PRIME RIFLESSIONI SUL MINORE COME PARTE DEL PROCESSO ALLA LUCE DELLA RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE

Di Romolo Donzelli -

Sommario: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Il minore oggetto di tutela. – 3. Le convenzioni internazionali e i primi cambiamenti. – 4. La giurisprudenza in materia de potestate e alcuni quesiti in attesa di soluzione. – 5. Gli interventi della riforma.

1.Considerazioni introduttive.

La riforma del processo civile, che ha preso l’avvio con la l. 26 novembre 2021, n. 206, presenta tra gli aspetti più qualificanti sicuramente gli interventi sul processo di famiglia e minorile.

L’unificazione del rito e dei tribunali chiamati a pronunciarsi in questa delicata materia imprime al nostro ordinamento una svolta tanto attesa quanto epocale.

Forse meno appariscenti, ma ciononostante di particolare importanza pratica e sistematica, sono d’altro canto anche le previsioni che si occupano della posizione processuale del minore.

Ci si intenda, la stragrande maggioranza delle norme di riforma del processo familiare e minorile rispondono all’esigenza di garantire una tutela più efficace ed effettiva dell’interesse che in questi procedimenti si pone in posizione di preminenza rispetto agli altri, un interesse che si presenta come la causa primaria di differenziazione e di conformazione di questo plesso della giurisdizione civile.

Vi sono, però, alcune particolari previsioni specificamente volte a ridisegnare la posizione del minore anche all’interno di quei processi in cui il provvedimento giurisdizionale incide con intensità variabile sulla responsabilità genitoriale determinandone in concreto il contenuto, ovvero i procedimenti in cui si debbono assumere le decisioni di cui agli artt. 337 bis ss. c.c. e 330 ss. c.c.

Da questo punto d’osservazione, la riforma contribuisce al completamento di un percorso lungo e difficile di pieno riconoscimento dei diritti sostanziali e processuali dei minori anche quando si trovano coinvolti in un processo che potrebbe contrapporli ai propri genitori.

Peraltro, la l. n. 206 del 2021 interviene su un quadro normativo, giurisprudenziale e culturale in profonda evoluzione ed in via di assestamento, sicché nelle considerazioni che seguono si cercherà di tratteggiare, talora assai sommariamente, talaltra con maggior distensione, questo sofferto itinerario, con la convinzione che il senso di un percorso possa essere inteso solo osservandolo nel suo complesso.

2.Il minore oggetto di tutela.

La disciplina dei rapporti genitori-figli nel codice civile del ‘42 è accentuatamente ispirata ad una concezione autoritaria, paternalistica e patriarcale.

Ai sensi dell’art. 147 c.c. l’educazione e l’istruzione dei figli nati nel matrimonio deve esser conforme «ai principi della morale e al sentimento nazionale fascista». Mentre il primo comma dell’art. 316 c.c. ricorda che il figlio è «soggetto alla potestà dei genitori», sebbene questa – prescrive la norma medesima – sia esercitata dal padre.

L’istituto del divorzio «è quanto mai nocivo alla prosperità delle famiglie e degli Stati»[1]  e la separazione personale dei coniugi costituisce un evento statisticamente marginale e mal tollerato dalla morale comune.

Poco rilievo, dunque, possiede il tema dell’affidamento dei figli minori nella famiglia in crisi. L’art. 155 c.c. si limita a prevedere che il «tribunale che pronuncia la separazione dichiara quale dei coniugi deve tenere presso di sé i figli e provvedere al loro mantenimento, alla loro educazione e istruzione».

Al contempo, gli artt. 330 e 333 c.c., con prescrizione normative pressoché coincidenti con quelle attuali (dato che da solo dovrebbe far intendere quanto siano oggi avulse dall’ordinamento), conferiscono al tribunale per i minorenni il potere di sospendere o limitare la potestà genitoriale nel processo camerale previsto dall’art. 336 c.c.

L’idea che il minore possa essere titolare di diritti nel rapporto con i genitori e che tali diritti debbano essere non solo riconosciuti, ma anche promossi è del tutto assente e poco cambia con l’avvento della Costituzione, che anche all’art. 30, comma 1, denota una prospettiva evidentemente adultocentrica, nel sancire il «dovere e diritto dei genitori [di] mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio».

Questa impostazione nella sostanza rimane ferma nelle pur importanti riforme successive, prima fra tutte la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975[2], in cui tuttavia si coglie il primo segnale di inversione di una tendenza altrimenti costante, ovvero la parziale novellazione dell’art. 147 c.c., secondo cui l’istruzione e l’educazione dei figli deve tener conto «delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni» degli stessi.

Questa timida ma rivoluzionaria apertura pone finalmente il minore come «persona» innanzi ai genitori, ma il riconoscimento di una sua posizione di diritto autonoma e prevalente rispetto agli stessi è cosa ancora lontana, tenuto conto che del minore, lì dove si esercita il potere, ovvero nel processo sulla crisi familiare, non v’è traccia.

Solo con la riforma del 1987 del divorzio si attribuisce al giudice il potere di sentire i figli minori, ma in via del tutto eccezionale, ovvero qualora «strettamente necessario».

Salvo rare eccezioni[3], dunque, in dottrina è pacifico che il minore non sia parte nei procedimenti di separazione e divorzio.

Ma, d’altro canto, l’esigenza di attribuire ai figli una posizione formale nel processo sulla crisi familiare trova terreno assai poco fertile nella comune qualificazione dell’attività giurisdizionale ivi svolta.

Si osserva autorevolmente che le decisioni sull’affidamento hanno natura «sicuramente […] volontaria»[4] e ancora dopo molti anni si ritiene che tale opzione ricostruttiva «non dia luogo a difficoltà di sorta», non essendo «stati sollevati dubbi in tal senso»[5].

In sostanza, si gestiscono interessi e non si tutelano diritti soggettivi.

Il discorso è solo parzialmente diverso allorché si volga lo sguardo ai procedimenti de potestate.

In questa sede il dibattito in punto di garanzie è assai più intenso, ma si appunta prevalentemente sulle forme camerali del processo ed in vista di una tutela più effettiva della posizione giuridica soggettiva dei genitori, osservandosi che in siffatti procedimenti, pur non incidendosi sulla «titolarità formale» della responsabilità genitoriale (ovvero non accertandosi, nemmeno in senso eventualmente costitutivo-estintivo, lo status parentale), «il contenuto dell’esercizio della potestà» è «in concreto compresso fino all’annullamento»[6].

Sotto il profilo che qui interessa, la posizione della giurisprudenza è sostanzialmente in linea con quella della dottrina.

La premessa è sempre la stessa, ovvero quella dell’attività meramente giurisdizionalvolontaria riguardante i figli minori. È questa, infatti, la premessa del tutto fisiologica da cui muovere per sterilizzare il problema della partecipazione del minore ai procedimenti in questione e per negare ancor più a monte che ivi si attuino i suoi diritti soggettivi.

Le Sezioni Unite, nell’inaugurare un orientamento ultratrentennale, affrontano il quesito in riferimento ai giudizi de potestate e nella sostanza ritengono che i provvedimenti resi ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c. non siano né decisori, né definitivi, sicché, in quanto tali, non sono ricorribili in cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost[7].

La medesima questione è affrontata in termini assai ambigui in materia di affidamento dei figli minori, visto che nei procedimenti di separazione giudiziale e di divorzio, in cui il ricorso per cassazione è previsto ordinariamente avverso la sentenza che definisce il giudizio in secondo grado, il problema della corretta qualificazione dell’attività giurisdizionale resa nell’interesse dei minori è quesito assai poco pressante[8].

Quanto poc’anzi osservato, tuttavia, ovvero la stretta relazione che lega sul piano dogmatico il tema della partecipazione a quello della corretta qualificazione del giudizio, emerge nitidamente dalla lettura della sentenza della Corte costituzionale, che, nel 1986 si trova a valutare la questione di legittimità degli artt. 5 l. div. e 708 c.p.c. nella parte in cui non prevedevano – e tutt’ora non prevedono – la nomina di un curatore speciale che rappresenti il minore in ordine alla pronuncia sull’affidamento e sulle altre questioni che lo riguardano.

Ivi si osserva, infatti, che nei giudizi sulla crisi familiare il giudice, «a differenza delle decisioni da lui assunte nei procedimenti contenziosi, non si pronuncia su quale dei litiganti ha ragione e quale ha torto bensì sceglie la soluzione migliore per un terzo (appunto il figlio minorenne) nell’esclusivo suo interesse»[9].

3.Le convenzioni internazionali e i primi cambiamenti.

Nonostante il nostro ordinamento sia fondato sul principio personalistico e nonostante il principio di effettività presieda all’attuazione dei diritti soggettivi, è difficile dire quale sarebbe stato il corso delle cose in assenza delle convenzioni internazionali di riconoscimento dei diritti dei minori.

Si deve, infatti, alla Convenzione di New York del 1989 e a quella di Strasburgo del 1996 la necessaria spinta propulsiva che ha gradatamente condotto al punto in cui ora ci troviamo.

Il cambio di prospettiva è radicale:

a) il minore è titolare di diritti soggettivi;

b) l’interesse a questi sotteso è posto in una posizione di preminenza rispetto agli interessi confliggenti;

c) quando capace di discernimento il minore ha diritto di esprimere la sua opinione allorché debbano essere assunte decisioni che lo riguardano;

d) il minore ha diritto ad essere rappresentato da un curatore speciale quando i titolari della responsabilità genitoriale versano in una posizione di conflitto d’interessi.

È evidente quanto sia profondo lo iato che viene a crearsi tra la configurazione convenzionale della posizione giuridica sostanziale e processuale del minore e quella conferita al medesimo dal nostro ordinamento italiano.

Inizia, dunque, un lento e progressivo percorso di adeguamento normativo e culturale che si svolge a tappe.

Con la legge n. 149 del 28 marzo 2001, si interviene – sebbene in termini assai modesti – sulla disciplina formale dei procedimenti de potestate e si riconosce – nonostante si adotti una formulazione letterale ancor meno chiara di quella adottata dalla medesima legge nel riformare l’art. 8 della l. n. 184/83 – che i genitori ed anche il minore debbano essere assistiti da un difensore.

Al contempo la Corte costituzionale, sebbene avallando la legittimità delle forme camerali, peraltro assai gravi in un contesto normativo in cui i presupposti sostanziali delle misure sono a carattere assolutamente indeterminato, proprio sulla scorta dell’art. 12 della Convenzione di New York ritiene che il minore sia «parte del procedimento, con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78 c.p.c.»[10].

Successivamente la legge sull’affidamento condiviso pone l’interesse dei figli minori come criterio preminente ai fini dell’assunzione dei provvedimenti che li riguardano e espressamente riconosce il «diritto» del figlio ad essere educato, istruito e assistito moralmente da entrambi i genitori.

Sul piano processuale, invece, con l’art. 155 sexies c.c. viene introdotto il diritto all’ascolto del minore capace di discernimento e la Corte di cassazione supera rapidamente la configurazione meramente istruttoria dell’istituto, figlia della passata concezione in cui il minore è mero oggetto di tutela[11]: l’ascolto diviene, dunque, una modalità di partecipazione al processo, è uno strumento diretto ad influire sul contenuto della decisione e come tale, in questo specifico ambito, risponde ad una funzione prossima a quella propria del diritto di difesa ed al contraddittorio[12].

Ciò consente di prendere atto che il figlio minore è senz’altro destinatario degli effetti della decisione e, in quanto tale, non è quel soggetto terzo indicato dalla Corte costituzionale del 1985.

Tutte queste soluzioni sono confermate – e sotto alcuni profili perfezionate – con la riforma della filiazione, che finalmente introduce una disciplina generale dei diritti dei figli nei confronti dei genitori.

Con l’art. 315 bis c.c., dunque, giunge a definitiva maturazione il percorso di configurazione della posizione sostanziale riservata al figlio minore nei confronti dei genitori.

Non più titolare di interessi da amministrare da parte degli adulti, bensì titolare di diritti soggettivi da rispettare.

Estremamente importante è anche il riconoscimento a carattere generale del diritto all’ascolto compiuto dall’art. 315 bis, comma 3, c.c.; strumento di espressione nei confronti di chi è chiamato a decidere per lui della propria personalità, ovvero di quelle inclinazioni naturali, cioè sue proprie e originali, e delle aspirazioni, che già l’art. 147 c.c. aveva pensato di introdurre – un po’ solitariamente – in un tessuto normativo ancora non pronto ad accoglierle.

4.La giurisprudenza in materia de potestate e alcuni quesiti in attesa di soluzione.

Con il definitivo riconoscimento formale dei diritti del figlio minore nei confronti dei genitori viene evidentemente meno uno dei tasselli fondamentali per poter perpetuare l’idea che il processo in cui si discute della responsabilità genitoriale, vuoi per l’assunzione delle misure de potestate, vuoi in ordine alla determinazione del regime e delle condizioni di affidamento, possa avere carattere puramente giurisdizionalvolontario e, di conseguenza, il figlio minore possa essere inteso come un terzo quasi indifferente alle sorti del giudizio.

Nel 2016, dunque, la Prima Sezione della Corte di cassazione sconfessa un orientamento giurisprudenziale che aveva resistito per più di trent’anni, ammettendo il ricorso per cassazione di cui all’art. 111, comma 7, Cost. avverso le decisioni rese ai sensi degli artt. 330 ss. c.c.[13]

Così facendo, il regime di tali decisioni viene ad essere equiparato a quello che, sebbene con qualche esitazione, era stato attribuito in precedenza ai provvedimenti determinativi del regime di affidamento nei giudizi sulla crisi familiare[14], ovvero l’idoneità al giudicato e la ricorribilità in cassazione.

Ad oggi, dunque, i procedimenti in cui la decisione giudiziale è diretta a rideterminare il contenuto della responsabilità genitoriale, dettando la disciplina concreta del rapporto genitori-figli, debbono essere ascritti alla giurisdizione contenziosa dichiarativo-determinativa[15].

Per quel che più specificamente attiene alla posizione processuale del figlio minore, in giurisprudenza si ritiene che a questi possa attribuirsi la qualità di parte sostanziale, ma non di parte processuale. L’istituto dell’ascolto sarebbe sufficiente a garantire la sua partecipazione attiva al giudizio[16], mentre diversa soluzione va consolidandosi con riguardo ai giudizi ex art. 330 ss. c.c.

D’altro canto, se si ritiene che l’oggetto dei giudizi sulla crisi familiare sia costituito anche dai diritti del figlio, l’idea che al minore possa negarsi la qualità di parte in senso processuale appare difficilmente accettabile ed anzi va più semplicemente preso atto che il minore è rappresentato nel processo dai genitori, in quanto privo della capacità di stare in giudizio; presupposto, questo, assolutamente necessario per poter provvedere alla nomina di un curatore speciale anche in siffatti procedimenti quando ciò si riveli opportuno[17], come peraltro ammesso in linea di principio dalla giurisprudenza[18] e da parte dalla dottrina[19] qualora si verifichi in concreto – e sul punto torneremo – una situazione di conflitto d’interessi tra genitori e minore.

È, infatti, solo muovendo dall’idea che il minore sia parte del processo, sebbene rappresentato dai titolari della responsabilità, che si può giungere alla sostituzione del rappresentante.

In definitiva, il vero problema nei procedimenti che incidono sul contenuto della responsabilità genitoriale non consiste tanto nel comprendere se il figlio minore sia o meno parte del processo, come in effetti è, sebbene rappresentato dai genitori, ma quando a questi debba essere riconosciuta una posizione processuale autonoma rispetto a questi[20].

5.Gli interventi della riforma.

Come anticipato nelle nostre considerazioni introduttive, la tutela effettiva dei diritti dei minori costituisce ovviamente il fine primario di tutta la riforma del processo familiare e minorile.

Se, d’altro canto, si focalizza l’attenzione sulle previsioni che nella legge n. 206/2021 influiscono sulla posizione processuale del minore con maggior grado d’impatto, si crede di poter individuare due principali linee d’intervento.

La prima riguarda l’ascolto del minore, della cui disciplina il comma 23, lett. dd), dell’art. 1 sollecita il riordino.

A ben vedere un intervento di adeguata sistemazione della materia era stato già compiuto con la riforma della filiazione e ad oggi non pare si registri una pressante esigenza di tornare sul tema alterando l’assetto di un istituto che gradatamente stava imponendosi nelle prassi giudiziali.

D’altro canto, l’unico profilo su cui si sofferma con una certa insistenza la riforma riguarda il c.d. ascolto delegato.

Invero già l’art. 336 bis c.c. disponeva che «l’ascolto è condotto da giudice, anche avvalendosi di esperti o altri ausiliari».

Tale previsione aveva tuttavia dato luogo ad alcune incertezze interpretative.

Un primo orientamento, infatti, riteneva che spettasse al giudice ascoltare il minore, sicché, nei casi in cui il giudice avesse valutato opportuno delegare l’incombente all’ausiliario, avrebbe dovuto darne «specifica e circostanziata motivazione»[21].

Sul fronte opposto, tuttavia, non mancavano precedenti di diverso tenore.

Si pensi al caso in cui la Corte, trovatasi a valutare se la delega al professionista debba essere o meno espressa, aveva risolto il quesito nella seconda direzione, sostenendo che il diritto del minore «può dirsi realizzato in quanto sostenuto dalla professionalità dell’esperto nominato che vi proceda e dell’utilizzo che ne faccia, nella redatta relazione, di categorie nominalistiche destinate a definire, tecnicamente, le attività svolte in esecuzione dell’incarico peritale (così per l’uso stesso del termine “ascolto” nel corpo della relazione di ufficio)»[22].

Con la riforma sembra essere accolta la linea interpretativa più rigorosa, infatti i commi 23, lett. c), 24, lett. i), e 27, lett. b), escludono addirittura che l’ascolto possa essere delegato ai giudici onorari, i quali potranno solo svolgere una funzione di mero ausilio a tal riguardo.

Le previsioni posseggono, dunque, una rilevanza non solo pratica, ma anche sistematica, contribuendo ad evidenziare che l’ascolto è un atto processuale volto a raccogliere l’opinione del minore ed è cosa ben diversa da un’indagine psicologica, la quale, d’altro canto, se opportuna, anche ai fini della valutazione delle risultanze dell’ascolto, potrà comunque essere disposta separatamente.

Il tema su cui tuttavia la riforma interviene in maniera maggiormente innovativa attiene alla nomina del curatore speciale del minore.

A tal riguardo la legge contiene diverse previsioni riguardanti i presupposti e le modalità della nomina, colmando – così – una lacuna che da tempo contraddistingueva il nostro ordinamento.

Con riguardo al primo profilo, ovvero a quello dei presupposti di nomina, il comma 30 dell’art. 1 della legge aggiunge due ulteriori commi all’art. 78 c.p.c.

Secondo l’attuale terzo comma della disposizione appena indicata, dunque, la nomina del curatore speciale del minore deve essere disposta dal giudice, anche d’ufficio, nonché a pena di nullità degli atti del procedimento, al ricorrere di quattro distinte ipotesi, ovvero quando: 1) la decadenza dalla responsabilità genitoriale sia richiesta dal pubblico ministero a carico di entrambi i genitori o uno di questi ne faccia richiesta nei confronti dell’altro; 2) quando vengano adottati i provvedimenti di cui all’art. 403 c.c. o sia disposto l’affidamento del minore ai sensi degli artt. 2 ss. l. n. 184/1983; 3) qualora dai fatti del procedimento emerga «una situazione di pregiudizio del minore tale da precludere l’adeguata rappresentanza processuale di entrambi i genitori»; 4) oppure, ancora, quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni.

La prima questione interpretativa posta dalla norma, di non immediata soluzione, riguarda la determinazione esatta del suo ambito di applicazione.

Per risolvere il dubbio si crede di dover muovere dalla constatazione che la giurisprudenza, anche in riferimento alle azioni di stato, nelle quali si ritiene che il minore sia parte necessaria, ha sempre cercato di giustificare la nomina del curatore speciale – stante ovviamente il disposto dell’art. 78, comma 2, c.p.c. – sulla base del conflitto d’interessi sussistente tra minore e genitori[23].

Così si è distinto tra i casi in cui conflitto è presunto dalla legge, come per l’appunto nelle azioni di stato, ed i casi in cui invece spetta al giudice accertare la sussistenza del presupposto per la nomina. In questo secondo ambito, peraltro, talora si è detto – come nei giudizi de potestate – che il conflitto può ritenersi in re ipsa[24], oppure che il conflitto deve essere valutato in concreto, come ad esempio si ritiene nei giudizi sulla crisi familiare[25] o in quello ex art. 250, comma 4, c.c.[26], talora osservandosi che detto conflitto possa rilevare anche se solo potenziale.

Il primo spunto di riflessione che si può trarre dalla sommaria esposizione della giurisprudenza allorché la si confronti con il nuovo terzo comma dell’art. 78 c.p.c. consiste nel prendere atto che il legislatore ha compreso che la sussistenza o meno del conflitto di interessi tra minore e genitori non costituisce affatto la chiave per poter risolvere il problema della nomina del curatore speciale, poiché ogni qual volta si celebri un giudizio in cui il provvedimento giurisdizionale incide sul contenuto del rapporto genitori-figli il conflitto d’interessi sussiste sempre[27].

La seconda considerazione che ci sentiamo di formulare volge lo sguardo al comma 3, n. 3, dell’art. 78 c.p.c., come anche al suo nuovo quarto comma, secondo cui «in ogni caso il giudice può nominare un curatore speciale quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore».

Si crede, infatti, che ad oggi – come da noi in precedenza suggerito anche richiamando il requisito di cui all’art. 140 bis, comma 6, c. cons.[28] – la nomina del curatore speciale dipenda dall’accertamento negativo del requisito di adeguatezza dei genitori a rappresentare l’interesse dei minori in un determinato processo.

Ne deriva, dunque, che il conflitto d’interessi tra le distinte posizioni processuali non è di per sé sufficiente ad escludere il generale potere rappresentativo dei genitori, dovendosi al contrario verificare se l’interesse dei figli minori, nonostante i correttivi che l’ordinamento appresta in questi particolari processi[29], sia adeguatamente rappresentato nel processo o se, al contrario, sia opportuno nominare un curatore speciale.

Le previsioni poc’anzi indicate, peraltro, si ritiene debbano ora leggersi assieme a quanto previsto dall’art. 337 quater c.c. nella parte in cui è previsto che la manifesta infondatezza della domanda di affidamento esclusivo legittima il giudice a considerare il comportamento del genitore istante «ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli».

Dal coordinato disposto delle norme menzionate si desume, infatti, che nei giudizi in cui si debbono assumere decisioni nell’interesse dei minori ed incidenti sul rapporto genitori-figli i primi esercitano – salvo i casi in cui questo è escluso dalla legge – un potere rappresentativo che è espressione diretta della responsabilità genitoriale di cui sono titolari[30]. Conseguentemente, proprio in ragione di questa singolare compenetrazione tra diritto e processo a cui si assiste in siffatta materia, l’esercizio di siffatto potere e dei relativi diritti processuali che appaia non conforme all’interesse dei minori è sottoposto ad una valutazione giudiziale che può comportare le conseguenze ivi previste, tra cui, per quel che qui interessa, la sostituzione del rappresentante e la nomina del curatore speciale, nonché, stando al nuovo art. 80, comma 3, c.p.c., la possibilità che il giudice attribuisca al curatore medesimo poteri rappresentativi anche di ordine sostanziale.

In definitiva il potere rappresentativo degli interessi del minore nel processo è una proiezione della responsabilità genitoriale e la nomina del curatore costituisce sostanzialmente una misura limitativa della stessa.

L’art. 78, comma 3, c.p.c., dunque, contribuisce a meglio delineare non solo la posizione del minore, ma anche a chiarire quella che spetta ai genitori e di conseguenza ai loro legali, apparendo oggi ancor più corretta – se possibile – la giurisprudenza di merito, secondo cui in siffatti procedimenti «l’Avvocato non assiste mai uno dei genitori “contro” il minore ma, semmai, in favore e nell’interesse “del minore”», dovendosi, al contempo, ritenere che il legale medesimo «può essere […] destinatario di un rimprovero nelle sedi competenti (in primis quella della responsabilità civile) per condotte attive od omissive che abbiano contribuito a causare un nocumento al minore, per effetto della omessa o mancata protezione dell’interesse superiore del fanciullo»[31].

Ancora in riferimento all’ambito applicativo della previsione, occorre peraltro rilevare che l’art. 78 c.p.c., come ampliato dalla recente riforma, non si è volutamente riferito ai casi – innanzitutto le azioni di stato, ma anche il giudizio di adottabilità – in cui la giurisprudenza, sulla base di espresse previsioni legali, era giunta da tempo alla conclusione che il minore fosse parte necessaria del giudizio[32].

Occorre, dunque, ritenere che in siffatti giudizi il comma 3 dell’art. 78 c.p.c. non trovi applicazione, essendo i genitori del tutto privi della capacità di rappresentare il minore sin dall’inizio del giudizio. In altre parole, la nomina del curatore speciale del minore ha qui certamente lo scopo di individuare il rappresentante dello stesso, ma ancor prima quello di estendere il contraddittorio alla parte debole.

Le questioni interpretative poste dall’art. 78, commi 3 e 4, c.p.c. non sono peraltro finite.

I nn. 1 e 2 del comma 3, infatti, riguardano fattispecie particolari ed impongono la nomina del curatore nei casi ivi specificamente indicati, potendosi d’altro canto evidenziare che nel primo la nomina deve essere disposta quando la parte legittimata «abbia chiesto» la decadenza dalla responsabilità genitoriale, nel secondo caso, invece, la norma vuole che la nomina acceda al provvedimento che adotta la misura, ovvero quello con cui il giudice convalida il provvedimento di collocazione del minore in ambiente protetto ai sensi del nuovo comma 3 dell’art. 403 c.c., come modificato dal comma 27 dell’art. 1 della legge, oppure quello con cui viene disposto l’affidamento familiare ex art. 4 l. n. 184/183.

I nn. 3 e 4 del comma 3 ed il comma 4 dell’art. 78 c.p.c., invece, sembrano avere portata generale, ovvero sono destinati a trovare applicazione quando si verifichino le situazioni ivi previste e non sia necessario nominare il curatore speciale – come detto poc’anzi – in forza di specifiche previsioni di legge o ai sensi dell’art. 78, comma 3, nn. 1 e 2, c.p.c.

Ciò potrà avvenire nei giudizi sulla crisi familiare in cui si discute dell’affidamento dei figli minori (processi di separazione o divorzio, di modifica delle relative condizioni, di determinazione del regime di affidamento di figli nati da genitori non coniugati, processi ex art. 709 ter c.p.c., e così via) o nei giudizi de potestate allorché, ad esempio, sia richiesta la mera limitazione della responsabilità o quando il pubblico ministero abbia richiesto la decadenza di un solo genitore.

Qualche ulteriore considerazione merita la prima parte del nuovo terzo comma dell’art. 78 c.p.c., lì dove è previsto che alla nomina provveda il giudice anche d’ufficio a pena di nullità.

A tale norma si coordinano i commi 23, lett. dd) e 26 della legge.

Il primo conferma il potere generale del giudice di nominare il curatore ed il secondo, invece, dedicato specificamente alla riforma dell’art. 336 c.c., dopo aver esteso legittimazione ad agire al curatore del minore se già nominato, precisa che la nomina va compiuta «sin dall’avvio» del procedimento «nei casi in cui ciò è previsto a pena di nullità del provvedimento di accoglimento».

Qui si crede sussista un difetto di coordinamento che potrà essere agevolmente emendato nell’attuazione della delega.

L’art. 78 comma 3 c.p.c., infatti, dispone che sia nominato il curatore a pena di nullità in tutte le quattro ipotesi ivi contemplate, ma evidentemente quanto previsto dal comma 26 della legge, ovvero la nomina in avvio del procedimento, è riferibile solo al n. 1 del comma 3 dell’art. 78 c.p.c. e non alle altre tre ipotesi.

Ulteriori riflessioni, infine, sollecita la nullità derivante dalla mancata nomina.

La lapidaria previsione, infatti, porta a chiedersi: a) a quale regime di invalidità si riferisca il legislatore; b) se a tal riguardo sia bene distinguere tra le diverse fattispecie previste ai nn. 1-4 del comma terzo dell’art. 78 c.p.c.; c) se anche la fattispecie prevista al comma quarto del medesimo articolo possa dar luogo all’invalidità del procedimento; d) quale sia il rapporto tra la nuova disposizione e la pregressa giurisprudenza in materia.

È forse opportuno partire dall’ultimo quesito appena indicato, tenuto conto che secondo un orientamento di gran lunga maggioritario, considerandosi il minore parte ad ogni effetto dei giudizi de potestate al pari di quel che accade nelle azioni di stato o nel giudizio di adottabilità[33], la mancata nomina del curatore speciale determina la nullità del procedimento per violazione dell’integrità del contraddittorio con conseguente rimessione della causa al primo giudice ai sensi degli artt. 354, comma 1, e 383, comma 3, c.p.c.

A ben vedere, sebbene entro certi limiti, la nuova norma non pare incompatibile con siffatto orientamento.

Più precisamente, sembra plausibile che il regime d’invalidità appena indicato possa valere nel caso previsto dall’art. 78, comma 3, n. 1, c.p.c., che appunto si occupa dei procedimenti ex artt. 330 ss. c.c., nonché nelle fattispecie indicate al n. 2 del comma 3 del medesimo articolo.

Con riguardo a queste ipotesi, infatti, la legge fa ben intendere che nei relativi giudizi il minore non è mai rappresentato dai genitori, sicché la nomina del curatore ha lo scopo di consentire che il contraddittorio venga esteso anche al soggetto fragile.

Una diversa e più tenute soluzione, invece, potrebbe essere prospettata nel caso in cui il giudice non abbia provveduto alla nomina nonostante la richiesta avanzata dal minore ultraquattordicenne oppure nonostante emerga dai fatti processuali una situazione di pregiudizio o  – ancora – sussistano altre gravi ragioni tali da precludere la capacità rappresentativa dei genitori; circostanze che potranno ben verificarsi anche nei giudizi de potestate laddove non trovi applicazione la nomina prevista dall’art. 78, comma 3, n. 1, c.p.c.

Al ricorrere di queste fattispecie, infatti, diversamente che nelle altre, l’integrità del contraddittorio è garantita dalla partecipazione dei genitori come rappresentanti naturali dei figli minori e difatti il provvedimento giudiziale di nomina è volto propriamente alla sostituzione del rappresentante per volontà del minore o al fine di emendare un vizio, che, riguardando il mal funzionamento dello strumento rappresentativo, è riferibile alla legitimatio ad processum e, in quanto tale, sebbene possa comportare la nullità del procedimento, non potrà dar luogo alla rimessione al giudice di primo grado[34].

In ogni caso, essendo il vizio rilevabile d’ufficio ed avendo la nomina del curatore – come evidenziato da parte della giurisprudenza[35] – la funzione di porre la parte nella condizione di partecipare al processo, la rilevanza della nullità di cui si discute non dipenderà certamente dalla dimostrazione del pregiudizio effettivo subìto dal minore nell’esercizio dei propri diritti processuali[36].

Un’altra norma che ci appare d’interesse si rinviene nelle modifiche apportate all’art. 80 c.p.c., che guadagna un terzo comma specificamente dedicato al curatore speciale del minore.

In tale sede, oltre alla possibilità – già menzionata – di conferire al curatore anche il potere di rappresentanza sostanziale, è previsto che il minore ultraquattordicenne, i genitori che esercitano la responsabilità genitoriale, il tutore o il pubblico ministero possano chiedere al giudice la revoca – o a ben vedere anche la modifica – del provvedimento di nomina del curatore nel caso di gravi inadempienze o per difetto o per il venir meno dei presupposti della nomina stessa.

Anche in tal caso sarà opportuno procedere alle dovute distinzioni, dovendo l’interprete individuare il corretto matching di tale previsione con le diverse ipotesi enucleate dall’art. 78, commi 3 e 4, c.p.c., essendo evidente – a titolo puramente esemplificativo – che non si potrà far valere il venir meno dei presupposti nel caso in cui la nomina sia imposta dalla legge, cosa che appunto avviene nelle ipotesi contemplate dai nn. 1 e 2 del terzo comma dell’art. 78 c.p.c.

È altresì previsto che il curatore nominato dal giudice debba provvedere al suo ascolto.

Tale norma, che trova il suo fondamento nell’art. 10 della Convenzione di Strasburgo, non ha ovviamente lo scopo di sostituire l’ascolto processuale con l’ascolto a cui il curatore è chiamato, ma al contrario mira a porre il rappresentante del minore nella condizione di poter tutelare al meglio l’interesse del minore nel processo.

È certo che tale compito, ovviamente subordinato alla sussistenza della necessaria capacità di discernimento del minore e nei limiti entro cui l’ascolto è obbligatorio[37], è estremamente delicato e necessiterà di opportune cautele, nonché della necessaria competenza.

Ma proprio l’ultima considerazione appena formulata induce a formulare un’ultima considerazione d’ordine generale, poiché, se è vero che il rappresentante professionale del minore, cioè il curatore speciale, è tenuto ad ascoltarlo in relazione alla vicenda separativa che lo ha colpito ed in vista del processo che lo coinvolge, è anche vero che, in assenza del curatore, tale compito dovrà spettare ai suoi rappresentanti legali nell’esercizio della propria responsabilità genitoriale[38], cioè ai genitori, appunto chiamati, da un lato, a non coinvolgere i figli nel conflitto[39], ma, dall’altro, a raccogliere le opinioni e i bisogni del proprio figlio.

[1] Papa Pio XII, Lettera Enciclica Sertum Laetitiae.

[2] Cfr. Stanzione, Diritti fondamentali del minore e potestà dei genitori, in Rass. dir. civ., 1980, 451 s. e 459.

[3] V. in particolare Punzi, I soggetti e gli atti del processo di divorzio, in Riv. dir. proc., 1972, 661; successivamente, Ruffini, Il processo civile di famiglia e le parti: la posizione del minore, in Dir. fam. pers., 2006, pp. 1258-1259.

[4] Così, Vocino, Oggetto e aspetti del processo di divorzio, in Studi in onore di Pietro Agostino d’Avack, IV, Milano, 1976, 681.

[5] Graziosi, La sentenza di divorzio, Milano, 1997, 217.

[6] Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., Appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla gestione degli interessi coinvolti [1990], ora in Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003, 603 s.

[7] Cass., S.U., 23 ottobre 1986, n. 6220, in Foro it., 1987, I, 3278 ss.

[8] Cfr. il nostro I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709 ter c.p.c., Torino, 2018, 24 ss.

[9] C. cost., 14 luglio 1986, n. 185, in Giust. civ., 1987, I, 2188 ss. con nota di Boccaccio, La Corte costituzionale e l’«interesse del minore»: un’occasione mancata.

[10] Cfr. C. cost., 30 gennaio 2002, n. 1, in Fam. dir., 2002, 229 ss., con nota di Tommaseo, Giudizi camerali de potestate e giusto processo; C. cost., 12 giugno 2009, n. 179, in Fam. dir., 2009, 869 ss., con nota di Arceri, Il minore ed i processi che lo riguardano: una normativa ancora disapplicata.

[11] Cfr. Cass., 16 aprile 2007, n. 9094, in Fam. dir., 2007, pp. 883 ss., con nota di Tommaseo, La Cassazione sull’audizione del minore come atto istruttorio necessario.

[12] Cfr. Cass., S.U., 21 ottobre 2009, n. 22238, in Riv. dir. proc., 2010, 1418 ss., con nota di Danovi, L’audizione del minore nei processi di separazione e divorzio tra obbligatorietà e prudente apprezzamento giudiziale.

[13] Cfr. in particolare Cass., 21 novembre 2016, n. 23633, in Fam. dir., 2017, 225 ss., con nostra nota Sulla natura decisoria dei provvedimenti in materia di abusi della responsabilità genitoriale: una svolta nella giurisprudenza della Cassazione.

[14] Cfr., nei giudizi camerali ex art. 710 c.p.c. di modifica delle condizioni di affidamento, Cass., 30 dicembre 2004, n. 24265, in Fam. dir., 2005, 501 ss., con nota di Bianchi, Affidamento dei figli, revisione della sentenza di separazione e ricorso straordinario, e, nei giudizi ex art. 317 bis c.c. di determinazione delle condizioni di affidamento dei figli nati al di fuori del matrimonio, Cass., 4 novembre 2009, n. 23411, e Cass., 30 ottobre 2009, n. 23032, ivi, 2010, 113 ss., con nota di Dosi, Ricorribili per cassazione per violazione di legge i decreti della corte di appello nelle procedure ex art. 317 bis c.c.

[15] Cfr., anche per l’esame delle diverse posizioni dottrinali in materia, il nostro Sulla natura delle decisioni rese nell’interesse dei figli minori nei giudizi sull’affidamento condiviso e de potestate, in Riv. dir. proc., 2019, 1067 ss.

[16] Cfr. ancora Cass., S.U., 21 ottobre 2009, n. 22238, cit., nonché la giurisprudenza successiva graniticamente conforme.

[17] Osserva, infatti, Cass., 16 dicembre 2021, n. 40490, che «il denominatore comune di tutte le situazioni in cui si pone il problema della nomina di un curatore speciale (in funzione sostitutiva dei genitori) è costituito dal presupposto che il minore sia “parte” del processo»; e cfr. anche Cass., 11 giugno 2021, n. 16569, con riguardo al dovere del tribunale ordinario, che intenda disporre l’affidamento familiare nei giudizi di separazione o divorzio, di «valutare la ricorrenza in concreto: di una situazione di conflitto di interessi del minore verso entrambi i genitori, tenendo conto delle limitazioni apportate alla responsabilità genitoriale ed al diritto di visita; dell’andamento delle iniziative poste a sostegno del recupero dell’originario nucleo familiare; della conflittualità esistente tra i coniugi e della posizione assunta dagli stessi tra loro e nei confronti degli affidatari e di quanto altro utile e rilevante nell’interesse del minore; e della necessità di disporre, ove s’imponga, la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., per assicurare la regolare instaurazione del contraddittorio e non incorrere in nullità delle attività processuali svolte».

[18] Cfr. Cass., 11 maggio 2018, n. 11554; T. Torino, 21 dicembre 2018, in Fam. dir., 2019, 695 ss., con nota di Danovi, Il curatore speciale del minore quale ulteriore raccordo tra giudice minorile e giudice ordinario.

[19] Cfr. ad es. Graziosi, Ebbene sì, il minore ha diritto di essere ascoltato nel processo, in Fam. dir., 2010, 370, nota 19, secondo cui né la partecipazione necessaria del pubblico ministero, né la veicolazione de facto degli interessi del minore attraverso l’attività difensiva dei genitori, costituiscono strumenti di difesa adeguati, dovendosi attribuire al giudice – come già avviene in altri ordinamenti – il potere di nominare un curatore speciale; Zucconi Galli Fonseca, I soggetti del processo, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di Sesta e Arceri, Milano, 2012, 627 ss.

[20] Cfr. il nostro I provvedimenti, cit., 144 ss.; ma v. anche l’ampia ricostruzione di Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, Bari, 2017, 105 ss.; nonché Querzola, Il processo minorile in dimensione europea, Bologna, 2010, 83 ss., 100 s., secondo cui il minore potrebbe ritenersi dotato di capacità processuale, ovvero potrebbe considerarsi parte dei giudizi in questione senza dover essere rappresentato dai genitori o da un curatore speciale all’uopo nominato.

[21] Cfr., tra le più recenti, Cass., 25 gennaio 2021, n. 1474; Cass., 13 novembre 2020, n. 25653; Cass., 17 aprile 2019, n. 10776; Cass., 24 maggio 2018, n. 12957, in Foro it., 2018, I, 2371 ss.

[22] Cass., 21 gennaio 2020, n. 1191.

[23] Cfr. Cass., 6 dicembre 2021, n. 38719, secondo cui «la qualità di parte in senso formale, in aggiunta a quella di parte in senso sostanziale, va poi attribuita al minore in presenza di specifiche disposizioni normative recanti previsione della nomina di un curatore speciale per rappresentarlo nella sede processuale (sicuramente, azioni di status e procedimenti di adottabilità); in dette ipotesi, rispetto alla previsione generale dettata dall’art. 78 c.p.c., il conflitto d’interessi tra il minore ed i suoi rappresentanti può ritenersi presunto, in ragione delle questioni oggetto del giudizio»; nonché, altrettanto chiara, Cass., 8 giugno 2016, n. 11782, in cui si legge che «la scelta operata dal legislatore italiano è fondata sulla predeterminazione normativa di alcune peculiari fattispecie nelle quali è ipotizzabile in astratto, senza dover distinguere caso per caso, il conflitto di interessi, con conseguente necessità di nomina del  curatore speciale a pena di nullità del procedimento per violazione dei principi costituzionali del giusto processo (cfr., ad esempio, art. 244 c.c., comma 6, art. 247 c.c., commi 2, 3 e 4, art. 248 c.c., commi 3 e 5, art. 249 c.c., commi 3 e 4, art. 264 c.c.), mentre tutte le altre concrete fattispecie di conflitto d’interessi potenziale, che possa insorgere nei giudizi riguardanti i diritti dei minori, sono regolate dall’art. 78 c.p.c., comma 2: ciò significa che il giudice del merito è tenuto a verificare in concreto l’esistenza potenziale di una situazione d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentante e quello preminente del minore rappresentato»; nello stesso senso, v. anche Cass., 22 giugno 2016, n. 12962.

[24] Cfr. Cass., 16 dicembre 2021, n. 40490; Cass., 6 dicembre 2021, nn. 38719 e 38720; Cass., 6 ottobre 2021, n. 27144, in riferimento ad un giudizio di determinazione delle condizioni di affidamento di figli nati da genitori non coniugati in cui era stata avanzata richiesta di decadenza dalla responsabilità genitoriale; Cass., 26 maggio 2021, n. 14616; Cass., 5 maggio 2021, n. 11786; Cass., 26 marzo 2021, n. 8627; Cass., 25 gennaio 2021, n. 1471; Cass., 17 ottobre 2019, n. 26523; Cass., 17 ottobre 2019, n. 26523; Cass., 13 marzo 2019, n. 7196; Cass., 12 novembre 2018, n. 29001; Cass., 6 marzo 2018, n. 5256; contra, tuttavia, Cass., 30 luglio 2020, n. 16410; Cass., 14 marzo 2018, n. 6384.

[25] Cass., 11 maggio 2018, n. 11554; cfr. anche Cass., 11 giugno 2021, n. 16569; sembrerebbe, invece, escludere del tutto l’evenienza Cass., 21 aprile 2015, n. 8100.

[26] Cass., 9 gennaio 2020, n. 275; Cass., 5 giugno 2009, n. 12984.

[27] Comprendere che il genitore versa in una situazione di conflitto d’interessi anche nei giudizi sull’affidamento è piuttosto agevole, difatti, quando ciascun genitore chiede la determinazione di un certo regime di affidamento ha un suo proprio interesse di carattere personale (frequentare il figlio per un certo tempo e con certe modalità) a raggiungere il risultato processuale richiesto, nonché un suo proprio interesse di ordine patrimoniale, posto che dal regime di affidamento dipendono – cosa che la legge dovrebbe nei limiti del possibile escludere – anche importanti conseguenze di ordine di ordine economico (mantenimento ed assegnazione della casa coniugale). In altre parole, il genitore non si trova mai in una posizione di indifferenza personale rispetto al contenuto della decisione.

[28] Cfr. ancora il nostro I provvedimenti, cit., 159 ss.

[29] Nei giudizi sulla crisi familiare, infatti, ovvero in tutti i processi in cui debbano essere assunte le decisioni che incidono sulla responsabilità genitoriale, si assiste ad un delicato contemperamento tra opposte esigenze. Sulla capacità dei genitori di rappresentare l’interesse del figlio minore, capacità che trova le sue radici nella titolarità della responsabilità genitoriale (cfr. infra, nota 30), influisce il conflitto d’interessi che inevitabilmente il processo proietta sulle figure parentali (cfr. retro, nota 27). Detto conflitto d’interessi è in larga misura neutralizzato dalla natura dialettica del processo, ovvero dal contraddittorio tra i due genitori, ma la legge contempla una serie di specifici correttivi ed aggiustamenti rispetto all’ordinaria fisionomia del processo civile dispositivo; correttivi che sono volti a favorire l’accertamento della verità materiale e che consistono primariamente nella partecipazione necessaria del pubblico ministero, nei poteri riservati al giudice, nonché, infine, nello svincolare la posizione del minore dalle barriere preclusive, che, invece, regolano l’attività processuale riguardante i diritti dei genitori (cfr. Danovi, Principio della domanda e ultrapetizione nei giudizi di separazione, in Riv. dir. proc., 1998, 728 ss.). Ovviamente, la tenuta di questo particolare sistema di cautele può esser messa alle corde quando i correttivi appena indicati non appaiono comunque sufficienti a garantire che l’interesse del minore sia adeguatamente rappresentato nel processo. Ciò può derivare, ad esempio, dalle dinamiche ingenerate da un’aspra conflittualità, da un’incapacità genitoriale pregressa o determinata dalla crisi familiare, dalle domande proposte in giudizio, poiché tali da porre il genitore in una posizione di eccessivo conflitto di interessi (è il caso in cui il genitore si trovi ad essere destinatario di una richiesta di affidamento esclusivo di limitazione/decadenza dalla responsabilità genitoriale). È in questi casi che la nomina del curatore appare necessaria per garantire il corretto funzionamento del contraddittorio. In questo senso, si orienta anche l’attuale riforma, che ha il merito di esplicitare la natura non dispositiva del processo allorché l’oggetto di questo sia costituito dai diritti dei figli minori. Più precisamente, il comma 23, lett. f), dell’art. 1 conferisce un fondamento positivo all’obbligo di disclosure già introdotto dalla giurisprudenza di diverse corti di merito; obbligo che imporrà alle parti di depositare la documentazione necessaria ad accertare la condizione reddituale e patrimoniale delle parti in vista dell’assunzione nell’interesse dei minori di provvedimenti a contenuto patrimoniale. Al contempo, al fine di favorire una decisione effettivamente prossima alle esigenze reali dei minori coinvolti, si introduce l’obbligo di depositare un piano genitoriale che illustri gli impegni e le attività quotidiane dei minori, con riguardo alla scuola frequentata,   al   percorso   educativo,   alle    eventuali attività extrascolastiche a carattere sportivo, culturale o ricreativo, alle  frequentazioni  parentali e amicali,   ai   luoghi   abitualmente frequentati, alle vacanze normalmente godute. È questa una previsione assai opportuna per consentire l’apprezzamento in concreto dell’interesse del minore e assumere provvedimenti conformi; obiettivo, quello della giustizia del caso concreto, che spesso si sente evocare, ma che invero ha poco riscontro effettivo nella prassi, talora fatta di provvedimenti e richieste di parte dal contenuto routinario. Ancora il comma 23, lett. f), chiarisce che le barriere preclusive che scandiranno il rito unico che la riforma intende introdurre si riferiscono solo alle domande aventi ad oggetto diritti disponibili e difatti la successiva lett. i) conferma la possibilità di proporre in corso di giudizio domande nuove, se relative all’affidamento dei figli o al loro mantenimento (e conseguentemente anche i fatti su cui queste riposano, nonché le prove che mirano a darne la dimostrazione). Il medesimo comma 23, lett. m) e t), poi, in linea di continuità con previsioni già note al nostro ordinamento ed in particolare con gli artt. 336, comma 3, 337 ter, comma 2, e 337 octies, comma 1, c.c., attribuiscono al giudice il potere di decidere – in via provvisoria ed urgente, nonché definitiva – nell’interesse dei minori anche in assenza di istanze formulate dalle parti, nonché di assumere prove d’ufficio nel loro interesse, fermo il diritto alla prova contraria e la salvaguardia del contraddittorio, che, se violato, comporterà la nullità del provvedimento. Tutte queste previsioni non attengono direttamente al tema della partecipazione del minore, ma d’altro canto sono a questo strettamente legate per le ragioni appena indicate. Per tale ragione non ci sentiamo di condividere del tutto le critiche rivolte da autorevole dottrina alla riforma (cfr. Scarselli, La riforma del processo di famiglia, in www.giustiziainsieme.it, §§ 2.1. e 2.2.), poiché ricondurre in ogni caso i giudizi volti ad incidere sulla responsabilità genitoriale alle regole del processo dispositivo comporterebbe sempre la nomina di un curatore speciale. Il tema meriterebbe ben più ampia riflessione, ma va certamente ammesso che i poteri ufficiosi espongono ad elevato rischio sia l’effettività del contraddittorio, sia l’imparzialità e la terzietà del giudice, sicché, non solo detti poteri dovrebbero essere utilizzati con estrema cautela e sottoponendo previamente alle parti le questioni «rilevate» d’ufficio, ma occorrebbe anche meditare se tale deviazione dagli ordinari canoni di svolgimento del processo civile possa essere giustificata solo nei casi in cui il curatore speciale non è stato nominato.

[30] Tenuto conto delle considerazioni svolte nel testo e nelle note nn. 27 e 29, si crede abbia colto effettivamente il punto l’autorevole dottrina secondo cui, nei procedimenti in cui il minore entra nel processo rappresentato dai genitori, «si attua un fenomeno di interposizione soggettiva al confine tra la rappresentanza e la sostituzione processuale» (così, Tommaseo, La Corte costituzionale sul minore come parte nei processi della giustizia minorile, in Fam. dir., 2011, 549, nota n. 7), in quanto il fondamento giuridico della mancata attribuzione al minore di una posizione autonoma rispetto alle figure parentali non sta tanto nell’opportunità – pur sussistente – di non porre il minore direttamente all’interno del conflitto, quanto la titolarità della responsabilità genitoriale, ovvero l’aspetto esterno di siffatta situazione giuridica soggettiva, il cui fondamento si rinviene agli artt. 30 Cost. e 8 CEDU.

[31] Così, T. Milano, 23 marzo 2016, in www.ilcaso.it.

[32] Cfr., per tutti, Poliseno, Profili, cit., 64 ss.

[33] Cfr., molto chiaramente, Cass., 6 marzo 2018, n. 5256: «una volta chiarito che il figlio minore è parte necessaria del procedimento, ne discende, come logica conseguenza, che la mancata integrazione del contraddittorio nei suoi confronti comporterà la nullità del procedimento medesimo, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 354, comma 1»; ma v. anche Cass., 16 dicembre 2021, n. 40490; Cass., 6 dicembre 2021, nn. 38719 e 38720; Cass., 6 ottobre 2021, n. 27144; Cass., 26 maggio 2021, n. 14616; Cass., 5 maggio 2021, n. 11786; Cass., 26 marzo 2021, n. 8627; Cass., 25 gennaio 2021, n. 1471; Cass., 17 ottobre 2019, n. 26523; Cass., 13 marzo 2019, n. 7196; Cass., 12 novembre 2018, n. 29001; contra, Cass., 7 maggio 2019, n. 12020.

[34] Cfr., molto chiaramente, Cass., 25 settembre 2009, n. 20659; ma v. anche Cass., 17 aprile 2019, n. 10754; Cass., 7 dicembre 2021, n. 38883; Cass., 20 settembre 2021, n. 25317.

[35] Cfr. Cass., 7 maggio 2019, n. 12020.

[36] Per approfondimenti, v. il nostro Pregiudizio effettivo e nullità degli atti processuali, Napoli, 2020, 189 ss.

[37] Per questi aspetti, sia consentito il rinvio al nostro I provvedimenti, cit., 179 ss.

[38] Cosa che, in effetti, avevamo ritenuto necessario in tutti i casi in cui i genitori giungono ad una decisione concordata delle crisi (separazione consensuale, divorzio su domanda congiunta, istanza congiunta di modifica delle condizioni di affidamento, domanda congiunta di determinazione delle condizioni di affidamento dei figli nati da genitori non coniugati, negoziazione assistita); casi in cui dell’ascolto dovrà essere dato conto proprio negli accordi raggiunti anche ai fini del riconoscimento della decisione ex art. 23, lett. b), reg. CE n. 2201/2003: cfr. il nostro I provvedimenti, cit., 191, nota 86.

[39] Come stabilito dalla Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori, in www.garanteinfanzia.org.