Riforma del processo della famiglia, minorenni e persone e poteri officiosi del giudice.

Di Beatrice Ficcarelli -

Sommario: 1. Note introduttive. 2. I precedenti della riforma: un quadro di insieme. – 3. Le nuove norme sul processo di famiglia e la “consacrazione” dei poteri d’ufficio attribuiti al giudice: i poteri che incidono sulla domanda ed i poteri istruttori. – 4. I provvedimenti temporanei ed urgenti (art. 473-bis.22 c.p.c.) ed indifferibili (art. 473- bis.15 c.p.c.). – 5. Il potere officioso di nomina del curatore speciale del minore. – 6. I poteri officiosi relativi all’esecuzione/attuazione dei provvedimenti. – 7. I poteri officiosi nelle ipotesi di violenza domestica o di genere. – 8. I poteri officiosi nell’ambito del procedimento speciale di convalida delle misure di pubblica autorità a favore dei minori ex art. 403 c.c. (brevi cenni). – 9. L’invito alla mediazione familiare.

1. Col decreto legislativo 10 ottobre 2022, n°149, in attuazione della legge delega n°206 del 2021, il legislatore ha introdotto nel sistema del codice di procedura civile oltre settanta articoli di nuovo conio recanti la disciplina di un procedimento uniforme per le controversie in materia di stato delle persone, famiglia, e minorenni valevole tendenzialmente per tutti i procedimenti familiari contenziosi, salvo espressa deroga di legge, di competenza del tribunale ordinario, dei minorenni e giudice tutelare. Ne restano esclusi solamente i procedimenti di adozione e quelli di competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione. Il riferimento è, pertanto, ai giudizi di separazione, divorzio, affidamento e mantenimento figli nati fuori del matrimonio, ai procedimenti de potestate, ma anche ai procedimenti di stato quali, ad esempio, il disconoscimento di paternità, l’impugnazione del riconoscimento, l’accerta­mento giudiziale di maternità e paternità, la contestazione e il reclamo dello stato di figlio, nonché il mutamento di sesso. Sono ricompresi anche i procedimenti per la nomina dell’amministratore di sostegno. Si tratta, così, di un ambito di applicazione estremamente ampio e multiforme. L’importanza di una tale scelta normativa risiede non solo nell’aver semplificato e razionalizzato il sistema complessivo della tutela dei diritti in ambito familiare, ambito fino ad oggi caratterizzato da una pluralità di riti e procedimenti applicabili l’uno differente dall’altro (soprattutto il rito ordinario ed il procedimento camerale, oltre al modello processuale attuato dai tribunali per i minorenni), ma anche nell’aver previsto, al suo interno, ampie garanzie e nuovi strumenti soprattutto a tutela dei minori; il tutto nel quadro della più ampia riforma di rilievo ordinamentale finalizzata alla creazione di un tribunale unico per le persone, i minorenni e le famiglie, volta anche ad eliminare i persistenti problematici profili di riparto di competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni attualmente disciplinati nel rinovellato art. 38 disp. att. c.c[1].

Le disposizioni di cui si tratta sono rappresentate dalle nuove norme di cui all’art. 473-bis ss. c.p.c. inserite nel Titolo IV bis rubricato “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, del II libro del codice di procedura civile, le quali danno vita ad un rito speciale a cognizione piena sostitutivo rispetto a quello ordinario che affianca, nello stesso libro, il rito lavoro nonché il nuovo procedimento semplificato di cognizione di cui all’art. 281- decies c.p.c.  Il legislatore conferisce dunque una nuova dignità processuale ai procedimenti  familiari in senso lato, giusta la nuova collocazione normativa.

Il Titolo IV bis si divide, a sua volta, in Capi e Sezioni.  Sono previste infatti al Capo I alcune disposizioni generali, al Capo II le norme sul procedimento, mentre il Capo III detta alcune disposizioni speciali per singoli procedimenti per il tramite di sezioni specifiche, dato il vasto ambito di applicazione delle norme in commento.

Le principali caratteristiche del rito si ricavano proprio dalla lettura delle “Disposizioni generali” da cui l’interprete può farsi guidare al fine di comprenderne ratio e struttura. Il riferimento è, in particolare, all’art. 473-bis.2 dedicato significativamente ai “Poteri del giudice”.

La riforma Cartabia ridisegna infatti il ruolo del giudice nel contenzioso familiare, delineando un giudice attivo, dotato di ampi poteri di direzione processuale, formale e materiale i quali si esplicano in ogni ambito che comporti la tutela dei soggetti più deboli.

Sulla tutela degli stessi il legislatore concentra primariamente la propria attenzione, ritenendo che il giudice possa e debba esercitare d’ufficio poteri di vasta gamma che coprono la fase di cognizione, della cautela ed anche dell’esecuzione/attuazione dei suoi provvedimenti.

Si tratta di un aspetto che ha immediatamente suscitato ampie critiche, potendo in tal modo il processo assumere una “marcata impronta inquisitoria”[2], anche considerati gli ampi poteri acquisiti dal pubblico ministero per effetto del nuovo art. 473-bis.3, norma parimenti collocata nelle disposizioni generali.

Nelle pagine che seguono cercheremo di enucleare i principali poteri officiosi del nuovo giudice della famiglia attraverso i più significativi momenti processuali in cui il rito unificato si snoda, in continuità con un passato in cui tale linea era già stata in gran parte tracciata.

2. I precedenti della riforma: un quadro di insieme.

Come anticipato, la riforma del processo civile arricchisce il ruolo del giudice nel contenzioso della famiglia.

A quei poteri che già la normativa previgente, in maniera più o meno esplicita, prevedeva, se ne aggiungono ora altri, variamente contenuti sia in norme di portata generale che in disposizioni specifiche riguardanti particolari materie o questioni che le controversie familiari nella loro accezione più ampia variamente presentano.

I procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie sono sempre stati caratterizzati dall’accentuata aspirazione di addivenire, per quanto possibile, ad un accertamento pieno dei fatti o alla ricerca della c.d. “verità materiale” [3] in virtù dei particolari diritti che con tali procedimenti si intendono tutelare.

Se a questo obiettivo si dirige anche il processo per le controversie ordinarie, nel contenzioso familiare quell’esigenza è infatti stata sempre più avvertita perché i diritti che vi si fanno valere presentano in gran parte carattere indisponibile. L’intervento obbligatorio del pubblico ministero ai sensi dell’art. 70 c.p.c. per finalità di natura pubblicistica lo conferma [4].

Dalla specialità di tali giudizi si è fatta così, anche nel passato, derivare la devianza di molte norme dal loro percorso ordinario o addirittura da principi che regolano istituti processuali.

Secondo i più consolidati approdi della dottrina e della Corte di cassazione in materia [5], il giudice della crisi familiare è potuto arrivare ad assumere provvedimenti diversi, e finanche contrari, rispetto a quelli richiesti dalle parti non solo di carattere personale, inerenti all’af­fidamento, al collocamento o alle modalità di frequentazione dei figli minori, ma più in generale tutte le misure atte a disciplinare l’educazione, l’istruzione ed il mantenimento degli stessi. E l’utilizzo di poteri officiosi è stato, in questo ambito generale, ritenuto privo di vincoli temporali o sistematici e si è sviluppato in ogni contesto processuale che abbia visto in discussione i diritti esistenziali del minore, indipendentemente dalla natura decisoria o soltanto istruttoria del provvedimento e dal suo grado di stabilità, valendo identicamente per provvedimenti definitivi ovvero provvisori [6]. Ciò aveva già condotto ad affermare che, quantomeno con riferimento ai provvedimenti relativi alla prole minorenne, doveva considerarsi consentito il superamento del principio della domanda (art. 99 c.p.c.), andato incontro ad una sorta di “sterilizzazione” [7], con deroga, correlativamente, anche al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c..

Il giudice sarebbe sempre stato svincolato, così, dalle allegazioni delle parti dovendo adottare la decisione ritenuta più opportuna nell’interesse dei figli, con ampia discrezionalità nella determinazione del contenuto del provvedimento, e il thema decidendum, interamente ricalcato sui provvedimenti nell’interesse dei figli minori.

In linea generale, le norme sulle quali si è fatto leva, prima della attuale riforma, per giustificare l’esercizio di poteri officiosi dal parte del giudice in seno ai procedimenti della famiglia, sono state rappresentate anzitutto dall’art. 337-ter commi 2 e 6 c.c. nelle parti in cui si afferma che “il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”; “adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole”; “ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione anche se intestati a soggetti diversi”.

Sul versante istruttorio la disposizione di riferimento era poi rappresentata dall’art. 337-octies c.c. rubricata, non a caso, “Poteri del giudice e ascolto del minore”, secondo la quale “prima dell’emanazione anche in via provvisoria dei provvedimenti di cui all’art. 337-ter il giudice può assumere ad istanza di parte o d’ufficio mezzi di prova”.

Gli artt. 337-ter e 337-octies c.c. ribadivano, peraltro, lo stesso “concetto” espresso dalla normativa sul divorzio all’art. 5, comma 9, legge div. ma con una formula più ampia (non richiedendosi il requisito della contestazione che invece la legge sul divorzio medesima richiama). Secondo tale norma – la cui applicabilità è stata presto estesa anche al giudizio di separazione [8] – i coniugi debbono presentare all’u­dienza di comparizione la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa al loro patrimonio personale e comune e, in caso di contestazione, il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria.

Era stato però abrogato dalla riforma sulla filiazione del 2013 per effetto del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, l’art. 6, comma 9 legge div. in cui l’esistenza di poteri officiosi del giudice era espressa in modo chiaro laddove si sottolineava che “il giudice nell’emanare i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento, deve tener conto dell’accordo tra le parti e che i provvedimenti possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l’assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d’ufficio dal giudice, ivi compresa, quando sia strettamente necessario in considerazione della loro età, l’audizione dei figli minori”. La legge della filiazione ha pertanto “consacrato” l’esistenza di poteri officiosi del giudice laddove si dovessero adottare provvedimenti riguardanti persone minori di età sia pur utilizzando un linguaggio non espresso in tal senso che invece il legislatore del divorzio aveva inteso fare proprio [9].

Si aggiunga che i poteri officiosi – se non a questo punto tecnicamente “inquisitori” – del giudice della famiglia [10] sono stati ritenuti “coniugabili” con il principio dispositivo in tema di prove giacché tale ampiezza di poteri sarebbe stata temperata, da un lato, dalla necessità di instaurazione del contradditorio anche nell’ambito dell’esame delle risultanze istruttorie e, dall’altro, dal riconoscimento del diritto delle parti di formulare esse stesse istanze istruttorie.

In particolare, le parti sono sempre poste nella condizione di partecipare all’assunzione delle prove e di fornire prova contraria producendo documenti o chiedendo l’escussione di persone informate sui fatti.

La maggiore ampiezza dei poteri inquisitori, ove si discutesse dell’as­segno per i figli, si apprezzava anche in relazione al fatto che, secondo l’art. 337-ter c.c., potevano essere sottoposti ad accertamenti beni intestati a terzi, simulati acquirenti o intestatari fiduciari, dei beni di uno dei coniugi.

Di conseguenza, al giudice, nei procedimenti “separativi” e di divorzio, sono stati progressivamente riconosciuti non solo poteri di direzione del processo ma poteri in materia di trattazione e di istruzione della causa tanto che, a tutela del coniuge debole così come dei figli, esso ha potuto disporre d’ufficio i mezzi di prova che ritenesse rilevanti e concludenti, sempre nei limiti dei fatti costitutivi delle pretese e delle eccezioni dedotte dalle parti, quando si controverteva sull’assegno per il coniuge [11].

Si tratta, in ultima analisi, di quei poteri di direzione materiale del procedimento destinati ad incidere sul rapporto giuridico processuale o sostanziale vale a dire non solo sull’andamento del processo ma anche sul suo ambito[12].

A ciò si aggiunga il potere del giudice di disporre la consulenza tecnica d’ufficio come “mezzo di prova”, sia quella di carattere psicodiagnostico per i diritti di carattere personale che la perizia preposta a ricostruire il patrimonio ed i redditi dell’obbligato relativamente ai diritti economici. Si tratta, come ben noto, di uno strumento endo-processuale talvolta indispensabile nei giudizi della crisi familiare per offrire al giudice i necessari elementi di valutazione. La consulenza tecnica ha assunto così spiccate e preminenti finalità istruttorie attraverso le quali ha avuto modo espandersi l’iniziativa officiosa nel processo su situazione indisponibile [13].

Non soltanto. Sempre in base all’art. 5, comma 9 legge div. nella parte in cui la norma, considerata, lo si ricorda, applicabile anche alla separazione, afferma che i coniugi debbono presentare all’udienza di comparizione la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa al loro patrimonio personale e comune, alcune prassi giudiziarie avevano da tempo introdotto specifiche modalità definite di disclosure in capo alle parti.

Per far ciò taluni tribunali avevano rafforzato il contenuto del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza con un ordine di produzione documentale oppure di autodichiarazioni certificate e sostitutive di notorietà indicative di tutte le fonti di redditi e tipologie di beni mentre altre volte si è operato nello stesso modo ma durante lo svolgimento della prima udienza di comparizione innanzi al giudice istruttore; si imponeva così, anche qui, una disclosure corredata di potenziali conseguenze in caso di mancata, reticente, parziale o non veritiera dichiarazione (ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c.) e/o ai fini delle spese giudiziali [14].

In questa ricerca ha certamente svolto un ruolo di primo piano l’“ob­bligo di collaborazione” dei coniugi implicante il loro dovere di mettere a disposizione dell’ufficio tutti gli elementi di valutazione della loro complessiva situazione economica (art. 5, comma 9, legge div.), ovvero un dovere di verità che, ove disatteso, doveva essere valutato come comportamento rilevante per desumerne argomenti di prova e per fondare il convincimento del giudice.

L’obbligo di produzione delle ultime dichiarazioni dei redditi presentate dai coniugi di cui agli artt. 706, comma 3, c.p.c. e 4, comma 6, legge div., quale unico effettivo onere di produzione documentale in limine litis al fine di consentire al presidente di emanare con cognizione di causa i provvedimenti temporanei ed urgenti difatti, non è mai stato considerato sufficiente ad acclarare l’effettiva situazione patrimoniale della parte gravata dell’obbligo di mantenimento. Come subito efficacemente chiarito, le dichiarazioni dei redditi, in quanto svolgono una funzione tipicamente fiscale, in una controversia relativa a rapporti estranei al sistema tributario non rivestono valore vincolante per il giudice, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può disattenderle, fondando il suo convincimento su altre risultanze probatorie [15].

Il dato rimarchevole e problematico è che i succitati poteri sono stati esercitati con vari mezzi, stabilendo oneri in capo alle parti ma anche attraverso l’istituto dell’esibizione documentale che nel sistema processuale trova, come noto, la propria disciplina nell’art. 210 c.p.c. creando seri problemi di coordinamento, in assenza di un dato normativo chiaro, con i limiti imposti dalla norma, principalmente quello dell’istanza di parte. L’esibizione processuale, è collocata, non a caso, tra i mezzi di prova a disposizione delle parti in base al principio dettato dall’art. 115 c.p.c. e non già, a differenza dell’ispezione – cui peraltro la disciplina esibitori rimanda –, tra i “Poteri del giudice” [16].

3. Le nuove norme sul processo di famiglia e la “consacrazione” dei poteri d’ufficio attribuiti al giudice: i poteri che incidono sulla domanda ed i poteri istruttori.

Di tutte le sovraesposte esigenze e tendenze si sono fatte espressamente portavoce le nuove norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie attuate dal d.lgs. n. 149 del 2022 che consacrano inequivocabilmente il percorso evolutivo sopra tracciato.

Nell’alveo del neo rito unificato di cui all’art. 473-bis.11 ss. c.p.c., modulo processuale ispirato a criteri di rapidità ed efficacia, è prevista anzitutto la norma di portata diremmo generale, l’art. 473-bis.2 c.p.c. rubricata appunto “Poteri del giudice”, secondo la quale “a tutela dei minori il giudice può d’ufficio nominare il curatore speciale nei casi previsti dalla legge, adottare i provvedimenti opportuni in deroga all’art. 112 e disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria”.

Al secondo comma si prevede poi che “con riferimento alle domande di contributo economico, il giudice può anche d’ufficio ordinare l’inte­grazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria”.

Per il tramite della disposizione succitata, la riforma arriva così anzitutto a canonizzare, nei casi riguardanti minori di età, la deroga al basilare principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, poiché il giudice non è vincolato alle domande svolte dalle parti dovendo adottare la decisione ritenuta più opportuna nell’interesse dei figli a prescindere dalle deduzioni dei genitori. Il thema decidendum è ricalcato interamente sui provvedimenti nell’inte­resse di figli minori per i quali i principi di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c. non vigono [17].

Circa il potere officioso del giudice di ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti, la disposizione deve essere letta in combinato disposto con l’art. 473-bis.12, comma 3, c.p.c. in cui si afferma che in caso “di domande di contributo economico o in presenza di figli minori” al ricorso vanno allegati “a) le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni; b) la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali; c) gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni”.

L’odierna riforma del processo di famiglia predilige e offre infatti dignità normativa a quelle prassi cd. di automatic disclosure già variamente sperimentate in giurisprudenza e, solo nel caso in cui la documentazione depositata dalle parti si riveli insufficiente o incompleta, attribuisce al giudice il potere officioso di disporne l’integrazione.

Le nuove norme impongono pertanto alle parti di giocare per così dire “a carte scoperte”, tanto che, qualora ciò non accada, offrono al giudice il potere di approfondire la propria conoscenza a fini di accertamento in merito ai redditi ed alle sostanze delle parti, al fine di adottare la decisione più opportuna relativa al mantenimento dei figli.

In aggiunta, e diremmo a conferma, il nuovo art. 473-bis.18, c.p.c., rubricato “Dovere di leale collaborazione”, dispone che il comportamento della parte che rispetto alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete è valutabile ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c., dell’art. 92, comma 1, e dell’art. 96 c.p.c., in tal modo determinando specificamente il tipo di sanzione in cui incorre la parte che non rispetta l’obbligo di allegazione della documentazione richiesta dall’art. 473-bis.12, comma 3, c.p.c. [18].

Gli stessi obblighi gravano sul convenuto. Il nuovo art. 473-bis.16 c.p.c. dispone infatti che la comparsa di risposta deve contenere le indicazioni previste dagli artt. 167 e l’art. 473-bis.12, commi 2, 3 e 4, c.p.c., ossia la medesima documentazione allegata dall’attore.

Sul versante istruttorio, pertanto, la riforma del processo di famiglia conferisce al giudice il potere di disporre d’ufficio mezzi di prova a tutela dei minori, “anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile”, sempre garantendo il contraddittorio e il diritto alla prova contraria, disciplinando i poteri istruttori officiosi di indagine patrimoniale. Si utilizza qui, com’è evidente, la stessa espressione utilizzata dall’art. 421 c.p.c. per i poteri istruttori officiosi del giudice nel processo del lavoro, riproponendo il problema interpretativo già e subito sollevato dalla norma suddetta. In relazione alla stessa, val la pena di ricordare che se il codice di procedura civile del 1942 precisava che il potere di superare i limiti stabiliti dal codice civile era limitato alla prova testimoniale – nel senso che il giudice può disporla senza limiti di valore ed anche in contrasto con l’atto scritto in deroga agli artt. 2721, 2722 e 2723 c.c. – l’art. 421 c.p.c. consente in generale il superamento di tutti i limiti del codice civile. Si è subito ritenuto tuttavia che, in concreto, anche nell’attuale sistema, i limiti che possono essere superati riguardano la sola prova testimoniale perché gli altri limiti stabiliti dal codice civile si fondano sul modo di essere della situazione sostanziale. Ragion per cui, ad esempio, la confessione ed il giuramento non sono ammissibili in caso di indisponibilità oggettiva e soggettiva del diritto cui i fatti si riferiscono. In sostanza, si ritiene che l’art. 421 c.p.c. consenta il superamento dei soli limiti processuali all’ammissione della prova non anche dei limiti sostanziali derivanti dalla disciplina sostanziale del diritto al quale si riferisce il fatto oggetto di prova [19]. Nel processo del lavoro, tuttavia, il giudice può articolare la prova sulla base di una fonte materiale di prova già indicata dalla parte rimanendo pertanto vincolato alle allegazioni delle parti medesime come tema di prova, mentre nei procedimenti familiari con figli minori, come detto, il principio della domanda subisce una “compressione”. Su questa linea, la Commissione Luiso, nei lavori prodromici alla riforma Cartabia, aveva previsto che il giudice avesse la possibilità di adottare provvedimenti istruttori, con espressa estensione, qualora oggetto del giudizio fosse una domanda relativa alla determinazione o esecuzione del contributo economico a favore di una delle parti del giudizio, dei poteri previsti dagli artt. 337-ter, ultimo comma, c.c. e 5, comma 9, legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché di autorizzare l’accesso all’archivio dei rapporti finanziari di cui all’art. 155-quinquies disp. att. c.p.c., e di autorizzare il creditore alla ricerca dei beni con modalità telematiche ai sensi dell’art. 155-sexies del medesimo r.d. 18 dicembre 1941, n. 1368. Con altresì possibilità per il giudice di emettere provvedimenti inaudita altera parte, salva la necessità di garantire il contraddittorio, seppure differito.

Circa, infine, il potere di disporre l’esibizione documentale d’ufficio, si tratta evidentemente della consacrazione della già evidenziata prassi di alcuni tribunali di disporre la produzione di documenti nei procedimenti di separazione e di divorzio anche sub specie di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. nonostante la stessa sia di per sé disponibile solo su istanza di parte secondo l’indice di tale norma che delinea la fisionomia dell’istituto. Dalla lettera e collocazione della normativa generale dell’esibizione processuale si ricava infatti, ed anzitutto, l’impossibilità per il giudice di disporla d’ufficio in qualsivoglia tipo di processo considerato, del resto, che il potere istruttorio di ufficio da parte del giudice può essere esercitato solo nei casi tassativamente stabiliti dalla legge, a pena di violare il principio della disponibilità delle prove (dettato dal già ricordato art. 115 c.p.c.). Ecco che, il novello legislatore interviene in tal senso espressamente a disporla a tutela dei minori ed in virtù degli interessi pubblicistici sottesi, ponendo fine al dibattito [20].

4. I provvedimenti temporanei ed urgenti (art. 473-bis.22 c.p.c. ed indifferibili (art. 473-bis.15 c.p.c.)

Trattandosi di materia in cui occorre assicurare la difesa di parti titolari di diritti sensibili è stabilito (analogamente a quanto dettato dalla normativa previgente per l’u­dienza presidenziale ex art. 708 c.p.c.) anzitutto che il giudice possa adottare i provvedimenti temporanei ed urgenti che reputi opportuni nell’in­teresse delle parti, nel limite delle rispettive domande e anche d’ufficio per i minori, per i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e per i figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104, che costituiscono titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, disciplinando il regime della loro reclamabilità.

Ai sensi dell’art. 473-bis.22, comma 1, c.p.c., infatti, se all’udienza fissata per la comparizione delle parti la conciliazione non riesce, il giudice sentite le parti e i rispettivi difensori e assunte ove occorra sommarie informazioni, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti che ritiene opportuni nell’interesse delle parti, nei limiti delle domande da queste proposte, e dei figli.

A norma dell’art. 473-bis.24 c.p.c., avverso tali provvedimenti è certamente proponibile reclamo con ricorso alla corte d’appello.

Il reclamo è ammesso anche contro i provvedimenti emessi in corso di causa che sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell’af­fidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l’affida­mento a soggetti diversi dai genitori.

Vera ed importante novità della riforma è poi l’art. 473-bis.15 c.p.c. il quale prevede che i suddetti provvedimenti provvisori ed urgenti possano essere emessi inaudita altera parte dal presidente o dal giudice da lui delegato in caso di pregiudizio imminente e irreparabile o quando la convocazione delle parti, cioè la previa instaurazione del contraddittorio, “potrebbe pregiudicare l’attuazione dei provvedimenti” che evidentemente rappresentano, sul piano tecnico, i due presupposti cui la riforma ha ancorato la possibilità di emettere i provvedimenti provvisori ed urgenti inaudita altera parte.

Come subito rimarcato in dottrina [21], il primo di questi due requisiti coincide perfettamente con quello previsto dall’art. 669-sexies, comma 2, c.p.c. con riguardo alla tutela cautelare ordinaria, e fa riferimento, verosimilmente, ad eventuali provvedimenti provvisori a carattere conservativo, laddove si corra il rischio che a causa dell’instaurazione del contraddittorio la controparte venga a conoscenza della misura provvisoria richiesta e modifichi lo status quo al fine di renderla concretamente inattuabile. Il secondo requisito parrebbe far riferimento, invece, a possibili misure a carattere anticipatorio, rispetto alle quali vi sia la necessità di neutralizzare il rischio di un pregiudizio imminente e irreparabile connesso alla previa instaurazione del contraddittorio. Si tratta dello stesso requisito che l’art. 700 c.p.c. prevede per la concessione dei provvedimenti d’urgenza, benché anche per questi ultimi l’art. 669-sexies, comma 2, c.p.c. richieda che per essere autorizzati inaudita altera parte vi sia il pericolo che “la convocazione della controparte [possa] pregiudicare l’attuazione del provvedimento”.

Si tratta, com’è evidente, di un’ampia manifestazione di potere officioso del giudice della famiglia che la riforma ha inteso potenziare, aumentandone l’ambito di estensione [22].

5. Il potere officioso di nomina del curatore speciale del minore

Ai sensi dell’art. 473-bis.2 c.p.c., “a tutela dei minori il giudice può d’ufficio nominare il curatore speciale nei casi previsti dalla legge”. Entrano nel merito gli artt. 473-bis.7 e 473-bis.8 c.p.c. secondo i quali il giudice nomina il tutore del minore quando dispone, anche con provvedimento temporaneo, la sospensione o la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori ed il curatore del minore quando dispone, all’esito del procedimento, limitazioni della responsabilità genitoriale. La disposizione prevede che il provvedimento di nomina del curatore debba contenere l’indicazione:

a) della persona presso cui il minore ha la residenza abituale;

b) degli atti che il curatore ha il potere di compiere nell’interesse del minore, e di quelli per i quali è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare;

c) degli atti che possono compiere i genitori, congiuntamente o disgiuntamente;

d) degli atti che può compiere la persona presso cui il minore ha la residenza abituale;

e) della periodicità con cui il curatore riferisce al giudice tutelare circa l’andamento degli interventi, i rapporti mantenuti dal minore con i genitori, l’attuazione del progetto eventualmente predisposto dal tribunale.

In particolare, ai sensi dell’art. 473-bis.8 c.p.c. rubricato specificamente “Curatore speciale del minore”, il giudice provvede alla nomina del curatore speciale del minore, anche d’ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento:

a) nei casi in cui il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell’altro;

b) in caso di adozione di provvedimenti ai sensi dell’art. 403 c.c. o di affidamento del minore ai sensi degli art. 2 e ss. della legge 4 maggio 1983, n. 184;

c) nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l’adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori;

d) quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni.

In ogni caso il giudice può nominare un curatore speciale quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore. Ai figli minori, ai sensi dell’art. 473- bis.9 c.p.c., sono equiparati i figli maggiorenni portatori di handicap grave.

La riforma stabilisce così che sia prevista la nomina, anche d’ufficio, del curatore speciale del minore – con modifiche agli artt. 336 c.c., 78, 79 e 80 c.p.c. – nonché la nomina del tutore del minore, parimenti anche d’ufficio, nel corso e all’esito dei procedimenti in materia di persone minorenni e famiglie e in caso di adozione di provvedimenti ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c. (sul piano sostanziale il tutore è nominato in caso di morte o altre cause che impediscono l’esercizio della responsabilità genitoriale, mentre sul piano processuale l’assenza del genitore o del tutore rende necessaria la sostituzione del rappresentante legale naturale o del tutore e del protutore e la nomina del curatore speciale). Prima della riforma, diversamente, la nomina del curatore speciale avveniva solo a seguito di domanda di parte [23]. In tal modo, il minore d’età, già parte sostanziale dei procedimenti che vede parti i propri genitori, pare assumere definitivamente la qualità di parte processuale anche nelle controversie che non abbiano ad oggetto lo status di figlio [24].

6. I poteri officiosi relativi all’esecuzione/attuazione dei provvedimenti.

Le nuove norme conferiscono al giudice poteri officiosi anche in fase attuativo-esecutiva con alcune disposizioni di nuovo conio che rappresentano un precedente assoluto di disciplina espressa e autonoma in riferimento al delicato problema della tutela esecutiva soprattutto dei provvedimenti di carattere personale [25].

Ai sensi dell’art. 473-bis.38 c.p.c. specificamente rubricato “Attuazione dei provvedimenti sull’affidamento”, per l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento del minore e per la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale è competente il giudice del procedimento in corso, che provvede in composizione monocratica.

Se non pende un procedimento è competente, in composizione monocratica, il giudice che ha emesso il provvedimento da attuare o, in caso di trasferimento del minore, quello individuato ai sensi dell’art. 473 bis.11, primo comma, vale a dire quello del luogo in cui il minore ha la residenza abituale.

Le nuove disposizioni stabiliscono che quando sia instaurato successivamente tra le stesse parti un giudizio che abbia ad oggetto la titolarità o l’esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice dell’attuazione, anche d’ufficio, senza indugio e comunque entro quindici giorni adotta i provvedimenti urgenti che ritiene necessari nell’interesse del minore e trasmette gli atti al giudice di merito.

I provvedimenti adottati conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati con provvedimento emesso dal giudice del merito.

Il giudice, sentiti i genitori, coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, il curatore e il curatore speciale, se nominati, e il pubblico ministero, tenta la conciliazione delle parti e in difetto pronuncia ordinanza con cui determina le modalità dell’attuazione e adotta i provvedimenti opportuni, avendo riguardo all’interesse superiore del minore.

Il giudice stesso può autorizzare l’uso della forza pubblica, con provvedimento motivato, soltanto se assolutamente indispensabile e avendo riguardo alla preminente tutela della salute psicofisica del minore. L’inter­vento è posto in essere sotto la vigilanza del giudice e con l’ausilio di personale specializzato, anche sociale e sanitario, il quale adotta ogni cautela richiesta dalle circostanze.

Nel caso in cui sussista pericolo attuale e concreto, desunto da circostanze specifiche e oggettive, di sottrazione del minore o di altre condotte che potrebbero pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il giudice determina le modalità di attuazione con decreto motivato, senza la preventiva convocazione delle parti. Con lo stesso decreto dispone la comparizione delle parti davanti a sé nei quindici giorni successivi, e all’udienza provvede con ordinanza. Avverso l’ordinanza pronunciata dal giudice ai sensi del presente articolo è possibile proporre opposizione nelle forme dell’articolo 473-bis.12 c.p.c.

La riforma prende poi posizione specificamente sul problema delle inadempienze o violazione dei provvedimenti personali (ma anche di natura economica). All’art. 473-bis.39 – che sostituisce nella sostanza l’abrogato art. 709 ter c.p.c. – si prevede infatti che “in caso di gravi inadempienze, anche di natura economica, o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento e dell’esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice può d’ufficio modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:

a) ammonire il genitore inadempiente;

b) individuare ai sensi dell’art. 614-bis la somma di denaro dovuta dal­l’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento;

c) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.

Nei casi di cui al primo comma, il giudice può inoltre condannare il genitore inadempiente al risarcimento dei danni a favore dell’altro genitore o, anche d’ufficio, del minore.

Si tratta della recezione delle indicazioni della legge delega di riforma 26 novembre 2021, n. 206, la quale conteneva la previsione che venissero dettate disposizioni per individuare modalità di esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori, prevedendo che queste fossero determinate dal giudice in apposita udienza in contraddittorio con le parti, salvo che sussista il concreto e attuale pericolo, desunto da circostanze specifiche ed oggettive, di sottrazione del minore o di altre condotte che potessero pre­giudicare l’attuazione del provvedimento, che in caso di mancato accordo l’esecuzione avvenisse sotto il controllo del giudice, anche con provvedimenti assunti nell’immediatezza, e che nell’esecuzione fosse sempre salvaguardato il preminente interesse alla salute psicofisica del minorenne; oltre a limitare l’uso della forza pubblica, sostenuto peraltro da adeguata e specifica motivazione, ai soli casi in cui fosse assolutamente indispensabile e posto in essere per il tramite di personale specializzato.

Di poi, l’invito della legge delega a procedere al riordino della disciplina di cui all’art. 709 ter c.p.c., si è risolto nel conferire al giudice il potere di adottare anche d’ufficio, previa instaurazione del contraddittorio, provvedimenti ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c. in caso di inadempimento agli obblighi di fare e di non fare anche quando relativi ai minori [26].

In ordine alla disponibilità della misura coercitiva anche d’ufficio, si ravvisa non solo e non tanto un avvicinamento al mondo delle astreintes francesi, ma piuttosto l’inserimento della stessa nel rinnovato contesto di poteri officiosi del giudice della famiglia che la riforma globalmente promuove [27].

7. I poteri officiosi nelle ipotesi di violenza domestica o di genere.

Compatibilmente con la corsia preferenziale che la riforma del processo di famiglia attribuisce ai procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori, le nuove norme a tali procedimenti dedicate, vale a dire gli artt. da 473-bis.40 a 473-bis.46 c.p.c., conferiscono al giudice ampi poteri d’ufficio.

Il legislatore della riforma ha infatti inteso fornire al giudice medesimo maggiori strumenti per intervenire con tempestività a tutela dei soggetti vittime di violenza ed in particolare dei minori, al fine di emettere misure di salvaguardia e di protezione di soggetti che hanno subito violenza, prevedendo canali privilegiati [28].

Le principali norme di riferimento sono determinate anzitutto dall’art. 473-bis.42 c.p.c. ai sensi del quale il giudice può abbreviare i termini del procedimento fino alla metà e compiere ogni attività anche d’ufficio e senza alcun ritardo e, al fine di accertare le condotte, disporre mezzi di prova anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile (sia pur, come esplicitamente affermato, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria).

Con specifico riguardo all’attività istruttoria, ai sensi del nuovo art. 473- bis.44 c.p.c., il giudice, dopo aver proceduto all’interrogatorio libero delle parti sui fatti allegati, assume sommarie informazioni da persone informate dei fatti e può disporre d’ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli, e acquisire anche atti e documenti presso gli uffici pubblici. Può anche acquisire rapporti di intervento e relazioni di servizio redatti dalle forze del­l’ordine, se non siano relativi ad un’attività di indagine coperta da segreto.

Il giudice, infine, ai sensi dell’art. 473-bis.46 c.p.c., qualora all’esito del­l’istruzione, anche sommaria, ravvisi la fondatezza delle allegazioni, adotta i provvedimenti più idonei a tutelare la vittima e il minore tra cui gli ordini di protezione di cui oggi all’art. 473-bis.70 e 71 c.p.c. e disciplina il diritto di visita individuando modalità idonee a non compromettere la loro sicurezza.

8. I poteri officiosi nell’ambito del procedimento speciale di convalida delle misure di pubblica autorità a favore dei minori ex art. 403 c.c. (brevi cenni)

Ai sensi del rinovellato art. 403 c.c. qualora il minore si trovi esposto nell’ambiente familiare a grave pregiudizio e pericolo per il suo benessere fisico, il provvedimento di allontanamento e di sua messa in sicurezza può essere preso dalla pubblica autorità, ovvero da un organo amministrativo.

La pubblica autorità trasmette la decisione al pubblico ministero, il quale poi chiede la convalida nelle 72 ore successive al Tribunale per i minorenni, il quale la concede nelle 48 ore ancora successive con decreto, ovvero con provvedimento privo del contraddittorio, con il quale nomina, sempre senza contraddittorio, il curatore speciale del minore.

Soltanto successivamente, e con un termine, non perentorio [29], di ulteriori 15 giorni, viene fissata una udienza “di comparizione personale delle parti” (chi siano le parti non è indicato, e i genitori non sono espressamente nominati), a seguito della quale si provvede alla conferma, modifica o revoca del decreto di convalida. Si tratta, com’è stato subito evidenziato, di una ampia manifestazione dell’esercizio di poteri officiosi da parte del giudice sebbene la riforma sia intervenuta nell’intento di limitare gli abusi e le carenze di tutela cui la disciplina previgente per sua natura si prestava [30].

9. L’invito alla mediazione familiare

Tra i nuovi poteri officiosi del giudice nei procedimenti familiari può in senso lato individuarsi anche l’invito alle parti ad esperire un tentativo di mediazione familiare in un’ottica deflattiva del contenzioso (art. 473- bis.10 c.p.c.). È infatti previsto che il giudice, in tutti i procedimenti disciplinati dal nuovo rito, possa invitare le parti ad esperire un tentativo di mediazione. Non è prevista alcuna forma di mediazione obbligatoria, ma è rafforzata la c.d. “mediazione demandata” dal giudice. Al giudice è così rimesso un primo vaglio della sussistenza di presupposti per la mediazione della controversia.

Recependo buone prassi presenti in alcuni tribunali la presenza all’in­terno dello stesso ufficio giudiziario di un elenco di mediatori formato ai sensi delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, è ritenuta suscettibile di rendere le parti più disponibili al percorso, in quanto la volontà, spesso embrionale, di comporre il conflitto familiare, intercettata dal giudice che formula l’invito alla mediazione, può essere vanificata dalla ricerca sul territorio di mediatori familiari qualificati: la possibilità di attingere per la scelta (ad un mediatore familiare inserito in un elenco vagliato dal tribunale presumibilmente, nell’intento riformatore, renderà più rapido e più efficace l’invito alla mediazione, con maggiori probabilità di successo del percorso.

L’invito alla mediazione può dirsi incisivo nella misura in cui l’art. 473- bis.10 c.p.c. stabilisce che il giudice può subordinare l’adozione dei provvedimenti provvisori ed urgenti di cui all’art. 473-bis.22 c.p.c. al tentativo della mediazione[31].

[1] Sulla riforma della giustizia familiare nel suo complesso v. La riforma Cartabia del processo civile, Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n°149, a cura di Roberta Tiscini con il coordinamento di Marco Farina, Pisa, 2023, p. 755 ss.; v. AA. VV., La riforma del giudice e del processo per le persone, per i minorenni e le famiglie, Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n°149, a cura di Claudio Cecchella, Torino, 2023; A. Carratta, Le riforme del processo civile, D.L.gs. 10 ottobre 2022, n°149, in attuazione della L. 26 novembre 2021, n°206, Torino, pp. 138-172; La riforma del processo civile, l. 26 novembre 2021, n°206 e d. leg. 10 ottobre 2022 n°149 e n°151, aggiornato anche al d.l. 24 febbraio 2023 n°13 e alla l. 24 febbraio 2023 n°14, di conversione del d.l. 29 dicembre 2022 n°198 (“milleproroghe”), a cura di Domenico Dalfino, in Gli speciali de il Foro italiano, 4/2022.

[2] V. da ultimo A. Graziosi, Luci ed ombre del nuovo processo di famiglia, in corso di pubblicazione in Riv. trim. dir. proc. civ., secondo cui è in tal senso significativa la scelta del legislatore  “di aprire l’intera normativa sul nuovo rito di famiglia, specificando subito quali sono gli intensi poteri istruttori del giudice e del p.m.”., il che darebbe conto della gerarchia di valore delle nuove regole processuali e quindi anche l’impostazione inquisitoria che esse esprimono. “In termini di impostazione generale, direi che il profilo maggiormente criticabile del nuovo rito familiare stia senz’altro la sua marcata impronta inquisitoria (…) benché i processi di famiglia siano, e rimangano, processi di parti (contrapposte), nei quali, almeno in linea teorica, dovrebbero continuare a trovare pieno riconoscimento i fondamentali principi, anche di rango costituzionale, su cui si regge il nostro diritto processuale civile, primi fra tutti il principio della domanda (art. 24, comma 1°, cost. e art. 99 c.p.c.) ed il principio di terzietà ed imparzialità del giudice (art. 111, comma 2°, cost.). Beninteso, nel dire ciò sono ben consapevole come spesso i procedimenti in materia di famiglia abbiano ad oggetto situazioni giuridiche indisponibili, soprattutto con riguardo alla tutela dei minori, in relazione alle quali, stante la loro dimensione anche pubblicistica, si giustifica pienamente un’adeguata attribuzione al giudice di poteri istruttori ufficiosi, purtuttavia questa prima disamina delle nuove norme dà l’impressione che si sia andati molto oltre rispetto a questa, pur fondamentale, esigenza”. Sulla stessa linea, subito critico è stato G. Scarselli, I punti salienti dell’attuazione della riforma del processo civile di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149, nonché La riforma del processo di famiglia, in www. giustiziainsieme.it. il quale rileva che l’indisponibilità dei diritti non comporta di regola il venir meno dei principi di cui agli artt. 99, 112 e 115 c.p.c. e come tutto il nostro sistema processuale sia infatti intessuto di diritti indisponibili che tuttavia mantengono i classici limiti del rispetto della domanda, di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, e dispositivo. L’autore rileva come non possa sostenersi che la deroga al principio della domanda sia giustificata dalla indisponibilità dei diritti o dall’interesse superiore del minore, poiché questi interessi sono assicurati dalla presenza del PM e del curatore speciale, mentre il giudice deve rimanere terzo e imparziale anche quando giudica sui minori, e non può trasformarsi in un funzionario, il che comprometterebbe la terzietà della sua funzione.

[3] Si veda, al riguardo, G. Monteleone, Intorno al concetto di verità materiale o oggettiva nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2009, 1 ss.

[4] Il ruolo del pubblico ministero, portavoce di interessi generali nel processo sui diritti, è quello della supplenza all’attività difensiva delle parti, affinché l’inerzia non possa pregiudicare la tutela del diritto, quando esso, oltre a soddisfare interessi privati, in realtà soddisfa anche interessi di carattere generale e pubblico. Così C. Cecchella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, Bologna, 2018, 50. Sul delicato e discusso ruolo del pubblico ministero nelle controversie familiari v. anche G. Marseglia, Pubblico ministero e persona: i procedimenti in materia di status, famiglia e minori, in www.questionegiustizia.it.

[5] V. ad es. Cass., 24 agosto 2018, n. 21178, in Fam. dir., 2019, 472 ss., con nota di B. Poliseno, Poteri del giudice, relazioni investigative e tutela della prole e Cass., 30 dicembre 2011, n. 30196, ivi, 2013, 174 ss., con nota di M.L. Serra, Diritto al mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti e poteri ufficiosi del giudice. La tutela degli interessi della prole è stata ritenuta sottratta all’iniziativa e alla disponibilità delle parti ed al giudice è stato riconosciuto il potere di adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del processo di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli e di esercitare, in deroga alle regole generali sull’onere della prova, i poteri istruttori officiosi necessari alla conoscenza della condizione economica e reddituale delle parti. Di recente, v. sulla medesima linea, in tema di affidamento dei figli, Cass., sez. VI, ord. 10 febbraio 2022, n. 4381, in www.osservatoriofamiglia.it, che ha sancito in capo al giudice poteri istruttori d’ufficio per finalità di natura pubblicistica.

[6] V. F. Danovi, Processo di separazione e divorzio e tecniche di difesa, in Fam. dir., 2019, 950 spec. nota 17.

[7] V. A. Graziosi, Una buona novella di fine legislatura: tutti i “figli” hanno eguali diritti, dinanzi al tribunale ordinario, in Fam. dir., 2013, 272.

[8] Ciò “stante l’identità di ratio riconducibile alla funzione eminentemente assistenziale del­l’assegno di mantenimento”. V. Cass., 17 giugno 2009, n. 14081, in Fam. dir., 2010, 373, con nota di D. Costantino, Accertamento dei redditi dei coniugi e poteri officiosi del giudice della separazione.

[9] Si noti che prima della riforma del 1987, all’art. 4 della legge n. 898 del 1970 si attribuiva espressamente al giudice istruttore il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di mezzi istruttori con una previsione cioè di carattere generale che è stata soppressa. Sui poteri istruttori d’ufficio nei processi di separazione e divorzio v. riassuntivamente A. Liuzzi, Allegazione delle dichiarazioni dei redditi e poteri istruttori del giudice nel processo di separazione e divorzio alla luce delle l. n. 80/2005 e 54/2006, cit., 225 ss. Con specifico riferimento alla legge n. 898 del 1970, v. A. Saletti, Procedimento e sentenza di divorzio, diretto da G. Bonilini, G. Cattaneo, 601. V. anche V. Carnevale, La fase a cognizione piena, in A. Graziosi (a cura di), I processi di separazione e divorzio, Torino, 2008, 95 ss. la quale, riferendosi all’art. 155 sexies c.c., sottolinea come la disposizione ribadisse che nei procedimenti di separazione e divorzio l’attività istruttoria non è solo nella disponibilità delle parti poiché anche il giudice gode di poteri istruttori d’ufficio. Ella sottolinea che la modulazione dei poteri istruttori delle parti e del giudice è diretta conseguenza della natura dei diritti che vengono accertati ed incisi nei procedimenti di cui si tratta: diritti disponibili per quanto riguarda i rapporti economici tra i coniugi, indisponibili per quanto riguarda i rapporti dei primi con i figli, precisando che di tali poteri usufruisce anche il Presidente per l’accertamento sommario dei rapporti tra le parti che si svolge nella fase davanti a lui. V. in tal senso F.P. Luiso, La nuova fase introduttiva del processo di separazione e divorzio, in www.judicium.it. Affermavano senza riserve la possibilità per il giudice di disporre d’ufficio mezzi istruttori nei procedimenti di separazione e divorzio anche A. Bucci-A.M. Soldi, Le nuove riforme del processo civile, Commento alle leggi 14 maggio 2005 n. 80, 28 dicembre 2005, n. 263, 24 febbraio 2006, n. 52 e 8 febbraio 2006, n. 54, Padova, 2006, 82-83. Circa invece l’esercizio dei poteri istruttori nei processi di modifica delle condizioni di separazione e divorzio v. A. Nascosi, I processi di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio, in A. Graziosi (a cura di), I processi di separazione e di divorzio, cit., 328-329 per il quale il Tribunale può disporre ex officio i mezzi di prova che ritiene necessari qualora di controverta sull’affidamento o sul mantenimento della prole. Così anche A. Carratta, sub art. 706 c.p.c., Forma della domanda, in S. Chiarloni (diretto da), Le recenti riforme del processo civile, Commentario, II, Torino, 2007, 1447 ss. secondo il quale dal momento che le dichiarazioni dei redditi, nell’am­bito di controversie relative a rapporti estranei al sistema tributario, non rivestono valore vincolante per il giudice, questi può disattenderle e fondare il proprio convincimento su altre risultanze probatorie. In giurisprudenza v. Cass., 12 giugno 2006, n. 13592, in Mass. Foro. it., 2006; Cass., 14 marzo 2006, n. 5521, ivi. Merita poi di essere segnalata Cass., 12 settembre 2005, n. 18116, in Foro it., 2005, I, 3313 ss., che ha ritenuto legittima l’acquisizione d’ufficio in appello della documentazione fiscale non prodotta nel corso del giudizio di primo grado.

[10]  Già così li catalogava Graziosi: “In virtù di un procedimento istruttorio sorretto dal principio inquisitorio ne deriva che non sono configurabili delle preclusioni istruttorie a carico delle parti che potranno invocare in qualunque momento il suddetto potere ufficioso del giudice per chiedere l’ammissione di qualsiasi mezzo istruttorio”. V. A. Graziosi, Una buona novella di fine legislatura: tutti i “figli” hanno eguali diritti, dinanzi al tribunale ordinario, in Fam. dir., 2013, 272.

[11] In questa ipotesi, una volta che la domanda fosse stata proposta, che la parte avesse prodotto i documenti in suo possesso e dedotto e cercato di provare le circostanze di fatto utili a dimostrare che la situazione economico-patrimoniale come prospettata dall’altro coniuge non rispondesse a verità, scattava il concorrente potere officioso del giudice finalizzato all’accer­tamento delle reali posizioni economiche di entrambi i coniugi. In altre parole, ogniqualvolta un coniuge avesse contestato i redditi dichiarati dall’altro ovvero le sostanze di cui lo stesso fosse titolare, adducendo elementi che facessero ritenere la sussistenza di un livello economico superiore a quello apparente e, dunque, fosse in discussione la prova degli elementi che assumono rilevanza ai fini del riconoscimento e della determinazione dell’assegno, è stato riconosciuto l’obbligo da parte del giudice di fare esercizio dei sopra menzionati poteri di disporre indagini d’ufficio sui redditi; ove invece le prove dedotte e prodotte dalle parti avessero consentito una soddisfacente ricostruzione del fatto da provarsi, il giudice non avrebbe avuto motivo di ricercare nuove prove esercitando i propri poteri ufficiosi. In giurisprudenza v. Cass., 7 marzo 2006, n. 4872; Cass., 21 maggio 2002, n. 7435, in Fam. dir., 2002, 604, con nota di C. Spaccapelo; Cass., 10 agosto 2001, n. 11059, in Fam. dir., 2001, 469, con nota di V. Carbone, in cui si specifica che il giudice investito della domanda di divorzio può avvalersi di tutti gli elementi di prova ritualmente acquisiti al processo e può anche ricorrere ad elementi presuntivi e alle nozioni di comune esperienza per l’accertamento delle condizioni economiche delle parti, e non è tenuto ad ammettere o disporre ulteriori mezzi di prova quando le circostanze economiche risultanti dagli atti forniscano elementi sufficienti per la formazione del suo convincimento, convincimento che – sotto tale aspetto – si sottrae a qualsiasi censura nel giudizio di legittimità, se sia logicamente e congruamente motivato. La Cassazione aveva avuto l’opportunità di chiarire tali incertezze relative all’esercizio del potere ufficioso di indagine attribuito al giudice in una decisione in cui venne sancita, in via analogica, l’applicabilità dell’art. 5, comma 9, legge div., anche al giudizio di separazione. V. Cass., 17 maggio 2005, n. 10344, cit., in cui la Corte ha chiarito l’inesistenza di un obbligo per il giudice di disporre sempre e comunque le indagini ufficiose sul reddito dei coniugi fatto oggetto di contestazione, dal momento che il legislatore ha lasciato che fosse il magistrato a valutare l’opportunità di esercitare o meno detto potere, sulla base delle allegazioni delle parti a sostegno delle rispettive condizioni economiche. Presupposto necessario ma non sufficiente per applicare la norma è pertanto la contestazione del reddito, che ha l’effetto di attribuire al giudice un potere ufficioso di indagine da esercitare specialmente quando le deduzioni probatorie delle parti si mostrino insufficienti. Invero, la semplice contestazione non può legittimare, di per sé stessa, il giudice all’esercizio del potere istruttorio d’ufficio, richiedendosi a tal fine che la contestazione sia precisa e fondata su elementi di prova offerti dal giudice che la propone. Ed in proposito si è chiarito che la contestazione si risolve nell’alle­gazione di fatti secondari (quali ad esempio il possesso di beni costosi o lo svolgimento di attività di elevato livello professionale) dai quali è possibile indurre – con ragionamento inferenziale – il fatto principale costituito dalla capacità reddituale dell’altro coniuge. Di conseguenza se il giudice, a fronte della contestazione “circostanziata” avanzata da un coniuge non ritenga sufficientemente provati i fatti allegati, prima di rigettare la domanda dovrà esercitare il potere di istruzione ufficiosa e solo ad esito di tale attività potrà, ricorrendone i presupposti, definire il giudizio ai sensi dell’art. 2697 c.c.

[12] Il tema dei poteri officiosi del giudice civile anima da sempre il dibattito processuale. Data la sua ampiezza e centralità, i limiti del presente lavoro non ne consentono adeguata trattazione. Ci si limita qui a rinviare, omettendo la dottrina classica, indispensabilmente, a G. Fabbrini, Potere del giudice (diritto processuale civile), in Enc. Dir., XXXIV, 721 ss.; A. Raselli, Studi sul potere discrezionale del giudice civile, Milano, 1975; L. P. Comoglio, Etica e tecnica del “giusto processo”, Torino, 2004, tra i plurimi scritti dedicati all’argomento dall’autore. Per una visione di insieme v. anche AA.VV. Poteri del giudice e diritti delle parti nel processo civile, a cura di G. Scarselli, Atti del Convegno di Siena del 23-24 novembre 2007, Napoli, 2010.

[13] Così C. Cecchella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, cit., 156. Circa la C.T.U. psicodiagnostica nei giudizi della crisi familiare v. F. Danovi, Tutela del minore e tecnica processuale nella c.t.u. psicodiagnostica, in Fam. dir., 2019, 819 ss. Circa l’istituto della consulenza tecnica e la sua funzione di apporto di cognizioni tecniche nel processo civile, si rinvia all’ampia letteratura in materia. Sulla natura e funzione del consulente tecnico di cui agli artt. 191 ss. c.p.c. prima e dopo la riforma intervenuta per effetto della legge 18 giugno 2009, n. 69, v., in particolare, le opere ed i testi base di P. Calamandrei, Istituzioni di dir. proc. civ., II, Padova, 1943, n. 102, 167; V. Andrioli, Commento al c.p.c., I, Napoli, 1954, 187; G. Franchi, La perizia civile, Padova. 1959; N. Giudiceandrea, Consulente tecnico, in Enc. dir., IX, Milano 1961, 531 ss., C. Dones, Struttura e funzioni della consulenza tecnica, Milano, 1962; G. Franchi, Consulente tecnico, custode ed altri ausiliari del giudice, in Commentario al c.p.c., diretto da E. Allorio, I, Torino, 1973, 682 ss.; G. Nicotina, Note minime in tema di consulenza tecnica, in Studi in onore di Satta, Padova, 1982, 1059 ss.; C.M. Barone, voce Consulente Tecnico, in Enc. giur., VIII Roma, 1988; F. Magli, Omissione di consulenza tecnica ed insufficienza della motivazione, in Riv. dir. proc., 1988, 275; M. Vellani, Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv., III, Torino, 1988, 525 ss.; E. Protetti, La consulenza tecnica nel processo civile, Milano, 1999; F. Auletta, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tecnico, Padova, 2002; L. Lombardo, Prova scientifica e osservanza del contraddittorio nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 1017; L.P. Comoglio, Le prove civili, Torino, 2004, 639 ss.; M. Conte, La consulenza tecnica, Milano, 2004; A. Dondi, Utilizzazione delle conoscenze esperte nel processo civile – Alcune ipotesi di carattere generale, in Studi di diritto processuale – In onore di Giuseppe Tarzia, Milano, 2005, I, 843 ss.; V. Ansanelli, La consulenza tecnica nel processo civile, Problemi e funzionalità, Milano, 2011; Id., Commento agli artt. 191-199 c.p.c., in Commentario del Codice di Procedura civile, a cura di Sergio Chiarloni, Libro secondo: Processo di cognizione artt. 191-266, a cura di Michele Taruffo, Istruzione probatoria, Bologna, 2014.

[14] Di tali prassi dà ampiamente conto F. Danovi, Processo di separazione e divorzio e tecniche di difesa, in Fam. dir., 2019, 954 s. Si veda specificamente sulla questione Cecchella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, cit., 160 ss.

[15] Così, con riguardo ad una fattispecie in tema di determinazione dell’assegno di divorzio, Cass., 19 luglio 2003, n. 9806, in Arch. civ., 2004, 553. In dottrina v. F. Cipriani (e E. Quadri), La nuova legge sul divorzio, II, Napoli, 1988, 262 che sottolinea la natura non decisiva della norma, al fine della soluzione dei problemi relativi alla determinazione delle possibilità economiche delle parti.

[16] Su cui, se si vuole, v. il nostro, I poteri del giudice di accertamento e di indagine sui redditi nei procedimenti familiari ed i limiti imposti dall’ordinamento: il problema dell’esibizione documentale, in Il diritto degli affari, 2019, 368.

[17] In termini di “sterilizzazione” di tali principi nei casi suddetti già si esprimeva Graziosi, Una buona novella di fine legislatura, cit., 109.

[18]   V. il Commento di M.A. Lupoi, La “specialità” del dovere di collaborazione,  in La riforma Cartabia del processo civile, Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n°149, a cura di Roberta Tiscini con il coordinamento di Marco Farina, cit., 809 ss.  Si tratta forse di una delle previsioni cui sarà più difficile adeguarsi, non palesandosi facile coniugare la disclosure con un processo non adversary. Si tratta infatti di rimettersi, ora, ad un dovere ben diverso da quello di lealtà di cui all’art. 88 c.p.c. Mentre nel sistema anglo-ame­ricano, infatti, si accetta pacificamente il principio per cui le parti possono obbligarsi reciprocamente a rendere note tutte le informazioni rilevanti in loro possesso malgrado il vantaggio dell’avversario per permettere alle stesse di essere consce prime del dibattimento che è del tutto eventuale delle loro posizioni di forza o debolezza, nel nostro sistema manca, almeno di base, la considerazione della necessità di accedere per quanto possibile ai fatti di causa attraverso l’informazione reciproca delle parti. Sebbene il principio del nemo tenetur edere contra se si sia progressivamente “affievolito”, gli obblighi di collaborazione tra le parti sono ancora catalogati come eccezionali, con ogni conseguenza in punto di attuazione.

Conseguentemente è prevista l’abrogazione del comma 9 dell’art. 5, legge n. 898 del 1970. Nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 149 del 2022 (p. 50) si legge che “Il legislatore delegato ha così inteso generalizzare un potere già riconosciuto nella materia della separazione, del divorzio e nell’articolo 337 ter del codice civile, attribuendo al giudice istruttore, in tutti i procedimenti ai quali si applica il nuovo rito, di ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti, disporre ordini di esibizione, si badi bene, anche d’ufficio, e ciò in deroga all’articolo 210 del codice di procedura civile, che ne subordina l’emissione alla richiesta delle parti, indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi valendosi, se del caso, della polizia tributaria”. Così R. Lombardi, L’obbligo di disclosure nei procedimenti di separazione e divorzio riformati: un ridimensionamento del principio del nemo tenetur edere contra se?, in www.judicium.it. Con la riforma, segnatamente con la previsione di sanzioni in caso di mancata o insufficiente produzione della documentazione predetta, sulla scorta dei sistemi nord-americani, è stata così conferita “dignità normativa” alla c.d. disclosure.

[19] Sul punto v. F.P. Luiso, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2021, 54.

[20] Su cui ci si permette di rinviare al nostro I poteri del giudice di accertamento e di indagine sui redditi nei procedimenti familiari ed i limiti imposti dall’ordinamento: il problema dell’esi­bizione documentale, cit.

[21] V. A. Graziosi, Sui provvedimenti provvisori ed urgenti nell’interesse dei genitori e dei figli minori, in Fam. dir., 2022, 368.

[22] Si vedano al riguardo le osservazioni critiche di G. Scarselli (I punti salienti dell’at­tuazione della riforma del processo civile di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149, in www.giustiziainsieme.it e, prima, in La riforma del processo di famiglia, ibidem) in riferimento ai basilari principi del processo civile ed al problema della terzietà ed imparzialità del giudice. Sui provvedimenti indifferibili e temporanei ed urgenti v. M. A. Lupoi, Commento agli artt. 473-bis.15 e 22 in La riforma Cartabia del processo civile, Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n°149, a cura di Roberta Tiscini con il coordinamento di Marco Farina, cit., 803 ss. e 814 ss.

[23] V. ancora la critica di G. Scarselli, I punti salienti dell’attuazione della riforma del processo civile di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149, cit.

[24] Sull’“annosa” questione v. più di recente, diffusamente, B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, Napoli, 2017, 250 ss.

[25] Sull’iter della riforma Cartabia in tema di attuazione dei provvedimenti di carattere non economico si veda, se si vuole, il nostro Il programma di riforma della giustizia familiare e la tutela esecutiva dei diritti personali: la modifica dell’art. 709-ter c.p.c., in Scritti in onore di Bruno Sassani, I, Pisa, 2022, 811 ss.

[26] Sull’art. 614-bis c.p.c. v. M. Bove, Diritto e processo nell’applicazione dell’art. 614-bis c.p.c.: un rapporto circolare, in Tutela giurisdizionale e giusto processo, Scritti in memoria di Franco Cipriani, vol. III, Napoli, 2020, 1519 cui si rinvia per l’ampia bibliografia sull’istituto riformato peraltro anche dalla riforma Cartabia (su cui B. Capponi, Un dubbio sul regime transitorio della riforma dell’art. 614 bis c.p.c., in Judicium.it.). Circa la riferibilità della norma ai provvedimenti della famiglia v. tra i primi, A. Graziosi, Sull’applicabilità ai procedimenti in materia di famiglia del dispositivo di esecuzione forzata indiretta ex art. 614-bis c.p.c., in Riv. AIAF, 2012, 8. Così anche A. Mondini, L’attuazione degli obblighi infungibili, Torino, 2014, 81, il quale considera subito l’impiego possibile e utile; B. De Filippis, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, Padova, 2012, 657 ss.; B. De Filippis-De Stefano, Separazione e divorzio: gli ordini di condanna. Viaggio nell’art. 614 bis del codice di procedura, in Guida dir., Famiglia e minori, inserto al n. 4, aprile 2010. Oggi v. R. Donzelli, I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709-ter c.p.c., Torino, 2018, 133 ss. e, specificamente, A. Nascosi, Le misure coercitive indirette nel sistema di tutela dei diritti in Italia e Francia. Uno studio comparatistico, Napoli, 2019, 182 ss. In giurisprudenza – anche per cumulo tra art. 709 ter c.p.c. e art. 614 bis c.p.c. – v. Trib. Firenze, 10 novembre 2011, in questa Rivista, 2012, 781; Trib. Salerno, 22 dicembre 2009, in questa Rivista, 2010, 924; Trib. Roma, 10 maggio 2013, in Giur. mer., 2013, 10, 2100, con nota di E. Serrao, Il giudizio di modifica delle condizioni di separazione e delle condizioni di divorzio.

[27] Per una prima ricognizione ed interpretazione dei dati normativi v. la compiuta ricostruzione di R. Donzelli, L’attuazione dei provvedimenti, in La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie, cit., 155 ss.

[28] Così M.G. Albiero, I fatti di violenza e il processo, in La riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie, legge 26 novembre 2021, n. 206, Torino, 2022, 372.

[29] Così G. Scarselli, La riforma del processo di famiglia, cit.

[30] Sul passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina nonché sulle ragioni della riforma v. M. Labriola, Il procedimento speciale di convalida delle misure della pubblica autorità a favore dei minori ex art. 403 c.c., in La riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie, legge 26 novembre 2021, n. 206, cit., 337 ss. Specificamente, ai sensi del nuovo art. 403 c.c., quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o si trova esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psicofisica e vi è dunque emergenza di provvedere, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione. La pubblica autorità che ha adottato il provvedimento emesso ne dà immediato avviso orale al pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, nella cui circoscrizione il minore ha la sua residenza abituale. Entro le ventiquattro ore successive al collocamento del minore in sicurezza, con l’allontanamento da uno o da entrambi i genitori o dai soggetti esercenti la responsabilità genitoriale, trasmette al pubblico ministero il provvedimento corredato di ogni documentazione utile e di sintetica relazione che descrive i motivi dell’intervento a tutela del minore. Il pubblico ministero, entro le successive settantadue ore, se non dispone la revoca del collocamento, chiede al tribunale per i minorenni la convalida del provvedimento; a tal fine può assumere sommarie informazioni e disporre eventuali accertamenti. Entro le successive quarantotto ore il tribunale per i minorenni, con decreto del presidente o del giudice da lui delegato, provvede sulla richiesta di convalida del provvedimento, nomina il curatore speciale del minore e il giudice relatore e fissa l’udienza di comparizione delle parti innanzi a questo entro il termine di quindici giorni. Il decreto è immediatamente comunicato al pubblico ministero e all’autorità che ha adottato il provvedimento a cura della cancelleria. Il ricorso e il decreto sono notificati entro quarantotto ore agli esercenti la responsabilità genitoriale e al curatore speciale a cura del pubblico ministero che a tal fine può avvalersi della polizia giudiziaria. All’udienza il giudice relatore interroga liberamente le parti e può assumere informazioni; procede inoltre all’ascolto del minore direttamente e, ove ritenuto necessario, con l’ausilio di un esperto. Entro i quindici giorni successivi il tribunale per i minorenni, in composizione collegiale, pronuncia decreto con cui conferma, modifica o revoca il decreto di convalida, può adottare provvedimenti nell’in­teresse del minore e qualora siano state proposte istanze ai sensi degli art. 330 e ss. dà le disposizioni per l’ulteriore corso del procedimento. Il decreto è immediatamente comunicato alle parti a cura della cancelleria. Entro il termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto il pubblico ministero, gli esercenti la responsabilità genitoriale e il curatore speciale possono proporre reclamo alla corte d’appello ai sensi dell’art. 739 c.p.c. La corte d’appello provvede entro sessanta giorni dal deposito del reclamo. Il provvedimento emesso dalla pubblica autorità perde efficacia se la trasmissione degli atti da parte della pubblica autorità, la richiesta di convalida da parte del pubblico ministero e i decreti del tribunale per i minorenni non intervengono entro i termini previsti. In questo caso il tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse del minore. Qualora il minore sia collocato in comunità di tipo familiare, quale ipotesi residuale da applicare in ragione dell’accertata esclusione di possibili soluzioni alternative, si applicano le norme in tema di affidamento familiare.

[31] Sull’art. 473-bis.10 c.p.c. v. il Commento di P. Licci, in La riforma Cartabia del processo civile, Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n°149, a cura di Roberta Tiscini con il coordinamento di Marco Farina, cit., 755 ss.; D. Noviello, La mediazione familiare indotta dal giudice in La riforma del giudice e del processo per le persone, per i minorenni e le famiglie, Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n°149, cit., 77 ss.