Sul rifiuto del pignoramento per difetto di titolo esecutivo (ragionando intorno a Cass. n. 14478/2024)

Di Clarice Delle Donne -

1.- Il caso di specie e le ragioni della Corte

A fronte di una richiesta di pignoramento può l’ufficiale giudiziario opporre un diniego basato sulla propria ufficiosa valutazione dell’assenza, in capo all’istante, di un valido titolo esecutivo?

E tale potere valutativo potrebbe in ipotesi essergli riconosciuto anche laddove il relativo documento fosse stato munito di formula esecutiva?

A queste domande, che involgono la definizione dei complessi rapporti tra ufficiale giudiziario ed autorità giurisdizionale competente per l’esecuzione fornisce oggi risposta l’ordinanza in epigrafe.

Lo scenario disegnato dalla Corte tuttavia, già implausibile nel contesto di riferimento, va oggi completamente ripensato alla luce dei mutamenti normativi dovuti alla cd. Riforma Cartabia.

Nel caso di specie un creditore citava in giudizio un ufficiale giudiziario chiedendone ex art. 60 c.p.c. la condanna al risarcimento dei danni patiti in esito al diniego, asseritamente illegittimo, di eseguire il pignoramento richiesto sulla base di una ordinanza resa ex art. 510 c.p.c. Per parte sua il convenuto, nel resistere alla domanda, affermava di essersi limitato ad esercitare il potere-dovere di verifica preliminare dell’esistenza, in capo all’istante, di un titolo esecutivo idoneo a promuovere l’esecuzione richiesta. Verifica che nella specie aveva dato esito negativo non rientrando l’ordinanza ex art. 510 cpc azionata dall’attrice (già creditrice istante) nel novero dei titoli individuati dall’art. 474 c.p.c. benché provvista di formula esecutiva, come il convenuto stesso aveva affermato per iscritto in applicazione dell’art. 108 del D.P.R. n. 1229/1959.

La domanda risarcitoria veniva tuttavia accolta e l’appello dell’ufficiale giudiziario dichiarato inammissibile  sicchè quest’ultimo proponeva ricorso in cassazione affidato a due motivi.

Col primo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., il ricorrente deduceva la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 60, 474, 475 e 510 c.p.c. e dell’art. 108 D.P.R. n.1229/1959”, per avere la Corte di appello affermato la responsabilità civile dell’Ufficiale Giudiziario per la mancata esecuzione forzata dell’ordinanza ex art. 510 c.p.c., sull’erroneo presupposto che la sola presenza della formula esecutiva lo obbligasse ad eseguire il pignoramento richiesto precludendogli ogni controllo sulla reale natura di titolo esecutivo del documento.

Con il secondo motivo, formulato invece ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente deduceva la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. per avere la Corte di appello, a conferma della sentenza di primo grado, condannato l’appellante al risarcimento del danno in assenza dei presupposti di cui all’art. 2043 c.c. ed, in particolare, dell’ingiustizia del danno stesso, erroneamente ravvisata nel rifiuto di effettuare il richiesto pignoramento.

Secondo il ricorrente l’ufficiale giudiziario, organo giurisdizionale esecutivo, è dotato, in virtù della sua autonomia funzionale, del potere-dovere di valutare, in via incidentale ed ufficiosa, la sussumibilità dell’atto sulla cui base è richiesto il pignoramento nel novero dei documenti cui l’art. 474, c. 2, c.p.c. conferisce la qualifica di titolo esecutivo. E ciò anche in presenza, sull’atto, della formula esecutiva.

Sicchè, in definitiva, quel controllo potrebbe anche avere un esito contrastante con quello che ha condotto il cancelliere (o il notaio) ad apporre la formula. Con la ulteriore conseguenza dell’esclusione della responsabilità ex art. 60 c.p.c. laddove il rifiuto del pignoramento fosse sorretto dal giustificato motivo consistente, appunto, nell’assenza di un valido titolo esecutivo in capo al creditore istante.

La Corte dichiara l’infondatezza del ricorso ricostruendo la figura dell’ufficiale giudiziario, disegnata dall’art. 1 del D.P.R. n. 1229/1959 e dall’art. 59 c.p.c., come quella di un organo ausiliario e subordinato sprovvisto di quei poteri giurisdizionali che competono in via esclusiva, ex art. 102 Cost., ai magistrati istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

Di qui la conclusione che va esclusa “(…) qualsivoglia sovrapposizione delle sue funzioni con quelle spettanti ai magistrati”, e che egli non può compiere valutazioni che appartengono alle prerogative del giudice e formulare eccezioni che nemmeno il giudice potrebbe sollevare ex officio.

Poiché dunque, nel caso specifico, il controllo ufficioso sulla qualità di titolo esecutivo dell’atto/documento azionato compete, in quanto condizione dell’azione esecutiva, al giudice dell’esecuzione laddove invece, notificato il titolo e/ o il precetto, esso può essere sollecitato solo con le opposizioni ex artt. 615, c. 1 e 617 c.p.c. e compete perciò ai relativi giudici, è escluso che tale controllo possa essere compiuto dall’ufficiale giudiziario prima di effettuare il pignoramento.

Del resto, prosegue la Corte, nessuna norma codicistica e nessuna lettura giurisprudenziale impongono la conclusione che, laddove agisca munito di titolo esecutivo e precetto (artt. 513, 606, 608 c.p.c.) l’ufficiale giudiziario debba anche esercitare un controllo su tali atti. Al contrario, dal quadro tracciato si desume con chiarezza che egli “(…) non può assumere determinazioni volte ad anticipare (o addirittura a sovrapporsi a) quelle spettanti al giudice dell’esecuzione e/o ai giudici delle opposizioni esecutive”.

Rispetto a tale scenario costituiscono un’eccezione i poteri riconosciuti oggi all’ufficiale giudiziario in sede di ricerca telematica dei beni da pignorare ex art. 492 bis c.p.c. nella formulazione successiva alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 149 del 2022.

In sintesi l’ufficiale giudiziario, per la sua posizione di subalternità, “(…) espleta un controllo che può giustificare il rifiuto del compimento dell’atto soltanto quando la richiesta non sia stata avanzata «legalmente» e, cioè, quando il documento presentato per l’avvio dell’azione esecutiva sia manifestamente carente dei requisiti formali prescritti ad un punto tale da impedire la sua astratta riconduzione a qualsivoglia tipologia di titolo esecutivo; non possono, invece, essere riconosciuti all’ufficiale giudiziario poteri di controllo sulle condizioni formali relative al quomodo della procedura, la cui verifica è comunque riservata al giudice, sempre che questo sia investito di una tempestiva opposizione ex art. 617 cod. proc. civ.”

Nel caso di specie, tuttavia, il documento a base dell’istanza di pignoramento era stato altresì munito di formula esecutiva.

Ciò consente alla Corte di corroborare la propria ricostruzione dell’ufficiale giudiziario quale figura meramente “servente” escludendo altresì che egli possa, valutando autonomamente l’atto sulla cui base gli è richiesto il pignoramento, sindacare l’accertamento che ha condotto il cancelliere (o il notaio), in esplicazione dei propri poteri legali, ad apporre la formula esecutiva, accertamento che a sua volta comporterebbe l’implicito riconoscimento del carattere di titolo esecutivo rivestito dall’atto stesso.

Per la Corte infatti “Se è vero che la formula esecutiva non vale(va) ad attribuire la natura di titolo esecutivo al documento (né, di contro, la sua assenza inficiava l’efficacia di titolo esecutivo del documento che ne fosse privo; ex multis, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3967 del 12/02/2019, in motivazione), la stessa è (rectius, era) «apposta all’esito di un controllo sulla «perfezione formale» del titolo prescritto dall’art. 153 disp. att. cod. proc. civ., sicché l’adempimento in questione vale a suggellare la rilevanza dell’atto come idoneo a sostenere l’azione esecutiva». E siccome “(…) la legge non prevede espressamente alcun controllo dell’ufficiale giudiziario sulla «perfezione formale» dell’atto giudiziario, né sono individuate sanzioni analoghe a quelle stabilite per il cancelliere in relazione alla spedizione in forma esecutiva, l’avvenuto rilascio della formula esecutiva non può essere rimesso in discussione dal predetto ausiliario, al quale non compete alcun riesame dell’attività della cancelleria, né tantomeno spettano i poteri dell’autorità giudiziaria”.

Queste considerazioni consentono al Collegio di rigettare anche il secondo motivo di ricorso incentrato sulla violazione dell’art. 2043 c.c. L’ingiustizia del danno patito dalla creditrice deriva infatti dal rifiuto, da parte dell’ufficiale giudiziario, di compiere l’atto che, per le ragioni già illustrate, deve ritenersi senz’altro illegittimo.

2.- Le ragioni del dissenso verso la soluzione adottata

Per la Cassazione dunque il quadro normativo di riferimento, costituito dagli artt.  1 del D.P.R. n. 1229/1959 recante l’ordinamento degli ufficiali giudiziari, 59 c.p.c. disciplinante le attività dell’ufficiale giudiziario e 102, c. 1, Cost., disegnerebbe la figura dell’ufficiale stesso quale organo ausiliario e subordinato non avente funzioni giurisdizionali per essere, queste, riservate al giudice. Con la conseguenza che va esclusa ogni sovrapposizione delle funzioni dell’ufficiale giudiziario con quelle spettanti, appunto, al giudice.

E poiché il controllo ufficioso sulla qualità di titolo esecutivo dell’atto/documento azionato compete, in quanto condizione dell’azione esecutiva, al giudice dell’esecuzione mentre, notificato il titolo e/ o il precetto, esso può essere sollecitato con le opposizioni ex artt. 615, c. 1 e 617 c.p.c. e dunque compete ai relativi giudici, dovrebbe escludersi tale controllo in capo all’ufficiale giudiziario richiesto del pignoramento.

Conclusione, questa, corroborata dal fatto che nessuna norma prevederebbe, secondo la Corte, un controllo dell’ufficiale giudiziario stesso, che agisca munito di titolo esecutivo e precetto (artt. 513, 606, 608 c.p.c.), su tali atti.

Il ragionamento è fallace.

Che l’ufficiale giudiziario sia un organo ausiliario (o addirittura “servente”) del giudice e sprovvisto perciò di poteri giurisdizionali, riservati ex art. 102 Cost. ai magistrati, è infatti affermazione non accettabile, a maggior ragione oggi, nel multiforme universo dell’esecuzione forzata.[1]

Tanto per cominciare l’ufficiale giudiziario è parte, insieme al giudice dell’esecuzione, dell’ufficio esecutivo[2] all’interno del quale svolge funzioni che sono ben lungi dall’essere tutte ausiliarie in senso stretto, vale a dire meramente esecutive di direttive ed ordini impartiti dall’autorità giudiziaria.

Gli competono infatti, per limitarsi ai profili di interesse in questa sede, il pignoramento, primo atto dell’espropriazione, e addirittura l’intera gestione dell’esecuzione per consegna (art. 606 c.p.c.) e di quella per rilascio (608 c.p.c.), ove può anche mancare la presenza del giudice[3].

Ed è la sua, in entrambe le ipotesi, una legittimazione originaria ed esclusiva.

L’ufficiale giudiziario è infatti organo pubblico dotato per legge del potere di gestire totalmente l’esecuzione (quanto a consegna di mobili e rilascio di immobili) o di compierne il primo atto (quanto al pignoramento), vale a dire di compiere atti di quello che è un processo giurisdizionale a tutti gli effetti (l’esecuzione forzata).

Esattamente come il giudice rispetto alla domanda giudiziale (in sede tanto dichiarativa quanto esecutiva: v. l’art. 612 c.p.c.) egli è dunque tenuto ad esercitare quel potere solo previa ricognizione delle relative condizioni legittimanti altrimenti dovendo rifiutare il compimento dell’atto[4]. E’ cioè lo stesso potere di compiere gli atti dell’esecuzione a manifestarsi, in prima battuta, in forma di verifica dell’esistenza dei presupposti per il relativo esercizio secondo la logica rito-merito che ispira ogni processo giurisdizionale.

Ed anzi lo zoccolo duro ed ineliminabile del potere ufficioso dell’organo è proprio quest’ultimo, nel senso che il potere di compiere l’atto può mancare in assenza dei presupposti di legge ma l’alter ego della verifica di questi presupposti sussiste sempre in virtù della semplice investitura in seguito ad istanza di parte.

Ed in tal senso depongono, al contrario di quanto pretende la Corte, proprio le disposizioni che prescrivono all’ufficiale giudiziario di agire, munito di titolo esecutivo e precetto (gli artt. 513, 606 e 608 c.p.c., rispettivamente per il pignoramento e per le esecuzioni per consegna e rilascio), su richiesta del creditore.

Tali disposizioni apprestano lo statuto del potere esecutivo esercitabile dall’organo e nulla fa ritenere che l’un requisito, la richiesta di parte, debba prevalere sull’altro, vale a dire il titolo esecutivo e il precetto debitamente notificati, sicché la sola richiesta di parte determini nell’ufficiale giudiziario l’obbligo cieco di eseguire l’atto richiesto. Egli non è infatti un mandatario della parte che insta per il pignoramento o l’esecuzione per consegna/rilascio esattamente come non lo è il giudice rispetto al ricorso ex art. 612 c.p.c.

Ed è solo in questo più ampio contesto normativo che può correttamente comprendersi il senso dell’art. 1 del D.P.R. n. 1229/1959 per il quale gli ufficiali giudiziari, quali ausiliari dell’ordine giudiziario, compiono gli atti loro demandati quando siano ordinati dall’autorità giudiziaria o richiesti dal cancelliere o dalla parte.

Queste conclusioni trovano conferma nella norma generale (collocata nel Libro I del c.p.c.) che prevede la responsabilità civile dell’ufficiale giudiziario in caso di rifiuto degli atti legalmente richiesti senza giusto motivo così codificando, a contrario, un potere/dovere di rifiutare l’atto in assenza delle relative condizioni legittimanti (art. 60, n. 1 c.p.c.).

A chiudere il quadro vi è poi l’art. 59 del D.P.R. n. 1229 /1959 a mente del quale i magistrati investiti del potere di sorveglianza possono rivolgere, anche per iscritto, all’ufficiale giudiziario, per lievi negligenze o irregolarità di servizio, un richiamo all’osservanza dei suoi doveri.

Che le cose stiano proprio in questi termini è, del resto, dimostrato dalla stessa Corte laddove[5]è costretta ad ammettere che il rifiuto del compimento dell’atto deve ritenersi legittimo “(…) soltanto quando la richiesta non sia stata avanzata «legalmente» e, cioè, quando il documento presentato per l’avvio dell’azione esecutiva sia manifestamente carente dei requisiti formali prescritti ad un punto tale da impedire la sua astratta riconduzione a qualsivoglia tipologia di titolo esecutivo (…)”.

L’affermazione significa proprio, o almeno così a me pare, che l’ufficiale giudiziario deve quantomeno accertarsi che il documento fondante la richiesta di pignoramento o di esecuzione per consegna/rilascio rientri nella tipizzazione normativa. L’esame deve cioè investire la tipologia formale di atto che il creditore gli ha sottoposto (cd. titolo esecutivo in senso documentale), solo restando fuori dalla sua sfera di controllo i fatti modificativi/impeditivi/estintivi del diritto di procedere ad esecuzione forzata (titolo esecutivo in senso sostanziale), che effettivamente restano appannaggio delle opposizioni esecutive.

Il che mi pare, del resto, perfettamente coerente con il carattere “astratto” dell’esecuzione basata su titolo esecutivo.

Né così argomentando si realizza una anticipazione o addirittura una sovrapposizione tra le attribuzioni dell’ufficiale giudiziario e quelle del giudice dell’esecuzione e/o dei giudici delle opposizioni esecutive, come sostiene invece la Corte.

Per il fatto stesso di essere investito del potere di agire, e nel momento in cui ne è investito, ciascun organo è infatti tenuto alla ricognizione delle relative condizioni legali, che è poi, come si è visto, il modo in cui quello stesso potere si manifesta in prima battuta. L’ufficiale giudiziario ne è dunque investito nel momento in cui gli sono richiesti il pignoramento o l’esecuzione per consegna o rilascio, il giudice dell’esecuzione nel corso del processo esecutivo, i giudici delle opposizioni nel corso delle opposizioni stesse e così via[6].

Questa considerazione toglie forza all’idea che la sola presenza della formula esecutiva sul documento azionato dal creditore imponga all’ufficiale giudiziario l’esecuzione del pignoramento omettendo ogni ulteriore ed autonomo controllo perché altrimenti verrebbe messo in discussione un accertamento già compiuto dall’organo competente (cancelliere o notaio).

Essendo infatti solo l’ufficiale giudiziario responsabile (art. 60 c.p.c.) dell’uso del potere di intraprendere l’esecuzione forzata, è a lui che compete, una volta investito di quel potere dall’istanza di parte, la previa ricognizione delle relative condizioni legittimanti.

Ed è, in effetti, la stessa Corte ad arrivare implicitamente a questa conclusione sia laddove conferma la consolidata lettura per la quale la formula non è requisito di esistenza del titolo esecutivo, sia laddove ritiene[7] che non potrebbe l’ufficiale giudiziario rifiutare il pignoramento solo per la mancanza della formula esecutiva sul titolo azionato. Affermazione quest’ultima che, a tacer d’altro, contrasta con il nerbo della motivazione secondo la quale invece la sola presenza della formula esecutiva vincolerebbe l’ausiliario ad eseguire senz’altro l’atto del proprio ufficio (pignoramento o esecuzione per consegna/rilascio).

Il potere di controllo ufficioso sul titolo esecutivo (ed il precetto) è inoltre oggi confermato dall’art. 492 bis c.p.c. nella versione derivante dalle modifiche apportate dal d. lgs. n. 149/2022, a mente del quale la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare è rivolta non più al Presidente del tribunale bensì, dopo la notificazione del titolo esecutivo e del precetto e dopo il decorso del termine di cui all’art. 480, comma 1, c.p.c., proprio all’ufficiale giudiziario.

Poiché infatti in costanza del previgente regime si riteneva pacificamente che il Presidente del tribunale destinatario della richiesta potesse rigettare l’istanza motivando con l’assenza di un valido titolo esecutivo (anche in presenza della relativa formula), tale potere non può che essere transitato nella sfera dell’ufficiale giudiziario[8]. E del resto l’art. l’art. 155-ter, c. 2, ultimo periodo, disp. att. c.p.c. fa chiaramente intendere che l’istanza di accesso telematico ex art. 492-bis cpc configura una vera e propria richiesta di pignoramento[9].

Le conclusioni attinte dalla Corte sono dunque indifendibili nella misura in cui impongono all’ufficiale giudiziario il compimento di un atto esecutivo, nella specie il pignoramento o comunque il complesso di operazioni di consegna /rilascio nella relativa esecuzione, senza consentirgli di autonomamente verificare l’esistenza di tutte le condizioni legali in presenza delle quali esercitare quel potere, in primis l’esistenza di un valido titolo esecutivo (in senso documentale).

La Corte imprigiona infatti l’ufficiale giudiziario nell’alternativa insostenibile tra compiere scientemente un atto in assenza di presupposti legali ed incorrere in responsabilità civile per rifiuto illegittimo di compiere l’atto stesso ex artt. 60 c.p.c. e 2043 c.c.

Così facendo non si avvede però che anche il compimento di un atto esecutivo in assenza dei suoi presupposti ha non lievi risvolti negativi per lo stesso creditore istante non meno che per il sistema giustizia perché fa da moltiplicatore del contenzioso a valle dell’esecuzione.

Vanno infatti considerati sia i costi del pignoramento in assenza di titolo esecutivo, che resterebbero a carico del creditore in caso di rilievo ufficioso del vizio che portasse alla chiusura dell’esecuzione, sia l’opposizione all’esecuzione dell’esecutato che potrebbe essere accolta e condurre altresì ad una condanna per responsabilità aggravata ex art. 96, c. 2, c.p.c.

Nel caso di specie l’ufficiale giudiziario aveva rifiutato il pignoramento sulla base non solo dell’art. 474 c.p.c. ma anche della consolidata giurisprudenza per cui l’ordinanza ex art. 510 c.p.c. non costituisce titolo esecutivo[10]. La sua condanna al risarcimento dei danni patiti dal creditore per il rifiuto dell’atto è allora tanto più incomprensibile, ed inaccettabile, perché la Corte: a) non si è posta il problema principale e dirimente della chiara assenza, nel caso di specie, del titolo esecutivo; b) non ha, di conseguenza, neppure adombrato la considerazione che l’esecuzione, laddove intrapresa dall’ufficiale giudiziario, avrebbe al contrario potuto essere chiusa d’ufficio dal giudice lasciandone i costi proprio a carico del creditore o che questi avrebbe potuto incorrere in condanna ex art. 96, c. 2, c.p.c. in esito alla vittoriosa opposizione all’esecuzione dell’esecutato.

Sicché, in definitiva, non solo nessun danno avrebbe subito, ma ne avrebbe anzi evitati molti.

 

3.- Qualche considerazione sugli scenari attuali: il ruolo dell’ufficiale giudiziario e la scomparsa della formula esecutiva

La fisionomia dell’ufficiale giudiziario disegnata dalla Corte, oltre ad aver condotto ad una decisione implausibile nel caso concreto, neppure trova cittadinanza nel contesto dell’esecuzione forzata soprattutto secondo le sue attuali linee di sviluppo.

E’ sorprendente che il Collegio si spenda nell’illustrare come la formula esecutiva faccia da sbarramento all’esercizio dei poteri di rilievo dell’esistenza del titolo esecutivo in capo all’ufficiale giudiziario perdendo di vista il dato dirimente che la sua eliminazione da parte del d. lgs. n. 149/2022[11]  impone oggi una rinnovata riflessione sul suo ruolo quale protagonista necessario dell’apertura dell’esecuzione (e persino della sua intera gestione).

L’ufficiale giudiziario è infatti oramai anche formalmente l’unico ponte tra il creditore istante e una valida esecuzione forzata ex artt. 513, 606 e 608 c.p.c. proprio in ragione della scomparsa della formula esecutiva.

L’occasione sarebbe stata allora propizia per rimeditare, ad esempio, (quantomeno) le basi sistematiche dell’orientamento[12] per il quale i suoi atti non sono impugnabili con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. Orientamento fondato a sua volta sul presupposto che tale strumento sarebbe riservato ai soli atti del giudice dell’esecuzione e comportante che gli atti o i rifiuti illegittimi dell’ufficiale giudiziario siano solo, in applicazione analogica degli artt. 534 ter e 591 ter c.p.c. o degli artt. 610 e 613 c.p.c., oggetto di ricorso al giudice dell’esecuzione che ne decide con provvedimento impugnabile, esso sì, ex art. 617 c.p.c.

Nel peculiare contesto del rifiuto del pignoramento o dell’esecuzione per consegna/rilascio, il controllo preventivo passa, non essendovi esecuzione in corso, per l’art. 60 c.p.c. dal quale costante giurisprudenza  ricava che la parte che ha patito il rifiuto può rivolgersi al giudice che esercita il controllo sull’ufficiale giudiziario, che scioglie il contrasto con provvedimento impugnabile ex art. 617 c.p.c.

Può infatti anche convenirsi che la scelta sia opportuna perché capace di coniugare il controllo preventivo sulle condizioni legittimanti il potere esecutivo dell’ufficiale giudiziario con l’esigenza del creditore di accelerare il compimento dell’esecuzione senza dover attendere la definizione dell’opposizione ex art. 617 c.p.c.[13]

Ciò che però non convince è il relativo presupposto di sistema, vale a dire la qualificazione del rifiuto del pignoramento (ma lo stesso vale per l’esecuzione per consegna/rilascio) non come vero e proprio atto esecutivo ma come mero fatto generatore di responsabilita` in capo all’ufficiale giudiziario.

Occorre infatti riflettere sulla circostanza che il potere dispiegato è sempre lo stesso sia che gli atti vengano compiuti e si tratti di reagire all’assenza dei relativi presupposti sia che ne venga invece negato il compimento e si tratti di reagire ad un (in thesi) illegittimo rifiuto.

Se dunque il pignoramento è un atto esecutivo che può essere contestato quanto alla sua nullità (con l’opposizione ex art. 617 c.p.c.) e/o all’assenza dei suoi presupposti (con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615, c. 2 c.p.c. (con corredo di possibile sospensione ex art. 624 c.p.c.), è parimenti atto esecutivo il suo rifiuto, non diversamente da quanto accade per i provvedimenti di accoglimento della domanda rispetto a quelli di rigetto.

E’ allora difficile spiegarne un controllo affidato all’art. 60 c.p.c., considerato che l’opposizione ex art. 617 c.p.c. contempla pur sempre la pronuncia di provvedimenti indilazionabili, che potrebbero servire allo scopo di ottenere, da parte del creditore, una anticipazione dell’atto in attesa della definizione dell’opposizione.

Anche a voler ammettere però che il regime possa mutare in ragione del segno che l’atto assume (compimento o rigetto),[14] e che ragioni di opportunità e di efficacia pratica consiglino di mantenere la soluzione pretoria, una rimeditazione delle sue basi concettuali da parte della Corte della nomofilachia sarebbe stata, oggi, necessaria.

Dire che il rifiuto di compiere il primo atto di esecuzione è un mero fatto generatore di responsabilità contribuisce infatti ad offuscare la figura istituzionale dell’ufficiale giudiziario. E ciò proprio quando invece la scomparsa della formula esecutiva riporta al centro dell’attenzione, rilanciandolo, il tema della verifica dell’esistenza del titolo esecutivo, oltre che nei profili ampiamente illustrati, anche sul versante della successione anteriore alla notificazione dell’atto di precetto.

Oggi l’art.475 c.p.c. sancisce infatti espressamente che il titolo per l’esecuzione forzata ex art. 474 c.p.c. vale non solo “per la parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione” ma anche “per i suoi successori”.

Il titolo ha dunque, a prescindere da quella che era olim la spedizione in forma esecutiva fatta alla parte o ai suoi successori, efficacia ultra partes.[15]

Se dunque reca una indicazione soggettiva ed il precetto invece, nell’ “attualizzarlo”, reca l’indicazione della successione dal lato attivo o passivo, si ripropone il tema del controllo dell’attualità del titolo esecutivo, stavolta sotto il profilo della legittimazione a richiedere l’esecuzione. Tale controllo, sia pure estrinseco e formale, era tra quelli presupposti dalla spedizione in forma esecutiva che, in base al vecchio art. 475 c.p.c., comprendeva appunto l’indicazione del soggetto a favore del quale era fatta.

Oggi quel (sia pure debole) diaframma[16] è scomparso e la legge è chiara nell’ascrivere al titolo stesso una naturale efficacia ultra partes.

Non può allora che conseguirne che la eventuale discrepanza tra i riferimenti soggettivi del titolo e quelli del precetto debba essere specifico oggetto di controllo oggi esclusivamente [17] da parte dell’ufficiale giudiziario, che ne dovrà verificare la legittimità proprio in base al riscontro di un fenomeno successorio, altrimenti dovendo rifiutare il compimento dell’atto esecutivo richiesto.

E sarà verosimilmente la parte istante a dover fornire elementi in tal senso, fermo restando che l’esecutato potrà comunque contestare la legittimazione del procedente attraverso l’opposizione all’esecuzione.

Nessuna indicazione, e ce ne sarebbe stato bisogno, è tuttavia dato ricavare dalla pronuncia in commento che manca così, inspiegabilmente, un appuntamento importante con quello che è già il presente dell’esecuzione forzata.

[1] In dottrina si parla, sin da tempi risalenti, di funzioni senz’altro giurisdizionali in riferimento all’ufficiale giudiziario che agisce quale organo dell’esecuzione forzata: v., a mero titolo di esempio, già Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1934, II, 68, per il quale «L’ufficiale giudiziario […] è il terzo organo giurisdizionale componente il tribunale, che integra l’attività di questo esercitando in alcuni casi il potere coercitivo […]. Ciò che rende autonomo e quindi giurisdizionale l’atto dell’ufficiale giudiziario è il principio, a noi derivato dal diritto francese, per cui l’ufficiale giudiziario procede […] agli atti del suo ministero senza permissione dell’autorità giudiziaria, salvo i casi in cui la legge stabilisca diversamente. Il nostro ufficiale giudiziario non è dunque un semplice missus iudicis ma un organo  per sé stante, avente una sua propria sfera d’iniziativa e di responsabilità”; Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959/1965, 216-217, per il quale l’u.g. “(…) è dotato di un potere originario, che non è altro se non il potere giurisdizionale. […] L’autonomia dell’ufficiale giudiziario è ancora più spiccata anzi di quella del cancelliere, perché gli è riconosciuta una propria sfera di competenza»; ID, ivi, III, 245-247, ove l’affermazione che la forza usata dall’ufficiale giudiziario nell’esecuzione forzata è «l’ineliminabile corredo delle funzioni giurisdizionali demandate all’ufficiale giudiziario (…)” per lo svolgimento delle sue funzioni; nello stesso senso anche Segrè, Del cancelliere e dell’ufficiale giudiziario, in Commentario c.p.c., diretto da Allorio, I, Torino, 1973-1980, 674 ss.; Id., L’ufficiale giudiziario organo giurisdizionale e amministrativo, in Riv. Dir. Proc., 1972, 301-311 ove l’affermazione che “(…) l’ufficiale giudiziario esercita la giurisdizione quando dà esecuzione agli ordini del giudice e quando procede in forza di titoli esecutivi anche stragiudiziali”; di recente Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, I, Torino, 2024, 260, sub nota 41, ribadiscono che l’ufficiale giudiziario è organo che «assomma funzioni tipicamente giurisdizionali (specialmente nel processo di esecuzione forzata) a funzioni amministrative (…)”.

[2] Dato pacifico, per l’illustrazione del quale sufficit perciò qui rinviare, per tutti, a Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2020,79 ss.

[3] In tali ipotesi l’ufficiale giudiziario ha i poteri di cui agli artt. 68, c.1, 513, c.2, e 608, c.2 c.p.c., vale a dire il potere di nomina di propri ausiliari e quello di richiesta di assistenza della forza pubblica. V., in generale, Sperti, Il potere officioso dell’Ufficiale Giudiziario di controllo preventivo dell’esistenza o meno del titolo esecutivo e la conseguente legittimità del suo rifiuto di pignoramento per inesistenza del titolo esecutivo, in questa Riv, 2023, 211 ss.

[4] In riferimento al potere dell’ufficiale giudiziario di rifiutare il pignoramento in difetto di titolo esecutivo v. ad esempio, in dottrina, Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2022, 958; Capponi, Manuale, cit., 79 ss; Castoro, Il processo esecutivo nel suo aspetto pratico, Milano, 2017, 410; Martinetto, L’espropriazione forzata, a cura di Bove, Capponi, ID, Sassani, Torino, 1988, 58 ss.

[5] Dopo aver inopinatamente affermato che gli artt. 513, 606 e 608 c.p.c. non imporrebbero all’ufficiale giudiziario un controllo sul titolo esecutivo ed il precetto di cui pure deve essere munito

[6] V. in tal senso, in dottrina, Fornaciari, Esecuzione forzata e attivita` valutativa.  Introduzione sistematica, Torino, 2009, 5 ss.

[7] Nelle esemplificazioni del punto 14 della motivazione.

[8] La Relazione illustrativa al d. lgs. n. 149/2022 recita, a commento del novellato art. 492-bis c.p.c., che «[…] è stata soppressa la necessità di autorizzazione da parte del presidente del tribunale, in quanto tale attività implica lo svolgimento di meri controlli formali, non diversi da quelli che l’ufficiale giudiziario  già svolge prima di procedere al pignoramento»

[9] Ben conscia di questa realtà ed allo scopo di prevenire la facile obiezione in tal senso, la Corte si premura allora di affermare, senza motivare, che proprio l’art. 492 bis c.p.c. rappresenterebbe l’eccezione alla regola della normale assenza, nell’ufficiale giudiziario, del potere-dovere di verificare l’esistenza di un valido titolo esecutivo (in senso formale) prima di dare corso agli atti esecutivi richiesti. A sostegno dei propri assunti la Corte cita Cass. n. 23625/2012  riportandone la frase “(…)l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario in sede di pignoramento mobiliare è meramente esecutiva”. Nel 2012 la Corte si limitò tuttavia ad escludere, in quel precedente, il potere dell’ufficiale giudiziario (non di valutare d’ufficio l’esistenza di titolo esecutivo e precetto ma) di valutare i titoli di appartenenza dei beni mobili da sottoporre al pignoramento, in virtù della presunzione legale relativa ex art. 513 c.p.c. di appartenenza al debitore dei beni mobili che si trovano nella casa del debitore e negli altri lughi a lui appartenenti, essendo appannaggio esclusivo dell’opposizione di terzo la effettiva determinazione del regime di tali beni. Lo stesso è a dirsi per il riferimento a Cass. 3030/1992, di cui è riportata la frase «[All’ufficiale giudiziario richiesto di procedere al pignoramento mobiliare competono] verifiche strettamente formali, in quanto all’ufficiale giudiziario non è consentito di adottare alcuna decisione in ordine al potere del creditore o all’obbligo del debitore, perché la misura del primo e del secondo è rispettivamente determinata dal titolo esecutivo e dalla possibilità di proporre opposizioni». Anche in tal caso la Corte ebbe infatti a precisare che l’ufficiale giudiziario ha il potere di rifiutarsi legittimamente di eseguire il pignoramento richiesto, a norma degli artt. 60 c.p.c. e 108 d.P.R. n. 1229/1959 laddove il creditore istante non gli consegni il titolo esecutivo, nella specie costituito da un assegno bancario insoluto. Vi è poi il riferimento a Cass. n. 13069/2007 per la quale «[…] Alcun controllo è consentito compiere all’ufficiale giudiziario che  non sia quello della semplice lettura delle risultanze estrinseche del titolo esecutivo, non essendo egli adatto a compiere indagini più delicate». La frase, usata dalla Corte per esprimere la non essenzialità della formula esecutiva di cancelleria, al fine della sussistenza o meno del titolo esecutivo, non solo non è incompatibile ma addirittura fotografa il potere-dovere  dell’ufficiale giudiziario di controllo officioso preventivo della sussistenza o meno del titolo esecutivo in senso formale. Ed in effetti, nel caso concreto, l’ufficiale giudiziario richiesto di procedere al pignoramento mobiliare sulla base di ordinanza del G.E. ex art. 510, comma primo, c.p.c., e pedissequo precetto di pagamento, ha messo a confronto le risultanze estrinseche dei due documenti predetti, prendendo atto della mancata consegna del titolo esecutivo originario costituito da un assegno bancario insoluto.

[10] V., ad esempio, Cass. 5 ottobre 2018, n. 24571 e Cass. 22 giugno 2020, n. 12127, in riferimento all’inidoneità al giudicato.

[11] V. in generale su questo profilo, e senza pretesa di completezza, Tiscini, Riflessioni sparse intorno ad alcune novità in tema di processo esecutivo nella riforma Cartabia, in Rass. es. forz., 2023, 25 ss; Giaquinto, Sulla formula esecutiva, «residuo di un antico passato», e sulla sua abrogazione nella recente delega al governo per l’efficienza del processo civile, ivi, 47 ss.

[12]V., ad esempio, Cass. 30 settembre 2015, n. 19573; Cass. 12 dicembre 2016, n. 25317; Cass. 16 novembre 2023, n. 31913.

[13] Così Cass. n. 3030/1992, la quale ricostruisce in questi termini il regime di impugnazione del rifiuto dell’ufficiale giudiziario di procedere all’esecuzione richiesta. Nello stesso senso anche Cass., 21-3-2008, n. 7674; Cass., 20-12-2012, n. 23625.

[14]  Anche in considerazione del fatto che in caso di rifiuto la richiesta può sempre essere riproposta.

[15] Così risolvendo in radice una annosa questione interpretativa, se cioè la legittimazione esecutiva del successore derivasse dalla spedizione in forma esecutiva in suo favore, secondo il tenore letterale dell’art. 475 c.p.c. vecchio testo, o se invece fosse intrinseca al titolo a prescindere da quella formalità (secondo la tesi di Luiso, L’esecuzione “ultra partes”, Milano, 1984, alfine prevalsa). Sui termini di questo dibattito v. ancora Giaquinto, Op. cit., 69 ss.

[16] La giurisprudenza di legittimità, nel più ampio contesto della lezione del cd. “pregiudizio effettivo” (su cui v., emblematicamente, Cass. 12 febbraio 2019, n. 3967, in questa Riv., 2019, 385 ss., con note critiche di Rusciano, F. Auletta, Farina e Capponi, A più voci sui principi di diritto pronunciati d’ufficio in tema di spedizione in forma esecutiva e interesse all’opposizione, e in www.judicium.it, 2019, con note critiche di Capponi, Principi di diritto pronunciati d’ufficio su spedizione in forma esecutiva e interesse all’opposizione, e di Farina, Contraddittorio negato e dottrina giudiziaria in una recente pronuncia “nomofilattica” della Suprema Corte in materia di spedizione in forma esecutiva) aveva già svalutato il ruolo della spedizione in forma esecutiva ai fini del riconoscimento della legittimazione ad agire in executivis in capo al successore, statuendo che questi potesse agire anche laddove la spedizione stessa fosse avvenuta in favore della parte originaria. V., in tal senso, Cass. 11 dicembre 2020, n. 20303, in questa Riv, 2021, 421 ss, con nota di Capponi, Ma a cosa serve la spedizione in forma esecutiva?

[17] In realtà dovendosi ammettere, proprio in ragione del fatto che sul ruolo della formula esecutiva in tal senso non vi fosse uniformità di vedute, un controllo anche in precedenza: v., in riferimento anche in riferimento a questo profilo, l’ampio studio di Sperti, I poteri officiosi dell’ufficiale giudiziario nell’esecuzione forzata ordinaria, in Riv. es. forz., 2017, 1ss.