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Responsabilità del revisore e manipolazione del dies ad quem. Il nuovo paradosso di Zenone
Di Andrea Jonathan Pagano -
Corte Costituzionale, 1° luglio 2024, n. 115 – Pres. Prosperetti – Red. Navarretta
Società – Società di capitali – Revisori – Azione di responsabilità – Prescrizione – Decorrenza
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 3, D.Lgs. n. 39 del 2010 per asserito contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. poiché, al fine di ricondurre la disposizione a una portata normativa in linea con il principio di ragionevolezza e con la tutela del danneggiato, è sufficiente circoscriverne l’ambito applicativo alla sola azione con cui la società conferente l’incarico agisca in giudizio per far valere il danno conseguente all’erronea o inesatta revisione.
Sommario: 1. La vicenda – 2. La ‘manipolata’ interpretazione dell’art. 15 D.Lgs. n. 39/2010 – 3. Nuovi regimi prescrizionali e (cor)responsabilità degli organi sociali – 4. Le derive concorsuali – 5. La prospettata modifica dell’art. 2407. Prove di armonizzazione – 6. Conclusioni e critiche
1. La vicenda
La lite trae origine dall’azione di responsabilità instaurata presso il Tribunale di Milano e promossa dal fallimento di una società di capitali nei confronti, tra gli altri, dell’ex revisore.
Il Tribunale di prime cure pronunciava sentenza ex art. 279, co. 2, n.5, c.p.c., disponendo la separazione del procedimento in ordine al solo revisore e sollevando incidentalmente, all’uopo, l’eccezione di incostituzionalità che ha causato la pronuncia in commento.
In particolare, l’eccezione del Tribunale meneghino era tesa ad evidenziare la discrasia di trattamento, asseritamente oltremodo di favore, per i revisori allorché il termine di cui all’art. 15, co. 3 D.Lgs. n. 39/2010, sia da intendere in guisa ‘statica’, impedendo de facto e de iure l’esercizio dell’azione, nel caso di specie, al curatore della procedura fallimentare, subentrato nella legittimazione attiva allo spirare del quinquennio (a)dinamico decorrente dalla consegna della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio.
La Consulta dichiarava non fondata la questione.
2. La ‘manipolata’ interpretazione dell’art. 15 D.Lgs. n. 39/2010
In assoluto contrasto con le raccomandazioni unionali delineati dalla Commissione Europea[1], la norma introdotta con il D.Lgs 39/2010 non solo ebbe ad imporre ai revisori (e società di revisione) la sottoscrizione di idonea garanzia prestata da un soggetto ex art. 107 t.u.b., ovvero di adeguata polizza assicurativa ma, ai sensi del 1° co., delinea un regime di responsabilità solidale ed illimitata tra i summenzionati soggetti e l’organo amministrativo nei confronti della persona giuridica de qua, nonché dei di questi soci e terzi contraenti. Forse, in guisa anche pleonastica, si introduce una sibillina possibilità di gradazione della responsabilità, ai soli fini interni – quasi fosse un patto sociale ex art. 2291, 2° co. c.c..
La prescrizione inerisce ex se ad un inadempimento[2] da parte del soggetto interessato ai propri doveri nell’esecuzione del mandato professionale[3]de quo.
Pur (colpevolmente) non menzionando mai la accezione di una esecuzione con diligenza, non v’è dubbio alcuno che, per la qualità dell’incarico e la natura dello stesso, il revisore sia tenuto ad operare addirittura con la prescrizione specifica di cui all’art. 1176, co. 2 c.c. secondo cui “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
La responsabilità delineata dal primo dei tre commi dell’art. 15 Dlgs. 39/2010 afferisce ad un profilo di solidarietà tra revisori ed amministratori della società[4].
Ed il profilo di solidarietà non si limita nei confronti, rectius in favore, della sola società, estendendosi, invero – pur con talune differenze – ai soci ed ai terzi.
La triplice declinazione di cui sopra conduce ad una discrasia sul piano dell’inquadramento sistematico della sottesa natura della responsabilità de qua.
Prima facie, non pare vi sia eccezione o riserva alcuna nella attribuzione della natura contrattuale alla responsabilità del revisore nei confronti della società mandante, attesi il negozio giuridico sotteso e la identità di rapporto diretto.
Di converso, nei confronti dei terzi, ivi comprendendo, tanto i creditori quanto meri contraenti e, finanche i soci della medesima società, sussiste, giusta assenza di qualsivoglia negozio giuridico tra i soggetti de quibus ed il revisore, una di questi responsabilità squisitamente aquiliana[5]. Ancorché non abbia luogo alcun rapporto diretto tra il revisore ed altro soggetto diverso dalla società revisionata, la attività professionale è, parimenti, idonea, ad incidere sull’affidamento dei terzi, allorché l’esito della revisione[6] contabile non consenta di analizzare in guisa veritiera[7] il bilancio della persona giuridica.
Nel prosieguo, la norma censurata e di precipuo interesse si compone di due ulteriori e distinti (ed, in taluni aspetti oscuri) commi.
Il secondo comma statuisce che il soggetto che materialmente abbia posto in essere, collaborando, la attività di revisione contabile in qualità di responsabile dell’incarico ovvero mero dipendente risponda in solido con la società di revisione legale “nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati”. La disposizione lascia particolarmente interdetti perché, ictu oculi, si comprende come dai soggetti legittimati ad esperire l’azione de qua siano apoditticamente (stati) esclusi i soci ed i terzi ‘neutri’, nell’accezione in cui questi non abbiano ancora subito un danno effettivo dall’inadempimento professionale[8]. Dovendo dare credito all’adagio – e non potendo pensare che si tratti di una gravissima dimenticanza del legislatore – ubi voluit dixit ubi noluit tacuit, taluni, nel tentativo di cercare una qualche giustificazione, si sono spesi asserendo che i soci siano già titolari della azione di cui al primo comma, talché, estendendo, eventualmente, la pretesa anche agli amministratori, sarebbero, in qualche guisa adeguatamente tutelati[9].
Alla luce di quanto suesposto, sembra pacifico ricondurre la sola natura di cui ai primi due commi della prescrizione a distinte fattispecie, ora contrattuali ora aquiliane.
Ma la pronuncia della Consulta ‘manipola’ il contenuto della norma, operando una inopinata distinzione tra la generica responsabilità[10] del revisore e quella dell’organo amministrativo.
Se non v’è dubbio che le attività precipue dei soggetti in questione siano – e non potrebbe essere diversamente – distinte ed eterogenee, la Consulta prende le mosse da questo lapalissiano assunto per delineare diverse tutele e – come infra meglio delineato – diversi regimi prescrizionali.
Non si comprende come due soggetti che, alla lettera della legge, sono considerati, per il medesimo inadempimento, dell’uno e dell’altro, responsabili in solido, la Consulta operi una distinzione sostanziale (e processuale) sulla tutela effettiva – non già ai soggetti di cui al secondo comma, fondata sulla natura aquiliana – in capo, ex multis, alla società nei confronti del revisore e dell’amministratore, il cui rapporto si fonda, in entrambi i casi, su un negozio giuridico.
La legge equipara sul piano della responsabilità e sulla di questi natura tanto gli amministratori quanto i revisori ma questi ultimi, secondo la Corte Costituzionale, sono ‘più uguali’ e ciò si riverbera, inevitabilmente, sulla più complessa questione prescrizionale.
3.Nuovi regimi prescrizionali e (cor)responsabilità degli organi sociali
Il vero ‘nodo Gordiano’ che affatto la Consulta scioglie – anzi – concerne l’aspetto squisitamente processuale afferente al regime prescrizione, rectius la individuazione del dies a quo cui far decorrere il termine quinquennale[11] di cui all’art. 15, co. 3, D.lgs. 39/2010.[12]
Onde analizzare – prima – e interpretare – poi – il contenuto della summenzionata norma, pare opportuno comprendere la motivazione per cui il Tribunale meneghino sia stato indotto a rimettere alla Corte Costituzionale la questione de qua.
Il Tribunale, parzialmente aderendo alla tesi dell’attore – teso, quest’ultimo a dimostrare la responsabilità[13] di alcuni ex soggetti apicali della società insolvente – una volta verificata ictu oculi il già spirato termine prescrizionale nei confronti del revisore, adombrava la possibilità di modulare il dies a quo secondo una elementare tutela quale la effettiva conoscibilità del danno prodotto[14].
Difatti, il ricorrente – curatore della società decotta – instaurava l’azione (anche) nei confronti del revisore circa cinque mesi dopo lo spirare del quinquennio decorrente (asseritamente) dalla consegna della relazione di revisione del bilancio, talchè tentava di far valere le proprie ragioni eccependo il criterio della sostanziale possibilità di adire la Corte in tempo utile atteso che – come nel caso di specie – la criticità circa la relazione de qua era stata individuata dal medesimo curatore, una volta nominato, e non già dal precedente assetto amministrativo/societario.
Ma su questo aspetto si tornerà più avanti.
Ponendo, invece, ora l’attenzione sull’analisi del testo normativo, ben si comprende come il termine di decorrenza individuato “dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento” sia ex se infelice e non di facile coordinamento con le fisiologiche derive patologiche che possono sempre occorrere nell’alveo delle dinamiche societarie.
Un quantomeno (quasi) letterale temperamento da quello che sembra essere un termine – come peraltro ribadisce, in guisa infausta, la Consulta – uno, unico ed immodificabile, è dato dalla circostanza per cui la data in oggetto non possa essere quella coincidente con la traditio brevi manu della relazione all’organo amministrativo, bensì con il deposito della stessa ex art. 2429 c.c. nella sede della società nei quindici giorni precedenti la data in cui l’assemblea è chiamata ad approvare il bilancio, sì da renderne almeno conoscibile pro omnibus il contenuto, atteso che, in ogni caso, la consegna debba essere eseguita sì che (anche) i soci ne possano prendere visione[15].
Ciò che, ex multis, la Consulta omette di prendere in considerazione è il fatto che i soggetti legittimati ad agire nei confronti del revisore – società, soci e terzi – non solo possano avere una gradata professionalità l’un con l’altro ma che, almeno per coloro che sono estranei alla persona giuridica, possa non essere agevole (ovvero, proprio impossibile) verificare le risultanze della revisione, ponendo la mente, tra le altre, alla circostanza, non così remota, che il terzo ‘entri in contatto’ con la società de qua molto tempo dopo rispetto al deposito della relazione e, parimenti, troppo a ridosso del dies ad quem statuito dalla legge.
Ed, egualmente, non appare così remota la fattispecie per cui gli atti omissivi o commissivi del revisore si riverberino nel tempo, incidendo, rectius inficiando sulla asserita garanzia patrimoniale ivi delineata cui il terzo possa avervi fatto legittimamente affidamento[16].
Le criticità che emergono dalla pronuncia della Corte Costituzionale sono molteplici ma, ictu oculi, non si può tacere sulla assenza di bilanciamento degli interessi tutelandi, sicchè senza effettivamente fornire una qualche distinzione tra i soggetti legittimati attivi, ne emerge un (triste) quadro prescrizionale fermo ed immutabile al quinquennio decorrente dal deposito della relazione di revisione[17].
Senza alcuna distinzione tra soci, ex soci, terzi, creditori e società.
Quare?
Una tale distonia si comprende ancor meno laddove si ponga la mente al dato letterale della norma nella sezione in cui la stessa pur assimilando, da un punto di vista di (cor)responsabilità (solidale) tanto i revisori[18] quanto gli amministratori per il medesimo oggetto, assoggetti questi ultimi ad un diverso termine prescrizionale ex artt. 2393 et seq. c.c. articolato (e meglio modulato) secondo diverse ed eterogenee cause ed esigenze.
4. Le derive concorsuali
Uno dei profili più critici della pronuncia analizzata concerne gli esiti che ne discendono allorché – come, peraltro, nel caso di specie – la società sia assoggettata alla procedura di liquidazione giudiziale (ex fallimento).
Pare doveroso ricordare che il Codice della Crisi (breviter c.c.i.i.) ex art. 255 c.c.i.i. abbia confluito, in una unica ed univoca norma, la totalità delle azioni[19] esperibili, in via esclusiva, dal curatore, delimitandone lo scope, talchè lo stesso – previa autorizzazione del giudice delegato ed in assenza di un qualche diritto di voice del comitato dei creditori – sia legittimato a promuovere o proseguire:
a) l’azione sociale di responsabilità;
b) l’azione dei creditori sociali prevista dall’articolo 2394 e dall’articolo 2476, sesto comma, del codice civile;
c) l’azione prevista dall’articolo 2476, ottavo comma, del codice civile;
d) l’azione prevista dall’articolo 2497, quarto comma, del codice civile;
e) tutte le altre azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge.
Pur con la abrogazione dell’art. 2409-sexies c.c.[20] – afferente alla precipua responsabilità dei revisori – non sembra vi siano dubbi che la disposizione dell’art. 15 d.lgs 39/2010 rientri appieno nelle summenzionate azioni[21]de residuo di cui alla lett. e), talchè sia ovvia ed implicita la piena legittimazione (anche) del curatore a promuovere la medesima.
Tanto premesso emerge una ulteriore criticità bypassata dalla Consulta e che, tanto teoricamente quanto nella pratica, rappresenta plasticamente l’ennesimo vulnus della pronuncia.
Ammettendo la correttezza formale del dictum della Corte sulla immodificabilità del termine ut supra delineato, dalla eventuale sopraggiunta occorrenza di una liquidazione giudiziale – ovvero della azione sottesa – oltre il quinquennio de quo ne deriva una negazione (quasi) in rito della legittimazione attiva del Curatore ad agire – ed il caso di cui alla pronuncia in commento ne è la rappresentazione plastica – nei confronti del revisore.
Attesa, dunque, la patologica lesione di un diritto volto a tutelare un soggetto portatore di interessi pubblici – quale la società assoggettata a liquidazione giudiziale – viene da domandarsi quali siano gli altri e diversi rimedi, if any, che il Curatore può esperire per le medesime doglianze che sarebbero state eccepite nei confronti del revisore.
Se nei riguardi del revisore, alle condizioni di cui sopra, non pare esservi soluzione ad una prescrizione, rectius termine prescrizionale, immutabile, forse, il Curatore potrebbe essere legittimato ad agire contro quei soggetti qualificati che avrebbero potuto/dovuto instaurare illo tempore l’azione de qua avverso il medesimo revisore. Così, il Curatore, non solo potrebbe cumulare gli addebiti nei confronti degli amministratori, ma anche (forse) agire contro i soci che sono rimasti colpevolmente inerti dinanzi agli atti omissivi e commissivi tanto dell’organo amministrativo quanto del revisore.
In questo modo il Curatore, utilizzando implicitamente la nomofilattica pronuncia della Consulta, potrebbe avere una diversa ed ulteriore ‘affilata arma’[22] da esperire giudizialmente nei confronti di quei soci che sono venuti meno al dovere di controllo e conservazione del patrimonio sociale.
5.La prospettata modifica dell’art. 2407 ed il correttivo del Codice. Prove di armonizzazione
La pronuncia in commento, così come l’intero impianto normativo entro cui la medesima si innesta, assume ancora maggiore rilievo laddove si ponga la mente alla prospettata modifica[23] – mediante d.d.l. – dell’art. 2407, co. 2 c.c. a mente del quale verrebbero fissati dei limiti alla responsabilità dei sindaci parametrati ad un quantum dei compensi annui tanto presenti quanto futuri[24].
Posto che, ictu oculi, la norma interessi la figura del revisore solo laddove questi sia un componente del collegio sindacale – proprio sulla scorta delle (scarne) considerazioni della Consulta sui profili di ragionevolezza dell’impianto normativo – sembra opportuno concordare con chi abbia avuto l’acume di notare che “la (proposta di) introdurre tetti economici massimi alla responsabilità risarcitoria risulterebbe circoscritta ai soli revisori-persone fisiche contemporaneamente componenti del collegio sindacale al quale sia attribuita anche la funzione di revisione legale della stessa società (c.d. internalizzazione del controllo contabile consentita dall’art. 2409-bis c.c.) [escludendo] dall’ambito di applicazione dell’art. 2407 c.c. tutte le società di revisione”[25].
Inoltre, anche allorché non sussista un collegio sindacale[26], il revisore (non sindaco) è, comunque, tenuto ad una affatto secondaria opera di vigilanza prognostica – che, seppur implicita, risulta parimenti dovuta e doverosa – a mente dell’art. 25-octies c.c.i.i., ut infra delineato, onde verificare l’equilibrio della società.
Stante il concitato momento in cui il presente contributo è redatto, non si può prescindere da una pur breve analisi del c.d. correttivo (impropriamente definito) ter che, giusta ‘bollinatura’ ricevuta dalla Ragioneria generale dello Stato il 15 luglio u.s., sembra che il viatico per la promulgazione del novello testo sia quasi al termine.
Come già accennato poc’anzi, il novellato, recte novellando art. 25-octies[27] intende estendere il dovere di segnalazione[28] all’organo amministrativo di uno stato di crisi o di insolvenza, ab initio posto in capo al solo sindaco (o collegio sindacale), altresì nei confronti del revisore, la cui condotta, omissiva o commissiva sarà oggetto di valutazione ai fini “dell’attenuazione o esclusione” della relativa responsabilità ai sensi dell’art. 2407 c.c. e dell’art. 15, D.Lgs. n. 39/2010.
6. Conclusioni e critiche
La pronuncia in commento si atteggia quale arresto di primaria importanza e la particolare natura della stessa come additiva.
I rilievi che ne derivano sono molteplici e l’iter – tanto del correttivo del Codice quanto dell’art. 2407 c.c. – rendono ancor più critica la connotazione della responsabilità del revisore.
Una riflessione conclusiva, forse, verte sui plurimi interventi – ora legislativi ora giurisprudenziali – che, nel tempo, si sono atteggiati in netto contrasto l’un con l’altro, creando, oltre che una generale distonia interpretativa anche una disarmonia contenutistica dell’istituto.
Così, come il paradosso di Zenone su Achille e la Tartaruga.
In principio fu l’art. 2409-sexies c.c.
Poi, venne l’art. 15 D.lgs. 39/2010 e la conseguente abrogazione della norma civilistica.
In seguito, il Codice della crisi.
Ancora, la prospettata modifica dell’art. 2407 c.c.
Ed, infine, il correttivo del Codice.
Il tutto male armonizzato e sintetizzato da una quanto mai infausta e salomonica pronuncia della Consulta.
Il miraggio della tartaruga-revisore rimane tale ed il divario con la Dike, pur assottigliatosi, resta ancora ampio, colmo di discutibili ‘tetti’ di responsabilità ed immodificabili – finanche per gli organi concorsuali (sic!) – termini prescrizionali.
“Tutti [i professionisti] sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.
[1] Racc. Comm. 2008/473/CE «Limitazione della responsabilità civile dei revisori legali dei conti e delle imprese di revisione contabile», in G.U.U.E., 21.6.2008, L 162, 39
[2] Trib. Milano, 27 settembre 2021, in Società, 2022, 173 ss., con nota di G. Racugno, Revisore legale dei conti. L’inadempimento, il danno, il nesso di causalità
[3] La responsabilità è distribuita su tre livelli di fonti. Innanzitutto, ci sono le disposizioni di legge, in particolare l’art. 14 del d.lgs. n. 39/2010. In secondo luogo, i revisori devono rispettare i regolamenti emanati dalla Consob, con la revisione regolata dettagliatamente negli artt. 145-152 del regolamento emittenti. Anche la violazione delle disposizioni di questo regolamento può comportare responsabilità. Infine, l’attività dei revisori deve conformarsi alle normative comunitarie: come stabilito espressamente dall’art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 39/2010, devono essere osservati i principi di revisione adottati dalla Commissione europea.
[4] M. Spiotta, La responsabilità civile del revisore legale in base all’art. 15 del d.lgs. 39/2010, in Giur. comm., 2012, I, 693 ss.; Id., Responsabilità della società di revisione e della Consob: profili sostanziali e legittimazione processuale, ivi, 2020, II, 415 ss.
[5] La responsabilità verso i soci e i terzi, compresi i creditori sociali, è generalmente considerata di natura extracontrattuale. Per i terzi, questa responsabilità si concretizza in una lesione della loro libertà contrattuale, poiché il revisore può aver contribuito a impedire loro di fare investimenti, finanziamenti o di entrare in rapporti con la società o con terzi a condizioni diverse. Per quanto riguarda i soci, la responsabilità consiste in una lesione del valore della loro partecipazione. Come ricorda Alpa, Deterrence e responsabilità: il caso delle società di revisione, in Resp. civ. prev., 2007, 2249 ss., che, in aggiunta alla mera lesione della libertà contrattuale, “si potrebbe anche pensare alla lesione del patrimonio: la partecipazione in una società che ha un bilancio non esattamente revisionato, oppure in servizi finanziari che provengono da un’emittente di cui la società di revisione ha assicurato la correttezza del bilancio, ha certamente un valore inferiore rispetto a quello considerato al momento dell’investimento”. Sul punto, Trib. Milano, 12 gennaio 2023, in One Legale, statuisce che “il soggetto che si ritiene danneggiato dalla condotta inadempiente del revisore – e agisca nei suoi confronti ai sensi degli artt. 2395 c.c. e 15, comma 1, d.lgs. n. 39/2010, per inadempimento ai doveri di revisione legale dei conti ex art. 14 d.lgs. n. 39/2010 – deve allegare di essersi determinato a non effettuare il disinvestimento, indotto dalla relazione del revisore che ha espresso parere favorevole di bilanci non veritieri e da altre informazioni fuorvianti veicolate prima della decisione di non smobilitare il proprio pacchetto azionario; la vittima è tenuta a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno ed, infine, l’esistenza del danno. Il riferimento all’incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato, quale tratto distintivo della responsabilità ex art 2395 c.c., importa un esame rigoroso del nesso di causale, secondo un principio di causalità ancorato al criterio del ‘più probabile che non’. Chi si duole dei dati contabili e di bilancio, in quanto confortati dal revisore, è tenuto ad allegare e poi a dimostrare anche l’idoneità dei medesimi a trarre in inganno la sua fiducia”. Recentemente, la medesima Corte, Trib. Milano, 18 maggio 2023, in One Legale, si è espresso sulla natura extracontrattuale della responsabilità del revisore verso soci e terzi, asserendo che “l’attività di revisione […] realizza l’interesse pubblico della protezione dei mercati e come tale comporta, verso i singoli risparmiatori ed investitori, una responsabilità di natura extracontrattuale ex artt. 2043 e 2409-sexies c.c., essendo ricompresa nell’alveo della responsabilità da non corretta informazione sull’andamento dei mercati e rispondendo ad una necessità di controllo e tutela dell’ordinata conduzione del mercato”.
Pare opportuno, comunque, ricordare chi, contra, abbia sostenuto la natura della responsabilità contrattuale del revisore verso i terzi. Si veda, in dottrina, ex multis, Castronovo, La nuova responsabilità civile, Milano, 1997, 187 ss., ed, in giurisprudenza, Cass. 26 giugno 2007, n. 14712, in Giur. it., 2008, 857 ss., con nota di Buffoni, Cronaca di una morte annunciata (ma che stenta a sopraggiungere): le strane sorti dell’obbligazione senza prestazione.
[6] Cass. 18 luglio 2002, n. 10403, in Giur. comm., 2003, II, 441 ss., con nota di Di Marcello, La responsabilità delle società di revisione nei confronti dei terzi tra violazione di obblighi e lesione di interessi protetti, ha peraltro, paventato la sussistenza di una responsabilità extracontrattuale anche nel caso di revisione volontaria.
[7] Facci, Il danno da informazione inesatta nell’attività di revisione contabile, in Resp. civ. prev., 2007, 2023 ss.
[8] Amatucci, La limitazione della responsabilità del revisore legale e la scadente tecnica legislativa italiana, in Giur. comm., 2012, I, 864 ss
[9] Ciervo, La responsabilità civile del revisore legale alla luce del d.lgs. 39/2010, in Nuovo Diritto delle Società, 2010, 83 ss.
[10] Presti, La responsabilità civile del revisore legale dei conti, in Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di società di capitali, a cura di De Poli e Romagnoli, Pisa, 2024, 161 ss.
[11] Pare opportuno sottolineare come già il termine di cinque anni costituisca ex se un favor per il revisore in luogo del termine ordinario decennale ex art. 2946 c.c. Sul tema Cfr. Bussoletti, Bilancio e revisione contabile: sette anni di disciplina all’ombra degli IAS e delle direttive comunitarie, in Riv. Società, 2011, 1171; Giudici, La responsabilità civile del revisore legale, in Società, 2010, 33 ss.; Id., La revisione legale, in Corporate governance e sistema dei controlli nella s.p.a., a cura di Tombari, Torino, 2013, 135 ss.
[12] Non a caso, Spiotta, Responsabilità del revisore: le scale mobili soggettive del dies ad quem, in corso di pubblicazione, in Società, 2024, nell’unico (e brillante) commento della pronuncia in oggetto, dattiloscritto letto per cortesia dell’A., alla data in cui il presente contributo è redatto, individua plasticamente il problema e l’ossimoro temporale definendoli delle ‘scale mobili’.
[13] Delle Donne, Responsabilità patrimoniale e concorso dei creditori nell’attuazione delle cautele di condanna pecuniaria, in Riv. Dir. Proc., 2013, 370 ss.
[14] Erano già stati avanzati dei dubbi, in dottrina, circa la dubbia conformità del menzionato art. 15 Cost., auspicando un intervento chiarificatore della Consulta. Sul punto, si veda, Bussoletti, op. cit. 1116. In giurisprudenza, invece Trib. Palermo, 8 gennaio 2021, in Giustizia Civile, 2021, 262 ss., con nota di Sorci, Natura e dies a quo del termine quinquennale per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, che, per analoga questione rispetto alla pronuncia di rimessione, decise di non investire la Consulta, creando de facto un nuovo principio, oggi in guisa nefasta, recepito dalla Corte Costituzionale.
[15] Strampelli, L’informazione di e per il bilancio (relazioni) e la revisione contabile, in Testo Unico finanziario, diretto da Cera e Presti, Torino, 2020, 1596 ss
[16] Bocchini, La revisione legale dei conti, in Diritto della contabilità dell’impresa. Vol. 2: Bilancio d’esercizio, Milano, 2021, 617 ss.;
[17] Sudiero, Responsabilità del sindaco senza (con)fine: rischio di “un’attività di controllo difensiva”?, in Banca, impresa, società, 2020, 289 ss.
[18] Buta, I revisori legali dei conti: funzioni e responsabilità, in Trattato delle società, diretto da Donativi, II, Torino, 2022, 2309 ss
[19] Spiotta, Le “azioni di massa” dopo il d.lgs. n. 83/2022: un aggiornamento del catalogo o un ripensamento del significato del sintagma?, in Judicium, 2023, 317 ss.
[20] Fortunato, Fallimento del mercato e revisione contabile, in AA.VV., Il nuovo diritto delle società. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, tomo 3, Torino, 2007.
[21] Salerno, L’abusiva erogazione di credito alle imprese in crisi e i problemi di impiego delle azioni di massa per il risarcimento del danno ai creditori, in Rivista di Diritto Bancario, 2024, 444 ss.
[22] Il riferimento è a Spiotta, Il Curatore “affina le armi”, in Giur. comm., 2017, I, 448 ss.
[23] Con le modifiche apportate all’art. 25-octies c.c.i.i. il Legislatore ha fornito ai sindaci e revisori indicazioni più specifiche circa la tempestività della segnalazione.
[24] Sui possibili sviluppi della nuova norma, allorché i sindaci non siano stati remunerati avendo il curatore opposto l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c., si veda, per tutti, Spiotta, Sulla“certezza del compenso”dei sindaci: vigilantibus non dormientibus iura (et pecuniae) succurrunt, in Società, 2024, 551 ss.
[26] Caprara, Il collegio sindacale nella nuova disciplina della revisione legale, in Contratto e Impresa, 2013, 543 ss.
[27] Sembra opportuno segnalare che il Consiglio di Stato, Parere n. 991/2024 del 1 agosto 2024, non abbia accolto del tutto positivamente la prospettata modifica, in quanto, a mente dello stesso “non viene menzionata in questa sede anche la conoscenza dello stato di insolvenza, che al comma 1 è equiparata allo stato di crisi come presupposto dell’obbligo di segnalazione. Non si comprende, al riguardo, se l’intento dell’Amministrazione sia quello di premiare, con una attenuazione o esclusione di responsabilità l’organo di controllo o il revisore legale che segnala in anticipo “solo” lo stato di crisi, svolgendo una diagnosi precoce della difficoltà dell’impresa. Se così non fosse non appare di immediata evidenza la ragione per cui non venga menzionata in questa sede anche la conoscenza dello stato di insolvenza”.
[28] Inzitari, Crisi, insolvenza, insolvenza prospettica, allerta: nuovi confini della diligenza del debitore, obblighi di segnalazione e sistema sanzionatorio nel quadro delle misure di prevenzione e risoluzione, in La crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021. Liber Amicorum per Alberto Jorio, a cura di Ambrosini, Bologna, 2021, 79 ss.