificazione, in via generale, dell’azione regolata dall’art. 2932 c.c. ‒ persino ad opera dei conditores del codice del 1940 ‒ come esercizio di tutela costitutiva dalla funzione (o finalità) esecutiva, e dal contenuto non semplicemente costitutivo ma anche “determinativo”[51], ha dato avvio, negli anni, in seno alla giurisprudenza di legittimità, ad una feconda attività interpretativa ruotante attorno alla clausola di “salvaguardia” di cui al 2° co., che ‒ in relazione ai «contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto» ‒ consente al giudice di “superare” il vincolo posto dalla norma (i.e. il divieto di accogliere la domanda «se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge»)[52] ogniqualvolta «la prestazione non sia ancora esigibile».

Più esattamente la giurisprudenza, sull’assunto ‒ per un verso ‒ della attribuzione ex lege al giudice, in tal caso, di un potere-dovere di modificazione della realtà giuridica sostanziale, derivantegli dalla natura costitutiva (così come appena descritta) dell’azione in parola e ‒ per altro verso ‒ della ratio a presidio del binomio “ammissibilità della domanda/esecuzione della controprestazione esigibile” fissato dal disposto in commento, individuata segnatamente nella «rigida garanzia dell’equilibrio sinallagmatico»[53], ha allentato le maglie del predetto limite legale in una duplice direzione: i) da un lato, affievolendo il rigore dei requisiti occorrenti per la rituale formulazione della «offerta nei modi di legge» richiesta dall’art. 2932, 2° co., c.c.[54]; ii) dall’altro lato ‒ ed è questo l’aspetto che, ai nostri fini, assume rilievo ‒, considerando “esigibile” la (contro)prestazione solo qualora dovuta “prima” della stipula del contratto definitivo[55], sì da giungere, per tale strada, a giudicare ammissibile una sentenza costitutiva “condizionale” [56], vale a dire ‒ con riguardo al caso specifico dell’art. 2932 c.c. ‒ “condizionante” l’efficacia del trasferimento del diritto di proprietà di un bene ovvero della costituzione o del trasferimento di un altro diritto al pagamento del prezzo pattuito[57].

L’introduzione di una “figura” per così dire “derivata” di sentenza ex art. 2932 c.c., di matrice giurisprudenziale, ha sollevato, in dottrina, in primo luogo un problema di compatibilità col sistema della fattispecie in parola.

Al riguardo, l’opinione dominante ‒ facente capo, in prevalenza, alla dottrina più risalente ‒ ha rilevato, anzitutto, che il “tempo” del pagamento del prezzo di vendita (anteriore o contestuale che sia rispetto alla stipula del definitivo) confluisce nel sinallagma del contratto preliminare; sicché, in linea di principio, esso non può considerarsi elemento incidente sull’applicabilità della regola di cui al 2° co. dell’art. 2932 c.c.[58].

Di qui ha evidenziato che, a fortiori, giammai il paradigma della “sentenza condizionale” possa attagliarsi al caso in esame, a ciò ostandovi sia l’asserita inammissibilità, a monte, di un siffatto “sottotipo” di sentenza nel nostro ordinamento[59]; sia, più in dettaglio, la particolare “tecnica operativa” prescelta dal legislatore per la tutela costitutiva in commento: a ben guardare, la norma attribuirebbe alla sentenza l’esclusiva funzione di dare attuazione immediata al contratto definitivo non concluso fissando ‒ quale naturale ed inscindibile precipitato ‒ l’ulteriore cautela prevista dal 2° co. dell’art. 2932 c.c.[60].

Maggiore pragmatismo ha animato, invece, la dottrina più recente occupatasi della questione.

Essa, piuttosto che interrogarsi sulla configurabilità o meno di codesto nuovo “paradigma” di tutela processuale[61] ‒ ancorché di germinazione ermeneutica ‒, ha preferito muovere da una “presa d’atto” della sua esistenza concentrandosi sull’analisi della sua struttura, e soffermandosi, al pari della giurisprudenza, sui nodi interpretativi che la natura “anfibia” di detta fattispecie necessariamente impone di sciogliere.

In particolare, mette conto rammentare la formazione di due contrapposti orientamenti intorno alla corretta qualificazione dogmatica della prestazione la cui mancata esecuzione impedisce il prodursi dell’effetto traslativo del diritto per cui si è agito.

Secondo un primo orientamento, tale prestazione forma oggetto di una condizione sospensiva, sicchè alla sua esecuzione è subordinata la produzione dell’effetto traslativo del diritto di proprietà sul bene[62].

Ex adverso, si sostiene che, laddove la prestazione da cui dipende il trasferimento del diritto abbia carattere principale, si sia in presenza, più propriamente, di una causa di risoluzione del contratto[63].

Orbene, l’adesione al primo capo dell’alternativa importa che:

i) la mancata esecuzione della prestazione configura un’ipotesi di mancato avveramento della condizione apposta al contratto;

ii) trattandosi di condizione sospensiva, il mancato verificarsi dell’evento in essa dedotto fa sì che il trasferimento del diritto oggetto del contratto debba considerarsi, sul piano effettuale, affetto ipso jure da inefficacia orginaria, ai sensi dell’art. 1360 c.c.[64];

iii) alla detta inefficacia originaria si accompagna la c.d. retroattività “reale”, vale a dire l’improduttività ab originei.e. dalla stipulazione del contratto ‒ degli effetti riconducibili ad esso, con valenza erga omnes[65];

iv) ciò, in termini più concreti, vuol significare “inopponibilità del contratto a tutti i terzi”, cioè inidoneità intrinseca del contratto a pregiudicare i diritti acquisiti sulla base di atti dipositivi successivi a tale (inefficace) trasferimento disposto ex 2932 c.c.

Dalla riconduzione della prestazione in parola nello schema della risoluzione contrattuale[66] discende, invece, che:

i) la mancata esecuzione della controprestazione quale causa di risoluzione per inadempimento del contratto sinallagmatico dà luogo allo scioglimento del vincolo negoziale con efficacia (anche in tal caso) retroattiva;

ii) la retroattività derivante dalla inefficacia de qua ha carattere “obbligatorio” e non “reale”[67]; precisa, infatti, l’art. 1458, 1° co., c.c., che essa non opera erga omnes, bensì soltanto «tra le parti»[68];

iii) conseguentemente, come disposto al 2° co. dell’art. 1458 c.c., l’inefficacia sopravvenuta dell’effetto traslativo del diritto, prevista in favore della parte non inadempiente (cioè, nel caso che ci riguarda, del promissario alienante) «non pregiudica i diritti acquistati dai terzi», salvi, tuttavia, «gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione», ove riferita ad uno dei diritti enucleati all’art. 2643 c.c.;

iv) ciò vuol dire, dunque, che il diritto trasferito al terzo in forza del contratto risolto (sia questo risolto di diritto ovvero ope judicis), è fatto salvo solo qualora ‒ vertendosi in uno dei casi di cui al citato art. 2643 c.c. ‒ esso sia stato trascritto prima della trascrizione della domanda giudiziale di risoluzione, ai sensi dell’art. 2652, 1° co., n. 1[69].

Orbene, per confutare tale seconda opzione si obietta che, pur dovendosi ritenere «di per sé ineccepibile»[70] la deduzione dell’applicabilità alla sentenza-contratto condizionata ex art. 2932 c.c. dell’istituto della risoluzione, poggiando essa sul corretto assunto per cui nei riguardi della pronuncia de qua operino le regole generali in materia contrattuale, tuttavia tale istituto possa invocarsi solo quando la sentenza ex art. 2932 c.c. sia priva della condizione di adempimento.

Solo in questa ipotesi ‒ secondo il riferito minoritario indirizzo ‒ la parte insoddisfatta può legittimamente scegliere tra la tutela esecutiva satisfattiva e la tutela risolutoria. Per converso, il rimedio risolutorio non può esperirsi né quando il giudice subordina l’effetto traslativo al pagamento del prezzo e fissa all’uopo un termine per il detto pagamento; né allorché il giudice disponga tale condizionamento, senza tuttavia fissare un termine di esecuzione della prestazione di pagamento del prezzo: in entrambi i casi deve domandarsi l’accertamento giudiziale del mancato avveramento della condizione, non già la risoluzione del contratto-sentenza[71].

In senso contrario si rileva, in via di principio, che, in riferimento alla fattispecie regolata all’art. 2932, 2° co., c.c., il meccanismo condizionale non possa operare: i) per un verso perché, nel caso in esame, esso «non attiene ai presupposti sostanziali per la pronuncia di tale sentenza, ma direttamente alla sua efficacia costitutiva»[72]; ii) per altro verso, perché attribuirebbe al giudice il potere di accertare l’inefficacia del rapporto contrattuale ai sensi dell’art. 1353 c.c. «come modificato da tale sentenza», potere di cui il giudice è, ex positivo jure, sguarnito[73].

Sotto altro profilo, si mette in luce come la figura della sentenza traslativa condizionale: i) non soltanto «produce una diseconomia processuale, quando l’evento non si avveri»; tanto, in palese controtendenza rispetto all’esigenza ad essa, in tesi, sottostante[74]; ii) altresì, viola il «principio di effettività della tutela giurisdizionale esecutiva, riconosciuto anche dall’art. 6 CEDU», se solo si osserva che «condizionare il trasferimento al pagamento entro un certo termine comporta che, nelle more, il credito è inesigibile, mentre scaduto il termine senza che il pagamento sia stato volontariamente eseguito, il giudicato si risolve ex tunc ed il creditore non può agire esecutivamente»[75].

Una diversa e più lineare evoluzione ha contrassegnato, invece, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità.

Essa, in un primo momento, ha abbracciato la tesi dell’obbligo di pagamento del prezzo di vendita quale “condizione di adempimento” [76].

In seguito, pur continuando ad attribuire connotazione “condizionale” alla sentenza de qua, ha mutato indirizzo[77] riconoscendo, ciononostante, la natura di prestazione essenziale del pagamento del prezzo[78], e qualificando il mancato pagamento non più causa di inefficacia automatica, ex art. 1353 c.c., degli effetti facenti capo all’assetto negoziale fissato nella sentenza, bensì ipotesi di risoluzione ex art. 1453 c.c., che la parte non inadempiente, la quale intenda sciogliersi dal contratto-sentenza, deve far valere in giudizio mediante la relativa impugnativa negoziale[79].

7. Così brevemente ricostruito l’“ambiente” interpretativo che ospita la tipologia di tutela in commento, si può, a questo punto dell’indagine, anche sulla base dell’inquadramento generale della fattispecie ex art. 2932 c.c. compiuto nei §§ precedenti, tracciare con più nitida consapevolezza il percorso logico-giuridico che, meglio degli altri, è in grado di soddisfare le concomitanti esigenze che si originano da questa peculiare species juris, e segnatamente: i) coniugare le regole processuali proprie della tutela cognitiva costitutiva con le regole che presidiano gli istituti di diritto sostanziale qui direttamente interessati: ciò, sull’assunto che, nel caso che qui occupa, la sentenza che accerta il diritto fatto valere in giudizio sia, invero, una “sentenza-contratto” e, in quanto tale, sia in via di principio da considerarsi, quanto alla disciplina applicabile, alla stregua di un normale regolamento contrattuale; ii) ricavare da una siffatta “combinazione eteronoma” di fonti taluni legittimi addentellati, anche mediante il raffronto coi risultati raggiunti in relazione alle ulteriori questioni decise, sempre in àmbito processuale, in tema di contrattazione preliminare[80].

A tal fine, appare necessario individuare, in primo luogo, gli “elementi identificativi” della fattispecie processuale all’esame.

Ebbene, come già rimarcato nel presente studio, l’azione in discorso è da ricondurre nel “modello” della tutela costitutiva; ciò importa ‒ per principio generale ‒ che la pronuncia giudiziale nella quale essa sfocia, oltre ad avere carattere normalmente irretroattivo[81], acquista efficacia esecutiva solo a seguito di passaggio in giudicato[82].

Quanto al “contenuto” della pronuncia in discorso, si è detto che essa decide su un petitum più ampio di (o comunque non esattamente coincidente con) quello fissato all’art. 2932 c.c., giacché non si limita a costituire, in favore del promissario acquirente, gli effetti del contratto definitivo non concluso (nel caso di specie, l’effetto traslativo del diritto di proprietà sull’immobile oggetto del contratto), ma ‒ nel rispetto del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato ex art. 112 c.p.c. e, dunque, entro i “confini” imposti dal domandato[83] ‒  dispone in favore del promissario alienante che, in tanto l’effetto traslativo si produce, in quanto il beneficiario di tale effetto (i.e. il promissario acquirente) abbia adempiuto gli obblighi che fanno capo al “programma contrattuale” definito in sede di stipula del preliminare, per tali intendendosi il pagamento (integrale o residuo) del prezzo di vendita, ma anche possibili ulteriori prestazioni, egualmente attuative di quello specifico regolamento di interessi.

In tal senso, dunque, si discorre di “sentenza condizionata”, vale a dire nel senso che essa “condiziona” l’effetto proprio di tale tutela “tipica” all’esecuzione della prestazione dovuta dal soggetto nella cui sfera giuridico-patrimoniale ha da realizzarsi detto effetto “tipico”[84].

Di talché, fermi i principi di diritto processuale qui operanti, occorre capire come essi debbano “combinarsi” col diritto sostanziale, che entra in gioco allorché la “condizione” apposta dalla sentenza risulti “inadempiuta”.

Si è detto nel § precedente che, nel caso che occupa, la mancata esecuzione della prestazione viene qualificata come mancato avveramento dell’evento dedotto in condizione sospensiva, secondo un indirizzo dottrinale minoritario e giurisprudenziale recessivo; come causa di risoluzione di un contratto sinallagmatico, secondo l’orientamento dottrinale dominante e la giurisprudenza consolidatasi sul punto.

A parere di scrive, la tesi maggioritaria merita condivisione.

Per chiarirne le ragioni è però necessario scrutinare la tematica dapprima “scomponendola” nei suoi singoli passaggi “logico-giuridici strutturali” o, comunque, “logicamente necessari”.

Ciò, nel tentativo di pervenire, all’esito di codesta operazione ermeneutica, a conclusioni scevre, per quanto possibile, da affermazioni apodittiche o illogiche.

Orbene, decidere di prestare adesione alla prima o alla seconda delle tesi illustrate rende necessario, anzitutto, risolvere la seguente questione di diritto sostanziale, che si pone come preliminare: può la prestazione che forma oggetto di un obbligo contrattuale “principale” essere, al tempo stesso, convenzionalmente dedotta dalle parti come condizione (sospensiva o risolutiva) di un contratto?

Più in dettaglio, riferendoci al caso che ci riguarda, il quesito da formulare è: può, in una sentenza-contratto di compravendita di un bene, la prestazione “pagamento (integrale o residuo) del prezzo di compravendita” ‒ che normalmente è la prestazione principale alla quale è tenuto uno dei contraenti ‒ assurgere (anche) a “condizione di adempimento” del contratto?

A tale quesito viene data, oggi, risposta positiva: sia la dottrina che la giurisprudenza riconoscono, quale espressione dell’autonomia negoziale, il potere delle parti contraenti di convenire che la prestazione essenziale del contratto non soltanto formi oggetto dell’obbligo posto a carico di una di esse, ma divenga anche condizione (sospensiva o risolutiva) di efficacia del contratto stesso, richiedendosi tuttavia, ai fini della validità della pattuizione, la prova di una volontà in tal senso espressa dalle parti medesime[85].

Sottolinea in proposito la Corte di legittimità che «prestazione e condizione non siano elementi fra loro inconciliabili, e che si rientri nel concetto tecnico di condizione nell’ipotesi in cui, secondo l’ordine naturale delle cose, un determinato evento, ancorchè costituisca il risultato del comportamento contrattuale previsto (non meramente potestativo) di una delle parti, oltre che futuro, sia obiettivamente incerto»[86]; ciò anche, in tesi, con riferimento al pagamento del prezzo, quale prestazione essenziale del contratto di compravendita.

Tanto chiarito, può dunque fissarsi un primo tassello in materia ed affermare che:

i. in via generale, è ammissibile una “condizione di adempimento” del contratto;

ii. con riguardo specifico alla sentenza che produce coattivamente l’effetto traslativo del contratto non concluso ‒ definibile, in quanto tale, “sentenza-contratto” ‒, è possibile discorrere di sentenza “condizionata”, vale a dire di sentenza alla quale, per mezzo di disposizione giudiziale, è apposta una “condizione di adempimento”, qui rappresentata dal pagamento del prezzo di compravendita, al quale ‒ come più volte ripetuto ‒ è subordinato il trasferimento del diritto.

Ferma, quindi, sotto i profili semantico e concettuale, l’astratta configurabilità di una “sentenza traslativa condizionata”, bisogna ora capire se la prestazione alla quale è subordinato il suddetto effetto traslativo sia “anche nella sostanza” una condizione ‒ id est: si verta in un’ipotesi di condizione in senso “tecnico” ‒ ovvero se, trattandosi di ipotesi risolutiva, il lemma “condizione” sia impiegato in maniera impropria, essendosi, in realtà, al cospetto di una fattispecie di risoluzione per inadempimento.

Per superare tale successivo step argomentativo, occorre muoversi in sincrono su due differenti piani:

– da un lato quello sostanziale, individuando il concreto atteggiarsi, nell’assetto degli interessi delle parti consacrato nell’autoregolamento, della mancata esecuzione della prestazione “pagamento del prezzo”;

– dall’altro quello processuale, valutando in che modo le regole che informano la tutela costitutiva possano incidere sulla qualificazione del “mancato pagamento del prezzo” come mancato avveramento di condizione sospensiva o, per converso, come causa di risoluzione per inadempimento.

Questo specifico approccio al tema ha il pregio di far emergere un aspetto ‒ dirimente, secondo chi scrive ‒ che sposta l’ago della bilancia verso la seconda delle opzioni prospettate.

Si tratta, segnatamente, del “termine” di adempimento dell’obbligo di pagamento del prezzo che il promissario acquirente “lucra” ‒ ex positivo jure ‒ dalla naturale inidoneità della sentenza-contratto emessa ex art. 2932 c.c. a produrre l’effetto traslativo prima del suo passaggio in giudicato.

Il mancato pagamento del prezzo (intero o residuo) dovuto nel termine fissato dalla sentenza-contratto (ovvero non fissato, e quindi coincidente con l’emanazione della sentenza), essendo stabilito mediante una pronuncia che, fino a quando non diventa irretratabile, non può ex se ricevere attuazione, integra, a ben vedere, gli estremi dell’inadempimento di “non scarsa importanza”, assurgendo, quindi, a elemento strutturale della risoluzione contrattuale per inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c.[87].

Detto altrimenti, poiché solo il passaggio in giudicato rende la sentenza-contratto emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., “fonte eseguibile” dei diritti e degli effetti da questa “portati”, è a tale momento che occorre guardare per individuare la funzione che, in concreto, assolve la prestazione “pagamento del prezzo” nell’attuazione del vincolo sinallagmatico.

In ciò, coglie perfettamente nel segno la Corte regolatrice, allorquando, nell’affermare la tesi che qui si accoglie, per la quale «il riferimento alla “subordinazione”, collegata al pagamento del prezzo (intero o residuo ancora dovuto), non introduce una condizione (sospensiva) di adempimento (seppure si tratti di istituto astrattamente ammissibile), nè una condizione (risolutiva) dell’effetto traslativo, bensì regola l’esigibilità dell’obbligo principale dell’acquirente», esprime questo specifico passaggio concettuale evidenziando che «non è (…) il trasferimento ad essere “subordinato” al pagamento del prezzo, ma è il pagamento del prezzo ad essere “subordinato” al trasferimento, che si produce solo con il passaggio in giudicato della sentenza-contratto costitutiva»[88], enunciando così, sulla scorta di esso ‒ a valle, quindi, dell’iter argomentativo eletto ‒ il principio di diritto, attualmente granitico in giurisprudenza, secondo cui «il pagamento del prezzo dipendente da sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. non si atteggia quale evento futuro ed incerto, accidentale rispetto all’atto di trasferimento, ed afferente alla mera efficacia di quest’ultimo, bensì quale elemento essenziale intrinseco, atto a ripristinare la corrispettività del contratto, di cui la sentenza tiene luogo, tanto che il mancato versamento del dovuto, all’esito del passaggio in giudicato della sentenza, non costituisce ragione di automatica inefficacia del trasferimento ex art. 1353 c.c., ma causa di inadempimento risolutivo»[89].

Sicché, occorre pervenire alla soluzione appena richiamata alla stregua del seguente ragionamento logico-deduttivo:

i. è astrattamente ammissibile la sentenza che, ai sensi dell’art. 2932 c.c., produce gli effetti di un contratto definitivo di compravendita non concluso, traslativo della proprietà del bene venduto, “condizionando” il detto effetto traslativo al pagamento del prezzo dovuto;

ii. tale sentenza costituisce la rinnovata “realtà giuridica sostanziale” divenendo essa stessa ‒ e dunque il suo contenuto, ancorché determinato ope judicis ‒ fonte del vincolo sinallagmatico, in quanto tale equiparabile, in punto di disciplina applicabile, ad un qualsiasi regolamento contrattuale (c.d. “sentenza-contratto”);

iii. la natura costitutiva di tale sentenza e, in particolare, la sua inidoneità a produrre effetti prima del suo passaggio in giudicato dà corpo ad una “vicenda” del sinallagma, che incide in via diretta ed immediata sul vincolo che lega prestazione e controprestazione;

iv. più in dettaglio, costituisce “vicenda” del sinallagma, atta ad incidere sul corretto funzionamento di questo, il mancato pagamento del prezzo di vendita (intero o residuo) entro il passaggio in giudicato della sentenza, momento a partire dal quale l’effetto traslativo diviene attuale e dal quale, quindi, deve considerarsi dipendente la prestazione pecuniaria;

v. tale “vicenda” ‒ che potremmo definire “qualificata”, in quanto prevista dalla legge (segnatamente, risultante dal combinato disposto degli artt. 2908 c.c., 2909 c.c., 2932 c.c. e 324 c.p.c.) ‒, attenendo al “modo d’essere” di una prestazione principale, sebbene sia formalmente descritta come “condizione”, è, nella sostanza, una fattispecie di risoluzione del contratto: se infatti si osserva la “struttura” che il rapporto negoziale assume per effetto della sentenza “traslativa condizionata”, non può non rilevarsi come l’obbligo di pagare il prezzo nel termine massimo imposto o comunque consentito dalla sentenza (passaggio in giudicato) sia elemento “proprio” ‒ o “essenziale intrinseco”, come insegna il diritto vivente ‒ del sinallagma, cosicché la sua mancata esecuzione nel predetto termine agisce direttamente sul sinallagma dissolvendone il fisiologico equilibrio ed integrando ‒ nello specifico ‒ gli estremi dell’inadempimento di non scarsa importanza ex 1455 c.c.;

vi. conseguentemente, la parte non inadempiente potrà far valere l’inadempimento della sentenza-contratto per mancato pagamento del prezzo ai sensi degli artt. 1453 c.c. e ss., mediante, dunque, azione di risoluzione, e non invocando ‒ avvalendosi, per contro, della tutela di accertamento mero ‒ l’inefficacia del rapporto ai sensi degli artt. 1353 c.c. e ss.

8. Qualificata l’obbligazione principale di un contratto a prestazioni corrispettive “elemento essenziale intrinseco” del rapporto sinallagmatico e, specularmente, “causa di risoluzione” il suo inadempimento (vuoi nel caso in cui essa non venga eseguita affatto, vuoi nel caso di sua esecuzione tardiva), sorge, infine, un’ulteriore “esigenza interpretativa”: interrogarsi su se oggetto della “condizione” recata dalla sentenza-contratto ex art. 2932 c.c. ‒ che attua coattivamente un preliminare di vendita non concluso ‒ possa essere soltanto l’obbligo di pagamento del prezzo (intero o residuo) pattuito ovvero se il ragionamento compiuto in relazione a tale specifico obbligo contrattuale possa estendersi anche a “prestazioni diverse”, sul presupposto, naturalmente, dell’identità di ratio.

Una siffatta esigenza non è, invero, per niente sfuggita alla giurisprudenza di legittimità.

Recentemente, la Corte regolatrice ha dovuto, anzi, necessariamente “farvi i conti”, essendo stata denunziata in sede di legittimità ‒ ad opera del promissario acquirente tenuto a corrispondere il residuo prezzo ‒ la violazione dell’art. 2932 c.c. per non avere il giudice del gravame considerato l’incidenza sul valore “finale” del prezzo di vendita della mancata cancellazione delle ipoteche iscritte sull’immobile; formalità, questa, posta a carico del promittente alienante e non eseguita[90].

Ebbene, la Suprema Corte, se da un lato ha ammesso la proponibilità della domanda di esecuzione specifica del contratto ex art. 2932 c.c. da parte del promissario alienante, nonostante il mancato adempimento dell’obbligo di eliminare i vincoli gravanti sul bene, dall’altro lato ha nondimeno ammesso la facoltà del promissario acquirente, che non abbia versato il residuo prezzo di vendita, di chiedere al giudice che, con la medesima pronuncia sostitutiva del contratto non concluso, «fissi condizioni e modalità di versamento idonee ad assicurare l’acquisto del bene libero da vincoli e tali da garantirlo da eventuale evizione»[91].

Il tenore della “formula” appena citata è volutamente generico, ancorchè suffragato da ipotesi esemplificative[92]; tanto perché, secondo la prospettazione della Corte, ciò che rileva non è la “tipologia” di prestazione che al giudice si chiede di imporre mediante pronunzia costitutiva, quanto piuttosto la “funzione” che la prestazione richiesta “gioca” sul controllo dell’«equilibrio sinallagmatico dei contrapposti interessi delle parti».

Ed è proprio questa la circostanza messa in luce, a tale specifico proposito, nei recenti casi scrutinati dai giudici di legittimità.

In particolare, si è evidenziato come il provvedimento che rigetta la richiesta di riduzione del prezzo di vendita per mancata cancellazione delle ipoteche iscritte sul bene generi ictu oculi uno “squilibrio” del sinallagma, così come “plasmato” dalle parti in sede di stipula del contratto preliminare, giacché: in forza di tale contratto, il promissario acquirente dovrebbe acquistare, in tesi, il bene libero da pesi ed oneri contestualmente al pagamento del residuo prezzo; al contrario, per effetto della sentenza, egli deve corrispondere il residuo prezzo per l’acquisto di un immobile ancora gravato da ipoteche “in vista” di una esecuzione successiva della suddetta formalità e, in ogni caso, esponendosi al rischio che, persistendo l’inadempimento, il promittente acquirente debba ricercare i creditori ipotecari, soddisfarli, per poi agire in rivalsa nei confronti del promittente alienante.

Correttamente, quindi, secondo il Supremo Collegio, nel giudizio promosso ai sensi dell’art. 2932 c.c. per mancato pagamento del residuo prezzo stabilito in sede di contrattazione preliminare, il giudice può ‒ nei limiti della domanda ‒ “modulare” il contenuto della pronuncia “in funzione” dell’attuazione di «un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni»[93].

La particolarità del caso risiede nel fatto che il suddetto “intervento riequilibrativo” possa consistere anche nell’attribuzione al giudice del potere di apporre, in accoglimento della domanda, una “condizione” ‒ id est: subordinare il pagamento della somma ancora dovuta dal promissario acquirente all’estinzione, da parte del promittente alienante, delle iscrizioni gravanti sull’immobile ‒ ad altra “condizione” (secondo il significato meglio precisato supra, nel § precedente) ‒ id est: subordinare l’effetto traslativo al pagamento di tale somma ‒, o, se si preferisce, del potere di emettere una sentenza-contratto riequilibrativa “doppiamente condizionata”[94].

Anche a tale approdo occorre prestare adesione, per almeno due ragioni.

Anzitutto, per l’apporto fornito alla teorica della sentenza “traslativa condizionata”: il principio di diritto in commento, formulato (e ribadito) da ultimo dal Supremo collegio, non soltanto si pone in linea di continuità con l’orientamento ormai consolidatosi in materia (certamente in seno alla giurisprudenza) ‒ il quale, come ampiamente rilevato, riconduce l’inadempimento della “condizione traslativa” nell’alveo del meccanismo risolutorio ‒ ma, enunciandone un corollario, altresì somministra vigore ulteriore all’impianto logico-sistematico su cui poggia la disciplina “in corso di costruzione” del fenomeno in oggetto.

Di poi, per la “funzione coerenziatrice” che l’impronta interpretativa, ancora una volta adottata per dare soluzione alla questione qui esaminata, svolge nell’àmbito della tematica, di indole più generale, delle “dinamiche processuali” che interessano i rapporti contrattuali sinallagmatici.

Ci si riferisce, in particolare, alle problematiche affrontate con riguardo agli effetti della sentenza costitutiva sul disposto dell’art. 282 c.p.c., per il quale, secondo l’intepretazione che ne dà il diritto vivente, la sentenza costitutiva produce effetti solo con il passaggio in giudicato.

Mette conto rammentare come questa regola, apparentemente scontata, sia stata invero protagonista di una nota querelle giurisprudenziale aperta nel 2007 dalla sezione III della Corte di Cassazione [95] sulla suscettibilità dei capi condannatori conseguenziali, recati dalla pronuncia costitutiva emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c. per l’attuazione coattiva di un contratto definitivo di vendita non concluso, ad essere eseguiti sin dall’emanazione della pronuncia di primo grado[96].

Sulla soluzione propugnata in quella sede, immediatamente criticata dalla più acuta dottrina[97], ebbe a rimeditare poco dopo la stessa Corte, prima a sezione semplice[98], in seguito nella sua più autorevole composizione[99].

Le Sezioni Unite, nel dare continuità all’orientamento assestatosi presso la giurisprudenza di legittimità fino al revirement del 2007 ed allineandosi alle argomentazioni addotte dalla dottrina sul punto, enunciarono il seguente principio di diritto: «Non è riconoscibile l’esecutività provvisoria del capo costitutivo, relativo al trasferimento dell’immobile, contenuto nella sentenza di cui all’art. 2932 c.c.; non è ravvisabile l’esecutività provvisoria della condanna implicita al rilascio dell’immobile, in danno del promittente venditore, scaturente dalla sentenza nella parte in cui dispone il trasferimento dell’immobile in quanto l’effetto traslativo della proprietà del bene si produce solo dal momento del passaggio in giudicato di tale sentenza ed è solo in questo momento, quindi contemporaneamente, che il bene trasferito viene acquisito al patrimonio del soggetto destinatario della pronuncia»[100].

Ebbene, in quell’occasione la Corte regolatrice fondò la decisione su premesse concettuali in tutto collimanti con quelle poste a base della questione al nostro esame[101], enucleando i seguenti postulati: i) per un verso, la «impossibilità di scissione, nelle sentenze ex art. 2932 c.c. in tema di contratto preliminare di compravendita, tra capi costitutivi principali e capi condannatori consequenziali, con riferimento specifico a quelli cc.dd. sinallagmatici le cui relative statuizioni fanno parte integrante della pronuncia costitutiva nel suo complesso», pena l’alterazione del sinallagma contrattuale; ii) per altro verso, la necessità di distinguere, nell’àmbito delle statuizioni di condanna, quelle «meramente dipendenti dal detto effetto costitutivo» ‒ che, in quanto tali, sono compatibili con il prodursi dell’effetto costitutivo in un momento temporale successivo e che, perciò stesso, hanno attitudine alla esecutività anticipata ‒ da quelle che, invece, «sono a tale effetto legate da un vero e proprio nesso sinallagmatico ponendosi come parte talvolta “corrispettiva” del nuovo rapporto oggetto della domanda costitutiva», ciò che accade proprio nel caso della condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo, condanna alla quale, pertanto, non è possibile riconoscere effetti esecutivi (…) altrimenti si verrebbe a spezzare il nesso tra il trasferimento della proprietà derivante in virtù della pronuncia costitutiva ed il pagamento del prezzo della vendita»[102].

Ed allora, se tutto quanto esposto e rilevato identifica lo scenario che oggi meglio rappresenta ‒ in subiecta materia ‒ il sistema e le sue più logiche manifestazioni, vien naturale affermare che, a ben riflettere, l’idea di rinvenire nell’“equilibrio sinallagmatico” dell’autoregolamento di interessi la “chiave di lettura” della tutela contrattuale “processuale” fosse già “in embrione”, settant’anni or sono, nelle parole del Montesano, lì dove l’insigne Maestro, nel descrivere la fattispecie di cui all’art. 2932 c.c. quale rimedio giudiziale a presidio dell’inadempimento del contratto preliminare, altro non scorgeva, in questa, se non una “ipotesi applicativa particolare” del «generale principio sancito dall’art. 1453 cod. civ., secondo il quale nei contratti con prestazioni corrispettive, quando un contraente non adempie il suo obbligo, l’altro può chiedere la risoluzione giurisdizionale del contratto»[103].

[1] Così C.M. Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto, 3ª ed., Milano, 2019, 160, il quale sottolinea che l’impiego di tale figura contrattuale è in genere preordinato a soddisfare due utilità: i) «impegnarsi provvisoriamente in attesa che sia regolarizzato qualche punto o integrato qualche presupposto del contratto che si intende stipulare»; ii) «non addossare alle parti gli oneri fiscali di un’operazione non ancora matura per l’adempimento e la cui attuazione potrebbe poi risultare concretamente preclusa».

[2] Cfr., infra, i §§ 5 e 8, nei quali vengono lambìte, per finalità strettamente inerenti all’oggetto del presente studio, talune dirimenti questioni risolte in parte qua dalla giurisprudenza. Quanto ai profili normativi generali dell’istituto in commento, v. infra, il § seguente, nonché, nel § 4, la nota 39.

[3] Non è questa la sede per indagare la disciplina sul contratto preliminare contemplata dalla normativa concorsuale e le diverse problematiche sul tema sottoposte, negli anni, al vaglio giudiziale ed all’approfondimento dottrinale. Basti qui ricordare che, ex positivo jure, con riferimento alle procedure concorsuali pendenti alla data di entrata in vigore del “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) ‒ i.e. il 15 luglio 2022 ‒, il profilo in esame è a tutt’oggi regolato dalla legge fallimentare, agli artt. 72 e 72 bis; tali norme disciplinano la sorte dei rapporti pendenti in generale (art. 72) e dei contratti relativi ad immobili da costruire (art. 72 bis) in ipotesi di fallimento di una delle parti contraenti. Diversamente, alle procedure assoggettate ratione temporis al Codice della crisi si applicano in parte qua, tra le norme sulla liquidazione giudiziale, gli artt. 173 («Contratti preliminari») e 174 («Contratti relativi ad immobili da costruire»): l’art. 173 innova parzialmente sul punto la disciplina di cui all’art. 72 l.fall.; per converso, l’art. 174 recepisce integralmente il contenuto dell’art. 72 bis l.fall.

Per una autorevole disamina delle questioni applicative compulsate dal nuovo impianto normativo, cfr. F. Terrusi, Il contratto preliminare tra vendita obbligatoria, vendita concorsuale e purgazione delle ipoteche, in REF, 1, 2024, 1 ss. e R. Muroni, La nuova figura della domanda giudiziale di esecuzione del contratto preliminare prevista nel comma 3 dell’art. 173 CCII, in Diritto della crisi, 17 febbraio 2025, ai quali si fa rinvio anche per i richiami bibliografici e giurisprudenziali.

Per le problematiche interpretative legate alla contrattazione preliminare, emerse nella casistica giurisprudenziale in relazione alla normativa fallimentare, v., in dottrina, tra gli altri, V. Colesanti, Fallimento del promittente e tutela del promissario: una «svolta» nella giurisprudenza?, in Riv. dir. proc., 2, 2005, 329 ss.; A. Didone, La facoltà del curatore di sciogliersi da un preliminare di vendita tra Sezioni Semplici, Sezioni Unite e Cedu, in il Fallimentarista, 14 luglio 2014; Id., Note minime su contratto preliminare di vendita, fallimento e trascrizione della domanda, in Giust. civ., I, 2012, 1489 ss.; M. Gaboardi, Fallimento e contratto preliminare di compravendita, in Fall., 8, 2012, 988 ss.; G.P. Macagno, Azione revocatoria fallimentare, effetti sui rapporti negoziali ed esenzione per gli immobili “da costruire”, in Fall., 4, 2022, 532 ss.; M. Montanari, Fallimento del promittente venditore e ragionevole durata del processo, in Fall., 2010, 11, 1249 ss.; G. Tarzia, Gli effetti del fallimento sui rapporti pendenti dopo la riforma ed il decreto correttivo, in Fall., 2007, 12, 1385 ss.

[4] A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, a cura di F. Anelli e C. Granelli, 25ª ed., Milano, 2021, 592.

Tra i principali studi della dottrina civilistica tradizionale cfr.: A. Di Majo, La tutela del promissario-acquirente nel preliminare di vendita: la riduzione del prezzo quale rimedio specifico, in Giust. civ., I, 1985, 1636 ss.; G. Gabrielli, Il contratto preliminare, Milano, 1970; G. La Rocca, L’esercizio in via surrogatoria del diritto nascente da contratto preliminare: profili problematici, in Foro it., 1996, I, 882 ss.; A. Luminoso, G. Palermo, La trascrizione del contratto preliminare: regole e dogmi, Padova, 1998;  S. Mazzamuto, L’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, XX, Tutela dei diritti, II, Torino, 1985; G. Palermo, Contratto preliminare, Padova, 1991; R. Rascio, Il contratto preliminare, Napoli, 1967.

Tra gli scritti successivi, ex ceteris, cfr. R. Ambrosino, Preliminare di vendita privo di certificato di agibilità: il rifiuto del promissario acquirente non pregiudica la richiesta di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., in i Contratti, 6, 2022, 616 ss.; M. Ambrosoli, Preliminare di preliminare: profili problematici e incertezze interpretative, in Corr. giur., 3, 2019, 341 ss.; V. Amendolagine, La prova del pagamento del corrispettivo nel preliminare di compravendita immobiliare, in Immobili & proprietà, 3, 2022, 143 ss.; D. Balbino, Il c.d. contratto preliminare ad effetti anticipati. Tra tentativi di qualificazione e risvolti applicativi, in i Contratti, 2, 2022, 132 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto, cit.; G. Capo, A. Musio, G. Salito, Il contratto preliminare, Padova, 2014; V. Carbone, Il diritto vivente dei contratti preliminari, in Corr. giur., 5, 2015, 614 ss.; V. Farro, Il contratto preliminare, Torino, 2006; F. Festi, Il contratto preliminare di preliminare, in Corr. giur., 5, 2015, 626 ss.; F. Gazzoni, Il contratto preliminare, Torino, 2010; A. Luminoso, Vendita con effetti obbligatori e promessa di vendita, in Riv. dir. civ., 2, 2022, 210 ss.; E. Serrao, Il contratto preliminare, Padova, 2011; G. Sicchiero, Contratto preliminare e termine per l’adempimento, in Giur. it., 8-9, 2022, 1821 ss.; G. Sicchiero, Validità dei preliminari di vendita di immobili ‘‘abusivi’’, in Giur. it., 4, 2022, 842 ss.

[5] Atteso il carattere obbligatorio della stipulazione, deriva che «il preliminare programma una successione di prestazioni dovute», tale per cui le parti «non sono in attesa del verificarsi di un evento futuro e incerto, ma sono tenute a compiere una prima prestazione (stipulazione del definitivo) e, a seguito di questa, le prestazioni finali (esecuzione del definitivo)»: così C.M. Bianca, Diritto civile, cit., 163.

[6] La fattispecie contemplata all’art. 2932 c.c. rappresenta una novità del vigente impianto codicistico. L’assenza, nell’abrogato codice civile, del rimedio in parola aveva dato vita ad un vivace dibattito attorno all’astratta configurabilità di uno strumento di tutela sostitutivo del consenso, da invocarsi allorchè il mancato consenso di una delle parti avesse impedito la produzione degli effetti voluti nel contratto preliminare.

Si era espressa in senso contrario la dottrina dominante (cfr., in particolare, L. Coviello, voce «Contratto preliminare», in Enc. Giur. it., III, 3.2, Milano, 1902, 68 ss. e P. Calamandrei, La sentenza come atto di esecuzione forzata, in Studi in onore di Alfredo Ascoli, Messina, 1931, 219 ss., ora in Opere giuridiche, IX, 344 ss.), nonché la giurisprudenza, quest’ultima individuando, quale unica azione esperibile a tutela del preliminare inadempiuto, quella risarcitoria ex art. 1218 c.c.; ciò, in applicazione del principio nemo ad factum cogi potest (tra le pronunce più significative del tempo, cfr. Cass., 17 gennaio 1925, in Foro it., 1925, I, 147).

Per contro, un primo “approccio” ricostruttivo nei riguardi della dimensione processuale del contratto preliminare, favorevole all’ammissibilità di una tutela giurisdizionale “specifica” del mancato adempimento del contratto preliminare, lo ritroviamo in un famoso scritto di Giuseppe Chiovenda del 1911 edito nella Rivista di diritto commerciale, confluito, successivamente, nella silloge Saggi di diritto processuale civile del 1993 [G. Chiovenda, Dell’azione nascente dal contratto preliminare, ora in Saggi di diritto processuale civile (1930), I, Napoli, 1993, 101 ss.]. In tale occasione il Chiovenda, commentando una pronuncia della Corte di Cassazione di Roma del 20 maggio 1910 (Fasce contro Fornari) ‒ che decideva, appunto, sull’azione nascente dal contratto preliminare ‒ osservava: «[l]e parti nel contratto preliminare si sono obbligate a volere, e non v’ha dubbio che il loro atto di volontà sia in se stesso incoercibile. Ma è questo un caso d’infungibilità giuridica? No: se l’effetto giuridico di questo atto di volontà può conseguirsi altrimenti» (ivi, 112). Lamentava, pertanto, l’assenza di una norma che permettesse «di costituire colla sentenza l’effetto giuridico a cui doveva condurre il contratto definitivo» (ivi, 110).

È alla tesi del Chiovenda che il legislatore si è dichiaratamente ispirato nel dare ingresso, nel nostro ordinamento, alla tutela ex art. 2932 c.c. Si legge, infatti, nella Relazione di accompagnamento al codice civile del 1942: «(…) È noto come la giurisprudenza, d’accordo con la dottrina tradizionale, neghi la possibilità dell’esecuzione specifica dell’obbligazione di concludere un contratto, poiché contenuto di questa sarebbe un fare infungibile: la prestazione del consenso. Senonché, ammessa la postestà del giudice di emanare, nei casi previsti dalla legge, provvedimenti costitutivi (art. 2908), ho ritenuto coerente tradurre in formula legislativa l’opposta soluzione, pur sostenuta da un’autorevole dottrina. Pertanto, l’art. 2932 sancisce la possibilità di ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto che si doveva concludere ma non è stato concluso, purché, per altro, ciò sia possibile (e l’accertamento della possibilità è affidata al prudente apprezzamento del giudice) o non sia escluso dal titolo che si fa valere (…)» (così la Relazione al Re per l’approvazione del testo del “Codice civile”, presentata nell’udienza del 16 marzo 1942-XX, § 1194).

[7] Sul punto cfr. S. Mazzamuto, L’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, in Aa.Vv., Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, XX, 2, Tutela dei diritti, 2ª ed., Torino, 1998, 380, il quale rimarca che «[l]a storia interna dell’art. 2932 (…) rivela soprattutto una mancata composizione, sul piano normativo, dei due profili dell’istituto, quello sostanziale e quello processuale».

[8] Cfr., anche per tale profilo, S. Mazzamuto, L’esecuzione specifica, cit., 380, che riferice come dottrina e giurisprudenza abbiano avuto «buon gioco nel sottolineare l’assenza, nel caso di specie, di un titolo esecutivo quale fondamento dell’azione e della decisione, nonché di una attività “materiale” come mezzo di realizzazione degli effetti desiderati, e dunque nell’affermare la sicura estraeità del rimedio di cui all’art. 2932 rispetto alle procedure di esecuzione forzata».

[9] Segnatamente, il § 1187, primo capoverso, della Relazione di accompagnamento al c.c. del 1942, nel precisare che il Capo II, Titolo IV del Libro VI del codice, «sotto la rubrica “Dell’esecuzione forzata”, si occupa degli effetti sostanziali dei provvedimenti che vengono dati in questa materia», effetti che «nel loro intrinseco sono per la maggior parte costitutivi o conseguenze di un effetto costitutivo, ma non possono confondersi con quelli menzionati nell’art. 2908, perché collegati qui a provvedimenti che hanno piuttosto carattere strumentale che non carattere di sentenze finali di merito», chiarisce, nel contempo, come a ciò faccia eccezione «[s]oltanto il caso dell’art. 2932 c.c.(esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto) [il quale] avrebbe potuto più propriamente ricondursi alla categoria dell’art. 2908, ma è parso più opportuno inserirlo nel quadro dei provvedimenti di esecuzione, in vista della sua finalità».

[10] Cfr., in particolar modo, S. Satta, L’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, in Foro it., 1950, IV, c. 73 ss. In senso conforme cfr., tra le voci della dottrina tradizionale, C. Mandrioli, L’esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1953, 70; V. Denti, L’esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1953, 42; F. Messineo, Contratto preliminare, contratto preparatorio e contratto di coordinamento, in Enc. Dir., X, Milano, 1962, 166 ss.; G.A. Micheli, Dell’esecuzione forzata, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Tutela dei diritti, Bologna-Roma, 1972, 189 ss.; F.D. Busnelli, Dell’esecuzione forzata (artt. 2910-2933), in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 1990, 368.

[11] L’autorevole considerazione appartiene al Satta: cfr. S. Satta, L’esecuzione specifica, cit., 75.

[12] S. Satta, L’esecuzione specifica, cit., 75.

[13] S. Satta, L’esecuzione specifica, cit., 76.

[14] A. Proto Pisani, Le tutele giurisdizionale dei diritti (Studi), Napoli, 2003, 195 ss. La confutazione di tale tesi è acutamente argomentata da R. Muroni, L’azione ex art. 2932 c.c. Contributo allo studio del giudicato costitutivo, Napoli, 2018, 183 s., la quale rileva che «l’effetto costitutivo sostanziale di una sentenza può essere ricondotto solo all’applicazione di una norma di modificazione giuridica, che fonda il potere del giudice di produrre la modificazione del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, che non rappresenta un quid pluris, esterno a quell’accertamento, ed esecutivo, similmente alle sentenze di condanna. In queste ultime, il giudice accerta solamente il diritto obbligatorio violato, producendo il distinto effetto processuale dell’azione esecutiva»; ad avviso dell’A., la «assoluta peculiarità» della fattispecie ex art. 2932 c.c., che «è senz’altro una norma di modificazione giuridica», sta in ciò, che «l’effetto giuridico che il giudice è chiamato a costituire non è determinato dalla stessa norma (…), ma dall’accertamento della concreta volontà negoziale espressa nel preliminare dalle parti, quale fattispecie originaria di modificazione giuridica, che per tale via viene quindi attuata (in via sostitutiva però)».

[15] Tanto, in ossequio alle parole del legislatore: come si è visto supra, in nota 9, nel § 1187, 1° cpv. della Relazione al re si sottolinea che la fattispecie di cui all’art. 2932 c.c., pur appartenendo alla «categoria» delle azioni costitutive, è stata inserita, per ragioni di opportunità, «nel quadro dei provvedimenti di esecuzione»; ragioni, queste ultime, espressamente identificate, dal legislatore medesimo, nella «finalità» esecutiva dell’archetipo normativo in discorso.

[16] Sul punto v., ad esempio, S. Mazzamuto, L’esecuzione forzata, cit., 376 ss. e A. Chianale, Contratto preliminare, in Digesto civ., IV, 1989, Torino, 286, entrambi mutuando, in parte qua, il pensiero già espresso tempo addietro dal Calamandrei (cfr. P. Calamandrei, La sentenza come atto di esecuzione forzata, ora in Opere giuridiche, a cura di M. Cappelletti, IX, Napoli, 1983, 48 ss.), che però, facendo leva anche sul suddetto criterio topografico, definiva più radicalmente la pronuncia ex art. 2932 c.c. fonte di esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligazione per cui si agisce.

[17] In questo senso, segnatamente, L. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, 2ª ed., Torino, 1997, 165 ss. e spec. 166, ove l’A. afferma che «la sentenza in esame costituisce i nuovi rapporti negoziali proprio fissandone il momento iniziale; e perciò essa è sicuramente costitutiva-determinativa, anzi, essendo quei rapporti già tutti predisposti (…) dal preliminare, questa fissazione temporale è, in sostanza, l’unica modificazione giuridica (di specie “integrativa” e non creativa di rapporti) qui prodotta» (sul pensiero sviluppato in materia dal Montesano v. amplius infra, il § 4); perviene alla medesima conclusione assegnando, però, precipua rilevanza alla funzione esecutiva dell’azione de qua S. Mazzamuto, L’esecuzione forzata, cit., 379, per il quale, nel caso di specie, occorre considerare «l’aspetto costitutivo» alla stregua di «una tecnica, assimilabile all’esecuzione stricto sensu, per il cui tramite si realizza una tutela tipicamente satisfattoria del diritto al contratto», così da poter «recuperare in via analogica, principi e regole propri dell’esecuzione forzata, e tra questi soprattutto la previsione di poteri determinativi di cui all’art. 612 c.p.c.».

[18] L. Montesano, Contratto preliminare e sentenza costitutiva, Napoli, 1953.

[19] L. Montesano, Obbligazione e azione da contratto preliminare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, I, 1173 ss.

[20] L. Montesano, La sentenza ex art. 2932 c. c. come accertamento costitutivo dell’equivalenza tra contratto preliminare e contratto definitivo ad effetti differiti?, in Rass. dir. civ., 1987, 239 ss.

[21] L. Montesano, Contenuti e sanzioni delle obbligazioni da contratto preliminare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 33 ss.

[22] Mette conto precisare che solo in tempi recenti la tematica in esame è divenuta nuovamente oggetto di approfondimento sistematico da parte della dottrina processualcivilistica (ci si riferisce alla compiuta analisi svolta da R. Muroni, L’azione ex art. 2932 c.c., cit., passim): per molti decenni, l’Opera «Contratto preliminare e sentenza costitutiva» del Montesano è stata l’unica “fonte” dottrinale processuale di carattere monografico in materia. Considerata, dunque, la rilevanza che la stessa a tutt’oggi assume nel panorama scientifico ed in sede applicativa, chi scrive ritiene doveroso “percorrere”, nel presente § (ancorchè in estrema sintesi) sia i “passaggi” che compendiano il pensiero espresso dall’A. in tale studio ‒ la cui dettagliata disamina, in specie per le connotazioni di stampo sostanziale, si ritrova anche in R. Rascio, Il contratto preliminare, cit., 10-17 ‒, sia l’“evoluzione” delle sue riflessioni, rinvenibili nell’ultimo scritto sul tema.

[23] La considerazione, citata in L. Montesano, Contratto preliminare, cit., 18, è contenuta in F. Carnelutti, Ancora sulla forma della promessa bilaterale di compravendere immobili, in Riv. dir. comm., 1911, II, 616 ss. Essa è alla base della costruzione del contratto preliminare come “momento della formazione progressiva del contratto”, propria ed esclusiva, nella dottrina italiana dell’epoca, di tale Maestro, a parere del quale si ricorre al preliminare quando si è d’accordo su alcune, ma non su tutte le clausole contrattuali. Il Montesano, per un verso, rileva come il pensiero del Carnelutti «mostri esattamente come nella vita concreta del diritto il preliminare serva a vincolare le parti in un momento delle trattative precontrattuali»; obietta, tuttavia, la mancata valutazione: i) della circostanza per cui «dovrebbe essere per lo meno dubbio che un preliminare così costruito abbia ad oggetto la formazione del contratto e non le trattative per predeterminarne il contenuto» (L. Montesano, Contratto preliminare, cit., 20); ii) dei casi «nei quali le parti, che si obbligano col preliminare, si sono già pienamente e definitivamente accordate sul contenuto del contratto» (ibidem).

Di contro, egli dichiara di preferire alle teorie civilistiche tradizionali, che fondano il negozio giuridico e i suoi effetti sul “dogma della volontà”, quelle elaborate dal Kelsen (H. Kelsen, Hauptprobleme der Staatsrechtslehre entwickelt aus der Lehre vom Rechtssatze, Tuebingen, 1911) ‒ recepite e diffuse in Italia, com’è noto, da Santi Romano (S. Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, voce Autonomia, voce Atti e negozio giuridici) ‒ le quali definiscono i negozi atti produttivi non immediatamente degli effetti negoziali, ma dei comandi o dei precetti, ovvero delle norme, che disciplinano quegli effetti, e, in ragione di ciò, configurano la “norma negoziale” come una “terza entità”, che si aggiunge alle altre due (id est il negozio e gli effetti negoziali) ponendosi nel mezzo di tale ideale “sequenza fenomenica”. Dalla configurazione di tre (non più due) fenomeni giuridici discende, naturaliter, la individuazione non di una, sibbene di due fattispecie: «la prima disciplinata dalla norma legislativa che prevede il negozio come atto produttivo del comando o del precetto o della norma negoziale; la seconda disciplinata dal comando o dal precetto o dalla norma negoziale, che prevede gli effetti negoziali» (L. Montesano, Contratto preliminare, cit., 38 s.).

Come meglio si capirà fra breve, ai fini che ci occupano le teorie kelseniane sono accolte dal Montesano, nell’Opera in commento, nella misura in cui, alla stregua di queste: i) l’adempimento e l’inadempimento dell’obbligo possono, in tal modo, così identificarsi giuridicamente: «[i]l primo non è un atto giuridico, poiché non costituisce l’esercizio di alcun potere giuridico, ma coincide con quel comportamento che permette la pacifica soddisfazione dell’interesse prevalente. Il secondo è un atto illecito, cioè il presupposto per l’esercizio del potere giuridico di applicare la sanzione»; ii) conseguentemente, «il contenuto dell’obbligo, coincidendo con l’assenza di potere, non può mai consistere nell’esercizio di un potere, e quindi nella creazione di un negozio» (ivi, 45) .

[24] Sulla base, beninteso, delle premesse concettuali accolte dal Montesano, esposte ‒ limitatamente agli aspetti che qui rilevano ‒ nella nota precedente.

[25] L. Montesano, Contratto preliminare, cit., 78. Detto altrimenti, secondo il Montesano, «[q]uando le parti si obbligano, nei sensi suindicati, a porre la documentazione successiva del negozio, oggetto dell’obbligo è la nuova dichiarazione documentata che costituisce la prova storica del precedente negozio. Le parti, cioè, si obbligano a confessare in una certa forma l’avvenuta produzione di un negozio» (ivi, 79) . Tanto, ad avviso dell’A., risulta giuridicamente sostenibile in quanto, essendo la confessione un mero fatto giuridico, può essa «essere oggetto di un obbligo, senza che ciò significhi che l’oggetto medesimo consista nella produzione di una norma o di un comando» (ivi, 80).

[26] L. Montesano, Contratto preliminare, cit., 122: tanto ‒ spiega l’A. ‒ perché «in nessun caso e in nessuna forma il giudice riuscirebbe qui (…) a fare quel che il debitore non ha fatto, cioè (…) a creare la mancante documentazione successiva del contratto».

[27] L. Montesano, Contratto preliminare, cit., 124.

[28] L. Montesano, Contratto preliminare, cit., 126.

[29] Ibidem.

[30] Ibidem.

[31] L. Montesano, Contratto preliminare, cit., 127.

[32] L. Montesano, Contratto preliminare, cit., 127 s.: si tratterebbe, nello specifico, di una «risoluzione giurisdizionale parziale del contratto preliminare in seguito all’inadempimento di un obbligo» atteso che, «se un contraente non adempie per parte sua l’obbligo bilaterale della documentazione condizionante gli effetti contrattuali, l’altro contraente può chiedere la risoluzione giurisdizionale dell’obbligo stesso, può chiedere cioè che in virtù di sentenza gli effetti, già interamente previsti e disciplinati dal contratto preliminare, si producano nonostante la mancata “conclusione del contratto definitivo”» (ivi, 128). La tesi testé riferita è in tal punto meglio descritta da R. Rascio, Il contratto preliminare, cit., 17, il quale chiarisce che, secondo il Montesano, «[c]aduto tale diaframma, hanno senz’altro luogo gli effetti e si spiega perché la loro disciplina è quella contrattuale: lo impone la loro unica fonte, il negozio denominato “contratto preliminare”».

[33] L. Montesano, Contenuti e sanzioni, cit., 33 ss.

[34] Com’è noto, l’impianto originario del codice civile, che dedicava all’istituto soltanto due norme (gli artt. 1351 e 2932 c.c.) è stato successivamente integrato, in parte qua, con l’inserimento ‒ mediante il d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, conv. dalla l. 28 febbraio 1997, n. 30 ‒ di due nuove disposizioni: l’art. 2645 bis, introduttivo dell’onere della trascrizione del contratto preliminare, e l’art. 2775 bis, che ha attribuito natura privilegiata al credito del promissario acquirente derivante dalla mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell’articolo 2645 bis c.c.

L’implementazione del nucleo di tutele erogato al promissario acquirente è stata realizzata, inoltre, in relazione ad una peculiare “categoria” di contrattazione preliminare, quella avente ad oggetto gli edifici da costruire o in corso di costruzione. Nello specifico, il legislatore ha ovviato ad una condizione di tutela particolarmente precaria alla quale in origine soggiaceva il promissario acquirente di un immobile o non ancora costruito o non ancora ultimato: costui, in ipotesi di fallimento dell’imprenditore, non poteva opporre al fallimento il contratto preliminare, trattandosi di contratto ad effetti obbligatori e non reali, né poteva partecipare alla fase di riparto, per le somme eventualmente già versate, in qualità di creditore privilegiato. Si è così proceduto, dapprima, operando sulla normativa comune, attraverso l’estensione a questa apposita tipologia di contratto preliminare dell’onere di trascrizione e della correlata acquisizione della ragione di privilegio (gli artt. 2645 bis e 2775 bis c.c., testé indicati). In seguito, si è intervenuto in maniera più incisiva, mediante il d.lgs. 20 giugno 2005, n.122, recante «Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della legge 2 agosto 2004, n. 210», il quale ha conferito alla materia una disciplina “organica”, regolata nei suoi principali aspetti, ivi compreso quello della stipula del contratto preliminare (cfr., spec., l’art. 6 del d.lgs. 122/2005).

[35] L. Montesano, Contenuti e sanzioni, cit., 33.

[36] L. Montesano, Contenuti e sanzioni, cit., 34; sicché, «la preliminarietà consiste nell’eccezionale dilazione del pieno ingresso nell’ordinamento del tipo di negozio già irremovibilmente prescelto ed elaborato dalle parti» (ivi, 36).

[37] L. Montesano, Contenuti e sanzioni, cit., 36 s.

[38] E ferma, in ogni caso, la garanzia della trascrizione ex art. 2645 bis c.c.: v. nota 39.

[39] L. Montesano, Contenuti e sanzioni, cit., 39, ciò rappresentando, ad avviso dell’A., «attuazione specifica della regola generale di cui all’art. 1183 c.c. secondo cui “ogni termine iniziale di produzione di effetti, cui le parti siano vincolate, quando non possa essere stabilito contestualmente al contratto (…), sia fissato d’accordo tra le parti o, in mancanza, dal giudice” (art. 1183 c.c.)» (ivi, 40).

[40] Cass., 28 marzo 2024, n. 8442, in Contr., 4, 2024, 360, con nota critica, in punto di diritto sostanziale, di E. Manazza ed in Imm & propr., 5, 2024, 321; Cass., 22 marzo 2023, n. 8164.

[41] Si tratta di Cass., S.U., 15 giugno 2015, n. 12310, pubblicata: in Foro it., 2015, I, c. 3190 ss., con nota di A. Motto, Le sezioni unite sulla modificazione della domanda giudiziale; in Corr. giur., 2015, 961 ss., con nota di C. Consolo, Le S.U. aprono alle domande “complanari”: ammissibili in primo grado ancorché (chiaramente ed irriducibilmente) diverse da quelle originarie; in Foro it., 2016, I, 255 ss., con nota di C.M. Cea, Tra “mutatio” ed “emendatio libelli”: per una diversa interpretazione dell’art. 183 c.p.c.; in Riv. dir. proc., 2016, 807 ss., con nota di E. Merlin, Ammissibilità della mutatio libelli da “alternatività sostanziale” nel giudizio di primo grado; in Giur.it., 2015, 2101 ss., con osservazioni di G. Palazzetti, Ammissibilità dei nova ex art. 183,5°comma; in Iura & Legal Systems, 2017, 16 ss., con nota di S. Conforti, Emendatio libelli” e diritto di difesa. Brevi riflessioni a margine di Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310.

[42] A partire da Cass., S.U., 5 marzo 1996, n. 1731, in Giust. civ., 1996, I, 1295 ss., che abbracciò la tesi più rigorosa, allora minoritaria (v. Cass., 12 febbraio 1993, n. 1782, in Mass. Giust. civ., 1993, 290; Cass., 20 agosto 1990, n. 8442, in Giur. it., 1990, I,1,169).

[43] Il problema si è prospettato, negli anni, ogniqualvolta, a causa della ricostruzione non sempre univoca della comune intenzione delle parti, l’attore: i) proposta ex art. 2932 c.c. domanda di esecuzione specifica del contratto definitivo non concluso, nel corso del giudizio di primo grado chieda al giudice non più di emettere la predetta pronuncia costitutiva, bensì ‒ sul presupposto che il negozio in contesa sia, in realtà, da qualificarsi come contratto definitivo e non già (alla stregua di quanto inizialmente assunto) come preliminare ‒ di accertare e dichiarare l’avvenuta produzione dell’effetto traslativo del diritto che ne forma oggetto; ii) all’inverso, proposta inizialmente domanda di accertamento dell’avvenuto trasferimento del bene, formuli in seguito domanda di esecuzione coattiva del contratto preliminare inadempiuto.

[44] Ciò, in ragione dell’intervenuto mutamento del quadro normativo ed assiologico in seno al quale si era formato il contrapposto orientamento.

[45] E cioè «la convinzione che non è ammessa la proposizione di domande “nuove”» nel corso dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. «e la connessa convinzione che nella logica di detta norma devono ritenersi “nuove” le domande che differiscono da quella iniziale anche solo per uno degli elementi identificativi sul piano oggettivo (petitum, causa petendi)» (così, in motivazione, Cass., S.U., 15 giugno 2015, n. 12310, cit.).

[46] I richiami all’art. 183 c.p.c. ‒ si ribadisce ‒ sono da intendersi riferiti alle attuali preclusioni di cui all’art. 171-ter c.p.c.

[47] Cass., S.U., 15 giugno 2015, n. 12310, cit.

[48] Da ultimo, sul punto, v. Cass., 8 novembre 2024, n. 28873 (richiamando quanto trovasi pedissequamente enunciato, ex ceteris, in Cass., 2 agosto 2024, n. 21821; Cass., 12 luglio 2024, n. 19246; Cass., 25 giugno 2024, n. 17509; Cass., 22 marzo 2024, n. 7846; Cass., 22 dicembre 2023, n. 35920; Cass., 20 giugno 2022, n. 19876; Cass., 24 marzo 2022, n. 9633; Cass., 11 febbraio 2021, n. 3571; Cass., 7 settembre 2020, n. 18546): «nel processo civile di cognizione, ciò che rende ammissibile l’introduzione in giudizio da parte dell’attore di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere oltre la barriera preclusiva segnata dall’udienza ex art. 183 c.p.c. [n.d.r.: oggi dalle memorie ex art. 171-ter c.p.c.] è il carattere della teleologica “complanarità”, dovendo pertanto tale diritto attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere alla realizzazione (almeno in parte) dell’utilità finale già avuta di mira con l’originaria domanda (salva la differenza tecnica di petitum mediato) e rivelarsi di conseguenza incompatibile con il diritto per primo azionato».

[49] Così, in motivazione, Cass., 7 settembre 2020, n. 18546; in termini Cass., 11 febbraio 2021, n. 3571; Cass., 2 agosto 2024, n. 21821.

[50] Vale a dire, perché «ritiene la domanda come modificata più rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio» (così, significativamente, in parte motiva, Cass., S.U., 15 giugno 2015, n. 12310, cit.).

[51] V. in argomento, supra, il § 3.

[52] Che, invero, assurge a vera e propria condizione di ammissibilità della domanda giudiziale. In proposito si evidenzia, in dottrina, che la regola enucleata all’art. 2932, 2° co., c.c. costituisce applicazione del precetto civilistico generale inadimplenti non est adimplendum, temperato, nell’ipotesi che occupa, dalla «particolarità che il legislatore ha elevato, a maggior garanzia del convenuto, l’usuale exceptio al rango di condizione di ammissibilità dell’azione»: così S. Mazzamuto, L’esecuzione specifica, cit., 425, conformandosi in parte qua a quanto osservato da F.D. Busnelli, in L. Bigliazzi Geri, F.D. Busnelli, R. Ferrucci, Della tutela giurisdizionale dei diritti, in Comm. cod. civ., VI, 4, Torino, 1980, 378 s.; F. Messineo, Contratto preliminare, cit., 185; G.A. Micheli, Dell’esecuzione forzata, in Comm. Scialoja, Branca, VI, Bologna-Roma, 1964, 197; V. Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, 351; G. Gabrielli, Il contratto preliminare, Milano, 1970, 415. Diversamente R. Muroni, L’azione ex art. 2932 c.c., cit., 202, qualifica il presupposto in commento «condizione di fondatezza della domanda costitutiva (…) che si aggiunge alle altre condizioni previste dalla norma di modificazione in esame».

[53] E in tali termini già descritta da S. Mazzamuto, L’esecuzione specifica, cit., 426, il quale acutamente ha sottolineato come una siffatta ratio, se posta a fondamento del concetto di “(in)esigibilità della prestazione” idoneo a giustificare l’ammissibilità della domanda attorea, accolto dalla giurisprudenza, “innalza” e non “abbassa” la «soglia di tutela del convenuto» (ivi, 425).

[54] È pacifico, oggi, in seno al diritto vivente, che, «[i]n tema di contratto preliminare, ai fini dell’accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. è sufficiente la semplice offerta non formale di esecuzione della prestazione in qualsiasi forma idonea a manifestare la relativa volontà soltanto se le parti abbiano previsto il pagamento del prezzo, o del residuo prezzo, contestualmente alla stipula del contratto definitivo. Se, invece, il pagamento del prezzo o di una parte di esso deve precedere la stipulazione del contratto definitivo, la parte è obbligata, alla scadenza del previsto termine, anche se non coincidente con quella prevista per la stipulazione del contratto definitivo, al pagamento, da eseguirsi nel domicilio del creditore o da offrirsi formalmente nei modi previsti dalla legge, non sussistendo in tale ipotesi nessuna ragione che giustifichi la sufficienza dell’offerta informale; in caso contrario, colui che è tenuto al pagamento è da considerarsi inadempiente e non può ottenere il trasferimento del diritto, ove la controparte sollevi l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c.»: Cass., 13 dicembre 2007, n. 26226, in Mass. Giust. civ., 12, 2007 ed in Vita not., 1, 2008, 272; in senso conforme le successive Cass., 22 maggio 2015, n. 10546, in GiustiziaCivile.com, 7 settembre 2015; Cass., 4 novembre 2015, n. 22549; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27342; Cass., 7 ottobre 2024, n. 26146; Cass., 8 novembre 2024, n. 28845; Cass., 2 dicembre 2024, n. 30848.

[55] Ciò, già a partire da Cass., 12 aprile 1965, n. 663, in Foro it., 1965, I, 754; conf., ex ceteris, Cass., 8 febbraio 1971, n. 331, id., 1971, I, 1616; , Cass., 13 febbraio 1981, n. 893, in Rep. Foro it., 1981, voce «Contratto in genere», n. 159; Cass., 9 gennaio 1993, n. 144, in Arch. Civ., 1993, 557; Cass., 10 novembre 2003, n. 16822; Cass., 28 ottobre 2004, n. 20867; Cass., 21 aprile 2005, n. 8368; Cass., 27 novembre 2007, n. 24655; Cass., 6 ottobre 2022, n. 29057. Poche e risalenti, invece, le pronunce che hanno qualificato esigibile la controprestazione con adempimento da eseguirsi “contestualmente” alla stipulazione del contratto definitivo: cfr. Cass., 17 gennaio 1951, n. 1018, in Rep. Foro it., 1952, voce «Obbligazioni e contratti», n. 540; Cass., 7 dicembre 1961, n. 2776, id., 1961, voce ult. cit., n. 422.

[56] Il “far stato” dell’accertamento contenuto nella sentenza finale di merito ‒ voluto dall’art. 2909 c.c. ‒ appare, in linea di principio ‒ e diversamente da quanto previsto per il contratto ‒, incompatibile con la circostanza per cui una pronuncia di accertamento, ma anche di condanna, ovvero costitutiva, possa essere “condizionata”, in positivo o in negativo, al verificarsi di un evento futuro ed incerto. Detto condizionamento, infatti, «sembra (…) contraddire il concetto stesso di accertamento» (così G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, II, 6ª ed., Bari, 2023, 229).

Ciò malgrado, nel diritto processuale civile trova esplicito riconoscimento la “categoria” delle sentenze “condizionali” o “condizionate”.

Vengono qualificate “condizionali” (o “condizionate”) le sentenze che «contengono una statuizione in virtù della quale il sorgere dei loro effetti (o almeno di uno di essi) è fatto dipendere da un evento futuro e incerto, di modo che questi potrebbero manifestarsi in un momento diverso rispetto a quello fissato dalle regole che ne stabiliscono il normale tempo di produzione»: la definizione generale delle sentenze in esame, qui riportata, ci viene offerta da L. Penasa, Contributo allo studio delle sentenze condizionali. Fondamenti sistematici, Padova, 2023, 9; a tale recente lavoro monografico chi scrive fa rinvio per un compiuto inquadramento teorico e sistematico del fenomeno in commento. Nondimeno, giova qui segnalare gli studi sviluppati sul tema dalla dottrina più risalente, grazie ai quali è oggi possibile individuare un autonomo “contenitore concettuale” – i.e. quello della sentenza condizionale – capace di raccogliere nel suo seno queste pronunce. Più in particolare ‒ e seguendo il percorso descrittivo del Penasa ‒ occorre ascrivere a Giuseppe Chiovenda le prime riflessioni in materia, espresse, nello specifico, per configurare giuridicamente la condanna con riserva delle eccezioni (G. Chiovenda, Azioni sommarie. La sentenza di condanna con riserva, in Id., Studi di diritto processuale civile, I, rist., Milano, 1993, 121 ss.); a Filippo Vassalli (F.E. Vassalli, La sentenza condizionale, Studio sul processo civile, Roma, 1918) si deve, invece, la «prima ampia ricostruzione sistematica della categoria della sentenza condizionale» (così L. Penasa, Contributo, cit., 10), ricostruzione notevolmente “snellita” dai successivi Maestri occupatisi del tema, e segnatamente Francesco Carnelutti (F. Carnelutti, La sentenza condizionale, in Id., Studi di diritto processuale, Padova, 1925, 295 ss. ed in Riv. dir. pubbl., 1920, I, 247 ss.), Carlo Calvosa (C. Calvosa, La sentenza condizionale, Roma, 1948) e Antonio Segni (A. Segni, sub artt. 2908-2909 c.c., in R. Nicolò, V. Andrioli, A. Segni, G.A. Micheli, G. Azzariti, G. Scarpello, Tutela dei diritti, Artt. 2900-2969, in Aa.Vv., Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja, G. Branca, Bologna-Roma, 1953).

Non è possibile, nel presente scritto, passare in rassegna il contenuto delle teorie forgiate sul punto dalla dottrina citata e da quella successiva: per ciò, occorre necessariamente rinviare, anche per ulteriori richiami autoriali e giurisprudenziali, a L. Penasa, Contributo, cit., 9-32. Vale però la pena evidenziare in questa sede che, a conclusione dell’indagine svolta, l’A. attribuisce a tutt’oggi validità alla distinzione tra sentenze condizionali “proprie” ed “improprie”. Tali pronunce condividono, in primo luogo, «la presenza di una statuizione del giudice che ne fa dipendere uno o più degli effetti a un evento futuro e incerto»; in secondo luogo, il comune carattere “tassativo”. Per contro, esse divergono tra loro «con riguardo al carattere dell’accidentalità, che pertiene soltanto alla statuizione contenuta nelle prime e non invece nelle seconde» [così L. Penasa, Contributo, cit., 243, che ‒ ai fini che qui interessano ‒ iscrive nelle c.d. “condizionali improprie” (anche) le pronunce costitutive «la cui efficacia (…) sia fatta dipendere dal successivo ed eventuale realizzarsi (…) del presupposto ‒ (…) mancante – della modificazione giuridica disposta nel dictum costitutivo»].

[57] V., per tutte, Cass., 9 gennaio 1993, n. 144, cit., a tenor della quale «[i]l contraente che chiede, a norma dell’art. 2932 c.c., l’esecuzione specifica di un contratto preliminare di vendita è tenuto ad eseguire la prestazione a suo carico, o a farne, comunque, offerta, solo se tale prestazione sia già esigibile al momento della proposizione della domanda, mentre non è tenuto a pagare, o ad offrire, il prezzo concordato, o l’eventuale parte residua di esso, quando in virtù delle obbligazioni nascenti dal preliminare il pagamento del prezzo risulti dovuto all’atto della stipulazione del contratto definitivo, o, addirittura, in un momento successivo: in questa ipotesi, la sentenza sostitutiva del contratto definitivo, promesso e non concluso, deve essere senz’altro emessa, ed il pagamento del corrispettivo, o della quota residuale, va imposto come condizione per il verificarsi, o per il permanere, dell’effetto traslativo derivante dalla pronuncia».

[58] V. Andrioli, Diritto processuale civile, cit., 352; M. Giorgianni, Contratto preliminare, esecuzione in forma specifica e forma del mandato, in Giust. civ., 1961, 70; C. Vallini, Contratto con prestazioni corrispettive ed esecuzione in forma specifica, in Foro it., 1966, 1804; N. Visalli, L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre (art. 2932 c.c.), Padova, 1995, 187 ss.

[59] G. Gabrielli, Il contratto preliminare, cit., 434; R. Speciale, Contratti preliminari e intese precontrattuali, Milano, 1990, 75. Sul problema della compatibilità col diritto positivo di una pronuncia “a prestazione condizionata” v. anche C. Mandrioli, In tema di condanna a prestazione condizionata, in Giur. it., 1956, I, 1, 810 ss., nonché L. Lanfranchi, Accertamento condizionato di credito eventuale in funzione preventiva, in Giur. it., 1969, I, 2, 690 ss.; C. Consolo, Il cumulo condizionale di domande, I, Struttura e funzione, Padova, 1985; B. Zuffi, Sull’incerto operare del fenomeno condizionale nelle sentenze di accertamento e di condanna, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 997 ss.

[60] C. Vallini, Contratto con prestazioni corrispettive, cit., 1807.

[61] Ovvero, in taluni casi, pur non condividendo, a monte, la ragione per cui la Corte regolatrice, da un lato, intraveda nell’effetto traslativo reale di cui alla sentenza ex art. 2932 c.c. una condizione sospensiva; dall’altro, affermi che il mancato avveramento della condizione cagioni l’inefficacia della sentenza, sebbene da accertare in un distinto processo ex art. 1353 c.c.: in questi termini R. Muroni, L’azione ex art. 2932 c.c., cit., 211, sull’assunto che «[l]a sentenza, quale atto giurisdizionale, è soggetto esclusivamente al regime delle impugnazioni sue proprie». Diversamente L. Penasa, Contributo, cit., 241, risolve positivamente il quesito dell’ammissibilità, nel nostro ordinamento, di una siffatta pronuncia, sul punto conformandosi alla tesi sostenuta dal Visalli (N. Visalli, L’esecuzione, cit., 185) e segnatamente rinvenendo il fondamento positivo di detta fattispecie di tutela non già nell’art. 2932, 2° co., c.c., bensì «nella necessità che l’assetto negoziale disposto dal giudice rispecchi quello che le parti avevano programmato nel preliminare». Contra G. Balena, Istituzioni, cit., 230 s., per il quale sarebbe configurabile la sola tutela di “condanna condizionale”, non anche quella “costitutiva condizionale”; ciò, sul rilievo che è «difficile ammettere che una modificazione giuridica, che dovrebbe prodursi in virtù del provvedimento del giudice, possa essere da quest’ultimo differita ‒ attraverso l’apposizione della condizione ‒ al verificarsi di un fatto futuro ed incerto che lo stesso giudice rinuncerebbe, in tale prospettiva, ad accertare e che, peraltro, è indispensabile, dal punto di vista sostanziale, perché quella modificazione giuridica si produca».

[62] Cfr., nella dottrina civilistica, tra gli altri, N. Visalli, L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre (art. 2932 c.c.), Padova, 1995, 190; F. Gazzoni, Il contratto preliminare, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, Il contratto in generale, XIII, 2, Torino, 2002, 715. Quanto, invece, alla dottrina processualistica, rilevante è ‒ come meglio si dirà fra breve ‒ l’apporto fornito a sostegno di tale tesi dal Donzelli in R. Donzelli, Sulla condizione di adempimento nella sentenza ex art. 2932 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, II, 815 ss.

[63] In questo senso M. Cirulli, La subordinazione dell’effetto traslativo della sentenza ex art. 2932 c.c. al pagamento del prezzo, in Rass. esec. forzata, 4, 2023, 800 ss.; R. Muroni, L’azione ex art. 2932 c.c., cit., 216 ss.

[64] Sulla disciplina della condizione contrattuale, v., ex plurimis, G. Amadio, La condizione di inadempimento, Padova, 1996; D. Barbero, Contributo alla teoria della condizione, Milano, 1937; Id., Condizione (diritto civile), in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1959; C.M. Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto, cit., 489 ss.; M. Costanza, Della condizione del contratto (artt. 1353-1361), in Comm. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Milano, 1997;  R. Lenzi, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela, Milano, 1956; A. Falzea, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941 (rist. Camerino, 1979); G. Giacobbe, La condizione, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, III, Obbligazioni, II. Il contratto in generale, Milano, 2009, 399 ss.; C. Maiorca , voce Condizione, in Digesto priv., IV ed., III, Torino, 1988; U. Natoli, Della condizione nel contratto, in Commentario del codice civile, diretto da M. D’Amelio e E. Finzi, IV, Delle obbligazioni, Firenze, 1948, 419 ss.; F. Peccenini, La condizione nei contratti, Padova, 1995; G. Petrelli, La condizione «elemento essenziale» del negozio giuridico, Milano, 2000; C. Pinellini, Il trattamento del contratto condizionato, in Arch. giur., 1986, 289 ss.; P. Rescigno, Condizione (diritto vigente), in Enc. dir., VIII, 1961; V. Roppo, Il contratto, Milano, 2011; R. Sacco, La condizione, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, IV ed., Torino, 2020, 403 ss.; G. Tatarano, «Incertezza», autonomia privata e modello condizionale, Napoli, 1976.

[65] Sul tema della retroattività cfr., spec., B. Dusi, Cenni intorno alla retroattività delle condizioni dal punto di vista sistematico e legislativo, in Studi giuridici dedicati e offerti a F. Schupfer, III, Napoli, 1898, 551 ss.; C. Pelosi, La pretesa retroattività della condizione, in Riv. trim, dir. proc. civ., 1968, 825 ss.; G. Tatarano, Retroattività (diritto privato), in Enc. dir., XL, 1989; il tema è altresì indagato negli scritti dedicati alla condizione, per i quali v. i richiami di cui alla nota precedente.

In giurisprudenza, in riferimento alla retroattività reale della condizione v., ad esempio, Cass., 25 gennaio 1991, n. 751, la quale chiarisce, in parte motiva, che, quando la condizione si è verificata, si producono «tutte le conseguenze del negozio con effetto retroattivo al tempo in cui è stato concluso, ossia si considera come se gli effetti si fossero verificati non già dal momento in cui l’avvenimento dedotto in condizione ha avuto luogo, bensì da quello della conclusione del negozio, in base al principio della retroattività reale della condizione. Secondo tale principio gli effetti del negozio si considerano verificati dal momento della conclusione anche di fronte ai terzi».

[66] Sulla disciplina della risoluzione contrattuale cf., ex multis, in dottrina, G. Auletta, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942; G.F. Basini, Risoluzione del contratto e sanzione dell’inadempiente, Milano, 2001; A. Belfiore, Risoluzione per inadempimento, in Enc. dir., XL, 1989; Id., Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Scritti in onore di Giuseppe Auletta, II, Milano, 1988, 243 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile. 5. La responsabilità, 2ª ed., Milano, 2018, 283 ss.; G. Collura, Importanza dell’inadempimento e teoria del contratto, Milano, 1992; M.G. Cubeddu, L’importanza dell’inadempimento, Torino, 1995; A. Dalmartello, Risoluzione del contratto, in Noviss. Dig. it., XVI, 1969; L. Gallavresi, La condizione risolutiva sottintesa nei contratti bilaterali, Milano, 1877; B. Grasso, Eccezione d’inadempimento e risoluzione del contratto (Profili generali), Camerino, 1973; F. Macioce, Risoluzione del contratto e imputabilità dell’inadempimento, Napoli, 1988; L. Mosco, La risoluzione del contratto per inadempimento, Napoli, 1950; A. Piras, Sulla risoluzione della vendita per mancanza di pagamento del prezzo (legislazione comparata), Roma, 1877; G. Pisciotta, La risoluzione per inadempimento, Milano, 2000; P. Putti, La risoluzione, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, III, Obbligazioni, II. Il contratto in generale, Milano, 2009, 1134 ss.; R. Sacco, Risoluzione per inadempimento, in Digesto civ., XVIII, 1998; G. Scalfi, Risoluzione del contratto, in Enc. giur. Treccani, XXXI, 1991; G. Sicchiero, La risoluzione per inadempimento (artt. 1453-1459 c.c.), in Comm. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2007; A. Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, Milano, 1982; M.R. Spallarossa, La risoluzione del contratto per inadempimento, in I contratti in generale, a cura di G. Alpa e F. Bessone, IV, 2, Torino, 1991, 835 ss.; M. Tamponi, La risoluzione per inadempimento, in I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, Torino, 2006, 1709; C. Turco, L’impossibilità e l’importanza dell’inadempimento nella clausola risolutiva, Torino, 1997.

[67] In giurisprudenza, per tutte, in argomento, cfr. Cass., 16 marzo 2011, n. 6181, che in motivazione così efficacemente descrive come il fenomeno della “retroattività” opera nell’àmbito della tutela risolutoria: «Per principio pacifico nella giurisprudenza di questa corte, nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività (art. 1458 c.c., comma 1) della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta l’insorgenza a carico di ciascun contraente, ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili, dell’obbligo a restituire la prestazione ricevuta: la sentenza che pronuncia la risoluzione del contratto per inadempimento produce, infatti, un effetto liberatorio ex nunc, rispetto alle prestazioni da eseguire, ed un effetto recuperatorio ex tunc, rispetto alle prestazioni eseguite. Una volta pronunciata la risoluzione del contratto, in forza della operatività retroattiva di essa, stabilita dall’art. 1458 c.c. si verifica per ciascuno dei contraenti ed in modo avulso dall’imputabilità dell’inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale restitutio in integrum e, pertanto, tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi. L’obbligazione restitutoria non ha, quindi, natura risarcitoria, derivando dal venire meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni».

In dottrina cfr., in argomento, A. Belfiore, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit.; L. Guerrini, Le restituzioni contrattuali, Torino, 2012, nonché la letteratura citata supra, nelle tre note precedenti.

[68] Sempre che, naturalmente, non si tratti di contratti ad esecuzione continuata o periodica; riguardo ad essi, infatti, l’art. 1458, 1° co., c.c. prevede che «l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite».

[69] Per mera completezza, mette conto precisare che i casi di inefficacia che qui vengono in rilievo appartengono alla categoria della “inefficacia in senso stretto” o “in senso tecnico” e non a quella di “inefficacia in senso lato”, nella quale sono riconducibili, com’è noto, i casi di invalidità negoziale. Non potendo qui soffermarsi sulla tematica, giova richiamare Cass., 3 settembre 1996, n. 8048 (alla cui motivazione si rinvia) lì dove rammenta come la dottrina abbia insegnato a distinguere la nozione di inefficacia in senso lato e quella di inefficacia in senso stretto. In riferimento, invece, al caso che qui occupa, la distinzione in parola trovasi opportunamente sottolineata in Cass., 22 marzo 2023, n. 8164, che in motivazione evidenzia come «[l]e due ipotesi indicate [mancato avveramento dell’evento dedotto in condizione e inadempimento risolutivo] ricadano entrambe nella categoria dell’inefficacia in senso stretto o tecnico, la quale presuppone che sia stata risolta in senso positivo la valutazione relativa alla rilevanza e alla validità dell’atto di autonomia privata e che tuttavia il negozio (nella fattispecie la sentenza-contratto) non sia considerato idoneo sul piano dinamico, ovvero funzionale, a dare piena attuazione all’assetto di interessi previsto dall’autoregolamento».

[70] R. Donzelli, Sulla condizione di adempimento, cit., 834.

[71] Tanto risulta giustificato, ad avviso dell’A., dalle seguenti ragioni: nel primo caso (condizione di adempimento priva della fissazione del termine di adempimento), non si potrà agire prima della scadenza del termine, «per l’impossibilità di rilevare un inadempimento» (così R. Donzelli, Sulla condizione di adempimento, cit., 835); non si potrà agire dopo la scadenza «perché il contratto non sarà già più vincolante a causa del mancato avveramento della condizione»; tanto, in ragione dell’«automatismo giuridico» ‒ determinato dal fenomeno condizionale ‒ «che regola a priori, in positivo e in negativo, il regime di efficacia della sentenza. In positivo, ovvero in senso favorevole alla produzione degli effetti, se si verifica l’evento condizionante; in negativo, ovvero in senso ostativo alla produzione degli effetti, se l’evento condizionante non si verifica entro il termine stabilito» (ivi, 835 s.).

[72] Così R. Muroni, L’azione ex art. 2932 c.c., cit., 214, ponendo, a conforto di tale affermazione, la pacifica tesi dottrinale per cui «l’obbligazione dedotta in condizione, anche là dove sia la stessa obbligazione corrispettiva, non sia suscettibile di tutela giurisdizionale, proprio in quanto dedotta come mero fatto condizionante».

[73] Chiarisce in proposito R. Muroni, L’azione ex art. 2932 c.c., cit., 215, che aderire all’opposta soluzione significherebbe ammettere che il giudice, adìto ai sensi dell’art. 1353 c.c., inserisca nel regolamento di interessi una condizione c.d. corrispettiva, cosicché, «[s]e prevista dal giudice, tale condizione (…) finisce per essere la manifestazione di una volontà negoziale dello stesso giudice, che non solo integra il regolamento pattizio, ma addirittura trasforma un originario rapporto sinallagmatico già esistente in una promessa unilaterale condizionata alla controprestazione».

[74] M. Cirulli, La subordinazione dell’effetto traslativo, cit., 791.

[75] M. Cirulli, La subordinazione dell’effetto traslativo, cit., 791 s.; ciò, sul presupposto per cui «l’eseguibilità forzata della condanna non può essere sottoposta a condizione, fuori dei casi nominati (v. ad es., in tema di cauzione, gli artt. 652 e 648 c.p.c; in tema di rilascio, l’art. 34 legge 27 luglio 1978, n. 392), perché il potere di procedere in executivis non ammette limitazioni ope iudicis, ma solo ope legis»; nel caso di specie, un siffatto limite intrinseco ‒ sottolinea l’A. ‒ pregiudica «anche i creditori del promittente venditore, che in corso di causa abbiano pignorato il credito del loro debitore a titolo di prezzo: la clausola condizionale contenuta nella sentenza è infatti opponibile al pignorante, destinato a restare insoddisfatto qualora il compratore non voglia assolvere l’onere del pagamento del prezzo» (ivi, 792 s.).

[76] Cfr. Cass., 24 febbraio 1993, n. 2263, nella cui motivazione si legge che, nella fattispecie di cui all’art. 2932 c.c., «l’adempimento delle obbligazioni non ancora scadute deve essere imposto solo come condizione per il verificarsi dell’effetto traslativo derivante dalla pronuncia»; del medesimo segno, ex plurimis, Cass., 15 novembre 1994, n. 9638, in Contr., 1995, 169 ss.; Cass., 9 febbraio 1993, n. 1588, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 103 ss.; Cass., 29 ottobre 1992, n. 11756;  Cass., 16 maggio 1990, n. 4232; Cass., 26 settembre 1984, n. 4823.

[77] Si segnala, tra gli isolati (più recenti) precedenti contrari all’orientamento oggi pressochè univoco, Cass., 31 luglio 2018, n. 20226.

[78] Sul presupposto che, divenendo la sentenza ex art. 2932 c.c. l’unica fonte di diritti ed obblighi del negozio voluto, il regolamento di interessi in essa contenuto soggiace alla disciplina generale del contratto.

[79] Tale soluzione è divenuta granitica, in giurisprudenza. a partire da Cass., 6 agosto 2001, n. 10827, in Contr., 2001, 1098 ss., che, nel conformarsi alle poche pronunce precedenti espressesi in questo senso (quali: Cass., 16 maggio 1990, n. 4232; Cass., 27 dicembre 1994 n. 11195; Cass., 12 settembre 2000, n. 12046), ha affermato: «con riguardo alla sentenza di accoglimento della domanda del promissario acquirente per l’esecuzione specifica di un preliminare di vendita, il pagamento del prezzo cui è subordinato il trasferimento della proprietà del bene, costituisce la condizione per il verificarsi dell’effetto traslativo medesimo, senza con ciò rendersi incompatibile con la natura di prestazione essenziale del contratto, con la conseguenza che il mancato versamento del prezzo può comportare la risoluzione del contratto stesso con riferimento alla gravità dell’inadempimento a norma dell’art. 1455 c.c.». Il principio, immutato nella sostanza, reca, oggi, nei più recenti arresti, il seguente tenore: «il pagamento del prezzo dipendente da sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. non si atteggi[a] quale evento futuro ed incerto ‒ accidentale rispetto all’atto di trasferimento, ed afferente alla mera efficacia di quest’ultimo ‒ bensì quale elemento essenziale intrinseco di ripristino della corrispettività del contratto, di cui la sentenza tiene luogo. Tanto che il mancato versamento del dovuto all’esito del passaggio in giudicato della sentenza non costituisce ragione di automatica inefficacia del trasferimento ex art. 1353 c.c, bensì causa di inadempimento risolutivo» (così, testualmente, Cass., 27 ottobre 2017, n. 25594; Cass., 23 marzo 2021, n. 8054; Cass., 16 giugno 2021, n. 17021; Cass., 22 marzo 2023, n. 8164; Cass., 28 marzo 2024, n. 8442, cit.; Cass., 4 novembre 2024, n. 28308).

[80] Questo secondo aspetto sarà toccato nel § seguente.

[81] Sulla tutela costitutiva (in generale ed in riferimento particolare alla tutela processuale delle patologie negoziali), v., in dottrina, ex ceteris, A. Bonsignori, sub artt. 2907-2909 c.c., in Comm. Scialoja, Branca. Tutela giurisdizionale dei diritti. I. Disposizioni generali, Bologna-Roma, 1999; R. Caponi, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991; A. Cerino Canova, La domanda giudiziale ed il suo contenuto, in Comm. Allorio, II, 1, Torino, 1980; A. Chizzini, sub art. 2907 c.c., in Aa.Vv., La tutela giurisdizionale dei diritti, in Comm. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2018; C. Consolo, Poteri processuali e contratto invalido, in Europa e dir. privato, 2010, 941 ss.; Id., Il processo nella risoluzione del contratto per inadempimento, in Riv. dir. civ., 1995, I, 299 ss.; C. Consolo e F. Godio, Patologia del contratto e (modi dell’) accertamento processuale, in Corr. giur., 2015, 225 ss.; C. Consolo con la collaborazione di F. Godio, Contratto e processo, in Enc. dir. – I tematici, Milano, 2021, I, 384 ss.; F. De Santis, Giudizio di verifica del passivo e pretese di tutela dichiarativa e costitutiva, in Fall., 2018, 665 ss.; M. Fornaciari, Situazioni potestative, tutela costitutiva, giudicato, Giappichelli, Torino, 1999; C. Ferri, sub art. 2908 c.c., in Comm. Cendon, VI, Torino, 1991; Id., Costitutiva (azione), in Enc. giur. Treccani, Roma, X, 1988; Id., Profili dell’accertamento costitutivo, Padova, 1970; S. Giovannelli, Sentenza costitutiva, tutela dilatoria e offerta di adempimento, in Obbligazioni e contratti, 2012, 367 ss.; L. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Tratt. Vassalli, XIV, 4, 2ª ed., Torino, 1994; Id., Diritto sostanziale e processo civile di cognizione nell’individuazione della domanda, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, 63 ss.; Id., Limiti oggettivi di giudicati su negozi invalidi, in Riv. dir. proc., 1991, 15 ss.; Id., Obbligo a contrarre, in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979; A. Motto, Le sezioni unite fanno chiarezza sull’oggetto dei giudizi di impugnativa negoziale: esso è rappresentato dal rapporto scaturito dal contratto, in Foro it., 2015, I, 931 ss.; Id., Poteri sostanziali e tutela giurisdizionale, Torino, 2012; S. Menchini, Il giudicato civile, 2ª ed., Torino, 2002; I. Pagni, Il contratto nel processo. Questioni controverse nell’esercizio dell’azione contrattuale in giudizio, Milano, 2022; Id., La risoluzione del contratto tra azione ed eccezione: ancora sulla natura dichiarativa della sentenza che pronuncia la risoluzione, in La risoluzione per inadempimento. Poteri del giudice e poteri delle parti, a cura di C. Consolo ed altri, Bologna, 2018, 75 ss.; Id., Le azioni di impugnativa negoziale. Contributo allo studio della tutela costitutiva, Milano, 1998; L. Piccininni, Azioni di impugnativa negoziale e oggetto del processo, in Riv. dir. proc., 2020, 1084 ss.; A. Proto Pisani, Appunti sulla tutela c.d. costitutiva, in Riv. dir. proc., 1991, 60 ss.; R. Tiscini, Riflessioni sparse intorno alla tutela costitutiva, in Riv. dir. proc., 2021, 1232 ss.; G. Travaglino, Azione costitutiva ex art. 2932 c.c. e intervento in causa del terzo acquirente, in Corr. merito, 2012, 46 ss.

In giurisprudenza, in riferimento all’efficacia irretroattiva della sentenza costitutiva, v., tra le altre, e senza alcuna pretesa di esaustività: Cass., 31 gennaio 2025, n. 2373; Cass., 21 novembre 2023, n. 32370; Cass., 8 ottobre 2021, n. 27416; Cass., 6 agosto 2020, n. 16740; Cass., 7 novembre 2018, n. 28413; Cass., 3 maggio 2016, n. 8693; Cass., 28 luglio 2010, n. 17688; Cass., S.U, 22 febbraio 2010, n. 4059; Cass., 6 aprile 2009, n. 8250; Cass., 19 maggio 2005, n. 10600; Cass., 4 luglio 2003, n. 10564. Cfr., inoltre, infra, in argomento, i richiami alle argomentazioni sviluppate sul punto da Cass., S.U., 22 febbraio 2010, n. 4059, contenuti nel § 8.

[82] Osserva al riguardo il Consolo (riferendosi alla tutela risolutoria, ma invero elargendo una riflessione dalla portata più generale) come solo il giudicato costitutivo massimanente assicuri, de jure condito, la certezza dei rapporti; ciò, «[p]er una basilare ma centrale ragione: l’incertezza è potenziale fonte di conseguenze (specie in termini di litigiosità) più dannose e ad ampio raggio di quelle che derivano al contraente fedele dalla necessità di attendere il tempo necessario al formarsi del giudicato sostanziale sulla risoluzione, peraltro già fruendo dalla domanda giudiziale dei potenti effetti di anticipazione ‒ retaggio della unificazione dei codici e della lezione vivantiana ‒ dei commi 2 e 3 dell’art. 1453 c.c.» (così C. Consolo con la collaborazione di F. Godio, Contratto e processo, cit., 413).

Per osservazioni più specifiche sul tema all’esame, si rinvia infra, al § 8, in particolare ai richiami a Cass., S.U., 22 febbraio 2010, n. 4059, anche ‒ e soprattutto ‒ in riferimento al profilo in parola.

[83] Come precisato nel principio di diritto enunciato, da ultimo, dalla Corte regolatrice, là dove puntualizza che i poteri di modificazione giuridica sostanziale sono esercitabili dal giudice ex art. 2932 c.c. «conformemente alle istanze all’uopo avanzate» (così, testualmente, Cass., 28 marzo 2024, n. 8442, cit.).

[84] Il carattere “tipico” e quindi “tassativo” delle azioni costitutive ‒ giusta il disposto dell’art. 2908 c.c. ‒  dovrebbe portare, in linea di principio, ad escludere “variazioni strutturali” di tali fattispecie, sostanziandosi, a rigore, la “tipicità” e la “tassatività” non soltanto nella previsione di un numerus clausus delle azioni de quibus, ma anche nella prederminazione legale del loro contenuto. Tuttavia, come precisato supra nel § precedente, nell’ipotesi che ci riguarda la giurisprudenza ha consentito l’ingresso di tale peculiare azione ‒ in tesi non contemplata, expressis verbis, dall’art. 2932 c.c. ‒ servendosi della clausola di salvaguardia di cui al 2° co. dell’art. 2932 c.c.

[85] In tal senso v., in giurisprudenza, già Cass., 16 febbraio 1983, n. 1181, in Mass. Giur. it., 1983, ove si è statuito che «Nei contratti bilaterali le reciproche prestazioni integrano gli elementi essenziali del contratto medesimo, per cui l’accordo in ordine ad essi non può essere assunto come condizione in senso tecnico, dato che questa costituisce un elemento accidentale estraneo alla struttura tipica del negozio, mentre le prestazioni reciproche attengono all’esistenza stessa del negozio, in quanto ne costituiscono la causa in senso tecnico-giuridico; ciò, tuttavia, non esclude che, in particolari ipotesi (da accertare sulla base dell’allegazione di una precisa volontà contrattuale in tal senso), il concreto adempimento di una delle prestazioni concordate possa essere dedotta ex professo come una condizione sospensiva, cui sia consensualmente subordinata la produzione degli effetti giuridici del negozio»; nella medesima direzione Cass., 24 febbraio 1983, n. 1432, id., per la quale «Nessuna incompatibilità di principio può ritenersi sussistente fra condizione ed esecuzione di una prestazione essenziale, quale è il pagamento del prezzo rispetto al contratto di compravendita, talché è bene ammissibile la deducibilità di quest’ultima come evento condizionante, per accordo fra le parti o per volontà di legge, fermo restando peraltro, che anche qualora una incompatibilità fosse concretamente ravvisabile, rientrerebbe, comunque, nella discrezionalità del legislatore di superarla o comporla erigendo a condizione sospensiva il concreto adempimento di una delle obbligazioni essenziali». Per contro, la soluzione negativa fa capo ad un orientamento superato, per il quale la condizione, in quanto evento futuro ed incerto dal quale dipende, per volontà delle parti, l’efficacia iniziale o finale del contratto, non può mai consistere nell’esecuzione della prestazione da parte del contraente che deve adempiere per primo; ciò, in ragione della diversità sia concettuale che funzionale degli istituti della condizione e dell’adempimento contrattuale (v. Cass., 20 ottobre 1972, n. 3154; Cass., 3 gennaio 1970, n. 8, in Giur. it., 1970, 1, 122).

La configurabilità di una “condizione di adempimento” è ammessa anche da una parte della dottrina: cfr., ex ceteris, G. Amadio, La condizione di inadempimento, cit., 70, 310; R. Lenzi, Condizione, autonomia privata, cit., 53. Non mancano, tuttavia, voci contrarie, che escludono la deducibilità in condizione sia di uno degli «elementi necessari per integrare la fattispecie contrattuale» ‒ potendosi discorrere, in tal caso, solo «impropriamente» di condizione, e vertendosi, piuttosto, in ipotesi di mancato perfezionamento del negozio e di insuscettibilità dello stesso a spiegare efficacia ‒, sia della prestazione che dà esecuzione al contratto medesimo; tanto perché, «[s]e un determinato risultato rientra nel programma contrattuale, la sua realizzazione attiene all’impegno della parte», sicchè «[l]a mancata realizzazione di tale risultato dev’essere (…) riguardata non come mancato avveramento della condizione ma come inadempimento, con conseguente applicazione delle norme sulla inesecuzione del contratto»: così C.M. Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto, cit., 496.

[86] Così Cass., 22 marzo 2023, n. 8164, richiamando: Cass., 19 novembre 2021, n. 35524; Cass., 15 novembre 2006, n. 24299; Cass., 24 novembre 2003, n. 17859; Cass., 25 marzo 2003, n. 4364; Cass., 8 agosto 1990, n. 8051; Cass., 24 febbraio 1983, n. 1432; Cass., 16 febbraio 1983, n. 1181; Cass., 17 gennaio 1978, n. 192; Cass., 29 settembre 1977, n. 4159; Cass., 10 ottobre 1975, n. 3229.

[87] In giurisprudenza, cfr., ex plurimis, Cass., 30 maggio 2018, n. 13577; Cass., 1° settembre 2014, n. 18467; Cass., 12 agosto 2011, n. 17282; Cass., 27 dicembre 1994, n. 11195.

[88] Così Cass., 22 marzo 2023, n. 8164. Più in generale, chi scrive condivide pienamente l’osservazione di M. Cirulli, La subordinazione dell’effetto traslativo, cit., 802 per cui tale pronuncia «ha esaminato, con argomentazioni logicamente e giuridicamente ineccepibili, le conseguenze che si verificano quando la sentenza impropriamente subordini il trasferimento della proprietà al pagamento del prezzo, che non venga eseguito».

[89] Cass., 22 marzo 2023 , n. 8164, cit., riproducendo il principio enunciato da Cass., 27 ottobre 2017, n. 25594, Cass., 23 marzo 2021, n. 8054 e Cass., 16 giugno 2021, n. 17021, ed altresì richiamato dalla più recente Cass., 28 marzo 2024, n. 8442, cit..

[90] Si tratta del caso deciso da Cass., 28 marzo 2024, n. 8442, cit. Nella fattispecie, il giudizio di prime cure viene instaurato dal suddetto promissario acquirente per sentir pronunziare: i) la produzione ‒ in forza di contratto preliminare di vendita immobiliare inadempiuto ‒ dell’effetto traslativo della titolarità del bene ai sensi dell’art. 2932 c.c.; ii) la riduzione del prezzo di vendita all’importo già corrisposto al promissario alienante, sia per vizi e difetti dell’immobile, sia per la mancata esecuzione, da parte del promissario alienante, dell’obbligo di cancellazione delle ipoteche gravanti sull’immobile e dell’obbligo di prestare fideiussione a garanzia della somma di denaro ricevuta. La domanda è accolta parzialmente: il giudice adito condiziona l’effetto traslativo al pagamento del prezzo di compravendita (fissato in sede di contrattazione preliminare) decurtato del solo valore stimato dei vizi e difetti dell’immobile. Appellata la pronuncia emessa dal giudice di primo grado, il promissario acquirente, soccombente anche in fase di gravame, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., denunziando la violazione dell’art. 2932 c.c. per non avere il giudice del gravame computato il mancato compimento delle dovute formalità nel valore complessivo del prezzo di vendita e per non aver dato, conseguentemente, attuazione al regolamento di interessi “siglato” dalle parti contraenti nel preliminare.

[91] Così, in motivazione, Cass., 28 marzo 2024, n. 8442, cit. e la successiva Cass., 4 novembre 2024, n. 28308, seppur (quest’ultima) limitatamente al rapporto tra proponibilità della domanda ex art. 2932 c.c. ad opera del promissario acquirente e sussistenza di formalità pregiudizievoli sul bene oggetto di disposizione.

[92] Ed infatti, sottolinea in parte motiva Cass., 28 marzo 2024, n. 8442, cit., che nel caso di specie «il giudice del gravame avrebbe a tal fine potuto: i) operare compensazione giudiziale del credito, ai sensi dell’art. 1243 c.c., consentendo alla promissaria acquirente di «impiegare la somma ancora dovuta nella cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni gravanti sull’immobile»; ii) in via alternativa, subordinare il pagamento del residuo prezzo di vendita «all’estinzione, da parte della promittente alienante, delle ipoteche». Parimenti, Cass., 4 novembre 2024, n. 28308, alla luce del principio enunciato, chiarisce che, nella fattispecie decisa, la sentenza impugnata avrebbe potuto disporre «la compensazione della somma residua dovuta a titolo di prezzo con l’importo impiegato per consentire l’estinzione della procedura esecutiva intrapresa da terzi sull’immobile oggetto della promessa, successivamente alla stipulazione del preliminare, e la cancellazione della trascrizione del pignoramento effettuato su tale cespite, attuando un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni».

[93] Testualmente, secondo il recenziore insegnamento della Corte, «rientra nei poteri del giudice ‒ conformemente alle istanze all’uopo avanzate ‒ consentire al promissario di impiegare la somma ancora dovuta nella cancellazione delle iscrizioni gravanti sull’immobile ovvero subordinare tale pagamento all’estinzione, da parte del promittente alienante, di tali ipoteche, in attuazione di un legittimo intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni» (questo il principio di diritto formulato da Cass., 28 marzo 2024, n. 8442, cit.).

[94] In questo senso già Cass., 11 febbraio 1985, n. 1134, in Mass. Giur. it., 1985; conf. Cass., 28 aprile 2004, n. 8143, in Gdir., 2004, 26, 65; Cass., 9 febbraio 2011, n. 3176, in Notariato, 2011, 3, 259. Per una compiuta rassegna giurisprudenziale sul punto cfr. R. Muroni, sub art. 2932 c.c., in Commentario del codice civile. Della tutela dei diritti (artt. 2907-2969 c.c.), diretto da E. Gabrielli, a cura di G. Bonlini e A. Chizzini, III, Milano, 2016, 463 ss.

In dottrina, in posizione critica rispetto alle sentenze connotate da tale specifico contenuto, ammesse dalla giurisprudenza di legittimità, si pongono R. Muroni, L’azione ex art. 2932 c.c., cit., 208, per la quale dette pronunce accentuano «[l]e perplessità che desta [la] barocca costruzione» della «ambigua figura della sentenza traslativa condizionata», e M. Cirulli, La subordinazione dell’effetto traslativo, cit., 810, ad avviso del quale, nella specie, «il giudice deve (…) emettere pronuncia che trasferisce incondizionatamente la proprietà e, su domanda del promissario acquirente, condannare la controparte alla cancellazione dell’ipoteca, con accessoria penale ex art. 614 bis c.p.c.», fermo restando che «il compratore, in quanto terzo acquirente del bene ipotecato, può soddisfare il creditore garantito fino alla concorrenza del prezzo dovuto al compratore (art. 1203, n. 2, c.c.), così estinguendo sia il debito del suo dante causa verso il creditore iscritto, sia il suo debito verso il venditore».

[95] Cass., Sez. III, 3 settembre 2007, n. 18512, in Corr. giur., 3, 2008, 350 ss., con nota critica di G. Guizzi.

[96] È bene ricordare che Cass., Sez. III, 3 settembre 2007, n. 18512, cit., contrariamente alla soluzione costantemente avallata, statuì che «nel caso di pronuncia della sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. le statuizioni di condanna consequenziali, dispositive dell’adempimento delle prestazioni a carico delle parti tra le quali la sentenza determina la conclusione del contratto, sono da ritenere immediatamente esecutive ai sensi dell’art. 282 c.p.c., di modo che qualora l’azione sia stata proposta dal promittente venditore la statuizione di condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo è da considerare immediatamente esecutiva».

[97] Per tutti, cfr. G. Guizzi, Inadempimento a preliminare di compravendita ed effetti della sentenza di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. non ancora coperta dal giudicato: un equilibrio difficile, in Corr. giur., 3, 2008, 353 ss., che ha censurato tale opzione ermeneutica evidenziando, a ragione: i) «l’idea che la sentenza che sia ancora impugnabile (o addirittura sia già stata impugnata) produca provvisoriamente gli effetti finali che sarebbero dovuti seguire al definitivo, ma solo però quelli obbligatori e non anche quelli reali, conduce, a ben vedere, ad una modifica dell’assetto di interessi atteso dalle parti con il contratto definitivo alterandone il sinallagma» (ivi, 355); ii) al tempo stesso, al fine di evitare la scissione dell’efficacia degli effetti derivanti della sentenza ex art. 2932 c.c., nemmeno può accogliersi «la suggestiva proposta di chi ipotizza che la sentenza che accoglie una domanda giudiziale di natura costitutiva sia idonea a produrre immediatamente tutti gli effetti sostanziali ad essa propri» (ivi, 356), compresa, dunque, l’attribuzione della proprietà, giacché si arriverebbe, per tale via ‒ nel caso di riforma, nei gradi successivi, della sentenza di primo grado ‒ «alla paradossale conseguenza che si sarebbero realizzati interamente gli effetti del contratto definitivo non concluso, ancorché la sentenza che passa in giudicato sia di rigetto della domanda ex art. 2932 c.c.» (ivi, 357).

[98] Cass., Sez. II, 6 aprile 2009, n. 8250, in Mass. Giust. civ., 2009, 4, 589, che, richiamando l’univoca giurisprudenza formatasi sul punto (tra cui Cass., 29 ottobre 1992, n. 11756; Cass., 4 luglio 2003, n. 10564; Cass., 19 maggio 2005, n. 10600; Cass., 16 gennaio 2006, n. 690), ed espressamente discostandosi dal precedente difforme del 2007, appena illustrato, statuì che «la sentenza costitutiva emessa in applicazione dell’art. 2932 c.c., produce gli effetti del contratto non concluso dal momento del passaggio in giudicato. Da tanto deriva che, nel caso della vendita, il trasferimento della proprietà del bene e l’obbligo correlativo dell’acquirente di versare il prezzo (o il suo residuo) ancora dovuto, che sia sancito con una pronuncia di subordinazione dell’efficacia traslativa al pagamento, non vengono ad esistenza prima della irretrattabilità del dictum giudiziale».

[99] Cass., S.U., 22 febbraio 2010, n. 4059, in Foro it., 2010, 7-8, I, c. 2082 ss.

[100] Cass., S.U., 22 febbraio 2010, n. 4059, cit.

[101] Questi, in estrema sintesi, i principali rilievi svolti sul punto, in parte motiva, dalle Sezioni Unite: i) l’azione personale ex art. 2932 c.c. (e la correlata sentenza) ha natura costitutiva e la sua efficacia ha luogo con decorrenza ex nunc solo dal momento del suo passaggio in giudicato, sicché l’effetto traslativo della proprietà del bene si spiega solo con l’irretroattività della sentenza, che determina l’effetto sostitutivo del contratto definitivo non concluso; ii) prima di tale momento non è possibile dare esecuzione ad obblighi che ancora non sono sorti sul piano sostanziale, posto che la loro nascita è subordinata alla produzione dell’effetto reale “trasferimento di proprietà”, che necessita del passaggio in giudicato; iii) ciò discende dalla considerazione che la funzione assegnata dal legislatore all’art. 2932 c.c. consiste nell’attribuire al promissario adempiente uno strumento che gli consenta di conseguire, sul piano sostanziale, ma tramite l’intervento del giudice, quello stesso regolamento di interessi che avrebbe conseguito in ipotesi di cooperazione dell’altro contraente; di contro, e cioè se invece si consentisse il differimento tra effetto reale ed effetti obbligatori, si darebbe ingresso ad un regolamento di interessi diverso e sostitutivo rispetto a quello proprio del contratto che la sentenza è tenuta a surrogare.

[102] Cass., S.U., 22 febbraio 2010, n. 4059, cit. Del profilo in rassegna e, più in generale, delle ulteriori e  possibili “evoluzioni applicative” del principio di diritto enunciato da codeste Sezioni Unite, si sono successivamente occupate, ex ceteris: Cass., 29 luglio 2011, n. 16737; Cass., 7 novembre 2018, n. 28413; Cass., 8 novembre 2018, n. 28508; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2537; Cass., 8 ottobre 2021, n. 27416, in Guida al dir., 2021, 46 ss.; Cass., 1° marzo 2023, n. 6134; Cass., 19 novembre 2024, n. 29783; Cass., 15 gennaio 2024, n. 1424; Cass., 7 gennaio 2025, n. 233.

[103] L. Montesano, Contratto preliminare, cit., 127 s.: cfr. amplius, in parte qua, il § 4.