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Principio del risultato e gerarchia degli interessi nel nuovo codice dei contratti pubblici
Di Hadrian Simonetti -
1. Sui principi espressi e inespressi
Come era prevedibile, nei primi commenti al nuovo codice, efficace dal 1° luglio di quest’anno, le maggiori attenzioni si sono concentrate sulla novità dei principi racchiusi nei primi dodici articoli, a cominciare dal principio del risultato di cui si occupa il primo di essi.
La scelta di codificare, e quindi positivizzare, una serie di principi di questa materia – taluni apparentemente nuovi, altri già noti da tempo – ha riportato alla luce temi e questioni risalenti e di carattere più generale, quali la distinzione più o meno forte tra regole e principi, il ruolo spettante al legislatore a confronto con quello proprio dell’interprete e della scienza giuridica, la funzione “politica”, o anche solo “mediatica”, dei principi.
I commentatori più avvertiti hanno sfogliato nuovamente pagine del passato, ricordando come al tempo della redazione del codice civile, la proposta di codificazione dei principi generali dell’ordinamento giuridico fascista, avanzata dai giuristi più compromessi con il regime, si caricò di intenti e significati marcatamente politici e demagogici e come, nel convegno pisano del 1940, ad essa seppero allora contrapporsi quanti difendevano il profilo più tecnico, (si direbbe neutrale, se la neutralità non fosse a suo modo un’opzione non meno politica) della materia, assicurando questi ultimi, con il loro prevalere, la sopravvivenza del nuovo codice alla caduta, di lì a breve, della dittatura e al ritorno della libertà[1].
In quello stesso convegno, mentre la gran parte dei civilisti sosteneva ancora la tesi tradizionale sul carattere solo inespresso ed implicito dei principi generali, come tali ricavabili in via di astrazione dalle norme particolari dell’ordinamento, altri, come Crisafulli, ammettevano che vi potessero essere anche principi generali espressamente formulati dal legislatore, aventi la medesima natura dei primi. Il problema sarebbe diventato da allora, piuttosto, quello di stabilire se la qualificazione legislativa sia sempre vincolante per l’interprete, se il carattere di principio generale, per quanto indicato dal legislatore, debba o meno trovare conferma in base ad un giudizio di valore[2]. Da tempo, infatti, il legislatore (tra)veste di principi quelli che sono, non di rado, programma di scopo o dichiarazioni d’intenti[3].
E’ un dato di fatto che nessuno dei quattro codici novecenteschi, neppure l’ultimo di essi, il codice di procedura penale del 1988, reca una parte o sezione dedicata ai principi. A differenza della Costituzione del 1948 i cui primi dodici articoli costituiscono un preambolo denominato “principi fondamentali” ma al cui interno non si trovano solamente principi in tema di sovranità popolare, dignità umana, uguaglianza, lavoro, unità e indivisibilità della Repubblica, religione e cultura, ma anche disposizioni sui colori della bandiera italiana.
In materia amministrativa il legislatore non è sempre stato avaro di principi. Il pensiero va alla legge sul procedimento amministrativo del 1990 e ai principi generali dell’attività amministrativa racchiusi nell’articolo 1; come anche più di recente al codice del processo amministrativo i cui primi tre articoli recano principi generali su effettività, giusto processo, ragionevole durata e sinteticità[4]. Anche nel precedente codice dei contratti, quello del 2016, non mancavano articoli espressamente dedicati alla codificazione di principi della materia (gli articoli 4, 5, 29 e 30); come non mancavano neppure in quello del 2006 e, andando ancora a ritroso, nella legge Merloni n. 109 del 1994 (art. 1, comma 1).
2.I principi nel nuovo codice
Nell’attuale codice dei contratti pubblici di nuovo c’è però soprattutto la dimensione raggiunta dalla positivizzazione dei principi, l’importanza ad essa attribuita in chiave interpretativa ed attuativa, anche attraverso una gerarchia tra i diversi principi che si vorrebbe diversa rispetto al recente passato.
Si è già osservato da più parti che il nuovo codice è stato scritto a direttive europee invariate, che la sua principale causale non è quindi legata al loro recepimento ma che, piuttosto, le condizionalità del Next Generation UE – tra le quali una serie di riforme, una di esse concernente proprio il riordino della disciplina dei contratti pubblici – sono state l’occasione per intervenire su una regolamentazione, quella italiana del 2016, che le vicende degli ultimi anni avevano finito per rendere ben presto superata o comunque da superare[5].
Si è dunque sottolineato come la partita del nuovo codice dei contratti sia stata giocata essenzialmente in casa nostra e che, nello scriverlo, si sia guardato all’ordinamento interno e a talune esperienze a noi più vicine, su tutte quella francese: come a suggerire una matrice autarchica, con qualche venatura di diritto comparato.
Secondo questa lettura il nuovo codice segnerebbe un cambio di paradigma, sposando una visione definibile come “neo-contabilistica”, della quale il principio del risultato sarebbe, con le sue implicazioni più o meno dichiarate, la chiave di volta. Alla visione pro-concorrenziale, inaugurata nel 2006 al tempo della prima codificazione della materia e suggellata dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 401 del 2007, per la quale la gara servirebbe soprattutto agli operatori economici e alla loro libertà di accesso ad un mercato europeo divenuto unico, si andrebbe ora a sostituire una visione nella quale l’intera disciplina torna ad essere in funzione e al servizio in primo luogo del committente pubblico e del suo interesse a realizzare opere, assicurare servizi e acquisire forniture a beneficio della collettività[6].
Oltre che su risultato, il nuovo codice investe soprattutto sul principio della fiducia, l’altra rivendicata novità di questa prima parte, in chiave di promozione della discrezionalità delle stazioni appaltanti; l’uno e l’altro principio, insieme a quello di accesso al mercato, compongono una triade di principi definibili (come) di primo livello o comunque di grado maggiore, rispetto a tutti gli altri, come si ricava dall’art. 4 e dalla previsione per cui essi servono ad interpretare ed applicare le disposizioni del codice. Gli articoli che seguono, dal 5 all’11, ne contengono di ulteriori componendo un secondo gruppo abbastanza eterogeneo, al cui interno troviamo principi in senso proprio – come quelli di buona fede e affidamento, di conservazione dell’equilibrio contrattuale, di tassatività delle cause di esclusione – principi detti “di dettaglio”, perché in realtà recano prescrizioni puntuali – sulla contrattazione collettiva, sul divieto di prestazioni gratuite – e “principi recinto”, in quanto segnano il perimetro del codice e il confine con le soluzioni che ne sono al di fuori, quali il principio di auto-organizzazione e il principio di solidarietà orizzontale[7].
3.Il risultato amministrativo tra novità e conferme
In questo quadro, il principio del risultato è visto da taluni come una novità assoluta, in termini di rottura rispetto al passato[8], da altri come la riscoperta di un qualcosa che era già presente o comunque ricavabile dall’esperienza italiana, sebbene meno recente, da altri ancora si dubita che quello del risultato sia davvero un principio in senso proprio[9]. In effetti, il risultato potrebbe essere considerato, più semplicemente e senza nulla togliere all’importanza dell’obiettivo, come una “politica”, piuttosto che un principio[10].
Seguendo la seconda linea di pensiero appena richiamata si potrebbe evocare il ricordo della normativa contabilistica degli anni venti del secolo scorso, legata al nome di Alberto de’ Stefani e alla stagione, che fu breve, del primissimo fascismo in versione liberista: disciplina nella quale l’obbligo della gara pubblica, assurto a regola generale molto prima che a farlo fosse il diritto europeo, era in funzione del risparmio di spesa e dell’equilibrio di bilancio, a tutela quindi della parte pubblica, e come antidoto a favoritismi e ruberie.
Se poi guardiamo alla Costituzione del 1948, il principio del risultato può ben dirsi una declinazione del principio del buon andamento; di un principio che, a lungo oscurato da quello di imparzialità, da una certa epoca in poi ha conosciuto maggiori e crescenti attenzioni. Nei primi commenti non sono mancati i richiami al tema della “amministrazione di risultato”, che fu approfondito specie nel corso degli anni ’90 del secolo scorso e del quale si ricordano gli atti di un convegno svoltosi a Palermo all’alba del nuovo millennio[11]. Allora come ora il risultato era invocato nel contesto di un’amministrazione debole sul piano dell’organizzazione e della capacità, la cui attività stretta tra molti, troppi, vincoli e in balia di interessi divergenti spesso diventava noncurante degli obiettivi e non riusciva (e non riesce) a tradursi in un’attività davvero utile ovvero efficace ed efficiente. Pur nella varietà delle opinioni e delle proposte, (ri)affioravano allora concezioni antiformalistiche, aziendalistiche, che poi avrebbero trovato ascolto, ad esempio, con l’innesto dell’art. 21 octies nella legge sul procedimento amministrativo, in parte mutandone lo spirito garantistico originario.
Del resto, con riferimento alla contrattualistica pubblica, alla tradizionale concezione contabilistica della normativa degli anni venti si era già andato muovendo il rimprovero di fondo che fosse, da un lato, troppo sbilanciata in favore della parte pubblica, dall’altro, troppo formalistica e ancorata a regole minute di esasperato dettaglio: nell’uno e nell’altro caso comunque poco adatta a regolare una vicenda che, al netto della (maggiore o minore) specialità, finisce per sfociare pur sempre in un contratto di diritto privato[12].
A questa critica, si direbbe di impronta liberal-garantista, che chiedeva meno potere autoritativo e più autonomia contrattuale, si accompagnava un movimento favorevole alla semplificazione della disciplina dell’evidenza pubblica. Una semplificazione coltivata in un primo tempo all’interno della stessa gara, magari rafforzando i momenti di confronto e di negoziazione all’insegna di una maggiore flessibilità nelle (e delle) procedure[13]. I fautori di questa proposta hanno ad un certo punto guardato con speranza al diritto europeo, all’ibridazione tra i modelli continentali e quelli anglosassoni in corso attraverso le direttive (specie a quelle del 2004) e agli strumenti in esse previsti quali ad esempio le procedure negoziate con bando, il dialogo competitivo, dolendosi del fatto che il legislatore e l’amministrazione italiana fossero troppo cauti nel recepirli e nel farne uso. Da questo sentiero in tempi più recenti è venuta però biforcandosi una seconda via che pare perseguire (e teorizzare) da ultimo una semplificazione fuori dalla gara e che, a tal fine, invoca ora a suo fondamento proprio il principio del risultato[14].
4.La concorrenza come metodo (o come problema?)
Ed è a questo punto che il discorso sul principio del risultato si intreccia con quello della concorrenza.
Nei commenti degli ultimi mesi, all’indomani dell’anticipazione dei testi redatti dalla Commissione speciale presso il Consiglio di Stato, a settembre del 2022 e poi al principio di dicembre in occasione della pubblicazione sul sito della giustizia amministrativa della versione definitiva trasmessa al Governo, si è molto insistito sull’idea che il risultato sarebbe il fine e la concorrenza solo un mezzo; come a suggerire un ordine gerarchico nel quale il primo sarebbe anteposto alla seconda. La concorrenza[15], che sembrava fosse assurta a fine ultimo con il codice del 2006 e nella lettura datane dalla Corte costituzionale nel 2007, retrocederebbe (o tornerebbe) ora al rango di principio strumentale. Quasi a disegnare una parabola, che accompagna più in generale l’evoluzione della tutela della concorrenza nel nostro Paese e che è parte di una vicenda più ampia che ne ha visto prima la forte affermazione al principio degli anni ’90, nel quadro di quella che era stata definita allora come l’alba di una nuova costituzione economica, per poi registrarne gli alti e i bassi nel corso dei decenni successivi, attraverso una serie di passaggi segnati anche dalla crisi finanziaria del 2007-2008 e dalla pandemia del 2020, sino all’attuale stagione di riflusso, dentro una tendenza neo-statalista che è molto bipartisan e alla quale si accompagnano giudizi sulla globalizzazione e sul mercato divenuti più critici o, se vogliamo, meno acritici di prima.
Leggendo l’art. 1 l’idea, avanzata in molti dei primi commenti al codice, che la concorrenza sia solamente un mezzo appare, tuttavia, riduttiva. Il primo comma di tale articolo, nell’indicare quale obiettivo prioritario “il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo”, individua nel principio di concorrenza, piuttosto, un limite da rispettare; come fa per la legalità e la trasparenza.
Ma è soprattutto il secondo comma che, a mio avviso, contraddice la lettura sin qui prevalsa. Dove si legge che “La concorrenza tra gli operatori è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti”, parrebbe evidente come si sia voluto ribadire che solo la concorrenza può assicurare il risultato migliore e che senza di essa ci si dovrà accontentare di un risultato minore, per non dire di un risultato qualsiasi (si direbbe, parafrasando il titolo di un’opera famosa, di “un risultato senza qualità”)[16]. Se la concorrenza è servente al risultato, come si continua a ripetere, è non meno vero che il risultato, per essere buono, per essere appunto di qualità, ha bisogno a sua volta della concorrenza, e non può farne a meno. La concorrenza è certamente un mezzo ma non è solo un mezzo; è anche, prima di tutto, un metodo, oltre che un limite. In questo modo risultato e concorrenza simul stabunt e simul cadent.
Come nell’impianto dell’art. 97 Cost. l’imparzialità non è riducibile ad un mero strumento in funzione del buon andamento, essendo la prima un modo (anzi, il solo modo) di essere dell’amministrazione e della sua attività, a me non sembra che la concorrenza – che, in questo ambito, già alla fine dell’Ottocento era vista come una declinazione dell’imparzialità[17] – possa ridursi ad un semplice mezzo a disposizione del risultato.
Viene meno così l’antagonismo tra risultato e concorrenza e dovrebbe venir meno quella tendenza a guardare alla concorrenza come un fastidio o un intralcio nella corsa – che non dovrebbe essere “a fari spenti nella notte” ma illuminata a giorno – verso il risultato.
Se restiamo sul testo, nel nuovo codice la tutela della concorrenza parrebbe rafforzata, piuttosto che indebolita, a confronto con il codice precedente, come si ricava dalle disposizioni dell’art. 1 appena richiamate, e dagli articoli 3 e 4, in particolare quest’ultimo annovera la concorrenza, al pari del risultato e della fiducia, tra i criteri che guidano l’interprete nell’interpretazione e nell’applicazione di tutte le disposizioni del codice.
Può darsi che l’intenzione e il disegno fossero altri ma il dato di diritto positivo è quello appena richiamato.
Se questa è la corretta esegesi dell’art. 1, letto in combinato disposto con l’art. 3 (dove è fatta menzione dell’imparzialità) con l’art. 4, potrebbero considerarsi eccessive le preoccupazioni di chi vede nella proclamazione del principio del risultato la conferma del riemergere di venature autoritarie che sarebbero legate alla riconosciuta supremazia della volontà contrattuale della p.a.[18] Al richiamo di talune regole del codice, come quella che lascia invariata la media delle offerte anche al cospetto di variazioni nella procedura (ove siano) emerse dopo l’aggiudicazione della gara (art. 108, comma 12), quale esempio di una simile tendenza pro-stazione appaltante, se ne possono citare molte altre nelle quali il nuovo codice rafforza invece le garanzie degli operatori economici e delle controparti contrattuali, sia nella fase dell’affidamento che in quello dell’esecuzione, se solo pensiamo alla nuova disciplina delle cause di esclusione, al soccorso istruttorio, all’avvalimento, agli istituti della revisione prezzi e della rinegoziazione in funzione della conservazione dell’equilibrio contrattuale.
5. La gerarchia degli interessi. Riflessi sul diritto sostanziale e su quello processuale
La parte I del codice definisce la gerarchia degli interessi, ponendo al centro della vicenda il risultato e la fiducia (buon andamento e buona fede) ma senza, come si è cercato di dimostrare, sminuire il ruolo, che non può dirsi solo servente, della concorrenza e dell’accesso al mercato.
Scopo dei principi o meglio della “principializzazione” si è già visto essere, in una misura considerevole e secondo una logica neo-contabilistica, il potenziamento dell’iniziativa e dell’autonomia delle stazioni appaltanti, l’incoraggiamento dei loro funzionari ad agire. Riconoscendo loro, dopo anni di sospetti e (quindi) di vincoli, uno spazio maggiore di apprezzamento e di scelta. Si può vedere in questo una reazione alla tendenza del cd. “amministrare per legge”, che da tempo connota la legislazione in generale e (quella) sul versante dei contratti pubblici in particolare: quella tendenza che conduce il Governo con la decretazione d’urgenza, e il Parlamento, in sede di conversione, a sostituirsi ad un’amministrazione ritenuta incapace di provvedere o che è troppo lenta nel farlo o, ancora, insicura e desiderosa di una copertura sul piano della responsabilità. Il principio del risultato potrebbe servire soprattutto ad abbandonare tale tendenza e a restituire al livello amministrativo quel che gli è proprio, ristabilendo l’ordinata divisione dei poteri.
C’è da chiedersi se la cd. principializzazione possa esercitare un freno non solo in direzione della legislazione ma anche del potere giudiziario, riducendone il margine interpretativo al cospetto di una gamma così vasta di principi e alla luce dell’ordine gerarchico in cui sono stati collocati; se la “liberazione” dell’amministrazione, per essere considerata davvero tale, non debba compiersi anche e soprattutto nei confronti del (suo) giudice (naturale). Se quindi la liberazione, che sinora è stata in parte già assicurata rispetto al magistrato contabile (con la sospensione della rilevanza della colpa grave per le condotte attive) e, con riferimento al reato di abuso d’ufficio, “promessa” anche rispetto al magistrato penale, non possa estendersi nei confronti di quello amministrativo, oltre che dell’Autorità di regolazione[19].
Lo scenario di un’amministrazione committente cui si riconosce più potere, ma meno responsabilità, appare francamente poco sostenibile.
Non sarebbe peraltro la prima volta che il legislatore prova ad incamminarsi su questa strada: disposizioni processuali, specie in tema di tutela cautelare, hanno cercato spesso di limitare il sindacato giurisdizionale, in nome di un risultato ante litteram che altro non era se non il (più) classico interesse pubblico, da preservare in via prioritaria, dimenticando che anche quello amministrativo è un processo di parti, in posizione di parità. Simili tentativi sono stati in passato stoppati o ridimensionati dal Giudice delle leggi, in nome della ragionevolezza e del diritto di difesa, e la loro riproposizione deve oggi fare i conti anche con il principio, di matrice eurounitaria, di effettività della tutela[20]. Frammenti o prodromi del principio del risultato potevano già cogliersi, del resto, nel richiamo al “rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale”, all’art 121 c.p.a., come limite alla pronuncia sull’inefficacia del contratto persino nei casi di violazioni più gravi, come limite quindi alla forma più forte di tutela in forma specifica; come anche nella previsione dell’art. 120, che con riferimento alla tutela cautelare richiama, come freno, “un interesse generale all’esecuzione del contratto”.
Che sia o meno anche oggi questa l’intenzione, è tuttavia possibile che, per una non infrequente eterogenesi dei fini, la declinazione del principio del risultato finisca invece, all’opposto, per ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale, piuttosto che diminuirlo. Da oggi, infatti, la corsa al risultato, in termini di rapidità ma anche di qualità dell’opera, del servizio o della fornitura, potrà tante volte essere invocata anche dai privati, con la conseguenza di far transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili[21].
La tutela del risultato amministrativo, come è già avvenuto in nome della concorrenza, potrebbe persino aprire delle nuove brecce attraverso le quali far emergere frammenti e momenti di giurisdizione lato sensu oggettiva. Per fare un solo esempio, la scelta di affidare in house un appalto, anziché ricorrere al mercato, che pure l’art. 7 parrebbe consentire senza particolari timori, sinora “giustiziabile” per lo più dal lato della tutela della concorrenza, da oggi potrebbe essere avversata, anche se non soprattutto, dimostrando che a rimetterci sia proprio il risultato (ovvero l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa), in termini di minore qualità o di maggior prezzo.
Bisognerà vedere, inoltre, i riflessi che l’accentuazione del risultato e delle funzioni di committenza avranno sull’equilibrio tra tutela specifica e tutela per equivalente nelle controversie sui contratti pubblici. Da taluni segni – ricavabili in particolare nella disciplina contratti del PNRR[22] – parrebbe cogliersi un arretramento della prima in favore, teoricamente, della seconda, per effetto dell’estensione del perimetro applicativo dell’art. 125 c.p.a., che per le cd. grandi opere limita fortemente i casi di caducazione del contratto. Ma anche qui il sacrificio della tutela in forma specifica, con l’intangibilità del contratto nonostante l’accertata illegittimità degli atti della gara, non potrà essere spinta oltre un certo grado, altrimenti si rischia di entrare in rotta di collisione con la seconda direttiva ricorsi del 2007 e con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.
Meno problematico, e da salutare con sicuro favore, mi sembra sia invece il ruolo che il principio del risultato può svolgere nella direzione di una disciplina più sostanzialistica e flessibile dell’evidenza pubblica, recuperando e razionalizzando istanze e sollecitazioni in tal senso del passato. Anche attraverso il principio della fiducia, potrebbe finalmente prevalere un approccio più aderente alla realtà delle cose, meno burocratico, ma senza per questo sacrificare la pubblicità e la trasparenza.
Talune soluzioni adottate con il nuovo codice, per quanto riguarda ad esempio le commissioni giudicatrici e alla riduzione delle cause di incompatibilità a farne parte, sembrano andare in tale direzione. Molto dipenderà da come si definiranno le due partite dalle quali più dipende il successo del nuovo codice: la qualificazione delle stazioni appaltanti e la digitalizzazione delle procedure e dei contratti. In assenza delle quali, qualora ne venisse differita l’operatività, è consistente il pericolo che prevalgano approcci al ribasso, che si vada alla ricerca di un risultato qualsiasi.
*Relazione al corso di formazione per magistrati amministrativi di prima nomina, Roma 11 settembre 2023
[1] Il convegno Pisano è ricordato, di recente, da Montedoro, La funzione nomofilattica e ordinante e i principi ispiratori del nuovo codice dei contratti pubblici, in www.giustizia-amministrativa.it, 2023. Tra i giuristi più favorevoli alla codificazione dei principi generali dell’ordinamento fascista, Panunzio, Motivi e metodo della codificazione fascista, Milano, 1943.
[2] Sull’argomento la letteratura è vastissima, d’obbligo il rimando a Bartole, Principi del diritto (dir. cost.), in Enc. dir., XXXV, 494 ss, Bobbio, Principi generali del diritto, in Noviss. Dig. It., XIII, 1966, 887 ss, Crisafulli, Per la determinazione del concetto dei principi generali del diritto, in Riv. int. fil. dir., 1941, 41 ss; Falzea, I principi generali del diritto, in Riv. dir. civ., 1991, I, 455 ss, Modugno, Principi generali dell’ordinamento giuridico, in Enc. giur. Treccani, XXIV, 1991, Rescigno, Sui principi generali del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, 379 ss.
[3] Sul processo legislativo e sul linguaggio del legislatore si veda, volendo, il mio Il drafting legislativo e la riforma del codice civile, in www.questionegiustizia.it., 13 febbraio 2019.
[4] Nel testo proposto dalla Commissione speciale il capo sui principi era più ampio e constava di sette articoli, che il Governo ridusse a tre, come ricorda Chieppa, Il valore dei principi generali, in Chieppa, Santise, Simonetti, Tuccillo (a cura di), Il nuovo codice dei contratti pubblici, Piacenza, 2023.
[5] Chiti, Relazione al Convegno “Prime riflessioni sulle innovazioni del nuovo codice”, Roma, 17 marzo 2023.
[6] Napolitano, Committenza pubblica e principio del risultato, in www.astrid-online.it, 2023 e Cintioli, Il principio del risultato nel nuovo codice dei contratti pubblici, in <giustizia-amministrativa.it>, 2023. Favorevole è il giudizio anche di Perfetti, Sul nuovo codice dei contratti pubblici. In principio, in Urb. e app., 2023, 5 ss. Precursore di questa linea di pensiero è sembrato Cafagno, Committenza (servizi di), voce dell’Enciclopedia del diritto, I tematici, Funzioni amministrative, Milano, 2022, 2018 ss. Piuttosto critico, invece, Capotorto, I rischi di derive autoritarie nell’interpretazione del principio del risultato e l’indissolubilità del matrimonio tra buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, in Federalismi.it, 14 giugno 2023.
[7] Per queste definizioni e distinzioni si v. Renna, I principi, in Fantini, Simonetti (a cura di), Il nuovo corso dei contratti pubblici. Principi e regole in cerca di ordine, Piacenza, 2023, 2-28.
[8] Cfr. Carbone, La scommessa del codice dei contratti pubblici e il suo futuro, in <www.lavoripubblici.it>, 2023.
[9] Perongini, Il principio del risultato e il principio di concorrenza nello schema definitivo di codice dei contratti pubblici, bene evidenziando come la nozione di “risultato amministrativo” abbia natura relazionale e sia destinata a mutare con il modificarsi del termine di riferimento. Nel senso che i principi dei primi tre articoli del codice sarebbero già rinvenibili in quelli enunciati, magari con nomi diversi, dall’art. 1, comma 1, della legge sul procedimento amministrativo del 1990, Volpe, Il nuovo codice dei contratti pubblici: dall’emergenza del modello Genova a nuove procedure di ordinaria efficienza per la competitività sul mercato, in www.giustizia-amministrativa.it, 19 luglio 2023.
[10] Seguendo le distinzioni tra regole, principi e politiche tracciate da Dworkin, I diritti presi sul serio, Bologna, 1982, 90 ss.
[11] [11] Pubblicati nel volume di Immordino, Police (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati, Torino, 2004. Si veda inoltre Spasiano, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, 2003.
[12] Giannini, Diritto amministrativo, 3 ed., Milano, 1993. Ma anche Ledda, Dell’autorità e del consenso nel diritto dell’amministrazione pubblica, ora in Scritti giuridici, Padova, 2002, Marzuoli, principio di legalità e attività di diritto privato della P.A., Milano, 1982, Massera, Lo Stato che contratta e che si accorda, Pisa, 2011.
[13] Giannini e Ledda citati alla nota precedente.
[14] Cafagno, op. cit. e Cintioli, Per qualche gara in più. Il labirinto degli appalti pubblici e la ripresa economica, Soveria Mannelli, 2020.
[15] La concorrenza, nonostante la letteratura molto vasta al riguardo, rimane per il giurista un concetto sfuggente, anche per le sue molte implicazioni e declinazioni. Per i necessari approfondimenti v. Clarich, Considerazioni sui rapporti tra appalti pubblici e concorrenza nel diritto europeo e nazionale, in Dir. amm., 1, 2016, 71 ss, D’Alberti, Interesse pubblico e concorrenza nel codice dei contratti pubblici, ivi, 2, 2008, 297 ss; Libertini, Concorrenza, voce dell’Enc. dir., Annali, III, Milano, 2010, 191 ss; Ramajoli, Concorrenza (tutela della) in Enc. dir., Tematiche –Funzioni amministrative, Milano, 2022, 292 ss.
[16] In senso sostanzialmente convergente con queste riflessioni Chieppa, op. cit., laddove parla di risultato virtuoso anche grazie alla concorrenza, facendo salvi gli obblighi di imparzialità, e Saitta, I principi generali del nuovo codice dei contratti pubblici, in www.giustiziainsieme.it, 2023.
[18] Capotorto, I rischi di derive autoritarie nell’interpretazione del principio del risultato e l’indissolubilità del matrimonio tra buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, cit.
[19] Di possibile uso distorto e in un certo senso ritorsivo dei principi ha parlato di recente Renna, op. cit., 7.
[20] Per un accenno, alla luce del nuovo codice, v. M.A.Sandulli, Prime considerazioni sullo schema del nuovo codice dei contratti pubblici, in www.giustiziainsieme.it, 21 dicembre 2022 e Tulumello, Il diritto dei contratti pubblici tra regole di validità e regole di responsabilità: affidamento, buona fede, risultato, in www.giustizia-amministrativa.it, 7 giugno 2023. Sottolinea giustamente come le norme processuali contenute nel nuovo codice dei contratti devono ritenersi sottoposte ai principi che sono propri del c.p.a. Pesce, Le istanze di tutela nel nuovo codice dei contratti pubblici, tra principio dispositivo e interesse pubblico: prime riflessioni, in www.judicium.it, 14 luglio 2023.