Riflessioni sulla (sempre più) irragionevole esclusione dell’art. 614-bis alle controversie di lavoro a margine dei 50 anni del processo del lavoro

Di Beatrice De Santis -

1.Il tema della realizzazione coattiva dei diritti dei lavoratori è un tema non nuovo e che, tuttavia, continua ad avere una sua certa attualità, poiché si lega, tra l’altro, a quello dell’(in)applicabilità dell’art. 614-bis c.p.c., e più in generale di una misura coercitiva indiretta, nell’ambito di controversie che abbiano ad oggetto una materia regolata dall’art. 409 c.p.c., stante la lettera della norma, che espressamente lo esclude.

Anzi, l’attualità della riflessione si impone ancor più alla luce delle recenti riforme del diritto del lavoro, che hanno inciso profondamente sull’apparato sanzionatorio previsto in precedenza dal legislatore, in particolare in materia di licenziamento.[2] Ciò ha indotto alcuni osservatori a chiedersi, allora, se il risultante assetto delle tutele tanto sostanziali quanto processuali, tra cui continua a mancare il rimedio di cui all’art. 614-bis c.p.c., sia idoneo ad assicurare il godimento pieno ed effettivo dei diritti fondamentali dei lavoratori.[3]

2.È noto che l’art. 614-bis c.p.c., introdotto nel 2009, successivamente riformato nel 2015 e, da ultimo, nel 2022,[4] attribuisce al giudice il potere di fissare, su istanza di parte, e salvo che ciò risulti manifestamente iniquo, una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione di un provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro.

Peraltro, lo strumento, che in origine era limitato alla “attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare”, con le modifiche successivamente intervenute e poc’anzi ricordate, ha ampliato il proprio campo di operatività, divenendo un rimedio generale, esteso anche agli obblighi di facere fungibile e di dare, ad esclusione del pagamento di somme di denaro.

Ciononostante, sebbene la portata generale oggi assunta dal rimedio di cui all’art. 614-bis sia finalizzata a scoraggiare l’inadempimento al comando del giudice, permangono alcune criticità irrisolte, quale il dato testuale dell’ultimo comma della disposizione, che prevede, come detto, l’esclusione delle controversie di lavoro. Aspetto, questo, che mina, in concreto, l’applicazione dell’istituto.

Peraltro, la Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti allo stesso alternativi aveva provato a superare siffatta esclusione normativa, proponendo, nella relazione presentata al Ministro della Giustizia, di estendere il rimedio di cui all’art. 614-bis c.p.c., anche con riferimento alle controversie individuali del lavoro di cui all’art. 409 c.p.c.. Tuttavia detta modifica non è stata, evidentemente, attuata.[5]

3.Le ragioni da considerare alla base della esclusione legislativa sono molteplici. Occorre partire da due considerazioni di base, generalmente condivise: se da un lato, il legislatore del 1973 sembra non aver prestato troppa attenzione alle tecniche di realizzazione coattiva dei diritti dei lavoratore, dall’altro, il processo del lavoro, per come disciplinato ormai 50 anni fa, è nato come un processo fortemente all’avanguardia per i tempi, come dimostrano le numerose soluzioni elaborate in detto contesto e poi “recepite” e generalizzate dalla riforma che ha interessato il processo civile nel 1990 (l. n. 353/1990). [6]

Ebbene, parte della dottrina[7]  ha da tempo osservato che le ragioni alla base della esclusione si spiegherebbero in ragione della natura del contratto di lavoro quale contratto di durata, in cui l’effetto dissuasivo dell’inottemperanza alla condanna troverebbe la sua sedes già nella disciplina speciale dei rimedi ordinari risarcitori, come avviene, ad esempio, nell’ipotesi del licenziamento previsto dall’art. 18 Stat. Lav..[8]

In altre parole, l’esclusione sarebbe stata motivata sulla base dell’assunto per cui la tutela della posizione debole del creditore-lavoratore nell’obbligazione infungibile sarebbe sufficientemente tutelata già dai rimedi ordinari, quale il risarcimento del danno, che assicura, tra le finalità che gli sono proprie, anche quella coercitiva. Siffatta conclusione viene motivata richiamando la particolare natura dell’obbligazione di lavorare, che è, per sua natura, non solo infungibile ma anche legata al tempo dell’adempimento[9]. Difatti, da un lato il decorso del tempo rende impossibile la prestazione lavorativa ed estingue l’obbligazione che non viene adempiuta se il creditore è in mora,[10] dall’altro, negli illeciti di danno, la continuazione dell’illecito durante il rapporto di lavoro aumenta il danno patito dal lavoratore se la condotta lesiva non cessa. In presenza di queste condizioni, dunque, i principali illeciti che generano obbligazioni giuridicamente infungibili nel rapporto di lavoro (e, quindi, per elencarli, reintegrazione, demansionamento, trasferimento e adibizione a mansioni superiori),[11] sarebbero già sufficientemente arginati attraverso i rimedi ordinari, ossia avvalendosi del risarcimento del danno, nella misura in cui l’autore dell’illecito che produce il danno o non adempie all’obbligo è consapevole che il protrarsi della sua condotta avrà la conseguenza di aumentare la sua responsabilità contrattuale verso il lavoratore.[12]

Tuttavia, far derivare dalla previsione del rimedio sopra richiamato la non necessità di una tutela generale, quale quella prevista dall’art. 614-bis c.p.c., appare riduttivo, essendo, anzi, tale esigenza avvertita nella materia lavoristica da ben prima della riforma[13] che ha introdotto le misure coercitive indirette quale rimedio generale per le controversie civilistiche.

Per di più, a cagione della peculiare natura degli interessi coinvolti nella relazione di lavoro,[14] la materia lavoristica, per molti aspetti, si è mossa addirittura in anticipo su alcuni dei temi al centro dell’odierna riflessione civilistica. Si pensi, a conferma di ciò, come è stato osservato,[15] all’espressa menzione di diverse disposizioni lavoristiche[16] fatta, nel novero delle previsioni che dimostrerebbero come il risarcimento del danno possa già de iure condito assumere una coloratura sanzionatoria, dalla pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione n. 16601/2017.[17] Tra queste, anche l’art. 18, comma 14, l. n. 300 del 1970.

Al riguardo, premesso, infatti, che non si deve “sottovalutare la crescente funzione redistributiva ormai pacificamente attribuita anche al risarcimento del danno, che resta il mezzo privilegiato dall’approccio rimediale o comunque quello più accessibile”[18]  (anzi, del resto, come osservato[19], non è un caso che alla riscoperta della pena privata, che si sta affermando in ambito civilistico, non sia estraneo il diritto del lavoro), ciò non può valere da causa di per se’ sufficiente ad escludere la necessità di altri rimedi che opererebbero, per così dire, su un piano preventivo, spingendo il soggetto obbligato ad adempiere.

4. Proprio il richiamo all’art. 18, comma 14 tra le fattispecie aventi una marcatura sanzionatoria, consente di fare, allora, una riflessione ulteriore. Non solo l’esclusione operata dal legislatore risulta discutibile di per sé, ma essa si scontra con la circostanza per cui il diritto del lavoro conosce – i.e. da un’epoca anche anteriore allo sviluppo delle misure compulsive indirette nell’esperienza comparata, in particolare quella francese[20] – delle forme, speciali, di tutela del lavoratore, aventi natura di astreinte.

In particolare, si tratta delle ipotesi previste all’art. 16 st. lav., in materia di trattamenti economici discriminatori; all’art. 28, penultimo comma, St. Lav.,[21] e, soprattutto, all’art. 18, comma 4, modificato ad opera della l. n. 92/2012 e, al già richiamato art. 18, comma 14.

Proprio l’ultima disposizione citata, prevede, per l’ipotesi di illegittimo licenziamento del sindacalista interno, la condanna del datore di lavoro inottemperante all’ordine di reintegrazione del lavoratore “al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore”,[22] stabilendo l’onere di corresponsione dell’indennità risarcitoria a favore del lavoratore sino alla effettiva reintegrazione.

L’esistenza di previsioni speciali, volte essenzialmente a puntellare il libero esercizio delle prerogative sindacali sul luogo di lavoro, cristallizza ancor più la singolarità della mancata previsione (recte, l’esclusione) di un rimedio generalizzato, pur a fronte dei già ricordati ritocchi operati all’art. 614-bis.[23]

5. In ultima analisi, deve osservarsi come la circostanza per cui in una situazione contrattuale sinallagmatica di diritto civile caratterizzata da squilibrio economico in cui il creditore si rifiuti di ottemperare ad un ordine giudiziale di condanna, il debitore potrà ottenere l’applicazione dell’astreinteal fine di costringere il creditore a adempiere, mentre nella medesima ipotesi, ma nel quadro di una controversia di lavoro questo rimedio sarà del tutto escluso, conclama anche una disparità di trattamento.

Difatti, l’esclusione è tale da porsi in contrasto tanto con il principio di uguaglianza quanto con il principio di necessaria effettività della tutela processuale, principi, questi, espressamente tutelati tanto dalla Costituzione (artt. 3, 24, 103, 113 Cost.), quanto anche dalle fonti sovranazionali.[24]

Tuttavia, nonostante alcuni tentativi in giurisprudenza di superare tale disequilibrio sollevando eccezioni di incostituzionalità sull’inapplicabilità delle misure previste dall’art. 614-bis c.p.c. a garanzia dei diritti del lavoratore, al momento, la giurisprudenza di merito non ha dato ingresso a tale possibilità.[25] Anzi, detta tendenza si rinviene anche nella sentenza n. 29/2019 della Corte Costituzionale che, pure avrebbe potuto sollevare la questione di costituzionalità, ma ha ritenuto di non farlo. In quella occasione, a parere della Consulta, la mancanza di un rimedio equiparabile all’astreinte anche per le controversie del lavoro non sarebbe da considerarsi una lacuna da colmarsi ad opera del giudice delle leggi, bensì del legislatore.[26]

6.Quanto alla previsione di cui all’art. 18 St. Lav., esso ha rivestito una significativa importanza sistemica proprio nel percorso di estensione della nozione di sentenza di condanna anche a sentenze che prevedano prestazioni incoercibili o infungibili e che, di conseguenza, si sottraggono alle regole contenute nel libro III del codice di procedura civile, anche se, ormai, la questione ha perso un po’ di rilevanza a seguito del progressivo restringimento dello spazio di applicazione della tutela reale a favore di quella obbligatoria.[27]

Come è noto, l’ordine di reintegrazione in servizio, con cui il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento del risarcimento del danno, e che segue la dichiarazione di nullità o di invalidità del licenziamento nelle ipotesi assoggettate alla c.d. “tutela reale attenuata” di cui al comma 4 dell’art. 18, non è passibile di esecuzione forzata.[28] Non può infatti aversi esecuzione in forma specifica nel caso di reintegrazione nel posto di lavoro poiché ciò comporta non solo la riammissione del lavoratore nell’azienda (e, dunque, un comportamento che può ricondursi ad un semplice “pati”), bensì anche un ulteriore, ed indispensabile, comportamento attivo del datore di lavoro, di carattere organizzativo e funzionale, e consistente, tra l’altro, nell’impartire al dipendente le opportune direttive, nell’ambito di una relazione di reciproca collaborazione, che è, in quanto tale, infungibile.

Anzi, il problema della (in)eseguibilità in forma specifica dell’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro ha costituito uno dei principali banchi di prova del livello di effettività che il nostro ordinamento è in grado di assicurare alla tutela giurisdizionale.

La stessa giurisprudenza ha messo in evidenza che “ineseguibilità in forma specifica non significa esenzione da qualsiasi sanzione”, come dimostrerebbe la stessa esistenza di strumenti di coercizione indiretta per indurre all’adempimento dell’obbligo datoriale di “far lavorare”, il quale trascende la mera corresponsione della retribuzione.[29]

Proprio per questo, l’utilizzo dello strumento compulsivo indiretto di cui all’art. 614- bis c.p.c. potrebbe garantire la pienezza e l’effettività della tutela reale, destinata altrimenti a rimanere “sulla carta”.[30]

Restano altre ipotesi che varrebbe la pena di richiamare perché danno conto degli inconvenienti dell’assenza di un rimedio generalizzato: la tutela reale conseguente al licenziamento illegittimo e il demansionamento e trasferimento illegittimo del dipendente. Il tempo impostomi non mi consente però di trattarne.

[1] Intervento al Convegno “L’eterna giovinezza del processo del lavoro alla prova della riforma Cartabia”, tenutosi a Frosinone l’8.02.2024, in occasione del quale è stato presentato il volume Il processo del lavoro – Cinquant’anni dopo (1973-2023), (a cura di) I. Piccinini, A. Pileggi, Sassani, P. Sordi, Giappichelli, 2023.

[2] Ove si è assistito al passaggio, sia pure non completo, da una tecnica di tipo restitutorio, per lungo tempo ritenuta cifra distintiva della materia, ad una logica di tipo risarcitorio o indennitario. Per una più diffusa trattazione in tema v.  VALLEBONA, La riforma del lavoro – 2012, Giappichelli, 2012; GIORGETTI, Jobs act I e II – Prospettive applicative, Pacini, 2015.

[3] ARMONE, Principio di effettività e diritto del lavoro, in questionegiustizia it, 2018; DE SIMONE, L’effettività del diritto del lavoro come obiettivo e come argomento. La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, tra interventismo e self-restraint, in LD, 2014, 2/3, 507 ss.; CANNATI, Bisogni, rimedi e tecniche di tutela del prestatore di lavoro, in DLRI, 2012, 1, 129 ss..

[4] V., rispettivamente, art. 49 l. 18 giugno 2009, n. 69 e art. 13 d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. con l. 6 agosto 2015, n. 132; infine, v. la riforma introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.

[5] SALVAGNI, L’art. 28 dello Statuto: strumento cardine di tutela dell’azione sindacale e l’efficacia coercitiva dell’astreinte ex art. 614-bis c.p.c., in Il processo del lavoro – Cinquant’anni dopo (1973-2023), cit., 414 ss.

[6] Si pensi all’introduzione nel 1973 di previsioni fortemente all’avanguardia, per l’epoca, quali l’esecuzione provvisoria della sentenza, l’esecutività del solo dispositivo, in virtù del modello emergente dagli art. 429 e 430 e 431 c.p.c.; la disciplina speciale dell’inibitoria ex art. 431 c.p.c.; gli strumenti di anticipazione della tutela di condanna con prevalente funzione esecutiva (v. le ordinanze anticipatorie ex art. 423 c.p.c.).

[7] VALLEBONA, La misura compulsoria per la condanna incoercibile, in Mass. Giur. Lav., 2009, 7, 568.

[8] Cass. S.U. 15 marzo 1982 n. 1669, Foro It., 1982, I, 985, con nota di PROTO PISANI e in Giust. civ., 1982, I, 1825, che attribuiva al pagamento delle retribuzioni anche una funzione di misura coercitiva indiretta patrimoniale dell’ottemperanza all’ordine di reintegrazione. Lo stesso concetto è espresso anche da MAZZAMUTO, La comminatoria di cui all’art. 614-bis cod. proc. civ. e il concetto di infungibilità processuale, in Europa dir. priv., 2009, 971.

[9] In questi termini, FRATINI, Astreintes e diritto del lavoro durante il covid-19, in Judicium it, 2020, 2 ss..

[10] LISO, Osservazioni sulla mora del creditore nel rapporto di lavoro, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ. 1974, 1062 ss..

[11] Sul punto si veda FRATINI, Astreintes e diritto del lavoro, cit., 3 ss.. Per un prospetto riassuntivo degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia di coercibilità dell’ordine di reintegra del lavoratore cfr. LOMBARDI, Coercibilità dell’ordine cautelare di reintegra del lavoratore nei confronti del datore di lavoro pubblico, in Giur. Merito, 2007, 677.

[12] In questo senso VALLEBONA, La misura compulsoria per la condanna incoercibile, in Mass. Giur. Lav., 2009, 7, 568 ss., ritiene che sia corretta la decisione del legislatore di escludere la materia di lavoro dall’applicazione del 614-bis. Sul tema, si veda anche D’ALESSANDRO, La condanna ex art. 614-bis nello spazio giudiziario europeo, in AA.VV., Il processo esecutivo, Liber amicorum Romano Vaccarella, (a cura di) CAPPONI, SASSANI, STORTO, TISCINI, Utet, 2014, 936.

[13] Sul punto si veda CAPPONI, Astreintes nel processo civile italiano?, in Giust. Civ., 1999, 157, richiamato da FRATINI, Astreintes e diritto del lavoro, cit.

[14] Cfr. MAZZOTTA, Danno alla persona e rapporto di lavoro: qualche domanda, politicamente non corretta, alla giurisprudenza, in LD, 2004, 2, 439 ss.

[15] BIASI, L’esclusione lavoristica dalla misura coercitiva indiretta ex art. 614-bis c.p.c.: un opportuno ripensamento, Lavoro Diritti Europa, 2020, 2.

[16] V. art. 18, comma 2, l. n. 300 del 1970; art. 28, comma 2, d.lgs. 81 del 2015 (già art. 32, commi 5-7, l. n. 183 del 2010); art. 28 d.lgs. n. 150/2011.

[17] Cass. Sez. Un., 5 luglio 2017, n. 16601, in G. it., 2017, p. 1787 ss., con  nota di DI MAJO, Principio di legalità e di proporzionalità nel risarcimento con funzione punitiva, e in Corr. Giur., 2017, 1042 ss., con il commento di CONSOLO, Riconoscimento di sentenze, specie USA e di giurie popolari, aggiudicanti risarcimenti compensativi o comunque sopracompensativi, se in regola con il nostro principio di legalità (che postula tipicità e financo prevedibilità e non coincide con il, di norma presente, due process of law), in Danno e Resp., 2017, 419 ss., con note, tra gli altri, di MONATERI, Le Sezioni Unite e le funzioni della responsabilità civile, PONZANELLI, Polifunzionalità della responsabilità civile tra diritto internazionale privato e diritto privato; in Foro it., 2017, 435 ss., con note di PALMIERI, PARDOLESI, I danni punitivi e le molte anime della responsabilità civile; per l’ordinanza di rimessione Cass., ord., 16 maggio 2016, n. 9978, in Foro it., 2016, 1, 1982, con nota di D’ALESSANDRO, Riconoscimento in Italia di danni punitivi; GRONDONA, L’auspicabile “via libera” ai danni punitivi, il dubbio limite dell’ordine pubblico e la politica del diritto di matrice giurisprudenziale (a proposito del dialogo tra ordinamenti e giurisdizioni), in Dir. civ. cont. (rivista online), 31 luglio 2016.

[18] TULLINI, Effettività dei diritti fondamentali del lavoratore: attuazione, applicazione, tutela, in DLRI, 2016, 2, 300; DE ANGELIS, Diritto del lavoro e tutela risarcitoria: un fugace sguardo tra passato e presente, in ADL, 2017, 3, 605 ss.; cfr. VALLEBONA, Tutele giurisdizionali e autotutela individuale del lavoratore, Cedam, Padova, 1995, 3, secondo cui il principio di effettività può trovare realizzazione anche attraverso la tutela per equivalente.

[19] Si veda BIASI, L’esclusione lavoristica dalla misura coercitiva indiretta, op. cit., 3.

[20] Come rileva DE ANGELIS, La nuova misura coercitiva e le controversie di lavoro, in FI, 2011, 1, 5, 18, lo sviluppo dell’astreinte in Francia si deve ad una legge del 1972 (Loi n. 72-626 du 5 juillet 1972) e, dunque, di un’epoca, sia pure di poco, successiva allo Statuto dei Lavoratori italiano.

[21] Per un commento alla normativa, si rimanda a FALSONE, Tecnica rimediale e art. 28 dello Statuto dei lavoratori, in Lavoro e Diritto, 2017, 3-4, 1 ss.

[22] Sul punto, si veda la nota di SCOFFERI, Non far lavorare il sindacalista reintegrato costa il doppio, in Diritto & Giustizia, 2014, 16, il quale afferma che il diritto del lavoratore a svolgere la propria attività, e non solo a percepire la relativa retribuzione, è concetto che si basa sulla stessa Costituzione, che qualifica il lavoro quale strumento non solo di sostentamento ma, altresì, di accrescimento della professionalità e di affermazione dell’identità del lavoratore a livello sia individuale che nel contesto sociale. Ebbene, ottemperare all’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro non può significare limitarsi a pagare la retribuzione, bensì deve comportare il ripristino del “rapporto nella sua pienezza, consentendo l’esercizio dell’attività lavorativa”. Si veda anche Cass. 18 giugno 2012, n. 9965, in Giur. It., 2013, 1, 116, con nota di A. D. DE SANTIS, La reintegrazione nel posto di lavoro dei sindacalisti interni: un esempio di effettività della tutela giurisdizionale.

[23] così A.D. DE SANTIS, La realizzazione coattiva dei diritti dei lavoratori, in Il processo del lavoro compie 50 anni, (a cura di) CARABELLI, DALFINO, Riv. Giur. lav. prev. soc., 2023, 163 ss.

[24] Di ciò si mostra consapevole anche la giurisprudenza. Difatti, sia la Corte di Cassazione, sia la Corte Costituzionale sono perfettamente consce di questo squilibrio, come si evince dalle loro pronunce n. 2990/2018 e n. 29/2019. Tuttavia, scelgono di non risolverlo in modo lineare e definitivo, deducendo che il compito di colmare tale deficit non spetti ad una pronuncia di incostituzionalità ma al legislatore.

[25] In tal senso, si veda Trib. Milano 19 dicembre 2018, in Arg. dir. lav., 2019, 3, 683, ove era stata richiesto al giudice di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 614-bis c.p.c. in una fattispecie di dequalificazione professionale in cui vi era una domanda di pagamento di una somma di denaro sino all’effettivo adempimento dell’ordine giudiziale di reintegrazione nelle mansioni.

[26] Così SALVAGNI, L’art. 28 dello Statuto: strumento cardine di tutela dell’azione sindacale e l’efficacia coercitiva dell’astreinte ex art. 614-bis c.p.c, cit., 414 ss.

[27] Ma anche perché, come osservato da A.D. DE SANTIS, La realizzazione coattiva dei diritti dei lavoratori, cit., 165, il tessuto imprenditoriale italiano è fatto di piccole e medie imprese che, ancorché in grado di raggiungere il requisito dimensionale, rappresentano realtà ancora di tipo familiare e in cui il lavoratore, anche nei casi in cui ha diritto alla reintegra, preferisce l’equivalente monetario.

[28] Nonostante qualche risalente pronuncia di senso contrario, per giurisprudenza consolidata “l’esecuzione in forma specifica è possibile per le obbligazioni di fare di natura fungibile, mentre la reintegrazione nel posto di lavoro comporta non soltanto la riammissione del lavoratore nell’azienda (e cioè un comportamento riconducibile ad un semplice “pati”) ma anche un indispensabile ed insostituibile comportamento attivo del datore di lavoro di carattere organizzativo – funzionale, consistente, fra l’altro, nell’impartire al dipendente le opportune direttive, nell’ambito di una relazione di reciproca ed infungibile collaborazione”. Così Cass. 30 luglio 2014, n. 17372, in Foro it; nello stesso senso, v. Cass. 12 maggio 2004, n. 9031, in GC, 2004, I, 2273; Cass. 6 maggio 1999, n. 4543, in NGL, 2000, 98; Cass. 11 gennaio 1990, n. 46, in GC, 1990, I, 947, con nota di SASSANI, Ripristino del trattamento retributivo, cessazione della materia del contendere e incoercibilità dell’ordine di reintegrazione ex art. 18 st. lav.; Cass. 4 settembre 1990, n. 9125; Cass. 15 luglio 1980, n. 4853, in FI, 1980, 1, 2421. V., anche in dottrina, di recente, IANNIRUBERTO, Sull’incoercibilità dell’ordine di costituzione del rapporto: quale tutela per il lavoratore?, in LDE, 2018, 2, 5.

[29] Si vedano, in questo senso, le osservazioni di BIASI, L’esclusione lavoristica dalla misura coercitiva indiretta ex art. 614-bis, cit., che riprende Cass. 30 luglio 2014, n. 17372, cit.; cfr. anche Cass. 18 giugno 2012, n. 9966, in GI, 2013, 4, 875, ripresa anche da BARBIERI, Statuto e tutele contro i licenziamenti illegittimi. erosione e necessità della reintegrazione, in RGL, 2020, 1, 87.

[30] Cfr. ZOLI, La tutela delle posizioni “strumentali” del lavoratore. Dagli interessi legittimi all’uso delle clausole generali, Giuffrè, 1988, 354; v., sul punto, PERSIANI, La residua tutela reale del lavoratore illegittimamente licenziato e la recente giurisprudenza, in ADL, 2020, 2.