Riflessioni e spunti sulla domanda trasversale  

Di Roberto Razzini -

Sommario: 1. Introduzione – 2. Ammissibilità della domanda trasversale – 3. La qualificazione della domanda trasversale – 4. La trasversale come riconvenzionale? – 5. La tesi della Cassazione – atto I – 6. La tesi della Cassazione – atto II – 3. 7. Conclusioni e Riforma Cartabia

 Introduzione. La posizione del convenuto è quella di colui che si vede chiamato in causa dall’attore per rispondere alla domanda che quest’ultimo ha posto nei suoi confronti, eventualmente insieme ad altri co-convenuti. Sebbene questa appaia essere, nell’archetipo del processo, una situazione in cui il chiamato si debba solo difendere e, quindi, resistere alle pretese altrui, non è vietato al convenuto “contrattaccare”, ossia proporre a sua volta (cioè dopo l’attore) una domanda nell’ambito del medesimo giudizio.

In base al destinatario di questa scelta processuale, si possono prevedere (o classificare) differenti tipologie di domande del convenuto, sebbene tutte siano spesso ricondotte al genus della riconvenzionale. Tra queste, è opportuno soffermarsi su quella proposta dal convenuto contro un altro convenuto, solitamente denominata trasversale[1].

Come si vedrà, questa particolare fattispecie processuale non è esplicitamente codificata, tale per cui si è reso necessario agli interpreti interrogarsi sui suoi elementi distintivi e sulla relativa disciplina.

In particolare, Giurisprudenza e Dottrina hanno assunto nel tempo posizioni variegate, poiché riempire questo vuoto normativo impone uno sforzo interpretativo volto a conciliare il diritto di difesa delle varie parti coinvolte con la rigida scansione dettata dal Codice di rito. Le differenti soluzioni adottate sono state proprio di recente rispolverate con due pronunce della Corte di Cassazione che, a distanza di meno di un anno l’una dall’altra, hanno espresso due principi diametralmente opposti, in tal modo ingenerandosi nel convenuto (e nel suo malcapitato avvocato) ancora maggiori dubbi circa le corrette modalità per la proposizione della domanda trasversale.

In tale quadro, si inserisce poi la recente novella del codice di procedura civile. La c.d. Riforma Cartabia non ha apertamente preso posizione sul tema, non essendo stata infatti introdotta alcuna norma ad hoc volta a regolamentare la materia, ma potrebbe aver comunque fornito nuovi spunti interpretativi che, se si stabilizzassero nel tempo, potrebbero permettere di porre fine alla riferita discussione.

2.Ammissibilità della domanda trasversale. Partendo dalla considerazione per cui il codice di rito non prevede espressamente una disciplina relativa alla domanda proposta da un convenuto contro un altro, occorre anzitutto domandarsi se essa possa essere ritenuta ammissibile. Il silenzio della legge, invero, potrebbe indurre a ritenere che tale possibilità, proprio perché non prevista, sia da escludersi.

Tale tesi, sostenuta in passato[2], è però ormai superata. In maniera dirimente, si è osservato che le norme di rito, da un lato, regolano l’ipotesi in cui il convenuto estenda il giudizio nei confronti di un terzo, chiamandolo in causa, e proponendo nei suoi confronti una distinta domanda, e, dall’altro, prevedono che l’interveniente possa proporre domande contro qualunque soggetto che è già parte del giudizio, e quindi anche contro un convenuto. Pertanto, si ritiene che, per analogia e onde evitare illogicità, non si può impedire al convenuto di proporre una domanda con confronti di un’altra parte[3]. Se infatti al convenuto è data la possibilità ex art. 106 cpc di chiamare nel processo un terzo, non vi sono ragioni ostative perché il medesimo convenuto formuli una domanda nei confronti di chi nel processo c’è già. Inoltre, se l’interveniente ex art. 105 cpc può proporre domande contro alcune o tutte le parti di un giudizio già pendente, pari facoltà deve essere riconosciuta anche a chi è già parte del giudizio. Ciò anche considerando che la posizione processuale del convenuto non è frutto di una sua scelta volontaria, poiché egli è chiamato ad essere parte in causa per scelta dell’attore; pertanto, da tale situazione non dovrebbero derivare limitazioni al suo diritto di difesa, anche nella sua accezione più attiva[4].

È dunque ormai pacifica l’ammissibilità della domanda, che è comunemente denominata trasversale (o talvolta orizzontale)[5].

Tanto la Dottrina che la Giurisprudenza in tema, poi, sono solite aggettivizzare ulteriormente la domanda come riconvenzionale trasversale. Si ritiene però che, così facendo, si proceda ad una qualificazione anticipata della fattispecie giuridica prima di analizzarne i caratteri suoi propri; è forse quindi opportuno analizzare nel dettaglio gli elementi e poi, se del caso, qualificarla o meno come riconvenzionale, poiché tale qualificazione importa necessariamente l’applicabilità della relativa normativa. Per tale motivo, sino alle conclusioni del presente ragionamento si discuterà solo di domanda trasversale, essendo questi i suoi caratteri intrinseci e incontestabili: è una domanda, in quanto è una richiesta avanzata al Giudice[6], ed è trasversale, nel senso più immediato rispetto alla normale dialettica processuale, perché pone in rilievo il rapporto convenuto-convenuto (o coevocato), a differenza del tradizionale attore-convenuto.

3.La qualificazione della domanda trasversale. Volendo quindi ora procedere con una possibile qualificazione giuridica, è bene ricordare che il convenuto, a fonte della citazione in giudizio, ha di fronte a sé un ventaglio di possibilità difensive[7], che, in termini di incisività, spaziano dalla decisione di rimanere estraneo al processo, che dunque si svolgerà nella sua contumacia, all’approntare delle mere difese, contestando la pretesa altrui nella sua fondatezza[8], alla proposizione di eccezioni processuali o di merito, distinguibili tra quelle rilevabili d’ufficio e quelle rilevabili solo dalla parte[9], volte a rilevare circostanze o fatti impeditivi, modificativi o estintivi, o, da ultimo, alla possibilità di proporre una domanda riconvenzionale[10].

Su questa ultima possibilità, la Dottrina è pressoché pacifica nel considerarla un genus che ricomprendere qualsiasi domanda nuova proposta nel corso del giudizio[11].

Questo primo assunto potrebbe suggerire che la soluzione sia più facile di quanto appaia, poiché se la domanda trasversale, in quanto domanda nuova proposta nel corso di un giudizio, deve essere qualificata come riconvenzionale, allora non potrà che seguirne la disciplina.

L’esito, però, non è così scontato.

Dapprima, è bene infatti notare come la riconvenzione sia storicamente sorta come domanda del convenuto contro l’attore[12], e anche l’etimologia della parola stessa, con il prefisso “ri”, denota una reazione o una risposta ad uno stimolo precedente. Già solo questi elementi, sebbene non dirimenti, paiono denotare una deviazione dall’archetipo.

Si noti poi che in tema di riconvenzionale, la norma codicistica principale è quella contenuta nell’art. 36 cpc, che, sebbene rubricato “cause riconvenzionali”, disciplina poi la domanda riconvenzionale, cui si aggiungo l’art. 167 cpc, allorquando si prescrive che il convenuto, a pena di decadenza, deve avanzare nella comparsa tempestivamente depositata le proprie domande riconvenzionali, e l’art. 292 cpc, che impone la notifica al contumace delle comparse contenenti domande riconvenzionali; inoltre, gli art. 183, comma 5 (ante riforma) e 418, comma 3 prevedono le modalità di replica a tale domanda, sempre però in capo all’attore. Da una prima analisi, pare infatti che il soggetto destinatario di una domanda introdotta dal convenuto possa essere o un terzo (ex art. 106 cpc), o l’attore, sicché nonostante la ferma posizione della dottrina, manca un appiglio normativo a sostegno della qualificazione della trasversale come riconvenzionale.[13]

Come detto, il punto non è solo lessicale o formale. Da esso dipendono poi anche tutte le connesse considerazioni in tema di requisiti e formalità per la relativa proposizione[14].

Bisogna quindi prendere le mosse dalla norma cardine in materia, ovvero il citato art. 36 cpc. Esso contiene però una disposizione che pare essere unicamente deputata a regolare la competenza nell’ipotesi di cause riconvenzionali, ovverosia detta la disciplina da applicarsi quando la causa riconvenzionale non appartiene alla competenza del giudice adito[15]. Come si è correttamente rilevato[16], tale norma non regola in via generale la domanda riconvenzionale, bensì ha ad oggetto quelle “che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione”, nella particolare ipotesi di influenza sulla competenza.

La sua interpretazione, tuttavia, ha visto generarsi in dottrina due differenti filoni, dividendosi gli studiosi tra chi l’ha intesa come disposizione di carattere generale, la quale, pur nell’ambito di una infelice costruzione semantica, detta i caratteri e i limiti della domanda riconvenzionale[17], e chi invece la considera, in maniera più stringente e letterale, come norma data unicamente per regolare la competenza in caso di cause connesse, sicché nei limiti della competenza per territorio, valore e materia, il convenuto potrebbe far valere qualunque domanda[18].

La giurisprudenza, a sua volta, interpreta la disposizione in commento come regolatrice unicamente della competenza, ma, al fine ritenere proponibile la domanda riconvenzionale, è richiesto che “fra le contrapposte pretese sia ravvisabile un collegamento obiettivo, tale da rendere consigliabile ed opportuna la celebrazione del simultaneus processus, a fini di economia processuale ed in applicazione del principio del giusto processo di cui all’art. 111, 1° co., Cost”[19].

A fronte di tale quadro, occorre quindi interrogarsi circa la possibilità o meno di ricondurre la domanda trasversale alla categoria giuridica della riconvenzionale, benché la stessa appaia dai contorni fumosi, e, in caso di risposta negativa, chiedersi quale possa essere quindi la sua disciplina.

4.La trasversale come riconvenzionale? Come anticipato, la posizione maggioritaria della dottrina è per l’ampliamento del concetto di riconvenzionale, tale da renderla un genus in cui sono ricomprese tutte quelle domande proposte da chi è parte di un processo, essendo ininfluente il destinatario (attore, co-convenuto, terzo)[20].

Sommessamente, si ritiene eccessiva tale estensione della categoria giuridica, soprattutto in considerazione del fatto che imporre tale denominazione non può che comportare, come sora detto, la necessaria applicabilità della disciplina della riconvenzionale a tutte tali domande.

Analizzando le due domande esplicitamente codificate, ossia la riconvenzionale “tradizionale”, quale quella proposta dal convenuto contro l’attore, e la chiamata di terzo, si nota che esse hanno caratteri e normative differenti: quanto previsto dall’art. 106 cpc non trova applicazione con confronti della riconvenzionale classica, cui invece si applica l’art. 36 cpc. Già da questi elementi si denota la non omogeneità della categoria dogmatica, e pare quindi essere un vano tentativo quello di assimilare nella stessa anche la domanda trasversale, che nemmeno ha una normativa sua propria. Diversamente, si rischia di connotare la categoria della domanda riconvenzionale come un unico e ampio contenitore in cui riversare ogni fattispecie diversa dalla domanda principale (come fossero domande incidentali, sulla falsariga del rapporto appello principale-incidentale), ma si ritiene che in tal modo si perdano i benefici di una qualificazione, vista l’eterogeneità dei casi ricompresi.

Tenendo a mente anche l’evoluzione storica citata che ha condotto alla configurazione della domanda riconvenzionale, è forse da preferire quella tesi[21] per cui la riconvenzionale (in senso proprio) è quella proposta da una parte contro colui che ha già avanzato nei suoi confronti una domanda, così da ricomprendere tanto la domanda del convenuto contro l’attore, che quella dell’attore contro il convenuto in riconvenzionale (c.d. reconventio reconventionis). A detta categoria si affianca poi quella delle domande formulabili dal convenuto verso terzi, estranei al processo, che, forte della sua autonomia concettuale, giustifica la disciplina dettata volta a regolarne presupposti e formalità.

Diretto precipitato di questa impostazione è che la domanda trasversale risulta essere un concetto a sé stante, non immediatamente codificato, né assimilabile direttamente in altre categorie.

Questo primo punto non è però, all’evidenza, risolutivo del problema interpretativo.

È bene quindi ora analizzare le recenti decisioni della Suprema Corte, poiché le motivazioni portate offrono lo spunto per ulteriori considerazioni e ragionamenti.

5. La tesi della Cassazione – atto I. In ordine cronologico, si fa dapprima riferimento all’ordinanza n. 12662 del 2021[22], con la quale la Corte di Cassazione ha affrontato apertamente la spinosa questione sottopostole, ossia il regime processuale entro cui classificare e intendere la domanda trasversale. La pronuncia affronta il tema con un approccio anche storico, mettendo in luce le opinioni esistenti prima della riforma del processo del 1990, che ritenevano ammissibile la domanda trasversale e non la sottoponeva a particolari crismi. La Corte riconosce che le modifiche apportate dalla L. 353 del 1990 hanno imposto di verificare la perdurante validità di tale posizione alla luce del nuovo assetto del processo, con regole più rigorose e stringenti. L’ordinanza dà quindi atto dell’esistenza di un filone interpretativo per cui la domanda trasversale debba essere assimilata alla chiamata di terzo, sicché il convenuto, tra le altre cose, sarebbe onerato di chiedere il differimento della prima udienza e notificare al coevocato la domanda trasversale. Si riconosce poi l’esistenza dell’opposta opinione per cui, anche per economia dei giudizi e concentrazione processuale, la domanda trasversale debba invece essere assimilata alla domanda riconvenzionale (in senso proprio, sarebbe meglio dire), sicché verrebbero meno le esigenze di differire l’udienza e notificare. In particolare, tale ultimo orientamento ritiene superfluo il meccanismo di cui all’art. 269 cpc in quanto il coevocato è già parte del giudizio.

È da apprezzare lo sforzo ermeneutico per inquadrare la fattispecie, che oltre a dare atto delle varie interpretazioni possibili, non aggettivizza la domanda trasversale immediatamente come riconvenzionale. Ciò è però dettato forse dal fatto che l’ordinanza intende proprio assimilarla alla chiamata di terzo. L’ordinanza, infatti, pur riconoscendo l’esistenza di una opinione maggioritaria a favore della tesi da ultimo indicata, ritiene di aderire all’orientamento minoritario, e, nel farlo, si prodiga di chiarire al meglio le motivazioni di un tale arresto.

La Suprema Corte mette al centro del ragionamento il diritto di difesa del coevocato, che ritiene non debba trovarsi in una posizione deteriore rispetto a colui che è terzo rispetto al processo. In tal senso, la domanda trasversale sconterebbe gli stessi limiti della chiamata di terzo, ex art. 106 cpc. Diretto precipitato sarebbe che anch’essa debba soggiacere alle formalità previste dal codice, di cui all’art. 269. Diversamente opinando, il coevocato non potrebbe giovarsi di alcuno strumento processuale (espressamente codificato) per rispondere alla domanda, con evidenti conseguenze nefaste proprio in considerazione delle possibili decadenze cui andrebbe in contro. Invero, le uniche alternative ipotizzabile, ove non si seguisse la tesi dell’ordinanza, sarebbero o la richiesta all’udienza di comparizione di un termine a difesa, che però non trova alcun appiglio normativo, o la difesa all’udienza stessa ai sensi dell’art. 183, comma 5 cpc (ante Cartabia), equiparando quindi la sua posizione con quella dell’attore destinatario di riconvenzionale. Escludendo la prima ipotesi perché codicisticamente non ammessa, tale ultima soluzione, secondo la Corte, sarebbe eccessivamente penalizzante per il convenuto rispetto al terzo.

Prosegue la pronuncia ricordando che, sul tema, vi sono tre esigenze da salvaguardare: “a) che il convenuto contro cui la domanda è proposta ne sia efficacemente e tempestivamente informato; b) che in seguito alla proposizione della domanda il convenuto destinatario della domanda possa svolgere le sue difese senza alcun pregiudizio, come se fosse stato evocato in un giudizio ad hoc; c) che l’attore non veda inutilmente ritardate le cadenze processuali destinate a condurre il processo a definizione”[23]. I Giudici riconoscono che l’equiparazione della domanda trasversale alla chiamata di terzo soddisfa appieno le prime due esigenze, mentre la celerità processuale verrebbe parzialmente sacrificata. Tale sacrificio è ritenuto però giustificato e ammissibile poiché il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, comma 2 Cost. è recessivo rispetto al diritto di difesa e del contraddittorio.

Si ritengono corrette le esigenze che vengono rammostrate e a cui la soluzione interpretativa deve rispondere, che muovono tutte da principi di rango costituzionale. La scelta di applicare alla domanda trasversale la disciplina della chiamata di terzo, però, non appare scevra da vizi.

Il primo di essi è proprio quello relativo all’estensione della durata del processo. La Suprema Corte, nel sostenere la propria tesi della necessaria chiamata di terzo, riconosce che tale opzione ermeneutica sconta l’allungamento del tempo del processo, a principale detrimento degli interessi dell’attore. Ritiene però che il principio di ragionevole durata del processo sia recessivo rispetto al diritto di difesa, e posto che l’unico modo corretto per salvaguardare quest’ultimo sia quello di procedere con la citazione del terzo-coevocato, considera la dilazione imposta al procedimento un male necessario. Secondo la Cassazione, tale circostanza si verifica in ogni ipotesi in cui il processo sia condizionato dalla necessità di coinvolgere più terzi a catena. In queste ipotesi, si ricorda che il giudice è comunque dotato di un potere discrezionale per limitare l’estensione del contraddittorio per esigenze di economia processuale[24], ma le conseguenze in capo al convenuto cui è stato impedito di chiamare il terzo non sarebbero tali da impedirgli di convenirlo in un separato giudizio. Assimilare la domanda trasversale alla riconvenzionale e non alla chiamata di terzo, però, avrebbe quale unica conseguenza quella di limitare i diritti di difesa del coevocato. Si è però notato che se la discrezionalità del giudice è accettabile in caso di domanda verso terzi, per non sacrificare la durata del processo in corso e rinviando l’esame dalla pretesa ad altro e futuro giudizio[25], essa non lo sarebbe con riguardo alla domanda del convenuto verso un altro, in quanto si comprimerebbero oltremodo il diritto del convenuto-chiamante e il principio di economicità dei giudizi proprio perché chiamante e chiamato di tale domanda (trasversale) sono già parti in causa.

La Cassazione ammette poi che la citazione al terzo/coevocato conterrebbe elementi superflui, come gli avvisi ex art. 163 cpc, e la data d’udienza, che, se costituito, il convenuto saprebbe già. La stessa ordinanza è conscia dell’anomalia, ma liquida il tutto ricordando il brocardo quod abundat non vitiat. Ma se a ciò aggiungiamo il fatto che nella citazione vi è, come quando destinatario sia un terzo al processo, l’invito alla costituzione, vediamo che altri problemi iniziano a materializzarsi.

In primo luogo, gli avvisi sarebbero privi di valore e la comparsa del coevocato sarebbe integrativa rispetto all’atto già depositato, il che denota già una forzatura del sistema. La comparsa di costituzione e risposta rispetto alla domanda trasversale, dunque, non è codicisticamente prevista, e la ridondanza dell’applicazione dell’art. 167 cpc potrebbe comportare più di un problema, in tal modo aggravandosi la situazione che si vorrebbe risolvere. Ci si può domandare infatti se il coevocato debba rilasciare una nuova procura alle liti in relazione alla nuova domanda[26] (e quid iuris qualora voglia affidarsi ad un altro avvocato per la trasversale[27]?).

Con il deposito della sua comparsa integrativa, poi, si avrebbe che nel giudizio il coevocato risulterebbe costituito due volte, in risposta a due domande. Ma, in maniera ancora problematica, dobbiamo considerare l’ipotesi per cui il coevocato non si costituisca a fronte della chiamata di terzo. Francamente, risulterebbe difficile risolvere questa situazione: egli potrebbe essere dichiarato contumace in relazione alla domanda trasversale, perdendo così il diritto di difendersi nel prosieguo del giudizio (e quindi in tutti i successivi atti) verso tale pretesa, con evidenti difficoltà sia di concepire una contumacia in relazione alle domande e non al processo[28], sia di discernere le difese dalla domanda principale da quelle sulla trasversale (in teoria non ammesse per contumacia).

Infine, ma non meno importante, ci si chiede chi sia il destinatario della notificazione. Da un lato, infatti, l’art. 170, comma 1 cpc prevede che dopo la costituzione in giudizio anche le notificazioni debbano essere eseguite al procuratore della parte; dall’altro, l’art. 292, comma 1 cpc impone che le comparse contenenti domande nuove (o riconvenzionali) “da chiunque proposte” sono notificate personalmente al contumace. Pare quindi che il discrimine per l’applicazione di una norma invece che dell’altra stia nella contumacia del coevocato. Si ricorda poi che l’art. 171, comma 3 cpc prevede una apposita ordinanza del giudice con cui il convenuto sia dichiarato contumace in caso di mancata costituzione nel termine di cui all’art. 166 cpc, benché l’interpretazione sostanzialistica del combinato disposto degli artt. 171 e 292 cpc fa ritenere che il provvedimento citato sia solo ricognitivo della situazione contumaciale, poiché ciò che importa è la mancata costituzione e il rispetto della disciplina particolare dettata del più volte citato art. 292[29].

Ebbene, l’applicazione di questi principi non è di facile soluzione nell’interpretazione fornita dalla Corte. Considerando il coevocato come terzo rispetto alla domanda trasversale, si potrebbe ritenere che gli si debba sempre notificare personalmente la citazione, così come avviene per qualunque terzo. Ma se egli è già costituito in giudizio (rispetto alla domanda dell’attore), si violerebbe il disposto dell’art. 170 cpc, che ha portata generale.

Si potrebbe forse sostenere che la notifica personalmente come terzo sia in analogia con quanto previsto dall’art. 292 cpc, facendo leva proprio sul lessico del legislatore che ha previsto la notifica al contumace delle comparse contenenti domande nuove da chiunque proposte. La domanda trasversale, in quanto contenuta in una comparsa di costituzione del co-convenuto, riveste appieno i caratteri indicati dalla norma[30]. Ma la Cassazione non pare cogliere tale nesso, che anzi rifugge quando fornisce una differente interpretazione della norma: essa regolerebbe la remota ipotesi in cui l’attore sia contumace e che il convenuto proponga una domanda nuova. Tale interpretazione pare essere eccessivamente restrittiva[31] e non supportata da altre considerazioni di sistema.

Ulteriore ragione per cui la Corte propende per l’applicazione della disciplina della chiamata del terzo alla domanda trasversale risiederebbe nel fatto che, in tal modo, il coevocato avrebbe garantito il pieno diritto di difesa, come se fosse evocato in un separato giudizio. Ciò poggerebbe poi sulla considerazione per cui non vi è alcun onere di ispezione a carico del convenuto rispetto agli atti e alla posizione del co-convenuto, che invece si rinvenirebbe in capo all’attore, quale possibile destinatario di una domanda riconvenzionale proposta ex art. 167 cpc. D’altro canto, ricorda implicitamente la Cassazione, solo quest’ultimo ha espressamente la facoltà di replicare e proporre domande ed eccezioni nuove in forza del disposto dell’art. 183, comma 5 cpc (sempre ante Cartabia).

Su questi connessi aspetti si deve rilevare come è indubbia la disparità in termini di tempi e forme di difesa tra terzo e coevocato, qualora non si seguisse la tesi dell’ordinanza in commento. Ma anche la loro posizione è, a ben guardare, affatto differente. È vero infatti che il terzo avrebbe a disposizione 70 giorni tra la notifica della citazione e il deposito tempestivo della comparsa tempestiva, potendosi quindi difendere per iscritto, mentre il coevocato avrebbe soli 20 giorni per poter poi avanzare le proprie difese solo oralmente. Tuttavia, la diversità di trattamento risiederebbe proprio nella circostanza per cui il terzo è all’oscuro del processo sino alla vocatio in ius, mentre il coevocato non necessiterebbe della vocatio proprio perché è già parte del giudizio e ne conosce il thema decidendum[32]. Si è sostenuto quindi che il convenuto non si aspetterebbe, a differenza dell’attore, una domanda nei suoi confronti, sicché esigere da lui un onere di ispezione sarebbe privo di appiglio giuridico e si precipiterebbe in un vizio di petizione nel sostenere il contrario. Ci si permette di dissentire in quanto, una volta ammessa astrattamente la facoltà di proporre la domanda trasversale mediante il solo deposito tempestivo della comparsa, il convenuto vedrebbe solo incrementato il suo onere di sorveglianza dell’andamento del processo, che, si badi, già sussiste. Ritenere infatti, come pare fare la Cassazione, che il co-convenuto si limiti ad approntare le proprie difese nell’intero iter processuale solo volgendo lo sguardo a quanto affermato (allegato e provato) dall’attore appare irrealistico e financo illogico, nonché privo (questo sì) di qualsivoglia elemento normativo a supporto. Qualunque operatore del diritto sa che in ipotesi di cause plurisoggettive, a maggior ragione quando i convenuti sono chiamati a rispondere tra loro in via solidale, la posizione del singolo risente inevitabilmente di quella degli altri. Si pensi poi all’applicazione del principio dell’acquisizione probatoria, che prescinde dal soggetto che effettivamente dimostri un determinato fatto in giudizio: se un co-convenuto dovesse provare un elemento sfavorevole ad un altro, nessuno dubiterebbe del fatto che esso rilevi anche nei suoi confronti, senza quindi che possa assumere rilievo il fatto che quest’ultimo non avesse considerato tale posizione. A ben guardare, si può dire che un onere di sorveglianza e di ispezione delle posizioni altrui (attore e altri convenuti o terzi) è implicito nel diritto di difesa

A temperare l’onere, potrebbe soccorrere forse proprio il citato art. 292 cpc. La Corte ne fornisce però una interpretazione restrittiva, come si è visto; volendo invece valorizzare tale disposizione si potrebbe avere che il convenuto contumace, che ha scelto liberamente di rimanere tale innanzi alle pretese attoree, vedrebbe adeguatamente tutelati i propri diritti quando un co-convenuto, all’atto della propria costituzione tempestiva, proponga una domanda nuova nei suoi confronti, poiché il giudice onererebbe il convenuto chiamante di notificargli tale comparsa; di converso, in ipotesi di coevocato costituito, questi potrebbe difendersi all’udienza di comparizione ex art. 183, comma 5 cpc.

Su tale ultimo aspetto, la Corte trae un elemento a sostegno della sua tesi dal tenore letterale della disposizione, poiché assume come dirimente la circostanza per cui si faccia riferimento al diritto del solo attore di replicare alla domanda riconvenzionale verso di lui avanzata, potendo proporre anche domande nuove se derivanti dalle difese del convenuto, tale per cui la medesima facoltà non potrebbe essere riconosciuta al coevocato. Visti i grossi problemi finora affrontati, sembra che questo ostacolo sia agilmente superabile tramite una interpretazione estensiva o analogica, attribuendo quindi la medesima ampiezza di diritti difensivi sia all’attore-convenuto in riconvenzione che al convenuto-coevocato. Se, come detto, il convenuto ha l’onere di verificare la posizione degli altri convenuti, che, secondo il ragionamento espresso, potrebbero in sede di comparsa avanzare nei suoi confronti una domanda trasversale, gli elementi per procedere in via analogia pare vi siano tutti.

E le proprie difese non subirebbero un vulnus nemmeno in concreto, giacché per quanto appena detto, anche il co-convenuto potrebbe aspettarsi delle domande nei suoi confronti, pertanto il riconoscimento di “soli” 20 giorni appare giustificato. Ciò a maggior ragione ove si consideri che per le proprie difese, il coevocato avrebbe ancora il termine di replica scritto di cui alla prima memoria ex art. 183, comma 6 cpc (naturalmente, ante Cartabia).

Il punto di discrimine, allora, pare essere la prima udienza, ove si potrebbero quindi presentare alternativamente i due scenari citati: coevocato non costituito, ergo notifica ex art. 292 cpc; coevocato costituito, il quale in quella sede e sino alla prima memoria potrà emendare le proprie domande e replicare alla domanda trasversale.

Seguendo questa via non si può nascondere il fatto che taluni elementi problematici potrebbero rilevarsi in ipotesi di costituzione del coevocato tardiva rispetto al termine ex art. 166 cpc ma prima dell’udienza, o magari all’udienza stessa. Si potrebbe sostenere che in questa ipotesi, il destinatario della domanda trasversale non godrebbe appieno della difesa, poiché scoprirebbe in prossimità o proprio in udienza della domanda nuova. Vi è però da ricordare che il convenuto, scegliendo di non costituirsi tempestivamente, subisce le conseguenze derivanti dallo stato del giudizio, in termini di decadenze e preclusioni maturate[33]. Non si vede perché tra queste non possano essere fatte rientrare anche la difesa sulle domande trasversali.

In conclusione, si ritiene che la posizione di cui all’ordinanza qui commentata, sebbene avvalorata anche dall’esauriente (ma forse non esaustivo) impianto motivazionale, pur partendo da riflessioni corrette, muova verso una interpretazione che non risolve tutti i dubbi rilevati, e talvolta lascia aperti ulteriori quesiti di non agevole soluzione. In particolare, se, come visto, si propende per la scelta della proposizione della domanda trasversale in comparsa, la durata del giudizio appare salvaguardata e, in ogni caso, i diritti del convenuto sono adeguatamente garantiti.

6. La tesi della Cassazione – atto II. Come anticipato, la Corte di Cassazione non ha perso tempo per aggiungere un ulteriore tassello al quadro interpretativo della domanda trasversale. La Suprema Corte, infatti, è tornata ad occuparsi dell’argomento l’anno successivo con la pronuncia n. 9441 del 2022[34]. L’ordinanza è lapidaria nel riaffermare l’orientamento maggioritario, perdendo forse l’occasione, però, per “rispondere” alle motivazioni della decisione precedente.

La Cassazione muove ora dal presupposto per cui anche la domanda trasversale, al pari di quella del convenuto contro l’attore e di quella del terzo chiamato con contro chi è già parte in causa, sia da qualificare come riconvenzionale. L’assunto di partenza, però, non è per certo immune da vizi, benché la Corte, rispetto alla dottrina, espunga dalla categoria le domande verso terzi, ma inserisca quelle del terzo; il tratto comune pare da ricondursi alla mera reazione del soggetto passivo di una domanda, trascurandosi quindi il destinatario della stessa. Da notare poi che la medesima pronuncia dà per assodato il punto “per costante giurisprudenza”. Si nutre qualche dubbio in proposito, anche solo considerando le difformità di vedute di cui si è dato atto in precedenza. Come anticipato in apertura, però, l’ordinanza rinuncia a confrontarsi con il precedente contrario reso proprio l’anno precedente. Non solo infatti non si dà atto della corrente minoritaria, ma nemmeno vengono confutati indirettamente gli elementi a sostegno portati da quest’ultima, che come abbiamo visto spaziano da elementi storici a considerazioni costituzionali e riflessi processuali.

Senza ulteriori specifiche o riflessioni, la Corte, seguendo un lineare filo logico, fa discendere la superfluità del ricorso alle forme della chiamata in causa per l’immeditata ragione per cui il destinatario della domanda trasversale non è terzo, ma già parte del processo.

La conclusione della Corte, poi, è chiara nell’affermare che l’unico formalismo richiesto per la domanda (riconvenzionale) trasversale sia quello di formularla entro i termini di costituzione tempestiva ex art. 167 cpc, chiosando solo che in ipotesi di contumacia del destinatario, essa debba essere notificata. Sul punto, però, si ritiene che la posizione sia a tratti apodittica, o quantomeno non adeguatamente motivata. Il tema della conoscenza o conoscibilità della domanda si ritiene essere centrale per la possibile soluzione della vicenda, e l’averlo affrontato in questa maniera non pone il lettore in condizione di comprendere appieno le ragioni della scelta, né tantomeno di sentirsi pienamente appagato.

L’ordinanza conclude l’esame del motivo affermando, ancora una volta in maniera dogmatica, che non sia necessario che la trasversale sia fondata sui medesimi fatti posati dall’attore a fondamento della sua domanda. Il tema pare essere stato sottovalutato dalla Suprema Corte, posto che su questo particolare profilo vi sono varie tesi legate all’applicabilità dell’art. 36 o 106 cpc[35].

In conclusione, si ritiene che la pronuncia non sia adeguatamente motivata, soprattutto se, come ridetto, il punto centrale verte su di un tema che non solo è ampiamente dibattuto, ma che proprio nel recentissimo passato è stato interessato da una pronuncia di tenore opposto. L’aver quindi appoggiato il filone maggioritario non esime la Corte dal dare atto delle ragioni che l’hanno spinta in tale direzione e, a beneficio di una più ampia nomofilachia ed omogenea esegesi delle norme, ben si sarebbero potuti affrontare di petto i vari temi sollevati nel 2021. Si ritiene poi che l’occasione sarebbe stata anche opportuna per una rimessione della questione alle Sezioni Unite, così da avere un intervento chiarificatore e dirimente.

7. Conclusioni e Riforma Cartabia. Volendo tirare le fila dell’analisi svolta, si ritiene che si possano condividere le riflessioni della pronuncia del 2021, allorquando sono segnalate le importanti implicazioni sottese alla scelta qualificatoria della domanda trasversale. Per le ragioni esposte, non si condivide però l’approccio conseguente, poiché non pare fornire una soluzione del tutto completa. Inoltre, si sacrifica la durata del processo a favore del diritto di difesa del coevocato, ma pare essere un sacrificio inutile. Come invece ritenuto dall’ordinanza del 2022, benché la motivazione non possa andare esente da critiche, questo potrebbe comunque beneficiare di una adeguata tutela anche nell’ipotesi di applicazione della disciplina della domanda riconvenzionale, cui farebbe da contraltare un adeguamento dell’onere di ispezione del convenuto medesimo, nonché la generale previsione dell’art. 292 cpc.

Richiamando i vari spunti stesi direttamente in commento alle motivazioni, si potrebbe sostenere che ogni domanda proposta in un giudizio già pendente, e quindi dopo quella principale dell’attore, possa essere denominata “incidentale”, seguendo dunque la stessa logica dialettica dell’appello e del giudizio di cassazione[36]. Questa indicazione non assurgerebbe a categoria giuridica propria ma a sola indicazione concettuale, al cui interno si possono qualificare le domande riconvenzionali in senso proprio, quale genus delle domande contraddistinte dall’essere una reazione ad una precedente pretesa, ossia quella proposta dal convenuto contro l’attore (o da un terzo contro il convenuto-chiamante) o dall’attore contro il convenuto in riconvenzione (reconventio reconventionis); si avrebbero poi le domande verso terzi, che sconterebbero la disciplina loro propria che il codice di rito gli attribuisce; si potrebbero poi prevedere anche le domande che i terzi intervenienti (volontari o coatti) sono legittimati a proporre; infine, si avrebbero le domande trasversali, che a causa del silenzio legislativo devono trovare una disciplina in via analogica.

Per fare ciò, non si ritiene del tutto corretta la scelta dell’assimilazione alla chiamata di terzo, poiché vi sono troppi punti della fattispecie astratta che paiono essere in conflitto, come la rilevata circostanza per cui il coevocato non è terzo, sicché non necessiterebbe di alcuna vocatio in ius, sia la non rilevata necessità di attribuire a questi un più ampio esercizio del proprio diritto di difesa rispetto alla domanda. Dunque, pur con qualche perplessità concettuale, è più appagante la soluzione adottata da ultimo dalla Cassazione e dall’orientamento maggioritario della giurisprudenza[37]. Unico distinguo è forse proprio il punto di partenza, allorquando i giudici ampliano, si ritiene forse eccessivamente, la categoria della riconvenzionale, sino a farle perdere i tratti qualificatori. Partendo invece dall’insieme delle domande incidentali, e assimilando per analogia le domande traversali a quelle riconvenzionali in senso proprio[38], allora i diritti processuali di tutti gli operatori paiono essere ben equilibrati e rispettosi del dettato normativo[39].

Si riconosce che la scelta potrebbe non essere appieno esaustiva, ma il silenzio legislativo impone di percorrere un’esegesi giocoforza impervia. A tal riguardo, non può tacersi il fatto che la recente riforma del codice di rito non ha preso posizione sul punto.

Il D. Lgs. 14/2023 non ha infatti previsto alcuna novità esplicita e specifica sul tema, ma, come si è anticipato, potrebbe aver fornito quale nuovo elemento da aggiungere al quadro, sì che si rende più che mai opportuno verificarne l’impatto sulle conclusioni testé raggiunte.

Si è detto che per fornire un’adeguata tutela al convenuto destinatario di una domanda trasversale sarebbe necessario focalizzarsi sulla prima udienza di comparizione. Questa è stata oggetto di rilevanti modifiche da parte della novella legislativa, tanto più che, ad oggi, essa è stata formalmente abrogata[40], poiché i controlli ufficiosi prima previsti in quella sede sono stati ora convogliati nel decreto ex art. 171-bis cpc, e le difese sono invece confluite nella nuova prima memoria scritta ai sensi dell’art. 171-ter, n. 1 cpc.

La riscrittura delle norme ha determinato un ampliamento soggettivo e oggettivo: mentre, come abbiamo visto, il vecchio art. 183 comma 5 cpc prevedeva che il solo attore poteva proporre le “domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto”, con tutte le riferite difficoltà di estendere la portata applicativa di tale norma al coevocato, l’incipit dell’art. 171-ter cpc statuisce che il diritto di replica alle domande riconvenzionali “proposte dal convenuto o dal terzo” spetti alle “le parti”. La lettera della norma può indurre quindi ad un ripensamento.

Anzitutto, da un esame lessicale e sintattico del periodo, si deve rilevare che il Legislatore ha inteso le domande riconvenzionali come quelle proposte dal convenuto o dal terzo, non essendo infatti possibile separare le due frasi della disposizione (domande proposte dal convenuto ed eccezioni proposte dal terzo). In via interpretativa, si ritiene che si sia quindi specificata la provenienza delle domande e delle eccezioni a cui è possibile rispondere, così che, in maniera tutt’affatto ultronea, si è consacrato (e innovato rispetto al vecchio testo della norma) che tra gli attori in riconvenzione vi sono anche i convenuti. Da ciò potrebbe legittimamente desumersi che il legislatore delegato abbia fatto propria l’accezione ampia di riconvenzionale, come espressa da ultimo dalla Cassazione con l’ordinanza del 2022, in tal modo ricomprendente tutte le domande proposte nel corso di un giudizio già pendente, e quindi dai convenuti e dai terzi chiamati (oltreché dall’attore in riconvenzione)[41].

A sostegno vi è anche la menzionata circostanza per cui la replica a tali domande riconvenzionali spetti a tutte le parti, tra cui all’evidenza rientra il convenuto-coevocato[42]. La scelta di mutare la terminologia da “attore” a “parti”, oltre che per esigenze sintattiche, è dettata da un più ampio ragionamento volto a sopperire solo implicitamente alla lacuna normativa in tema di trasversale[43], nonché all’esigenza di ripensare la normativa, che ha accorpato le difese nella vecchia udienza di comparizione con quella scritte di cui alle memorie autorizzate. Il chiaro dettato letterale muove ora nella direzione di considerare la nuova prima memoria come il luogo deputato per le difese del convenuto chiamato in via trasversale, poiché trattasi di parte del giudizio e perché destinatario appunto di una domanda riconvenzionale proveniente da un convenuto. Si ha per integrata quindi la fattispecie codificata e in tal modo viene meno ex lege la necessità di garantire le esigenze difensive del convenuto, nel senso che è stato lo stesso legislatore a ritenere (forse solo indirettamente) che anche il coevocato sia sufficientemente garantito mediante la predisposizione delle proprie difese in quella sede. Non vi sono spazi nemmeno per dubitare di una legittimità costituzionale di questa scelta o quantomeno dell’interpretazione qui fornita, posto che sia l’attore che il coevocato hanno pari diritto di difesa a fronte di una situazione pressoché identica, ossia la proposizione di domande da chi è già parte del giudizio contro di loro.

L’assenza di chiarezza nella disposizione normativa, e la conseguente necessità di ricostruire la disciplina della domanda trasversale solo indirettamente anche nel nuovo assetto normativo del codice, importano che la soluzione qui ipotizzata debba essere attentamente vagliata anche nella pratica, onde appurare un suo possibile assestamento[44]. Pur mantenendo qualche dubbio eminentemente scientifico sulla tenuta della qualificazione legislativa, si apprezza l’esito finale, del tutto concorde con l’ipotesi qui avanzata.

[1] Tale quadro denota una certa complessità della controversia, come rilevato di recente da Biavati, Le recenti riforme e la complessità trascurata, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2020, 2, pag. 434. L’A. riconosce che una causa possa dirsi complessa “quando vi sia una pluralità di parti che avanzano domande principali, riconvenzionali e trasversali”, per aggiungere poi che “è appena il caso di notare che una seria considerazione della complessità non può essere disgiunta da meccanismi processuali che offrano al giudice e alle parti la possibilità di adattare le regole alla diversità dei casi”. Lo spunto dell’A. è dunque nel senso, qui pienamente condiviso, che si debbano trovare o ricercare soluzioni processuali che consentano alle regole codicistiche di adattarsi alle varie e possibili ipotesi che si vengano a verificare nel processo. Per una prima disamina del tema delle domande trasversali, si richiama il recente contributo di Della Pietra, Le modalità di proposizione della riconvenzionale trasversale, in Scritti in onore di Bruno Sassani, a cura di Tiscini, Luiso, Pisa, 2022, I, 293 ss

[2] Si veda Evangelista, voce Riconvenzionale (domanda), in Enc. Giur., XXVII, Torino 1991, 6 s.; Trib. Napoli, 24 giugno 1958, in Dir. e Giur., 1958, 920.

[3] Tarzia, Balbi, voce Riconvenzione, in Enc. Dir., XL, Milano, 1989; Ronco, Appunti sulla domanda proposta da un convenuto contro l’altro, in Giur. It., 1999, 2290 e segg.; Vullo, La domanda proposta da un convenuto contro l’altro: condizioni di ammissibilità, termini e forme, in Giur. It., n. 8-9, 2002, p. 1030. Si veda anche Conte, Qualifica, forma e termini per l’ammissibilità della domanda “trasversale” proposta da un convenuta contro un altro, in Giustiziacivile.com, 14 giugno 2022, di commento dell’ordinanza n. 9441 del 23 marzo 2022 della Corte di Cassazione, su cui si dirà meglio infra, che richiama precedenti della stessa Corte, tra cui Cass. Civ., 4 gennaio 1969, n. 9.

[4] Muove in questa direzione anche la Corte Costituzione, con la pronuncia del 3 aprile 1997, n. 80, ove può leggersi: “non è priva di ragionevolezza la previsione della insindacabile facoltà per il convenuto, all’atto della sua prima difesa, di estendere l’ambito soggettivo del processo, ove si consideri che l’attore per primo ha facoltà di convenire in giudizio qualunque soggetto, senza limitazioni di sorta e senza necessità, ovviamente, di autorizzazione alcuna. Per verificare che sia garantita alle parti un’identità di trattamento, la comparazione dei poteri ad esse attribuiti deve essere eseguita con riferimento ad uno stesso momento processuale, il quale, nella fattispecie, è da individuarsi nell’atto in cui ciascuna parte espone introduttivamente le proprie ragioni: in questo momento le parti devono essere poste in grado di compiere le medesime attività con eguali poteri. Ed in effetti, nell’indicato momento, la posizione dell’attore, che può liberamente scegliere i soggetti da convenire in giudizio, è del tutto corrispondente a quella del convenuto, cui è esattamente e correlativamente riconosciuta la facoltà di chiamare in causa qualsivoglia terzo, al quale ritenga comune la causa o dal quale pretenda essere garantito”.

[5] Secondo Trib. Milano, 8 febbraio 2019, n. 1306, “La domanda di un convenuto nei confronti di un altro convenuto non è espressamente qualificata né disciplinata dal codice di procedura civile, ma è comunque ritenuta ammissibile, attribuendo a detta domanda il nome di “domanda trasversale” ed al convenuto destinatario della stessa il nome di “coevocato””.

[6] Poiché il tema esula dallo scopo della presente trattazione, per un approfondimento del punto si rimanda all’esaustiva disamina in Satta, voce Domanda giudiziale (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., XIII, Milano, 1964, nonché, tra gli altri, a Giorgetti, sub art. 99 in Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, Commentario al codice di procedura civile, II, 2012.

[7] Sul punto, si richiama Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 2007, pag. 113, secondo cui “per il fatto di partecipare ad un processo, cioè per il fatto di avere proposto una domanda in giudizio o di esservi stata chiamata per fronteggiare una domanda, la persona acquista una particolare “qualità” o status, che è appunto la qualità di parte, dalla quel sorgono per esse numerose situazioni soggetti attive e passive”.

[8] Luiso, Diritto Processuale civile, I, pag. 250, Milano 2011.

[9] Tarzia, Lineamenti del processo civile di cognizione, pag. 126, Milano 2007; Taraschi, Manuale di diritto processuale civile, Napoli, 2014, pag. 72

[10] Comoglio, Ferri, Taruffo, Lezioni sul processo civile, I, Bologna 2006, pag. 273

[11] Tra gli altri, così Luiso, op. cit., pag. 288, secondo cui “il termine “domanda riconvenzionale” indica la forma dell’atto, con il quale si può proporre una qualsiasi domanda nuova nel corso del processo, e che si caratterizza per essere privo della vocatio in ius, cioè dell’instaurazione del contraddittorio”.

[12] V. Tarzia, Balbi, op. cit. pag. 666; Vullo, La domanda riconvenzionale, 1995, capp. I e II.

[13] Da un certo punto di vista, si potrebbe sostenere che, in via deduttiva, se ogni domanda proposta nei confronti di chi è già parte del giudizio è riconvenzionale, allora anche quella trasversale lo è; di converso, in via induttiva, gli elementi della domanda e le norme del codice di rito non portano ad una qualificazione univoca della stessa come riconvenzionale.

[14] Tra gli aspetti rilevanti ma non approfonditi in questa sede, si ricorda anche quello legato alla possibile condizione di procedibilità per essere la domanda trasversale oggetto di tentativo obbligatorio di mediazione ex D. Lg.s 28/2010 o di negoziazione assistita ex DL 132/2014. Al proposito, si richiama Buffone, Diritto processuale della mediazione, in Giur. Merito, 2011, 10, pag. 2346.

[15] Così Luiso, op. cit., pag. 283.

[16] Vullo, op. cit.

[17] Andrioli, Commento al codice di procedura civile, I, 1957, pag. 125; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, 1992, pag. 189; Tarzia, Balbi, op. cit. pag. 673; Vullo, op. cit. 274 ss.

[18] Proto Pisani, Appunti sulla connessione, in Dir. e giur., 1993, 8; Luiso, op. cit. pag. 288; di recente Dittrich, Diritto processuale civile, I, 2019, pag. 421.

[19] Così Cass. Civ., 24 gennaio 2018, n. 1752, ma in termini anche Cass. civ., 14 maggio 2022, n. 1617 e Cass. Civ., 4 marzo 2020, n. 6091.

[20] Tazia, Balbi, op. cit.; Cascella, Requisiti e limiti della domanda autonoma tra convenuti, in Il Processo, I, 2021; Balena, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, 148.

[21] Vullo, op. cit., che richiama espressamente la precedente posizione di Ronco, op. cit.

[22] Cass. Civ., 12 maggio 2021, n. 12662 (rel. U. Scotti). Al riguardo, si vedano Guarneri, Sulle modalità di proposizione della c.d. domanda riconvenzionale trasversale, in Riv. Dir. Proc., 2, 2022, pag. 752; Lombardi, Il regime processuale della c.d. domanda trasversale, in IUS Processo civile, 21 marzo 2022; Barile, La domanda trasversale secondo l’ultima giurisprudenza di legittimità, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1, 2022, pag. 225.

[23] Cass. civ. ult. cit., § 5.3.9.

[24] V. Cass. Civ. sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309, e la relativa critica di cui a Caponi, Dalfino, Proto Pisani, Scarselli, In difesa delle norme processuali, in Foto it., 2010, 6, pag. 1794.

[25] V. Guarneri, op. cit. Ma in senso critico rispetto alle conseguenze dell’esercizio di questa discrezionalità, si richiama quanto sostenuta da Caponi et al., op. cit., secondo cui “non comprendiamo ancora come possa sostenersi che negare l’autorizzazione alla chiamata del terzo in causa possa in taluni casi ritenersi conforme al principio di ragionevole durata del processo, visto che un simile diniego obbliga il convenuto a citare separatamente il terzo e ad instaurare un ulteriore giudizio. Fino ad oggi, infatti, si è sempre ritenuto preferibile fare un solo processo anziché due, poiché un solo processo evita la formazione di giudicati fra loro contraddittori, e meglio soddisfa l’esigenza di economia dei giudizi, anche ai sensi dello stesso art. 111 Cost.”.

[26] Sul tema, si è di recente confermato che “Il mandato “ad litem” attribuisce al difensore la facoltà di proporre tutte le domande ricollegabili all’oggetto della causa, con esclusione degli atti (non espressamente menzionati) che comportano disposizione del diritto in contesa e delle domande con cui si introduce una nuova e distinta controversia, eccedente l’ambito della lite originaria (Cassazione Civ., 22 maggio 2023, n. 14070)”. Secondo l’orientamento maggioritario, la procura alle liti è attributiva del potere di proporre domande riconvenzionali, atteso che “quest’ultima, anche quando introduce un nuovo tema di indagine e mira all’attribuzione di un autonomo bene della vita, resta sempre fondamentalmente connotata dalla funzione difensiva di reazione alla pretesa della controparte” (Cassazione Civ., 27 aprile 2018 , n. 10168), ma non invece domande che introducano una nuova e distinta controversia; ci si può quindi domandare se le domande trasversali rientrino tra le prime o meno, e se quindi debbano essere previsti poteri ad hoc al procuratore in tal senso, in tal modo dimostrandosi anche sotto questo profilo la rilevanza della necessaria qualificazione giuridica della domanda trasversale. Ma inoltre, ci si deve domandare quali diritti e doversi spettino al coevocato, sotto questo punto di vista. Già con i riferiti dubbi sul lato attivo, dal lato passivo essi sono financo amplificati, viste anche le incertezze interpretative. La pronuncia della Cassazione nulla dice sul tema, ma forse è ipotizzabile che, in aderenza alle esigenze difensive menzionate in precedenza, si dovrebbe propendere per la necessità di una nuova procura alle liti, in quanto solo onerando il coevocato di munirsi di rilasciare una nuova procura si può essere certi che lo stesso sia effettivamente consapevole della domanda trasversale.

[27] Tra gli altri elementi problematici, si può considerare, da un punto eminentemente pratico, le difficoltà connesse alla gestione telematica del punto, nel rispetto della normativa anche regolamentare disciplinante il processo civile telematico. Si dubita che, a fronte della mancata normazione di questa ipotesi, si possa ipotizzare l’ammissibilità tecnica, prima che giuridica, di una duplice costituzione della medesima parte con due differenti avvocati, i quali però svolgerebbero le loro funzioni in maniera necessariamente disgiunta ma su due domande differenti.

[28] Considerando per contumacia come “l’assenza legale dal giudizio di una parte” (così Brandi, voce Contumacia, in Enc. Giur., X, 1962, pag. 458, ma negli stessi termini anche Luiso, op. cit. II, pag. 212), appare una forzatura concepirla in relazione alla singola domanda.

[29] Luiso, Diritto Processuale civile, II, pag. 223, Milano 2011. In giurisprudenza si veda App. Napoli, 23 ottobre 2020, n. 3635, che ritiene che l’omessa dichiarazione di contumacia non dia luogo ad invalidità processuale ove il processo si sia comunque svolto nel rispetto delle forme contumaciali, nonché Cass. civ., 14 dicembre 2010, n. 25238 e Cass. Civ. 26 giugno 2007, n. 14759.

[30] In questo senso anche Cascella, op. cit., pag. 97, benché l’A. riconduca poi la domanda trasversale alla domanda riconvenzionale. Si aggiunge che Guarneri, op. cit. ipotizza di applicare in via analogica la disciplina dell’art. 292 cpc, imponendosi al convenuto-chiamante di depositare tempestivamente la comparsa e, nello stesso termine, notificarla al coevocato; ciò sul presupposto che non esista alcun onere di ispezione in capo al convenuto (su cui si v. infra), la cui posizione non può quindi essere equiparata a quella dell’attore. Ci si permette di dissentire in quanto la tesi pecca di appigli normativi, poiché l’interpretazione analogica dell’art. 292 cpc appare oltremodo estensiva e, inoltre, contraddittoria con il precedente assunto per cui, secondo lo stesso A., il convenuto “è un soggetto che è già in causa, perché mesi prima gli è stato notificato l’atto di citazione, e da quel momento quindi è bene al corrente dell’oggetto della lite principale e sa pure che c’è (almeno) anche un altro convenuto, che bene potrebbe proporre a sua volta nuove domande, connesse o dipendenti, sia contro l’attore, sia contro di lui. Pertanto anche per questo soggetto, che, ripetiamolo, è già in causa e, se è stato diligente, si è già rivolto ad un difensore e lo ha reso edotto della lite, appare più che ragionevole il termine di venti giorni espressamente previsto e garantito dalla legge all’attore per rispondere alle difese del convenuto (domande riconvenzionali, eccezioni, etc.) e per decidere se chiamare un terzo”. Se quindi il coevocato, in quanto e proprio perché parte, vede riconosciuti i medesimi diritti di difesa al pari dell’attore in riconvenzione, non si vede perché a lui, a differenza dell’attore, la domanda riconvenzionale trasversale debba essere sic et simpliciter notificata. Per completezza, si segnala che la tesi dell’A. pare fare riferimento a quella proposta da Tarzia, Sulla proposizione delle domande fra litisconsorti, in Giur. It., 1970, I, 804 (in nota a Cass. Civ., 4 gennaio 1969, n. 9).

[31] Se è pur vero, infatti, che la stessa giurisprudenza della Cassazione ha testualmente ritenuto che “l’art. 292 cod. proc. civ. – secondo cui devono essere notificate alla parte contumace, fra l’altro, le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte – si riferisce anche all’ipotesi di domanda riconvenzionale proposta dal convenuto contro l’attore rimasto contumace ai sensi dell’art. 290 del codice di procedura civile” (così sent. del 22 marzo 2011 n. 2011), è proprio lo stesso arresto qui riportato a dare atto, con la congiunzione “anche”, che questa non è l’unica fattispecie regolamentata dalla norma.

[32] In questi termini, anche Morello, Note sulla c.d. domanda trasversale, in Riv. Trim. dir. Proc. Civi., 1, 2003, pag. 394, che ritiene di applicare in via analogica la disciplina della domanda riconvenzionale.

[33] D’altro canto, non potrebbe valorizzarsi oltremodo il diritto di accesso al fascicolo di cui all’art. 76 disp. att. cpc, sino da tramutarlo in un onere quotidiano di verifica per eventuali domande nuove nei propri confronti.

[34] Cass. Civ., 23 marzo 2022, n. 9441 (rel. Rossetti). Si vedano Ianni, Forme e modalità di proposizione delle domande c.d. trasversali, in IUS Processo civile, 6 giugno 2022, Conte, op. cit. Nello stesso senso della pronuncia, si rinvengono vari precedenti anche di merito, tra cui Trib. Napoli, 9 febbraio 2022, n. 1387, App. Catanzaro, 25 settembre 2020, n. 1308, Trib. Napoli, 7 novembre 2018, n. 2813 (inedita), con nota di Cascella, op. cit., Trib. Roma, 6 novembre 2019, n. 21267, Trib. Milano, 8 febbraio 2019, n. 1306 cit., Trib. di Torino sent. del 2 settembre 2008 e del 16 marzo 2009, Trib. Monza, 13 marzo 2007, con nota di Badolato, La donazione rimuneratoria e l’adempimento di obbligazione naturale: una distinzione necessaria?, in Giur. Merito, III, 2008, pag. 654

[35] V. ad esempio Cass. civ., 12 aprile 2011, n. 8315.

[36] In relazione alla fase di appello, ma rifacendosi al generale principio di cui all’art. 333 cpc, si ritiene che “Se lo scopo delle impugnazioni incidentali è l’unitarietà del processo di impugnazione, il mezzo, utilizzato dal legislatore a tal fine, è quello di rendere obbligatoria la forma dell’impugnazione incidentale per tutti coloro che impugnano (nel tempo) successivamente all’impugnazione principale. Una volta proposta la prima impugnazione (detta principale), gli altri soggetti soccombenti, che vogliono impugnare, debbono utilizzare la forma incidentale, ed inserire la loro impugna- zione all’interno del processo già aperto dalla prima impugnazione…” (così Luiso, op. cit., pag. 337, ma nello stesso si veda anche Vaccarella, Lezioni sul processo civile di cognizione, Bologna, 2006; Sassani, Lineamenti del processo civile italiano, 2014, pag. 501, e Dittrich, op. cit. II, pag. 2646). Si ravvede in questa tesi una forte similitudine di presupposti con l’ipotesi in questa sede prospettata.

[37] A corollario, si segnala che l’assimilazione alle domande riconvenzionali dovrebbe comportare anche il superamento di eventuali problematiche legate alla condizione di procedibilità che interessi la domanda riconvenzionale, richiamando e applicando anche in tale ipotesi il recente arresto di cui a Cass. Civ., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452, secondo cui “la condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 sussiste per il solo atto introduttivo del giudizio e non per le domande riconvenzionali, fermo restando che al mediatore compete di valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed al giudice di esperire il tentativo di conciliazione, per l’intero corso del processo e laddove possibile”.

[38] Tesi questa già anticipata da Vullo, op. cit.

[39] Per completezza, si segnala che l’accostamento della domanda trasversale alla domanda riconvenzionale comporterebbe, nel rito del lavoro, l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 418 cpc e non invece quella dell’art. 420, comma 9 cpc. Si v. Romei, Non è costituzionalmente illegittima la disciplina della chiamata in causa del terzo nel processo del lavoro, in Giur. Cost., II, 2023, pag. 776, in nota a Corte Cost., 9 marzo 2023, n. 67.

[40] Oltre a quanto si dirà tra poco, si segnala che la novella è intervenuta, per necessario coordinamento, anche sul testo dell’art. 171 cpc. Si è ivi eliminata formalmente la possibilità di costituirsi “fino alla prima udienza”, poiché la scelta è stata quella di permettere le verifiche preliminari immediatamente dopo il termine di costituzione e perché la prima udienza non viene più celebrata. È comunque consentita la costituzione “tardiva”, ma in tal caso il convenuto subirebbe le conseguenze processuali di questa scelta, così come si è sostenuto avvenire anche ante Cartabia.

[41] In tal senso pare deporre anche Lai, Le nuove regole per l’introduzione della causa nel rito ordinario di cognizione, in Judicium, 27 aprile 2023.

[42] Delle Donne, La fase introduttiva e la trattazione, nel processo di primo grado a rito ordinario davanti al tribunale, nella Riforma Cartabia (l. n. 206/2021 – d.lgs. n. 149/2022) (Parte Prima), in Il Processo, I, 2023, pag. 77; Pezzella, Prime riflessioni sulla nuova fase introduttiva e di trattazione del giudizio di cognizione di primo grado, in Giust. Civ., II, 2023, pag. 273.

[43] Lo spunto lo si trae direttamente dalla Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 (pubblicata in GU n. 245 – Supplemento Straordinario n. 5 del 19 ottobre 2022), ove si legge che “si è attuata consapevolmente la scelta di parificare i termini per tutte le parti, rispettando dunque la delega nella necessità di assicurare le prerogative in essa contenute per le parti indicate (attore, convenuto, e infine entrambi), ma estendendola di fatto per meglio consentire il rispetto delle finalità dalla stessa perseguite, in particolare nelle ipotesi di giudizi plurisoggettivi, sia ab origine (caso delle domande trasversali) sia…”.

[44] Al momento, non si rinvengono né decreti ex art. 171-bis cpc editi, a seguito di domanda trasversale o connesse istanze di differimento udienza (in adesione alla tesi di Cass. 12662/2021, quale scelta cautelativa dell’avvocato del convenuto), né sentenza che affrontino il tema all’attualità normativa. L’occasione potrebbe poi portare a sollecitare la Cassazione mediante il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis cpc, anche solo per evitare il riproporsi delle due tesi commentate.