Osservazioni sull’art. 363 bis c.p.c.

Di Massimo Cirulli -

Sommario: 1. Ragione e precedenti della norma. – 2. Efficacia del principio di diritto. – 3. Presupposti. – 4. Procedimento.

 1. “L’altra importante novità riguarda l’istituzione del c.d. rinvio pregiudiziale, in virtù del quale si potrà ottenere – a fronte di una questione di diritto nuova, sia di diritto sostanziale che processuale, e suscettibile di riproporsi in numerosi altri casi – una immediata pronuncia della Cassazione, evitando così che si debbano attendere anni prima di avere una linea interpretativa definita su tale questione. Si consideri, ad esempio, che per ottenere una prima sentenza della Cassazione sull’individuazione del soggetto onerato di promuovere la mediazione in sede di opposizione a decreto ingiuntivo sono stati necessari quasi sei anni, e definire patchwork la giurisprudenza di merito medio tempore apparsa è un mero eufemismo”[1]: così il presidente della commissione ministeriale riassume l’oggetto ed il fine del rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di cassazione, salutato dal C.S.M. come “un rimedio innovativo da sperimentare per evitare che contrasti giurisprudenziali di merito e contenziosi seriali proliferino in modo eccessivo”, potendo “il giudice investito di una causa pilota (…), con il rinvio, consentire l’esercizio tempestivo della nomofilachia”[2].

La ratio del rinvio pregiudiziale (finora disposto in una cinquantina di casi)[3] “consiste nell’affrontare questioni giuridiche di rilevante complessità che, per il loro carattere di novità, richiedano l’intervento nomofilattico preventivo della Corte al fine di orientare, fin da subito, i giudici di merito. L’istituto è stato disegnato dal legislatore al fine di rendere con tempestività un indirizzo di legittimità in settori di interesse generale, senza che si debba attendere che la questione dibattuta giunga, dopo anni, all’attenzione della Corte attraverso la trafila degli ordinari mezzi di impugnazione”[4].

L’art. 363 bis attribuisce al giudice di merito il potere, discrezionale ed officioso, di disporre con ordinanza, previa audizione delle parti, il rinvio alla Corte di cassazione della risoluzione di una questione esclusivamente di diritto, necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non ancora risolta dalla S.C. La questione deve presentare gravi difficoltà interpretative ed essere suscettibile di riproporsi in numerosi giudizi. Con l’ordinanza il giudice deve prospettare le diverse interpretazioni possibili e sospendere il processo. La questione viene preliminarmente esaminata dal primo presidente, che la dichiara inammissibile con decreto, se non ricorrono le condizioni di legge, o ne dispone la rimessione alle sezioni unite od alla sezione semplice tabellarmente competente. La Corte decide con sentenza in pubblica udienza, con l’intervento del pubblico ministero, che deposita requisitoria scritta, e con facoltà per le parti di depositare memorie. Definito l’incidente, gli atti vengono restituiti al giudice a quo. Il principio di diritto vincola il rimettente (ed i giudici dei successivi gradi) e sopravvive all’estinzione del giudizio.

A dispetto del nomen iuris, la questione non ha carattere pregiudiziale in senso tecnico, non vertendo su una relazione fra accertamenti giudiziali aventi ad oggetto situazioni giuridiche soggettive[5]. La questione concerne, infatti, l’interpretazione di una norma giuridica, sostanziale o processuale, che deve essere applicata dal giudice di merito con effetto definitorio, anche parziale, del processo; rientra, pertanto, nell’oggetto principale del giudizio, al quale la pregiudizialità è estranea[6]. Non è una pregiudiziale in senso tecnico, d’altronde, neppure quella prevista dall’art. 420 bis, vertente sull’efficacia, validità ed interpretazione del contratto collettivo: si tratta, piuttosto, di un presupposto logico ai fini della decisione della lite[7]. La sentenza della Cassazione che risolve la questione pregiudiziale non decide la causa, ma vincola il giudice rimettente ad una decisione conforme al principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimità.

La questione di diritto deve essere “necessaria alla definizione anche parziale del giudizio”. Non è possibile, dunque, “un rinvio per mere ragioni di nomofilachia, ma è necessario che la questione normativa interpretativa sia concreta, costituisca, cioè, un antecedente logico rispetto alla decisione della causa principale pendente davanti al giudice di merito. Tale requisito s’intende soddisfatto quando detto giudice, al fine di emanare una decisione (totale o parziale) della controversia che pende dinanzi a sé, sia convinto di doversi chiedere quale sia l’interpretazione da attribuire ad una determinata disposizione di diritto. Saranno inammissibili, quindi, le questioni meramente teoriche o in caso di cause di inammissibilità della domanda”[8]. Pertanto, “non possono darsi rinvii pregiudiziali puramente esplorativi o ipotetici; ed è improprio l’utilizzo del rinvio pregiudiziale ove rivolto unicamente a conseguire un suggello interpretativo dalla Corte di cassazione diretto a preservare la decisione del rimettente da una diversa lettura ed applicazione delle norme ad opera del giudice dell’impugnazione”[9].

Il rinvio non è un dovere, ma un potere del giudice di merito: le parti non possono sindacarne né l’esercizio, né il diniego. Neppure la concorde richiesta di tutte le parti costituite obbliga il giudice a disporre la rimessione alla S.C.; il giudice non deve motivare il rigetto dell’istanza, proprio perché le parti non vantano un diritto soggettivo alla rimessione, né possono direttamente adire la Cassazione. Le parti possono tuttavia riproporre la richiesta che sia stata disattesa, nel giudizio di primo grado od in quello di appello. La decisione di primo grado, infatti, non esclude che la questione sia devoluta alla Cassazione dal giudice d’appello.

L’istituto in esame differisce dal rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea, che non può conoscere dell’impugnazione contro la sentenza del giudice rimettente[10]. Non sempre, invece, giudice a quo e giudice ad quem appartengono al medesimo ordine giurisdizionale: il rinvio, infatti, può essere disposto dal giudice tributario, di primo o di secondo grado, alla Corte di cassazione, che non è un organo della giurisdizione speciale. Invece la rimessione alla Corte costituzionale non ha finalità ermeneutiche, ma caducatorie dell’atto normativo impugnato, anche se la Corte può emettere pronunce interpretative di rigetto. Quid commune è il carattere improprio della sospensione del giudizio di merito, stante la natura esclusivamente incidentale della questione, che non potrebbe dedursi ad oggetto di un autonomo processo; quid proprium del rinvio pregiudiziale è il carattere facoltativo, non avendo il giudice di merito l’obbligo di rimettere la questione alla Cassazione[11].

Il rinvio pregiudiziale ha il suo più remoto precedente nella consultatio ante sententiam[12]: il giudice chiedeva all’imperatore di interpretare una norma applicabile alla fattispecie controversa; il princeps rispondeva mediante un rescritto vincolante[13]; il giudice sottoponeva preventivamente la comunicazione da inviare al sovrano (exemplum consultationis) alle parti, che entro cinque giorni potevano interloquire mediante le preces refutatoriae; quindi l’intero fascicolo era trasmesso all’imperatore; l’istituto era regolato da due costituzioni emanate dall’imperatore Costantino nel 312 e 313, pubblicate nel codice teodosiano[14].

E’ stato dichiaratamente importato il modello francese (scarsamente applicato: i casi sono una decina l’anno) della saisine pour avis[15], che però non vincola il giudice rimettente[16]. Dopo la disastrosa esperienza del quesito di diritto ex art. 366 bis, che infiniti lutti addusse agli avvocati, viene introdotta una postulazione di parere vincolante (salvo quanto si osserverà in seguito circa le possibili sopravvenienze)[17], richiesta non dalle parti, ma dal giudice di merito (davanti al quale penda un processo contenzioso o non contenzioso) alla Cassazione, che detta la massima con riferimento ad una fattispecie non ancora decisa. Alla S.C. viene così affidata una funzione oracolare di soccorso ermeneutico: non censura l’erronea interpretazione ed applicazione delle norme di diritto, cassando con o senza rinvio la sentenza impugnata, ma obbliga il giudice rimettente a conformarsi all’esegesi della norma.

L’art. 363 bis non ha attribuito alla Corte una funzione paralegislativa, estranea ai suoi compiti istituzionali, per come definiti dall’art. 65 ord. giud., ma non all’origine storica del supremo organo giurisdizionale, istituito durante la Rivoluzione francese presso il potere legislativo, sul modello inglese della House of Lords, secondo un’originale e convincente indagine storica[18]. Si tratta di una riedizione del referè, che però ha per destinataria la Cassazione, non il Parlamento[19]. Il rinvio pregiudiziale alla House of Lords (organo con funzioni duplici, legislative e giurisdizionali) da parte del giudice di primo grado esisteva, peraltro, già nel 1670[20].

Pronunciando sul rinvio pregiudiziale la Corte esercita una nuova forma di giurisdizione consultiva (oltre a quelle già note di ricorso nell’interesse della legge e di correzione della motivazione della sentenza impugnata)[21] o, secondo altra opinione, di giurisdizione a contenuto oggettivo[22]. Anche il criterio topografico denuncia l’asservimento del rinvio allo ius constitutionis piuttosto che allo ius litigatoris: l’art. 363 bis è infatti collocato dopo la disposizione sul principio di diritto nell’interesse della legge, che tuttavia non ha effetto nel processo in corso[23]. La risoluzione della questione da parte della Cassazione vincola, invece, il giudice a quo, alla stregua di un moderno rescriptum curiae, privo, tuttavia, della forza di legge propria dei rescritti imperiali.

2.Va nondimeno esclusa l’efficacia vincolante ultra partes del principio di diritto. La regola dello stare decisis è ignota al nostro ordinamento di civil law[24]. L’imperatività erga omnes della regula iuris enunciata dalla Cassazione usurperebbe la funzione legislativa di interpretazione autentica e violerebbe il principio di separazione dei poteri sovrani dello Stato. La riserva di giurisdizione non comprende la riserva di interpretazione: quella giudiziale non è esclusiva, né prevalente[25]; al contrario, già l’art. 73 dello Statuto riservava al potere legislativo l’interpretazione generalmente vincolante e “nessuna norma costituzionale attribuisce ai giudici un primato assoluto sull’interpretazione giuridica, né tantomeno un tale primato può essere incontrovertibilmente desunto dall’art. 12 disp. prel. c.c.”; la soggezione del giudice alla legge implica la sottoposizione anche alle regole legali di ermeneutica[26]. Tuttavia, il carattere meramente persuasivo del principio, enunciato dalla Cassazione in sede di rinvio pregiudiziale, nei confronti di giudici diversi da quello rimettente depotenzia la tanto declamata efficacia deflattiva dell’istituto e non garantisce la prevedibilità weberiana della decisione[27].

Questo “strumento di nomofilachia (anticipata e non impugnatoria)”[28] è una sorta di regolamento preventivo ed officioso di giurisprudenza: il giudice di merito, al cospetto di una quaestio iuris rilevante, nuova, controvertibile e seriale, provoca l’immediata pronuncia vincolante della Cassazione, con effetto panprocessuale. Siffatta vincolatività opera peraltro rebus sic stantibus: se la disposizione di legge è successivamente resa oggetto di interpretazione autentica o di dichiarazione di illegittimità costituzionale, il vincolo cessa[29]. Ma cessa anche se, successivamente, la questione viene diversamente risolta dalle sezioni unite della Cassazione, dalla Corte di giustizia dell’Unione europea[30] o dalla Corte costituzionale. Se, quando la causa viene decisa, l’interpretazione della norma è mutata, sarebbe illogico imporre al giudice di merito di applicare un principio ormai inattuale. La durata del processo, soprattutto in materia tributaria, è tale che (per esperienza diretta) il ricorso per cassazione può essere deciso sette anni dopo la sua proposizione; se il rinvio pregiudiziale è stato disposto tre anni prima, applicare un principio di diritto ormai decennale, difforme dall’orientamento attuale della Cassazione, determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento. La questione sarebbe infatti diversamente risolta nei confronti di Tizio, che subirebbe il vincolo derivante dal rinvio pregiudiziale, e di Caio, che invece con il ricorso ordinario sottoporrebbe la questione – rimasta, nei suoi confronti, indecisa e quindi impregiudicata – all’esame della Corte. Oltre alle sopravvenienze normative e giurisprudenziali, anche quelle fattuali possono sciogliere il giudice a quo dal vincolo ad applicare il decisum della Cassazione: dall’istruttoria può infatti emergere una situazione di fatto difforme da quella tenuta presente nella formulazione del quesito[31].

In definitiva, il giudice di merito deve applicare il principio con l’implicita clausola rebus sic stantibus. E quando la causa, decisa nel doppio grado di merito, viene devoluta alla Cassazione in sede impugnatoria, non le è inibita la revisione del principio olim enunciato, se nelle more si siano pronunciate in senso difforme le sezioni unite[32]. L’ultimo comma dell’art. 363 bis – in forza del quale “il principio di diritto enunciato dalla Corte è vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti” – deve essere quindi interpretato conformemente ai principi costituzionali di eguaglianza dei consociati (art. 3), giustizia del processo (art. 111) e prevalenza del diritto unionale (art. 117). Altrimenti l’enunciazione del principio, funzionale a risolvere la lite secondo diritto, rischia di diventare una camicia di Nesso.

Non mi sembra in contrario invocabile il vincolo a carico del giudice di rinvio[33], atteso che nella specie la causa è stata decisa, anche in fatto, e la fase rescissoria, salvo il caso di rinvio restitutorio, è una prosecuzione del giudizio di legittimità[34]. Peraltro, della ragionevolezza del principio di intangibilità della regula iuris enunciata dalla Cassazione a norma dell’art. 384, nonostante il sopravvenuto mutamento della giurisprudenza (equiparabile ad uno ius superveniens di fonte pretoria e non legislativa), si è fondatamente dubitato[35]. Ed anche Claudio Consolo, che pure ha difeso (in tempi non recenti) “la soluzione conforme ai principi tradizionali e certo corretta sul piano logico-costruttivo (quella della fermezza del vincolo pur se la sua matrice giurisprudenziale generale sia divenuta medio tempore obsoleta)”, ha avvertito “un senso di inappagamento e in certe occasioni anche di stridente ingiustizia”, specie nei casi “in cui il superamento di un precedente orientamento giurisprudenziale retrivo o inutilmente severo sia infine avvenuto proprio in forza dell’accoglimento da parte della Suprema Corte delle già diffuse critiche, della dottrina o dei giudici di merito, fino ad allora – e così anche nella sentenza di cassazione con rinvio il cui carattere vincolante non si ammette scalfito – lasciate inascoltate”; con la conseguenza “che cause analoghe possano, nello stesso torno di tempo, essere decise da altri giudici secondo la nuova giurisprudenza, e così con decisioni destinate ad essere confermate, anche in Cassazione, là dove il giudice di rinvio si espone a veder cassata la sua coeva decisione se si dipartisse anch’egli dalla lezione giuridica ormai (in thesi) generalmente ripudiata”[36].

Sul principio di diritto contenuto nella pronuncia rescindente non si forma il giudicato[37]: se così fosse, resisterebbe allo ius superveniens applicabile retroattivamente[38], che invece lo caduca. Ma, pure ammesso concessivamente che l’efficacia sia quella di cui all’art. 2909 c.c., “l’accertamento sul punto di diritto si limita alla premessa maggiore del sillogismo in relazione ad una premessa minore che rimane tuttavia problematica od ipotetica e quindi la conclusione rimane a sua volta necessariamente altrettanto ipotetica”[39]. In caso di rinvio pregiudiziale, l’accertamento del fatto non è stato ancora irretrattabilmente compiuto e, come nei rescritti imperiali, il principio di diritto viene enunciato dalla Cassazione con la riserva si vera sunt exposita o si preces veritate nituntur.

Il giudicato, per antico e condiviso insegnamento, si forma sul diritto oggetto del processo e non sulle questioni, di fatto e di diritto, ivi controverse[40]. La sentenza della Cassazione che enuncia il principio di diritto non forma giudicato, né quindi preclude il riesame della questione, che non potrebbe dedursi ad oggetto di autonomo giudizio, non essendo una pregiudiziale in senso tecnico ex art. 34[41]: il processo serve a tutelare il diritto del quale l’attore si afferma titolare e l’interpretazione della norma ha valore meramente strumentale[42].

La pronuncia della S.C. è un parere che, ad invarianza di quadro normativo e giurisprudenziale, vincola il giudice di merito; vincolo anche extraprocessuale o panprocessuale, sopravvivente all’estinzione del processo, ma privo della firmitas della cosa giudicata sostanziale e, quindi, non resistente alle sopravvenienze[43]: tra le quali non vanno enumerate le sole ipotesi della legge interpretativa ovvero della pronuncia caducatoria (della Corte costituzionale) o conformativa (della Corte di giustizia dell’Unione europea), ma anche i mutamenti della giurisprudenza e segnatamente le difformi pronunce delle sezioni unite della Cassazione. E mentre l’applicazione nella fase rescissoria di una massima contraria a quella anteriormente enunciata ex art. 384 nuocerebbe alla parte vittoriosa nella fase rescindente, nel caso del rinvio pregiudiziale tale pericolo non sussiste, essendo la causa ancora indecisa. Non si vuole certamente ricomprendere la giurisprudenza tra le fonti di diritto oggettivo: ma se, dopo che il giudice di primo grado ha applicato il principio fissato dalla Cassazione a sezione semplice in sede di rinvio pregiudiziale, sulla medesima questione interviene una decisione di contrario segno delle sezioni unite, il giudice d’appello deve ignorarla? Credo invece che vi si possa conformare, ove la condivida, avendo valore persuasivo e non vincolante, oppure disporre un nuovo rinvio affinchè la Cassazione riveda il principio precedentemente fissato, divenuto inattuale.

Certo è che la decisione della Cassazione non impedisce al giudice a quo di sollevare questione di legittimità costituzionale della disposizione, per come interpretata dalla S.C., o di formulare richiesta di interpretazione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea: poteri dei quali è d’altronde titolare anche il giudice di rinvio[44].

Nei confronti dei giudici diversi da quello rimettente la pronuncia della Cassazione ha valore persuasivo e non vincolante. Non possiede la c.d. efficacia rafforzata della decisione resa ai sensi dell’art. 420 bis: stante il rinvio all’art. 64, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 da parte dell’art. 146 bis disp. att., “quando per la definizione di altri processi è necessario risolvere una questione” relativa all’efficacia, alla validità od all’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale “sulla quale e già intervenuta una pronuncia della Corte di cassazione”, il giudice, se “non ritiene di uniformarsi alla pronuncia della Corte”, provvede con sentenza, ricorribile per cassazione[45]. Si è così introdotta “surrettiziamente una sorta di quasi vincolatività del precedente”[46]: il giudice resta libero di dissentire dalla pronuncia della Cassazione, ma deve emettere sentenza ex art. 420 bis, se vuole provocare un mutamento della giurisprudenza, talchè la vincolatività del precedente è meramente relativa[47]. Nella fattispecie dell’art. 363 bis, invece, il giudice (diverso da quello rimettente), che non intenda conformarsi al principio di diritto precedentemente enunciato dalla Cassazione sulla questione controversa in un diverso processo, non è tenuto a disporre il rinvio pregiudiziale, potendo decidere il merito sulla base di una diversa opzione ermeneutica.

3. La questione deve essere “esclusivamente di diritto”. Sul punto la dottrina ha espresso perplessità. Giorgio Costantino ha osservato che per gli artt. 360, comma 3, e 827, comma 3, non sono autonomamente impugnabili le sentenze ed i lodi che definiscono questioni; l’innovazione legislativa “prescinde dalla possibilità che analoghi risultati avrebbero potuto essere realizzati con un potenziamento, sul piano organizzativo, del ricorso nell’interesse della legge di cui all’art. 363. Ignora anche le ragioni che avevano condotto alla modifica dell’art. 367 ed introduce un’ipotesi di sospensione automatica del processo. Non considera lo scarso successo dell’accertamento pregiudiziale di cui all’art. 420 bis c.p.c. Espone i giudici di merito alla tentazione di liberarsi del fascicolo”[48]. Per Giovanni Verde si è “introdotto un caso di pregiudizialità artificiale, con necessaria sospensione del processo, che la parte dovrà subire addirittura senza rimedi. Paradossalmente, in una legge dettata dall’obbligo della accelerazione (e con l’obiettivo di contenere i ricorsi al giudice), si è introdotta una disposizione che allontana la decisione di merito, che, anche se di primo grado, è comunque esecutiva. Oltre i dubbi di natura tecnica, si impone un’ulteriore riflessione. La disposizione, infatti, è il prodotto della svalutazione del fatto, là dove fatto e diritto sono indissolubili come la carne e il sangue”[49].

Ammesso che possano distinguersi le questioni di fatto da quelle di diritto[50], soprattutto quando si tratti di clausole generali (correttezza, buona fede ecc.), anziché di norme di fattispecie, non è agevole individuare questioni esclusivamente di diritto sostanziale[51]. Ma penso anche a questioni di diritto processuale: quando si afferma che “la mediazione obbligatoria ex art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, quale condizione di procedibilità finalizzata al raggiungimento di una soluzione conciliativa che scongiuri l’introduzione della causa, è applicabile al solo atto introduttivo del giudizio e non anche alle domande riconvenzionali, fermo restando che al mediatore compete di valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed al giudice di esperire il tentativo di mediazione, ove possibile, per l’intero corso del processo”[52], si commette al giudice di merito l’indagine di fatto circa l’eventuale disamina, da parte del mediatore, anche delle pretese dedotte in via riconvenzionale.

Il testo redatto dalla commissione ministeriale richiedeva che la questione di diritto fosse nuova o comunque non fosse “stata già trattata in precedenza dalla Corte”[53]. L’art. 9 della legge delega prevedeva invece che la questione non fosse stata “ancora affrontata dalla Corte di cassazione” e fosse altresì “di particolare importanza”. Il decreto ha soppresso il riferimento alla particolare importanza della quaestio iuris (che avrebbe verosimilmente – ma non obbligatoriamente – comportato la rimessione alle sezioni unite)[54], che non deve essere “stata ancora risolta dalla Corte di cassazione”. Da questa variazione lessicale si è dedotto che «ad integrare uno dei presupposti di ammissibilità del rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. – il quale dispone che la questione non dev’essere stata “ancora risolta dalla Corte di cassazione” – è sufficiente anche una latente divergenza tra le decisioni delle diverse sezioni della S.C., poiché si deve valorizzare il riferimento testuale della predetta norma codicistica rispetto a quello della legge delega, che, nei suoi principi e criteri direttivi, richiedeva che la questione non fosse stata ancora “affrontata” dalla Corte di legittimità»[55].

Contro questa massima (che recepisce un’accreditata opinione dottrinale)[56] si è obiettato che “divergenza latente” o “contrasto latente” di orientamenti sulla questione controversa significa «che la questione è stata non solo affrontata ma anche e proprio risolta, sebbene (appunto) con contrasto di posizioni. È intuitivo che il rinvio presuppone che non sia riscontrabile una già formata soluzione definitiva della questione sottesa, perché altrimenti il quesito avrebbe il senso di una sollecitazione mera al mutamento di giurisprudenza. E quindi non è questo il punto. Il punto è che il rinvio pregiudiziale, così come non è funzionale al mutamento di giurisprudenza, non è neppure uno strumento per la soluzione di contrasti interni alla Cassazione. Il rinvio pregiudiziale non è un interpello alla Corte teso a ottenere un parere consultivo col fine di far chiarezza tra orientamenti contrapposti. E la sua funzione non è quella di indurre la Corte ad affinare o a cambiare la sua giurisprudenza. La questione “non ancora risolta” è la questione “non ancora affrontata”, esattamente come emerge dalla legge delega»[57].

Secondo questa ricostruzione, la questione irrisolta è la questione indecisa, come nell’ordinamento francese, nel quale la saisine pour avis è inammissibile quando sulla questione di diritto la Cour de cassation si sia già pronunciata con un arrêt o con un avis, in tal caso difettando i requisiti della novità e della difficulté sérieuse[58]. Ai fini del rinvio pregiudiziale, la precondizione è che non vi siano precedenti nella giurisprudenza di legittimità: se esiste già un precedente (o a fortiori se esistono più precedenti) della Cassazione, il rinvio pregiudiziale non serve. Anche per la commissione ministeriale, «la “novità” deve essere intesa in modo più ampio, quale assenza di precedenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità»[59]. Se vi è anche un solo precedente di legittimità, la questione non è nuova e quindi non può formare oggetto di rinvio. Se il giudice recepisce il precedente e la decisione viene confermata in appello, il ricorrente ha l’onere di indicare le ragioni di dissenso, pena l’inammissibilità del motivo (art. 360 bis, n. 1). Il giudice a quo non può disporre il rinvio onde provocare la revisione del principio già affermato dalla Cassazione, sia pure nell’unico precedente edito; non è tenuto ad applicarlo e non lo applicherà, se motivatamente lo riprovi. Se invece la questione è già stata variamente risolta dalla Cassazione, il giudice deve operare la scelta tra uno dei diversi orientamenti (oppure disattenderli tutti ed accogliere un’interpretazione originale): non può pretendere che sia la S.C., a sezioni unite (stante il contrasto), a dettare la regula iuris.

Le superiori considerazioni sono però contraddette dalla massima citata in esordio: la “divergenza latente” (o conclamata) tra decisioni delle sezioni semplici giustifica il rinvio. Si finisce così con il deresponsabilizzare il giudice di merito, che non è tenuto ad aderire ad un orientamento anziché ad un altro, ma può rimettere la decisione della fattispecie alla Cassazione, che risolve il conflitto. Se così è, la questione può ritenersi risolta, con preclusione del rinvio, solo se abbia formato oggetto di esame, in via non meramente incidentale, da parte delle sezioni unite. E’ quindi prevedibile un aumento incontrollato dei rinvii da parte dei giudici di merito, che costringerà il legislatore ad un intervento correttivo.

L’ammissibilità del rinvio in presenza di “divergenze interpretative” nella giurisprudenza di legittimità può determinare l’abuso dello strumento, peraltro non sanzionabile con la condanna alle spese, trattandosi di iniziativa officiosa. Il giudice di merito, in assenza di una massima consolidata (ammesso che esistano: ne hanno dubitato tre Maestri del diritto processuale civile)[60], può decidere di non decidere, in deroga al divieto di non liquet[61].  Piuttosto che di denegata giustizia, si tratta di delegata giustizia: il giudice di merito demanda alla Cassazione l’interpretazione della legge, sostanziale o processuale, applicabile alla res in iudicium deducta. In numerosi decreti presidenziali di inammissibilità si afferma che “il dubbio ermeneutico deve assurgere a un livello di serietà idoneo a impedire un arretramento del potere-dovere decisorio del giudice” e “la grave difficoltà interpretativa non può derivare dalla scelta tra due soluzioni contrapposte e astrattamente configurabili, quando queste non dividono il campo della giurisprudenza di merito. Ed infatti, diversamente opinando, ogni questione interpretativa dovrebbe dirsi passibile di essere sottoposta, tramite l’istituto di cui all’art. 363 bis c.p.c., alla decisione della Corte di cassazione, finendo con l’inaridire il compito di interpretare la legge, che è dovere indeclinabile di ogni giudice”[62]. Tuttavia, l’implicito richiamo al brocardo in claris non fit interpretatio non esclude che, in presenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, il giudice di merito possa astenersi dal seguire l’uno o l’altro orientamento.

Un utile criterio selettivo della novità della questione può trarsi da una nota ordinanza di rimessione alle sezioni unite. L’art. 360 bis, n. 1, predica l’inammissibilità del ricorso “quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte” ed il ricorrente non prospetta ragioni idonee a “confermare o modificare l’orientamento” della S.C. Recependo le “Linee-guida per il funzionamento della sesta sezione civile”, emanate con circolare del primo presidente del 22 aprile 2016[63], l’ordinanza afferma che vi è “giurisprudenza”, ai sensi della citata disposizione, “quando sulla quaestio iuris decisa dalla sentenza impugnata: 1) vi è una decisione a sezioni unite; 2) vi è un orientamento consolidato delle sezioni semplici; 3) vi sono poche sentenze di una o più sezioni semplici, se convergenti; 4) vi è una sola sentenza, se ritenuta convincente”[64]. Se ne argomenta a contrario che, se i precedenti sono divergenti, sulla questione non può reputarsi formato un orientamento della giurisprudenza di legittimità, tale da rendere inammissibile il ricorso che non prospetti elementi di motivato dissenso.

In definitiva, la locuzione “questione non risolta”, che figura nell’art. 363 bis, minus dixit quam voluit: la questione non deve essere stata univocamente risolta[65]. Una pronuncia delle sezioni unite o decisioni conformi delle sezioni semplici sul punto controverso escludono la novità della questione; un contrasto, tra diverse sezioni od all’interno della medesima sezione, invece, non impedisce il rinvio pregiudiziale, che in questo caso dovrebbe essere devoluto alle sezioni unite, istituzionalmente preposte alla risoluzione dei conflitti interni alla Corte (art. 374, comma 2).

4.Il giudice di merito, legittimato alla rimessione, non si identifica con quello che deve statuire sul diritto controverso con decisione idonea al giudicato formale e sostanziale; pertanto, il rinvio pregiudiziale è ammissibile non solo nel processo contenzioso, ma anche nei giudizi definibili con provvedimenti non ricorribili in Cassazione, in quanto di natura camerale, esecutiva o cautelare[66], sia stata chiesta la misura provvisoria e strumentale ante causam o lite pendente[67], o si tratti di provvedimenti anche latamente cautelari, come le inibitorie e le sospensioni[68]; è ammesso nel processo di primo grado od in quello di reclamo o di appello, ma non in sede di rinvio prosecutorio, essendo il giudice della fase rescissoria già soggetto al principio di diritto enunciato con la pronuncia rescindente[69]; nel giudizio di rinvio restitutorio, invece, non sussistono impedimenti all’attivazione dell’incidente pregiudiziale[70].

Poiché l’ordinanza resa sul reclamo ex art. 669 terdecies non è impugnabile, è possibile che il collegio disattenda il principio di diritto (salva la valutazione dell’eventuale rilevanza disciplinare della violazione), senza che il provvedimento sia sindacabile da parte della Cassazione. Se invece il collegio si conforma alla massima, confermando o concedendo la cautela, il provvedimento non pregiudica la decisione del merito, che può legittimamente ignorare la pronuncia interpretativa, vincolante nel procedimento cautelare ma non in quello a cognizione piena.

Mentre la legittimazione del giudice tributario a disporre il rinvio è stata riconosciuta dalla Cassazione[71], la dottrina nega che i giudici amministrativo e contabile possano interpellare la S.C., non essendo le loro decisioni impugnabili con il ricorso per cassazione, salvo che per motivi attinenti alla giurisdizione[72]: di tale questione pregiudiziale di rito la S.C. – supremo organo regolatore dei conflitti di giurisdizione – può essere officiosamente investita dal giudice speciale. E’ dubbio, invece, che il rinvio possa concernere altre questioni: e non perché la decisione viziata da errores in iudicando vel in procedendo sia insindacabile (se non per eccesso di potere di giurisdizionale), argomento ormai privo di efficacia persuasiva dopo la riconosciuta legittimazione del giudice cautelare a provocare l’incidente interpretativo, ma perché l’interpretazione vincolante della Cassazione lederebbe l’autonomia del giudice speciale d’appello. Il T.A.R. o la sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti dovrebbe infatti applicare il principio di diritto, che il Consiglio di Stato o la sezione centrale d’appello non potrebbe disattendere.

Il rinvio – che può avere ad oggetto una questione attinente alla giurisdizione, anche del giudice tributario a quo[73], sempre che non sia stato già proposto regolamento preventivo ad istanza di parte[74] – va disposto con ordinanza, previa audizione delle parti costituite, da parte del giudice (monocratico o collegiale) titolare della potestas iudicandi. Tuttavia, l’ordinanza non preceduta dal contraddittorio con e tra le parti “non è automaticamente nulla né rende di per sé inammissibile il rinvio, potendo il contraddittorio preventivo essere recuperato nella fase dinanzi alla Corte di cassazione con le memorie in vista della pubblica udienza e con la discussione orale dinanzi alla Corte”[75].

La legge non fissa né il dies a quo, né il dies ad quem per la pronuncia dell’ordinanza di rinvio. La questione deve essere idonea a risolvere almeno parzialmente il giudizio e tale rilevanza si apprezza, nel processo civile, quando la causa è riservata in decisione, anche anticipatamente, per la pronuncia su questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito (art. 187). La sede propria per l’elevazione dell’incidente è quella decisoria; emessa la sentenza definitiva, il giudice consuma ogni suo potere (eccetto quello di correzione ex art. 287), compreso quello di rimessione. Il rinvio dovrebbe essere peraltro inammissibile prima della definizione del thema decidendum, all’esito del deposito delle memorie ex art. 171 ter[76].

L’ordinanza che dispone il rinvio è revocabile dal giudice che l’ha pronunciata, con l’effetto, quando sia pervenuta alla cancelleria della Corte di cassazione, di estinguere il procedimento incidentale, salvo che la Corte ritenga di pronunciare nell’interesse della legge: ma in tal caso nessun vincolo opererà a carico del giudice a quo[77]. La revoca può essere giustificata da sopravvenienze, tra le quali rientrano una pronuncia delle sezioni unite sulla questione od un fatto che determina la cessazione della materia del contendere, rendendo così irrilevante il dubbio interpretativo coltivato dal giudice rimettente. La modifica dell’ordinanza è parimenti possibile, per integrare una motivazione lacunosa, fino a quando la questione non sia stata dichiarata inammissibile dal primo presidente.

Depositata l’ordinanza che dispone il rinvio, il giudizio di merito è sospeso ipso iure, con la conseguenza che non possono essere compiuti atti, a pena di nullità[78], e che i termini in corso sono interrotti (art. 298). Restano salvi gli atti urgenti (tra i quali rientrano le misure cautelari e, in genere, gli atti, anche istruttori, che non tollerano dilazione) e quelli istruttori che non dipendono dalla risoluzione della questione, vertendo su fatti estranei al rinvio pregiudiziale (art. 363 bis, comma 2). La sospensione – che dura fino al provvedimento con il quale il primo presidente od il collegio definisce la questione, disponendo la restituzione degli atti all’ufficio rimettente – non è ordinata a norma dell’art. 295, con la conseguenza che l’ordinanza non è impugnabile con il regolamento di competenza[79]. Peraltro, stante il carattere automatico della sospensione, non è neppure necessario un provvedimento che espressamente la disponga e che, se adottato, ha valore dichiarativo e non costitutivo.

La sospensione – che rappresenta la principale criticità dell’istituto[80] – non impedisce la proponibilità del regolamento di giurisdizione[81]. E’ da ritenersi che, se la parte che vi ha interesse propone regolamento, il giudice non possa successivamente disporre rinvio pregiudiziale sulla giurisdizione: la questione è già devoluta alla Cassazione, che provvede a norma dell’art. 375, comma 2, n. 4; e, se pure il giudice a quo trasmettesse il fascicolo alla Corte, l’eventuale decreto presidenziale di inammissibilità non priverebbe la parte istante del diritto alla pronuncia sul regolamento. Piuttosto, deve rilevarsi che, se la pregiudiziale di rito è sollevata dal giudice di merito, il processo è automaticamente sospeso, laddove il regolamento non ha effetto sospensivo ipso iure (art. 367). La questione di giurisdizione può quindi comportare o non comportare la quiescenza del processo di merito, a seconda che l’iniziativa sia assunta dal giudice o dalla parte. Nè si tratta di una novità nel nostro ordinamento processuale: chiesto il regolamento di giurisdizione d’ufficio a norma dell’art. 59, comma 3, legge 18 giugno 2009, n. 69, il processo va sospeso in applicazione analogica dell’art. 48[82].

L’ammissibilità del rinvio pregiudiziale nel processo cautelare ne comporta la sospensione, incompatibile con l’esigenza di prevenire senza ritardo il pericolo di tardività o di infruttuosità[83]. Può nella specie estendersi la regola pretoria in tema di sospensione nelle more dell’incidente di costituzionalità[84]: il giudice rimettente può concedere la cautela sotto la riserva di confermarla, modificarla o revocarla all’esito della (e conformemente alla) pronuncia interpretativa[85].

Non può il giudice di merito, diverso da quello rimettente, sospendere d’ufficio il processo propter opportunitatem, in attesa della decisione della S.C.[86], così come non può sospenderlo in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, investita della questione da parte di altro giudice; l’ordinanza che disponga tale anomala sospensione è impugnabile con il regolamento di competenza[87]; il termine per la riassunzione del processo irritualmente sospeso decorre dalla pubblicazione sul sito della Cassazione del decreto presidenziale o della sentenza[88]. Può invece il giudice rinviare la causa ad udienza fissa, in attesa della pronuncia della Cassazione, sussistendo apprezzabili ragioni di economia processuale, ma solo sull’accordo delle parti, che rinunciano ad interloquire sulla questione pendente davanti alla S.C.: soltanto le parti del giudizio di merito nel corso del quale è disposto il rinvio, infatti, sono ammesse alla difesa scritta ed orale davanti alla Corte. Qualora sia disposta la sospensione anomala od il rinvio ad udienza fissa del processo di merito, le parti non potranno intervenire per esporre alla Cassazione le rispettive ragioni: neppure nel procedimento di rinvio pregiudiziale, infatti, è ammesso l’intervento di terzi, che nella specie sono titolari di un interesse di mero fatto alla risoluzione della questione, atteso che la pronuncia interpretativa vincola esclusivamente il giudice rimettente e non anche il diverso giudice che debba risolvere identica quaestio iuris[89].

Se le parti costituite non consentono al differimento, va disposta la rimessione alla Cassazione per ragioni identiche a quelle già enunciate nell’ordinanza pronunciata da altro giudice e pubblicata nel sito istituzionale. Né trattasi di inammissibile motivazione per relationem, come pure si è paventato[90]: non è infatti impedito al giudice Tizio di citare adesivamente il provvedimento del giudice Caio, purchè dia conto della decisività della questione nella fattispecie controversa. Pervenuto il fascicolo alla Corte, il primo presidente, se nelle more sia già intervenuta declaratoria di inammissibilità o sentenza, ne darà atto nel decreto, disponendo la restituzione degli atti; altrimenti, se la questione sia stata rimessa al collegio, le parti del processo di merito saranno ammesse a depositare memorie ed a partecipare all’udienza pubblica.

Poiché il principio di diritto enunciato dalla Cassazione ha efficacia ultrattiva, sopravvivendo all’estinzione del giudizio, la mors litis (per rinuncia agli atti del giudizio, non essendo configurabile inattività delle parti durante la quiescenza del processo) non è di ostacolo alla decisione della Cassazione[91].

L’apprezzamento circa le gravi difficoltà interpretative ed il carattere seriale della questione[92] è rimesso all’insindacabile valutazione del primo presidente, non soggetta ad alcuna forma di riesame o di impugnazione. La positiva delibazione presidenziale, invece, non vincola il collegio, che può sottrarsi all’enunciazione del principio di diritto, qualora ravvisi il difetto delle condizioni della consultatio ante sententiam[93]. Il primo presidente si avvale, in questa fase preliminare, dell’Ufficio questioni pregiudiziali, costituito con decreto 8 febbraio 2023 e composto dal direttore del massimario, dal coordinatore delle sezioni unite civili e dal direttore del CED, ciascuno con facoltà di delega.

Disposta la rimessione dal primo presidente, alle sezioni unite (se trattasi di questione di giurisdizione o di speciale importanza) od alla sezione semplice tabellarmente competente, la Corte provvede con sentenza all’udienza pubblica. L’omessa comunicazione alle parti costituite nel giudizio di merito, nel termine indicato dall’art. 377, comma 2, del decreto del primo presidente e di quello di fissazione dell’udienza pubblica rende necessario il rinvio ad altra udienza, salvo che le parti chiedano concordemente la discussione immediata sulla base delle difese già sviluppate, anche nelle memorie eventualmente depositate oltre il termine previsto dall’art. 378, stante il pieno raggiungimento di ogni scopo processualmente rilevante, con conseguente sanatoria, ai sensi dell’art. 156, comma 3, di tutte le difformità nella conduzione del processo[94].

Con la sentenza la Corte non può interpretare estensivamente la quaestio iuris sollevata dal rimettente, dovendo limitarsi all’enunciazione del principio di diritto correlativo richiesto dal giudice di merito[95]. La pronuncia, quindi, non può concernere disposizioni di legge ulteriori rispetto a quelle indicate nell’ordinanza di rinvio, dovendo esaurirsi nella risposta ad un quesito, formulato dal giudice di merito anzichè dalla parte ricorrente, come prescriveva l’abrogato art. 366 bis.

Non è prevista la liquidazione – né con il decreto che dichiara inammissibile il rinvio, né con la sentenza che invece risolve la questione – delle spese della fase incidentale, riservata al giudice di merito in relazione all’esito finale della controversia, come avviene anche nel giudizio di rinvio[96]. Dubito peraltro che, rispetto ad una questione officiosamente sollevata od addirittura rimessa alla S.C. su concorde richiesta delle parti, sia configurabile quella soccombenza che della condanna alle spese costituisce il presupposto.

Restituiti gli atti al giudice a quo, il processo di cognizione, che era rimasto sospeso, deve essere riassunto con ricorso[97], da depositare nel termine perentorio di tre mesi (art. 297), decorrente dalla comunicazione – cui provvede la cancelleria della S.C.[98] – alle parti costituite del decreto che dichiara inammissibile la questione o della sentenza che la risolve[99]. Nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è invece prevista una diversa e posteriore decorrenza[100]: tuttavia, l’art. 363 bis non prescrive che, restituiti gli atti, il cancelliere del giudice a quo provveda a comunicare alle parti costituite l’esito del rinvio. La pubblicazione nel sito istituzionale della Corte, prescritta dall’art. 137 ter disp. att., del decreto presidenziale che dichiara inammissibile la questione non è invece idonea a provocare la decorrenza del termine per la riassunzione, a tal fine occorrendo la conoscenza della cessazione della causa di sospensione[101], conseguita mediante la comunicazione, laddove la pubblicazione rende l’atto meramente conoscibile. Il termine è soggetto a sospensione feriale, salve le eccezioni previste dalla legge ratione materiae (controversie di lavoro, opposizioni esecutive ecc.). Se è stato sospeso un processo esecutivo, il termine per la riassunzione è quello semestrale previsto dall’art. 627. Il processo sospeso non tempestivamente riassunto si estingue. L’estinzione può avere effetti anche esterni al processo sospeso, come nel caso previsto dall’art. 624, comma 3: sospesa l’esecuzione con ordinanza, l’estinzione del giudizio di opposizione comporta, infatti, la mors executionis[102].

Estintosi il giudizio, o la domanda resta indecisa (ma potrà essere riproposta e, nel nuovo giudizio, sarà applicabile la regula iuris fissata dalla Cassazione), oppure, nei processi di natura anche latamente impugnatoria, diventa definitivo il provvedimento gravato, senza che il vincolo interpretativo possa avere effetto. L’estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo o di appello, infatti, determina la formazione del giudicato (o, nel primo caso, della redentiana preclusione pro iudicato), benchè contrario al principio di diritto[103]. Si è argomentato che, invece, il principio dovrebbe modificare gli effetti della decisione appellata e così precluderne la firmitas, in virtù della riserva contenuta nell’art. 338[104]. La dottrina maggioritaria[105] e la giurisprudenza[106], tuttavia, ritengono idonee ad impedire la formazione del giudicato sulla pronuncia di primo grado le sole sentenze non definitive, di rito o di merito, emesse dal giudice d’appello e che abbiano inciso sulle statuizioni della sentenza impugnata, operandone una sostituzione ovvero una parziale modificazione; con specifico riferimento alla sospensione del processo di secondo grado per pregiudizialità, si nega l’attitudine modificativa del provvedimento ordinatorio, “il quale comporta solo la possibilita di una modifica della sentenza impugnata, in esito al giudizio di natura pregiudiziale, ma non modifica attualmente la sentenza”[107]. Ne consegue che qualora il processo venga successivamente dichiarato estinto, per non essere stato tempestivamente riassunto, l’ordinanza di sospensione non rientra tra i provvedimenti pronunciati nel corso del procedimento estinto, menzionati nell’art. 338, che modificano la sentenza impugnata e, pertanto, non preclude il passaggio in giudicato di quest’ultima in conseguenza dell’estinzione del giudizio di impugnazione[108]. La decisione della S.C. non comporta ex se la riforma, totale o parziale, della sentenza di primo grado, dovendo essere applicata nel caso di specie. Si consideri il seguente esempio: domanda rigettata dal giudice di primo grado, per intervenuta prescrizione quinquennale del diritto; la Cassazione, su rinvio del giudice d’appello, statuisce invece che la prescrizione è quella ordinaria; estintosi il processo d’appello, restano impregiudicate le questioni, che il giudice di secondo grado non ha risolto, relative alla decorrenza del termine decennale, alle cause interruttive o sospensive, alla rinuncia alla prescrizione ecc. Invero, oggetto del rinvio è “soltanto l’interpretazione e non anche l’applicazione della norma alla fattispecie (…). La questione sussuntiva resta aperta all’esito dell’esaurimento del procedimento di rinvio pregiudiziale, per cui ben potrà porsi anche in sede di legittimità un problema di falsa applicazione della norma, previamente interpretata in sede di rinvio pregiudiziale”[109]. La pronuncia della Cassazione, in diversi termini, determina la sola premessa maggiore del sillogismo giudiziale (la norma), restando la fissazione della premessa minore (il fatto) e la deduzione dell’inferenza (la decisione) riservate al giudice rimettente; come nel giudizio di rinvio, spetta al giudice della fase rescissoria sussumere il fatto nella norma ed accertare gli effetti che ne derivano[110]. Anche quando la norma viene dichiarata incostituzionale, se il processo d’appello rimasto sospeso non viene riassunto la sentenza di primo grado diventa regiudicata, benchè resa in applicazione della norma contra constitutionem[111]. Ed analogo principio è stato enunciato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nell’ipotesi di decisione interpretativa (vincolante erga omnes) della Corte di giustizia dell’Unione europea[112].

[1] MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, Ufficio legislativo, Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi, Proposte normative e note illustrative, 24 maggio 2021, p. 3.

[2] CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, Richiesta del Ministro della Giustizia, ai sensi dell’art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, di parere sul testo del decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 28 luglio 2022, concernente: “Schema di decreto legislativo recante attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206 recante delega al governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa alle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”, Roma, 21 settembre 2022, p. 30.

[3] In apposita sezione del sito istituzionale della Cassazione sono pubblicati, a norma dell’art. 137 ter disp. att. ed a cura del CED, i provvedimenti di rinvio ed i decreti presidenziali che dichiarano l’inammissibilità della questione o ne dispongono l’assegnazione alle sezioni unite od alla sezione semplice tabellarmente competente, nonché – per quanto la citata disposizione non lo prescriva – le sentenze che risolvono gli incidenti interpretativi. V. le rassegne di C. SILVESTRI, Il rinvio per interpretazione pregiudiziale alla Corte di cassazione a oltre un anno dalla sua entrata in vigore, in www.judicium.it, 3 ottobre 2024; A. BRIGUGLIO, Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363 bis c.p.c., ivi.

[4] Decr. 17 maggio 2024, n. 13749 (n. 8999/2024 R.G.).

[5] Per questa definizione della pregiudizialità v. S. RECCHIONI, Pregiudizialità processuale e dipendenza sostanziale nella cognizione ordinaria, Padova, 1999, p. 89.

[6] A. ROMANO, La pregiudizialità nel processo amministrativo, Milano, 1958, p. 54.

[7] Così G. COSTANTINO, Sull’accertamento pregiudiziale della efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi, in Corr. giur., 1998, pp. 966 ss., spec. 972, a proposito dell’art. 30 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80; A. CARRATTA, sub art. 420 bis, in AA.VV., Le recenti riforme del processo civile, diretto da S. Chiarloni, Bologna, 2007, p. 563.

[8] Cass., 30 aprile 2024, n. 11668, in motivazione, § 3.4.2.

[9] Decr. 11 aprile 2024, n. 9808 (n. 5709/2024 R.G.); in senso conforme v. decr. 15 marzo 2024, n. 7106 (n. 2695/2024 R.G.); decr. 14 febbraio 2024, n. 4071 (n. 1550/2024 R.G.); decr. 7 novembre 2023, n. 31016 (n. 20085/2023 R.G.); decr. 3 novembre 2023, n. 30657 (n. 18326/2023 R.G.).

[10] A. BRIGUGLIO, Il rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di cassazione, in Il proc., 2022, pp. 947 ss., § 1.

[11] E.T. LIEBMAN, Sulla sospensione propria ed “impropria” del processo civile, in Problemi del processo civile, Napoli, s.d., pp. 291 ss., spec. 298 ss. La sospensione impropria si verifica, secondo l’illustre A., “quando il processo si sospende solo apparentemente, ma in realtà continua, deviato davanti a un altro giudice per lo svolgimento di una fase speciale, determinata dalla necessità di far decidere una delle questioni del processo da un giudice esclusivamente competente (…). Ciò che veramente distingue la sospensione impropria è il fatto dell’appartenenza inseparabile al processo principale della questione che dà luogo all’incidente, la quale non può diventare oggetto principale di giudizio autonomo e rimane invece semplice questione interna del processo in cui è sorta. Siamo in altri termini in presenza di una questione che viene decisa incidenter tantum e che, tuttavia, contrariamente a quello che avviene solitamente, deve essere decisa da un giudice speciale o comunque diverso, a favore del quale sussiste un titolo di competenza unica ed esclusiva”. Nella categoria dogmatica della sospensione impropria rientrano i regolamenti di giurisdizione (quando sia disposta la sospensione, che era obbligatoria quando l’A. scriveva) e di competenza nonché le rimessioni alla Corte costituzionale ed alla Corte di giustizia.

[12] L. GAROFALO, Il ritorno della consultatio ante sententiam e il regresso dei giuristi, in Fondamenti e svolgimenti della scienza giuridica. Saggi recenti, Napoli, 2023, pp. 181 ss.

[13] I rescripta erano le risposte scritte dell’imperatore alle richieste di pareri giuridici. Non avevano natura di sentenze, in quanto pronunciavano sulle questioni di diritto, non anche su quelle di fatto. Tuttavia, sulla premessa che il postulante avesse rappresentato la fattispecie conformemente al vero (si preces veritate nituntur), vincolavano il giudice a provvedere uniformandosi al principio statuito dall’imperatore. Al rescritto fu riconosciuto valore pari a quello delle leggi, venendo utilizzato come fonte per la decisione, oltre che del singolo caso controverso, di analoghe fattispecie (M. KASER, Storia del diritto romano2, Milano, 1981, p. 161). I rescripta venivano affissi nel luogo di emanazione da parte dell’imperatore; per poter disporre del testo, l’istante doveva chiederne copia (M. TALAMANCA, Il principato, in AA.VV., Lineamenti di storia del diritto romano, diretto da ID., Milano, 1979, p. 460). La ragione per la quale si riteneva che i rescritti non avessero efficacia generale era proprio l’assenza del requisito della pubblicità (A. NICOLETTI, Constitutiones principum, in Nss. dig. it., IV, Torino, 1959, p. 297). Durante il principato l’efficacia delle constitutiones principum fu equiparata a quella delle leges publicae, in forza della regola quod principi placuit, legis habet vigorem (Ulp., 1 instit., D. 1.4.1 pr.). Le costituzioni imperiali regolavano fattispecie generali ed astratte ovvero singoli e concreti casi: donde la distinzione, introdotta dal diritto postclassico, fra leges generales e leges speciales, che non potevano ad exemplum trahi e quindi applicarsi a casi simili od analoghi, atteso che beneficium principis personam non egreditur (Ulp., 1 instit., D. 1.4.1.2 pr.). I rescritti appartenevano alla seconda categoria e Diocleziano ne emise numerosissimi, soprattutto per diffidare i sudditi orientali da false interpretazioni del diritto romano. Dopo Costantino furono ammessi soltanto se enunciassero principi non contrastanti con le leges generales e contenessero la clausola si preces veritate nituntur (A. GUARINO, L’ordinamento giuridico romano4, Napoli, 1980, pp. 278 ss.).

[14] Post alia. Super paucis, quae iuridica sententia decidi non possunt, nostram debes consulere maiestatem, ne occupationes nostras interrumpas, cum litigatoribus legitimum remaneat arbitrium a sententia provocandi (C.Th. 11.29.1). Si in negotio civili cognitis utriusque actionibus pronuntiaveris te ad nostram scientiam relaturum, consultationis exemplum litigatoribus intra decem dies edi aput acta iubeas, ut, si cui forte relatio tua minus plena vel contraria videatur, is refutatorias preces similiter tibi aput acta offerat intra dies quinque, quam illi exemplum consultationis tuae obtuleris. Iam dicationis tuae est omnia, quae aput te vel aput alios gesta fuerint in eo negotio, consultationi tuae cum refutatoriis litigantis adnectere, ita ut scias et decem dies, intra quos edi consultationem oportet, et quinque, intra quos preces refutatoriae offerendae sunt, continuos debere servari. nam quinque diebus transactis nec offerentem preces refutatorias litigatorem debebis audire, sed sine his, quoniam intra statutum tempus oblatae non sunt, gesta omnia ad nostram referre scientiam (C.Th. 11.30.1). Sull’istituto v. F. PERGAMI, Studi sulla consultatio ante sententiam, Bergamo, 2005; ID., Amministrazione della giustizia e interventi imperiali nel sistema processuale della tarda antichità, Milano, 2007, pp. 3 ss.

[15] Proposte normative e note illustrative, cit., p. 73.

[16] Sulle differenze tra i due istituti v. soprattutto G. CARUSO, Il rinvio pregiudiziale su questioni di diritto in Cassazione, in Il proc., 2022, pp. 535 ss.; M. MARINELLI, La saisine pour avis de la Cour de cassation e il nuovo rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c.: divagazioni su norme giuridiche e «norme culturali», in Riv. dir. proc., 2024, pp. 67 ss. Sulla funzione consultiva nella specie esercitata dalla Cassazione francese v. P. CHAUVIN, La «saisine pour avis», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, pp. 1023 ss.; C. SILVESTRI, La saisine pour avis della Cour de cassation, in Riv. dir. civ., 1998, I, pp. 495 ss.; R. GIORDANO, La «saisine pour avis» alla Corte di cassazione francese, in Riv. dir. proc., 2005, pp. 109 ss.

[17] V. infra, 6.2.

[18] J. NIEVA-FENOLL, Le origini inglesi della Cassazione francese, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2022, pp. 465 ss.

[19] Sull’istituto, nella sua duplice configurazione facoltativa ed obbligatoria, v. P. CALAMANDREI, La cassazione civile, I, in Opere giuridiche, a cura di M. Cappelletti, VI, Napoli, 1976, pp. 406 ss., 435 ss.

[20] J. NIEVA-FENOLL, Le origini inglesi, cit., § 4.

[21] N. JAEGER, Nozione, caratteri, autorità della giurisdizione consultiva, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, pp. 978 ss.

[22] A. CARRATTA, Il rinvio pregiudiziale alla Cassazione e la decisione ‘‘soggettivamente complessa’’, in Giur. it., 2023, p. 473.

[23] Sul rapporto tra gli artt. 363 e 363 bis v. M. TURRINI, Rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione e principio di diritto nell’interesse della legge, in Riv. dir. proc., 2023, pp. 1609 ss., spec. 1618 ss.

[24] E. SCODITTI, Brevi note sul nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione, in Quest. giust., 2021, 3, pp. 3 ss. ricorda che compete alla Cassazione, a norma dell’art. 65 ord. giud., l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale. “La giurisprudenza quale uniforme interpretazione della legge non costituisce un vincolo giuridico per i giudici. Nel campo di applicazione della legge, la sentenza non può assurgere a fonte del diritto. Le conseguenze giuridiche del singolo episodio di vita dipendono sempre dalla legge e non da un precedente giudiziario. Una norma che, per ipotesi, rendesse vincolante la sentenza della Corte di cassazione per i successivi casi ad essa riconducibili non trasformerebbe la sentenza in fonte del diritto alla cui stregua collegare al fatto gli effetti giuridici. Questi resterebbero infatti imputabili alla fattispecie legale, e non al precedente giudiziale, sia perché la norma ipotetica che si sta considerando sarebbe indirizzata ai giudici e non ai consociati, sia perché criterio di validità in sede di legittimità delle sentenze di merito non sarebbe il precedente, ma la norma che lo rende vincolante, e dunque sarebbe questa la fonte di diritto eventualmente violata. In un ordinamento dominato dalla fattispecie legale, a parte il vincolo costituzionale per il giudice di soggezione soltanto alla legge, non si può concettualmente accedere alla sentenza fonte di diritto. La giurisprudenza è perciò estranea alla concezione del diritto che soggiace al principio anglosassone dello stare decisis, e questo lo si evince già dalla conformazione del principio di diritto che la Corte di cassazione enuncia. Quest’ultimo ha carattere astratto e generale, non solo quando è interpretazione della norma, ma anche quando è identificazione della classe di fatti cui questa è applicabile, perché riflette la stessa struttura astratta e generale del diritto in un sistema imperniato sulla figura della fattispecie legale. Il cd. “precedente”, nel civil law, rispecchia la generalità e astrattezza della norma. Nel common law la ratio decidendi ha struttura concreta e particolare in quanto non è svincolabile dalle circostanze del caso concreto. Essa è inferita dalle circostanze del caso concreto e da queste non è separabile. Il giudice non procede alla sussunzione del caso entro uno schema astratto e generale, come è nella logica della fattispecie, ma identifica nel precedente la norma concreta di diritto alla stregua della quale risolvere la singola controversia sulla base delle circostanze (…). Diritto per fattispecie legale e diritto per aggiudicazione giudiziaria nel caso concreto rinviano a concezioni diverse del fenomeno giuridico. Il diritto per fattispecie legale esiste dal momento in cui è stato posto dal legislatore e opera mediante giudizi di validità. La regola giuridica è precostituita al fatto e si applica mediante un giudizio di corrispondenza dello stato di fatto allo stato di diritto, al quale consegue il giudizio di validità in termini di produzione degli effetti previsti dalla fattispecie in termini generali e astratti. Il diritto per aggiudicazione giudiziaria non esiste prima che sorga un’occasione per la sua pratica applicazione perché non è precostituito al fatto. La regola si forma empiricamente in relazione alle circostanze di fatto e mediante la comparazione con i precedenti casi concreti. La regola non è identificabile prima dell’uso in relazione al caso particolare e non è dunque enunciabile, in forma astratta e generale, prima della sua applicazione. Il diritto si forma evolutivamente in modo cumulativo e progressivo, attraverso il gioco di similitudini e differenze fra casi concreti. La nozione di giurisprudenza cui rinvia la nozione di nomofilachia è estranea, come è evidente, anche alla concezione del diritto che presiede alla fattispecie legale. Essa è così distante sia dal diritto quale criterio di validità cui è preposta la fattispecie legale, sia dal diritto per aggiudicazione quale evoluzione cumulativa governata dal vincolo dello stare decisis. L’estraneità a queste concezioni del diritto non fa però della giurisprudenza un concetto irrilevante per il diritto, quasi che si trattasse di una generica categoria della sociologia o della politica del diritto (…). Emerge qui una terza concezione del diritto, diversa da quella legalistica e da quella aggiudicatrice, che possiamo definire istituzionalistica, in quanto coerente alla tradizione teorica dell’istituzionalismo giuridico. Il principio di diritto che la Corte di cassazione enuncia quando accoglie il ricorso per violazione di legge ha una duplice valenza: per un verso, è diritto quale criterio di validità della sentenza impugnata e regola di giudizio per il giudice di merito cui viene rinviato il processo; per l’altro, è diritto quale istituzione perché è elaborazione dell’uniforme interpretazione della legge. Il dovere giuridico di rispettare la giurisprudenza attiene perciò non al piano della validità, ma a quello dell’esercizio della funzione giudiziaria. Si tratta di un dovere costitutivo della funzione perché ne modella le modalità di estrinsecazione. Dire il diritto non significa solo risolvere una lite, ma anche contribuire alla edificazione e preservazione di una istituzione”.

[25] L. LONGHI, La democrazia giurisdizionale. L’ordinamento giudiziario tra Costituzione, regole e prassi, Napoli, 2021, pp. 203 ss.

[26] L. LONGHI, La democrazia giurisdizionale, cit., p. 205.

[27] La funzione dell’istituto, secondo la S.C., consiste infatti “nel deflazionare il contenzioso inerente ad una determinata materia, favorendo la definizione dei giudizi pendenti e prevenendo l’instaurazione di giudizi futuri mediante la sollecitazione di una pronuncia nomofilattica di questa Corte, avente efficacia vincolante soltanto nell’ambito del giudizio in cui è adottata, ma idonea, per l’autorevolezza della fonte da cui promana e la sua capacità persuasiva, ad orientare le successive decisioni dei giudici di merito e le scelte degli operatori economici e giuridici in ordine alla convenienza dell’instaurazione di ulteriori giudizi” (Cass., Sez. un., 13 dicembre 2023, n. 34851, in motivazione, § 3). Sul principio richiamato nel testo v. G. COSTANTINO, La prevedibilità della decisione tra uguaglianza e appartenenza, in Riv. dir. proc., 2015, pp. 646 ss.; N. IRTI, Calcolabilità weberiana e crisi della fattispecie, in Riv. dir. civ., 2014, pp. 988 ss.; ID., Un diritto incalcolabile, ivi, 2015, pp. 11 ss.; ID., Per un dialogo sulla calcolabilità giuridica, in Riv. dir. proc., 2016, pp. 917 ss.

[28] La definizione è di A. PANZAROLA, Introduzione al rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di cassazione (art. 363-bis c.p.c.), Pisa, 2023, p. 1.

[29] “Con riferimento alla sentenza di cassazione con rinvio, nell’ipotesi di ius superveniens dopo la deliberazione della Corte, ancorché prima della pubblicazione della relativa sentenza, non viola l’art. 384 c.p.c. il giudice di rinvio che si attenga, per la nuova decisione, allo ius superveniens e non già al principio di diritto enunciato dalla Corte, a nulla rilevando che quest’ultima non abbia provveduto ad adeguare il deliberato alla norma sopravvenuta prima della pubblicazione della sentenza rescindente, posto che è al momento della deliberazione e non a quello della pubblicazione che bisogna guardare per stabilire il quadro normativo nel quale il giudice si è mosso per decidere la controversia” (Cass., 9 dicembre 1997, n. 12495, in Foro it., 1998, I, c. 1076, con nota di R. CAPONI).

[30] “In tema di giudizio di rinvio, rientrano nell’ambito dello ius superveniens, che travalica il principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento, anche i mutamenti normativi prodotti dalle sentenze della Corte di giustizia UE, che hanno efficacia immediata nell’ordinamento nazionale” (Cass., 26 agosto 2022, n. 25414; Cass., 12 settembre 2014, n. 19301, in Foro it., 2015, I, c. 3992, con nota di O. DESIATO).

[31] Cass., Sez. un., 13 dicembre 2023, n. 34851, in motivazione, § 3.

[32] Per la preclusione, invece, A. PANZAROLA, Introduzione, cit., pp. 44 s., testo e nt. 137 (ove afferma che la sentenza della Cassazione in sede referente, “per essere pronunciata in unico grado, passa subito in giudicato”), 146 ss.; CARRATTA, Il rinvio pregiudiziale, cit., p. 471; L. SALVATO, Verso la riforma del processo tributario: il “rinvio pregiudiziale” ed il ricorso del P.G. nell’interesse della legge, in www.giustiziainsieme.it, 19 luglio 2021, § 3.1.; V. CAPASSO, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione e il «vincolo» di troppo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2022, pp. 601 ss.; A. FABBI, Il rinvio pregiudiziale “alla Corte”, in www.judicium.it, 3 aprile 2023, § 4; E. D’ALESSANDRO, Il rinvio pregiudiziale in Cassazione, in Il proc., 2023, pp. 51 ss., § 9; A. SCARPA, Il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c.: una nuova «occasione» di nomofilachia?, in www.giustiziainsieme.it, 3 marzo 2023, § 6.

Il problema della sopravvenuta inattualità del principio di diritto è avvertito, ma non risolto, da E. SCODITTI, Brevi note, cit., p. 6, secondo il quale “la vincolatività della risoluzione della questione di diritto impedisce che la Corte, successivamente adita dalle parti, possa seguire il nuovo orientamento giurisprudenziale che per ipotesi abbia preso piede. Emerge così una questione di compatibilità del rinvio pregiudiziale con il fisiologico mutamento della giurisprudenza che, se non è un problema per le controversie diverse da quella in cui la questione di diritto è insorta, lo è per il giudizio in cui il provvedimento della Corte è stato reso. Si tratta di una criticità che non ha senso individuare nel comune giudizio che segue alla cassazione con rinvio, perché il principio di diritto enunciato in sede di legittimità costituisce qui la regola di giudizio, cui il giudice di merito deve adeguarsi, anche per quanto concerne l’applicazione della norma alla fattispecie concreta. Il provvedimento in sede di rinvio pregiudiziale non corrisponde invece alla regola di giudizio della fattispecie concreta, ma è risoluzione della astratta questione interpretativa in funzione di immediata definizione di quale sia la corretta identificazione del contenuto della legge. L’incidente interpretativo (…) attiene al profilo esclusivamente ermeneutico e non a quello dell’applicazione della norma al caso concreto. È dunque la risoluzione dell’astratta questione di diritto a non essere più attuale una volta che si torni innanzi alla Corte di cassazione nel contesto di un mutamento di giurisprudenza”. L’A. auspica pertanto che “sulla questione la Corte si pronunci a sezioni unite, sia per l’effetto di vincolo sulla sezione semplice, sia per la tendenziale maggiore stabilità del principio di diritto così enunciato. Del resto, i presupposti di ammissibilità del rinvio pregiudiziale, che operano, come è evidente, congiuntamente e non in via alternativa (il rinvio pregiudiziale è inammissibile se mancano una o più delle condizioni previste), prefigurano la questione di massima di particolare importanza da affidare alle sezioni unite”.

Sulla infirmitas del principio di diritto, recessivo dinanzi al posteriore mutamento della giurisprudenza, cfr. C.V. GIABARDO, In difesa della nomofilachia. Prime notazioni teorico-comparate sul nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione nel progetto di riforma del codice di procedura civile, in www.giustiziansieme.it, 22 giugno 2021, § 6: “Se prendiamo davvero sul serio l’affermazione per la quale gli orientamenti consolidati sono – secondo una concezione realistica e non formalistica – fonti del diritto (nella misura in cui possiedano certe caratteristiche di autorevolezza e stabilità), allora la loro successione nel tempo dovrebbe essere parificata a quella delle leggi. D’altronde, come può apparire ingiusta l’applicazione di una disposizione che non è più vigente (e che è cambiata, evidentemente perché non considerata più adatta), parimenti appare ingiusta l’applicazione di una interpretazione che nel frattempo è stata apertamente sconfessata e rinnegata (e quindi parimenti considerata non più adatta) dallo stesso organo che l’aveva originariamente pronunciata. A maggior ragione, ritengo che la Corte stessa, se investita nuovamente del ricorso con le impugnazioni, potrà cambiare l’originaria opinione (a meno che quella non fosse stata emessa dalle sezioni unite, nel qual caso dovrà operare l’art. 374, comma 3, c.p.c. che impone la rimessione a queste ultime). Ci si aspetta però che questo accada raramente, stante la necessità di una (relativamente intensa) stabilità delle pronunce interpretative”.

Osserva A. MONDINI, Il rinvio pregiudiziale interpretativo, in www.judicium.it., 27 dicembre 2022, § 6 che «il vincolo è altresì superato se, con sentenza delle sezioni unite, la norma viene interpretata in maniera diversa da come è stata interpretata in sede di rinvio pregiudiziale. Infatti, diversamente dal giudizio che segue alla cassazione con rinvio (artt. 384, comma 2, e 394 c.p.c.), in cui “il principio di diritto enunciato in sede di legittimità costituisce la regola di giudizio, cui il giudice di merito deve adeguarsi anche per quanto concerne l’applicazione della norma alla fattispecie concreta sicché anche se nel corso del processo siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo”, il provvedimento in sede di rinvio interpretativo è la “risoluzione della astratta questione interpretativa in funzione di immediata definizione di quale sia la corretta identificazione del contenuto della legge”, sicché detta risoluzione non può continuare a produrre effetto vincolante in caso di mutamento di giurisprudenza imposto dalle sezioni unite» (i virgolettati sono di E. SCODITTI, Brevi note, cit., pp. 5 s.). Nota l’A. che «il mutamento di giurisprudenza non può che conseguire ad una pronuncia delle sezioni unite dato che, per un verso, se l’enunciazione interpretativa è stata espressa da una sezione semplice, l’esigenza di un ripensamento si porrebbe necessariamente come “questione di massima di particolare importanza” ai sensi e per gli effetti dell’art. 374, comma 2, c.p.c., altrimenti determinandosi situazioni di incertezza contrarie alla finalità deflattiva perseguita col nuovo istituto, per altro verso, se l’enunciazione interpretativa è stata resa dalle sezioni unite, la sezione semplice – la quale per ragioni logiche, prima ancora che per il disposto dell’ultimo comma dell’art. 363 bis c.p.c., non può essere la sezione semplice chiamata a decidere della causa in cui il rinvio è stato disposto ma è la sezione semplice investita di altra causa – deve attenersi all’art.374, comma 3, c.p.c.».

Anche R. TISCINI, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione dell’art. 363-bis c.p.c. La disciplina. La casistica, in Giust. civ., 2023, pp. 343 ss., § 11 ritiene che il vincolo non abbia efficacia di giudicato e sia “certamente superabile nel caso di un mutamento di indirizzo da parte della stessa giurisprudenza, non solo quando il principio di diritto sia stato reso dalla sezione semplice (ed esso sia superato da una successiva pronuncia delle sezioni unite), ma anche quando la pronuncia interpretativa provenga dalle sezioni unite e siano poi queste stesse a mutare orientamento” (in tal senso, se mal non intendo, anche F. SANTAGADA, sub art. 363 bis, in AA.VV., La riforma Cartabia del processo civile, a cura di R. Tiscini, Pisa, 2023, pp. 539 ss.).

[33] “I limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale o per errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neanche alla stregua di arresti giurisprudenziali successivi della corte di legittimità” (Cass., 19 ottobre 2020, n. 22657, in Giur. it., 2021, p. 1373, con nota di C.V. GIABARDO; Cass., 3 giugno 2020, n. 10549; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27343; Cass., 4 aprile 2013, n. 8225; Cass., 13 febbraio 2013, n. 3544; Cass., 6 marzo 2012, n. 3458).

[34] Il giudizio di rinvio “si rende necessario per completare, sotto la guida del principio di diritto enunciato dalla S.C., l’opera della Cassazione svoltasi ex art. 360, n. 3, e così per riscontrato error iuris” (C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile11, II, Torino, 2017, p. 606). Si tratta di “una prosecuzione del processo di Cassazione, nella quale si compie quel tanto di attività, che si rende necessaria in conseguenza della sentenza della Cassazione” (F.P. LUISO, Diritto processuale civile10, II, Milano, 2019, p. 492).

[35] C.V. GIABARDO, Note critiche sull’irrilevanza del mutamento di giurisprudenza nel corso del giudizio di rinvio, in Giur. it., 2021, pp. 1374 ss. Possibilista A. BRIGUGLIO, ‘‘Creativita`’’ della giurisprudenza, mutamento giurisprudenziale e giudizio di rinvio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1984, pp. 1360 ss., spec. 1382 ss.

[36] C. CONSOLO, Evoluzioni giurisprudenziali e vincolo del giudice di rinvio al principio di diritto ormai ‘‘ripudiato’’ dalla Suprema Corte: rationes confliggenti, in Giur. it., 1992, I, 2, cc. 659 ss.

[37] Lo negano S. COSTA, Sull’effetto vincolante della sentenza della Corte di cassazione per violazione di legge, in Riv. dir. proc., 1949, II, pp. 127 ss.; V. ANDRIOLI, Il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, ivi, 1952, I, pp. 279 ss.; G.A. MICHELI, L’enunciazione del principio di diritto da parte della Corte di cassazione e il giudicato sul punto di diritto, ivi, 1955, I, pp. 26 ss.; F. MAZZARELLA, Appunti a proposito di “principio di diritto” e “cassazione sostitutiva”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, pp. 1465 ss.

[38] Sull’intangibilità dell’accertamento giudiziale irretrattabile da parte dello ius superveniens retroattivo v. R. CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991, pp. 219 ss.

[39] E. REDENTI, Il giudicato sul punto di diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, p. 267.

[40] V., per tutti, S. MENCHINI, Il giudicato civile, Torino, 1988, pp. 43 ss., 270 ss.

[41] La domanda di accertamento incidentale, con efficacia di giudicato, di cui all’art. 34 può avere ad oggetto esclusivamente una questione pregiudiziale di merito, che potrebbe formare oggetto di un autonomo processo; non una questione di mero diritto, come quella sulla efficacia, validità ed interpretazione delle clausole di un contratto collettivo di lavoro ex art. 420 bis (v., anche per citazioni di dottrina conforme, R. TISCINI, Delle modificazioni della competenza per ragioni di connessione, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2016, pp. 153 ss.).

[42] “L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche” (Cass., 23 dicembre 2009, n. 27151). “Poiché la tutela giurisdizionale è tutela di diritti, il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri. Pertanto non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ma che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto, la quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato e quindi nella sua interezza. Parimenti non sono ammissibili questioni di interpretazioni di norme o di atti contrattuali se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto” (Cass., Sez. un., 20 dicembre 2006, n. 27187). La citata giurisprudenza si conforma alla dottrina, che rileva come nella specie difetti l’interesse ad agire: v. S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1966 (rist.), p. 353 (il quale, a commento dell’art. 100, afferma che “non potrà essere oggetto di accertamento una norma giuridica: perché l’accertamento non può che riferirsi ad una fattispecie complessa e concreta, e tale non può essere la norma, che della fattispecie costituisce se mai un elemento”); B. SASSANI, Note sul concetto di interesse ad agire, Rimini, 1983, p. 10; R. CAPONI, In tema di accertamento sulla norma astratta, sui diritti futuri e sui rapporti di durata, in Riv. dir. proc., 1991, pp. 1155; M. MARINELLI, La clausola generale dell’art. 100 c.p.c. Origini, metamorfosi e nuovi ruoli, Trento, 2005, pp. 137 ss.; A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile5, Napoli, 2012, pp. 138 ss.

[43] Come insegna G. CHIOVENDA, Cosa giudicata e preclusione, in Saggi di diritto processuale civile, III, Milano, 1993, pp. 275 ss., spec. 278, se il giudice di rinvio fosse obbligato ad applicare il principio di diritto statuito dalla Cassazione “anche quando nel frattempo sia sopravvenuta una contraria legge interpretativa, si vedrebbe un giudice costretto ad applicare una data interpretazione della legge nel momento stesso in cui la legge gli fa obbligo di adottare la interpretazione contraria!”.

[44] Con riferimento all’incidente di legittimità costituzionale v. Cass., 5 agosto 2008, n. 21114; al rinvio ex art. 267 TFUE Cass., 12 settembre 2014, n. 19301.

[45] Cass., 23 dicembre 2020, n. 29455; Cass., 25 settembre 2007, n. 19710; Cass., 21 settembre 2007, n. 19560, in Riv. giur. lav., 2007, II, p. 577, con nota di S. VACIRCA.

[46] S. CHIARLONI, Prime riflessioni sulla riforma del pubblico impiego, in Corr. giur., 1998, p. 626.

[47] A. BRIGUGLIO, La Cassazione e le controversie in materia di pubblico impiego trasferite alla giurisdizione ordinaria, in Riv. dir. proc., 1998, pp. 1042 ss.

[48] G. COSTANTINO, Le riforme della giustizia civile, in Temi rom., 2024, pp. 21 s.

[49] G. VERDE, Il metodo delle riforme nella giustizia civile. Passato e presente, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2024, pp. 64 s. Critiche sono state espresse anche da B. CAPPONI, E’ opportuno attribuire nuovi compiti alla Corte di cassazione?, in www.giustiziainsieme.it., 19 giugno 2021; G. SCARSELLI, Note sul rinvio pregiudiziale alla Corte dicassazione di una questione di diritto da parte del giudice di merito, ivi, 5 luglio 2021; M. FABIANI, Rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione: una soluzione che non alimenta davvero il dibattito scientifico, in Riv. dir. proc., 2022, pp. 197 ss.; F. BARBIERI, Brevi considerazioni sul rinvio pregiudiziale in Cassazione: il giudice di merito superiorem recognoscens, in Nuove leggi civ. comm., 2022, pp. 369 ss.

[50] Lo nega G. MONTELEONE, “Giudizio di fatto e giudizio di diritto” nel ricorso alla Cassazione civile, in AA.VV., Scritti in onore di Bruno Sassani, a cura di R. Tiscini-F.P. Luiso, I, Pisa, 2022, pp. 623 ss., citando adesivamente C. PUNZI, Giudizio di fatto e giudizio di diritto, Milano, 1963.

[51] Sul tema v. L. SALVANESCHI, Il confine incerto tra giudizio di fatto e giudizio di diritto nell’uso delle clausoli generali e il controllo della Cassazione, in AA.VV., Scritti in onore di Bruno Sassani, cit., I, pp. 639 ss.

[52] Cass., Sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452, in Giur. it., 2024, p. 1581, con nota di M. BOVE; in Riv. dir. proc., 2024, p. 1033, con nota di F. FERRARIS; in www.judicium.it, 18 aprile 2024, con nota di F. VALERINI.

[53] Proposte normative e note illustrative, cit., pp. 75 s.

[54] L’art. 374, comma 2, prevede infatti che il primo presidente possa disporre che la Corte pronunci a sezioni unite “sui ricorsi (…) che presentano una questione di massima di particolare importanza”. La decisione in esito a pubblica udienza è invece obbligatoriamente prevista “quando la questione di diritto è di particolare rilevanza” (art. 375, comma 1).

[55] Cass., Sez. un., 7 maggio 2024, n. 12449. Nella specie, le sezioni unite hanno dato atto di diversi e non univoci orientamenti in tema di interessi ex art. 1284, comma 4, c.c., dovuti, per un orientamento, solo se espressamente previsti nella pronuncia, per un altro, pur in difetto di espressa menzione, in quanto da ritenersi implicitamente contenuti nella statuizione di condanna agli interessi legali. Questo il principio di diritto: «Se il titolo esecutivo giudiziale – nella sua portata precettiva individuata sulla base del dispositivo e della motivazione – dispone il pagamento di “interessi legali”, senza altra indicazione e in mancanza di uno specifico accertamento del giudice della cognizione sulla spettanza di interessi per il periodo successivo alla proposizione della domanda giudiziale, secondo il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (ex art. 1284, comma 4, c.c.), la misura degli interessi maturati dopo la domanda corrisponde al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, c.c., stante il divieto per il giudice dell’esecuzione di integrare il titolo».

[56] A. PANZAROLA, Introduzione, cit., p. 9 ritiene, infatti, che la questione sia irrisolta anche quando constino “precedenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità”, che tuttavia “non siano univoci”.

[57] F. TERRUSI, Le Sezioni Unite e l’art. art. 363-bis c.p.c.: ovvero le fallacie di un ragionamento controintuitivo, in www.judicium.it, 8 ottobre 2024, p. 4.

[58] G. CARUSO, Il rinvio, cit., § 3.

[59] Proposte normative, cit., p. 73.

[60] V. ANDRIOLI, Massime consolidate della Corte di cassazione, in Riv. dir. proc., 1948, I, pp. 249 ss.; E. REDENTI, I nostri tesmoteti, ovvero le “massime consolidate” della Corte Suprema, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, pp. 120 ss.; F. CARNELUTTI, Giurisprudenza consolidata (ovvero della comodità del giudicare), in Riv. dir. proc., 1949, I, pp. 41 ss. Sul tema v. diffusamente L. PASSANANTE, Il precedente impossibile. Contributo allo studio del diritto giurisprudenziale nel processo civile, Torino, 2018, pp. 117 ss.

[61] L’art. 2697 c.c. costituisce applicazione del divieto [G. VERDE, L’onere della prova nel processo civile, Napoli, 2013 (rist.), pp. 57 ss.], che si trae anche dall’art. 112 c.p.c., risolvendosi il non liquet in omessa pronuncia [sulla quale v. A. CARRATTA(-M. TARUFFO), Dei poteri del giudice, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2001, pp. 201 ss.].

[62] Decr. 7 ottobre 2024, n. 26140; decr. 17 maggio 2024, n. 13749; decr. 11 aprile 2024, n. 1808; decr. 14 febbraio 2024, n. 4071; decr. 3 novembre 2023, n. 30657.

[63] Pubblicata in Foro it., 2016, V, c. 350.

[64] Cass., 26 luglio 2016, n. 15513 (ord.), in Foro it., 2016, I, c. 3091, in motivazione, § 7, con nota di G. COSTANTINO.

[65] Secondo Cass., 16 ottobre 2023, n. 28727, in Nuova giur. civ. comm., 2024, I, p. 56, con nota di F. LAZZARA (che ha dichiarato ammissibile la proposizione di ricorso congiunto di separazione e divorzio su domanda cumulativa dei coniugi), il rinvio “presuppone una difficoltà nell’interpretazione di una disposizione nuova o sulla quale non si sia ancora formato un univoco indirizzo giurisprudenziale, destinata ad essere applicata in numerosi giudizi, e tende a realizzare una sorta di nomofilachia preventiva, sollecitando la S.C. ad enunciare con sentenza un principio di diritto vincolante non solo per il giudice che ha sollevato la questione, ma anche per ogni altro giudice chiamato ad intervenire nell’ambito del medesimo procedimento”. Ma sull’inefficacia ultra partes del principio v. supra, n. 2.

[66] Cass., 30 aprile 2024, n. 11688, in Foro it., 2024, I, c. 1466. Nella specie, il primo giudice, adito con reclamo contro un provvedimento indifferibile ex art. 473 bis.15, aveva declinato la propria competenza e rimesso il procedimento al giudice indicato come competente, il quale, ritenendosi incompetente, invece di sollevare conflitto di competenza ai sensi dell’art. 45 ha rinviato gli atti alla Cassazione per la risoluzione della questione di ammissibilità del reclamo.

[67] Cass., Sez. un., 29 aprile 2024, n. 11399, in Foro it., 2024, I, c. 2396, in tema di sospensione della decisione adottata dalla commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

[68] E’ stato disposto, ad es., il rinvio alle sezioni unite della questione, sollevata dal tribunale in sede di reclamo avverso provvedimento di rigetto dell’istanza di sospensione ex art. 615, comma 1, avente ad oggetto l’efficacia esecutiva del contratto di mutuo fondiario prevedente l’immediata restituzione alla banca mutuante del capitale erogato al mutuatario, a titolo di deposito infruttifero (decr. 10 ottobre 2024 – n. 17439/2024 R.G.).

[69] A. BRIGUGLIO, Il rinvio pregiudiziale, cit., § 2.

[70] A. FABBI, Il rinvio pregiudiziale, cit., § 2.

[71] Cass., Sez. un., 13 dicembre 2023, n. 34851, in Riv. giur. trib., 2024, p. 380, con nota di G. GLENDI; in Il fisco, 2024, p. 761, con nota di L. TRINCHERA.

[72] Contrari A. BRIGUGLIO, Il rinvio pregiudiziale, cit., § 2; A. PANZAROLA, Introduzione, cit., pp. 33 ss. (se non per motivi di giurisdizione); F. SANTAGADA, op. cit., p. 536; F. TERRUSI, Il processo di cassazione, cit., pp. 330 ss. In tal senso anche la Relazione n. 96 dell’Ufficio del massimario e del ruolo, Roma, 6 ottobre 2022, p. 28 (“Quanto, invece, al giudice amministrativo, è dubbio che questo possa avvalersi del nuovo strumento introdotto dall’art. 363 bis c.p.c., considerato che le pronunce del giudice amministrativo possono essere impugnate dinanzi alla Corte di cassazione solo per questioni di giurisdizione”). Possibilista, invece, R. TISCINI, Il rinvio pregiudiziale, cit., § 3.

[73] Cass., Sez. un., 13 dicembre 2023, n. 34851.

[74] V. infra in tema di sospensione del giudizio di merito.

[75] Cass., Sez. un., 29 maggio 2024, n. 15130, in Foro it., 2024, I, c. 2017.

[76] A. GRAZIOSI, Le nuove norme sul giudizio di cassazione e sulla revocazione, in Riv. dir. proc., 2023, p. 691.

[77] A. BRIGUGLIO, Il rinvio pregiudiziale, cit., § 8; A. PANZAROLA, Introduzione, cit., pp. 53 ss.

[78] La sospensione legale si produce al compimento della fattispecie prevista dalla norma e non richiede un provvedimento giudiziale, che se adottato ha valore dichiarativo e non costitutivo dello stato di quiescenza del processo (v., ad es., l’art. 48); gli atti compiuti successivamente al verificarsi della fattispecie legale sono automaticamente nulli ex art. 298 e ne va disposta la rinnovazione, quand’anche il giudice non abbia adottato il provvedimento ricognitivo della già prodottasi sospensione. La sospensione giudiziale, invece, opera soltanto se disposta con apposito provvedimento, anche quando il giudice abbia il dovere di pronunciarlo (artt. 295, 367, comma 2); se non viene ordinata la sospensione giudiziale necessaria, gli atti compiuti sono nondimeno validi e spetta al giudice davanti al quale è impugnata la sentenza (che è stata emessa non essendo stato sospeso il processo) ordinare la sospensione, sempre che ne ricorrano ancora i presupposti; sono invece nulli ex art. 298 gli atti compiuti in costanza della disposta sospensione. Resta salva la possibilità di adottare misure cautelari (che non sono per principio impedite dalla sospensione, la quale colpisce il giudizio di merito e non quello cautelare) ed atti urgenti (che invece sono propri della causa di merito e consistono in atti istruttori necessari ed indifferibili), quale che sia la causa della sospensione [F. CIPRIANI, Sospensione del processo (diritto processuale civile), in Enc. giur., XXX, Roma, 1993, pp. 3 ss.; F.P. LUISO, Diritto10, cit., II, 245 ss.].

[79] Il principio è stato affermato, con riferimento all’ordinanza che sospende il giudizio nelle more dell’incidente di legittimità costituzionale, da Cass., 22 giugno 2001, n. 8514, in Foro it., 2003, I, c. 3136.

[80] Come avvertito anche dal C.S.M., Parere, cit., p. 30.

[81] Cass., Sez. un., 28 maggio 2015, n. 11131; Cass., Sez. un., 24 settembre 2002, n. 13918, in fattispecie di sospensione conseguente alla rimessione degli atti alla Corte costituzionale.

[82] V., anche per citazioni di dottrina conforme, M. CIRULLI, Corte dei conti e processo civile, Pisa, 2021, p. 98, testo e nt. 230.

[83] Sul divieto di sospensione del processo cautelare v. S. RECCHIONI, Diritto processuale cautelare, Torino, 2015, pp. 420 ss.

[84] Si ammette, infatti, che il giudice conceda la misura cautelare sul presupposto della non manifesta infondatezza della questione sollevata, ma ad tempus, ossia fino alla restituzione degli atti del processo cautelare da parte della Corte costituzionale, sicché il giudice a quo non ha consumato la propria potestas iudicandi e la questione non perde la sua rilevanza. All’esito della decisione della Corte, la misura verrà, secundum eventum litis, confermata, modificata o revocata (Corte cost., 5 dicembre 2014, n. 274; Corte cost., 7 luglio 2010, n. 236).

[85] Pur senza richiamare la giurisprudenza costituzionale citata nella precedente nota, Cass., Sez. un., 29 aprile 2024, n. 11399, in motivazione, § 16.c non esclude “la possibilità che, nel rimettere la questione alla Corte, il giudice di merito investito della cautela possa, all’atto stesso della rimessione, concedere la misura cautelare temporanea, idonea ad evitare il verificarsi del pregiudizio, in attesa della decisione della Corte”.

[86] A. PANZAROLA, Introduzione, cit., p. 114.

[87] Giurisprudenza consolidata: v., da ultimo, Cass., 7 marzo 2024, n. 6121.

[88] In caso di sospensione anomala (o facoltativa od impropria) per incidente di costituzionalità sollevato in altro processo, il termine decorre dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del provvedimento della Corte costituzionale (Cass., 19 gennaio 2024, n. 2028).

[89] Cass., 2 agosto 2024, n. 21883, in motivazione, § 2.

[90] A. PANZAROLA, Introduzione, cit., p. 114.

[91] Contra: A. PANZAROLA, Introduzione, cit., p. 113, secondo il quale “gli eventi estintivi della lite, di qualunque forma e natura, verificatisi nel periodo di sospensione” determinano la “inammissibilità o improcedibilità sopravvenuta del rinvio pregiudiziale interpretativo”.

[92] Escluso in fattispecie oggetto di esame da parte della giurisprudenza di merito in soli quattro casi negli ultimi sedici anni (decr. 15 marzo 2024, n. 7106 – n. 2695/2024 R.G.) e con riferimento a norma emanata durante l’emergenza epidemiologica da Covid-19 (decr. 14 febbraio 2024, n. 4121 – n. 452/2024 R.G., in www.judicium.it, 12 marzo 2024, con nota di A. CAROSI).

[93] Cass., Sez. un., 29 maggio 2024, n. 15130, in motivazione, § 5: “Il rinvio pregiudiziale è inammissibile se all’esito del contraddittorio ex post emerga la mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni oggettive previste dalla legge”; davanti al collegio “le parti possono illustrare profili di inammissibilità del rinvio non potuti illustrare nella precedente fase e per questo non valutati dal giudice rimettente, che potranno essere posti dalla Corte a sostegno della declaratoria di inammissibilità del rinvio o, qualora non condivisi, a conferma della ammissibilità già valutata dalla Prima Presidente prima facie se sussistono le condizioni previste dall’art. 363 bis c.p.c.”. Nel senso che “l’assegnazione della questione da parte della Prima Presidente per l’enunciazione del principio di diritto non preclude la valutazione di ammissibilità del rinvio pregiudiziale da parte del collegio investito della decisione” e.v. Cass., Sez. un., 7 maggio 2024, n. 12449, in motivazione, § 1.

[94] Cass., 27 ottobre 2023, n. 29961.

[95] Cass., 2 agosto 2024, n. 21883.

[96] “In tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte” (Cass., 7 marzo 2024, n. 6151).

[97] Per l’officiosità della prosecuzione del giudizio sospeso v. invece A. BRIGUGLIO, Il rinvio pregiudiziale, cit., § 8; F. SANTAGADA, op. cit., p. 539; A. SCARPA, Il rinvio pregiudiziale, cit., § 5;

[98] Secondo A. PANZAROLA, Introduzione, cit., p. 128, invece, il termine decorre dalla comunicazione da parte della cancelleria del giudice rimettente, al quale il provvedimento di restituzione degli atti è trasmesso ex art. 363 bis, comma 5; ma l’A. prudentemente consiglia la riassunzione nel trimestre dalla comunicazione da parte della cancelleria della Cassazione del provvedimento (decreto o sentenza) risolutivo dell’incidente (ivi, nt. 419).

[99] Per G. TRISORIO LIUZZI, La riforma della giustizia civile: il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale, in www.judicium.it., 9 dicembre 2021, pp. 5 s. la comunicazione è dovuta anche alle parti non costituite in Cassazione. Sia pure in tema di rinvio ex art. 420 bis, si è tuttavia statuito che il termine decorre dalla data di pubblicazione della sentenza della S.C. che decide sulla questione pregiudiziale (Cass., 28 marzo 2018, n. 7696), “anche rispetto alla parte contumace, senza che possa dubitarsi della legittimità costituzionale degli artt. 292, terzo comma, e 133, secondo comma, c.p.c., nella parte in cui non prevedono l’obbligo della comunicazione del deposito della sentenza anche al contumace, stante la funzione di garanzia di conoscibilità legale assolta dalla pubblicazione della sentenza e l’incompatibilità di un meccanismo di riassunzione rimesso alla mera volontà delle parti con il principio di ragionevole durata ex art. 111 Cost.” (Cass., 24 novembre 2014, n. 24946).

[100] “In tema di sospensione del processo a seguito di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, il dies a quo del termine per la riassunzione del giudizio deve essere diversamente individuato nelle ipotesi di sospensione necessaria e di sospensione anomala del giudizio: nel primo caso – relativo al giudizio da cui è promanato l’incidente di costituzionalità -, esso è rappresentato dal giorno in cui avviene la comunicazione alla parte, ad opera della cancelleria del giudice che ha disposto la sospensione, della pronuncia della Corte costituzionale che ha definito la questione di legittimità costituzionalità ad essa rimessa, mentre, nel secondo caso – di pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale sulla disciplina applicabile nella causa a seguito di questione sollevata da altro giudice -, esso è rappresentato dal giorno di pubblicazione della predetta pronuncia nella Gazzetta ufficiale” (Cass., 19 gennaio 2024, n. 2028, conforme a Cass., 7 febbraio 2006, n. 2616; Cass., 26 luglio 1996, n. 6744; Cass., Sez. un., 10 maggio 1996, n. 4394).

[101] Corte cost., 4 marzo 1970, n. 34, in Foro it., 1970, I, c. 681

[102] Cass., 20 marzo 2017, n. 7043.

[103] In tal senso anche A. PANZAROLA, Introduzione, cit., pp. 157 ss.

[104] «Se, emessa sentenza di primo grado, durante il giudizio di appello si addivenga al rinvio pregiudiziale e poi alla emissione di un principio di diritto della S.C., dovrà interpretarsi la portata del rinvio stesso e quindi del principio reso al confronto con la sentenza di prime cure, sicché – laddove il principio con essa confliggesse – si dovrebbe ritenere che si versi nei casi (provvedimenti “modificativi”) che fanno eccezione allo stesso art. 338 c.p.c., e quindi che la estinzione del

giudizio di appello non sia idonea a determinare il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, in quanto già “modificata” dalla successiva decisione interpretativa» (A. FABBI, Il rinvio, cit., § 4).

[105] V., anche per citazioni, M. NEGRI, Gli effetti dell’estinzione nell’arco dei vari gradi del processo, Torino, 2017, pp. 256 ss.

[106] Cass., 11 maggio 2016, n. 9611; Cass., 10 novembre 2006, n. 24027; Cass., 11 giugno 1998, n. 5799.

[107] Cass., 3 marzo 1980, n. 1405, in Giur. it., 1981, I, 1, c. 930, con nota di G. BONGIORNO.

[108] Cass., 23 gennaio 1991, n. 650.

[109] E. SCODITTI, Brevi note, cit., p. 8.

[110] V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile3, II, Napoli, 1957, pp. 579 ss.; P. CALAMANDREI-C. FURNO, Cassazione civile, in Nss. dig. it., II, Torino, 1958, pp. 1099 s.; E. FAZZALARI, Il giudizio civile di cassazione, Milano, 1960, pp. 154 ss.; S. SATTA, Commentario, cit., II, 2, pp. 275 ss.

[111] La conclusione, ancorchè non espressamente tratta dalla giurisprudenza, è deducibile dalla consolidata massima secondo la quale «la dichiarazione di incostituzionalità di una norma ha effetto retroattivo (ex tunc) e si estende anche ai rapporti in corso, ad eccezione per i cosiddetti “rapporti esauriti”, ovvero quelli che sono stati definitivamente consolidati a causa della formazione del giudicato, delle preclusioni processuali o delle decadenze e prescrizioni non direttamente investite dalla pronuncia d’incostituzionalità» (così, da ultimo, Cass., 23 febbraio 2024, n. 4842).

[112] “Ove l’ordinanza di sospensione del processo non fissi già la data dell’udienza di prosecuzione, il termine di cui all’art. 80, comma 1, c.p.a., entro cui le parti devono presentare istanza di fissazione di udienza al fine della prosecuzione del processo, a seguito di qualsivoglia ipotesi di sua sospensione senza indicazione della nuova data di udienza, ha natura di termine perentorio; la perentorietà di tale termine va ribadita anche ove si traduca, nell’inerzia delle parti, in un ostacolo di fatto all’applicazione del diritto eurounitario, perché 1) il diritto eurounitario riconosce l’autonomia processuale degli Stati membri a condizione del rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, 2) il diritto eurounitario non impedisce la previsione di termini processuali perentori, purché proporzionati e non discriminatori, e 3) il termine di cui all’art. 80, comma 1, c.p.a., alla luce della giurisprudenza eurounitaria, è proporzionato, non discriminatorio, e la complessiva disciplina contenuta nell’art. 80 c.p.a. non è ambigua” (Cons. Stato, Ad. plen., 22 marzo 2024, n. 4, in Dir. proc. amm., 2024, p. 390, con nota di E. PARISI). In motivazione, § 21.2.l, viene riaffermato il principio in forza del quale “le sentenze pregiudiziali interpretative della Corte di giustizia hanno la stessa efficacia vincolante delle disposizioni interpretate: la decisione della Corte resa in sede di rinvio pregiudiziale, dunque, oltre a vincolare il giudice che ha sollevato la questione, spiega i propri effetti anche rispetto a qualsiasi altro caso che debba essere deciso in applicazione della medesima disposizione di diritto” (Cons. Stato, Ad. Plen., 9 giugno 2016, n. 11). «Tuttavia, per principio generale dell’ordinamento, fuori dal campo dei giudizi permeati dall’impulso d’ufficio in connessione con l’esigenza di un’applicazione officiosa e imperativa del diritto (es. processo penale), la corretta applicazione del diritto obiettivo nel caso concreto, in presenza di contrasto tra le parti, postula la via processuale, che è onere della parte interessata diligentemente perseguire e coltivare. Il principio dispositivo permea sia la tutela dei diritti che quella degli interessi legittimi, come si evince dall’art. 24 Cost., secondo cui tutti “possono” agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, mentre non esiste un principio costituzionale di sostituzione dell’iniziativa di parte con l’impulso d’ufficio, fuori dal processo penale (…). A tali generalissimi e basilari principii non fa eccezione la corretta applicazione del diritto eurounitario, ivi comprese le pronunce della CGUE”. Dalla giurisprudenza unionale «si può desumere il principio generale secondo cui i processi davanti ai giudici nazionali non devono imporre oneri manifestamente sproporzionati che rendono impossibile o estremamente difficile l’esercizio di diritti di derivazione eurounitaria, ma anche il corollario di tale principio, vale a dire che la certezza del diritto giustifica la decadenza o prescrizione di siffatti diritti di derivazione eurounitaria, se non coltivati entro i termini processuali previsti dalle leggi nazionali, purché si tratti di termini ragionevoli (…). In definitiva, anche se lo spirare dei termini processuali previsti dalle leggi processuali nazionali impedisce, di fatto, l’esercizio dei diritti riconosciuti dal diritto dell’UE, ciò non si traduce in una violazione del diritto dell’UE, purché i termini siano ragionevoli, proporzionati e non discriminatori, sicché ne risultino rispettati i principi di effettività e di equivalenza (CGUE, 17 luglio 1997 C-90/94, § 48). E pertanto, se ne può concludere che il diritto UE, ivi comprese le pronunce della CGUE a portata “normativa”, non deve trovare applicazione d’ufficio, e non giustifica un soccorso istruttorio in favore della parte inerte nell’attivazione dei propri diritti fintanto che i termini siano chiari, proporzionati, non discriminatori. È questa la mediazione tra il “primato” del diritto eurounitario, che ne impone un’applicazione “effettiva”, e i principi di certezza del diritto e parità delle parti del processo, raggiunta attraverso il principio eurounitario di proporzionalità, che non differisce, in tale applicazione, dal principio costituzionale di ragionevolezza».