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Sulla nuova ordinanza di accoglimento (art. 183-ter c.p.c.)
Si analizza il nuovo istituto dell’ordinanza di condanna, evidenziando i limiti di concezione e costruzione del modello processuale.
Di Bruno Capponi -
Sommario: 1.- Genesi e inquadramento della norma. 2.- Funzione. 3.- Cenni alla stabilità. 4.- Le difese manifestamente infondate. 5.- Qualche breve considerazione finale.
1.- Genesi e inquadramento della norma. La genesi dell’art. 183-ter c.p.c. è tutt’altro che lineare[1]. La commissione ministeriale presieduta dal prof. Luiso aveva pensato di inserire nel Libro IV del c.p.c. la previsione di un provvedimento sommario di condanna con riserva, di genere anticipatorio e non sostitutivo della finale decisione di merito. Col noto emendamento del governo Draghi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII[2] tale prospettiva è stata abbandonata a favore di provvedimenti, di accoglimento o di rigetto[3], sempre di tutela sommaria non cautelare ma dichiaratamente sostitutivi della decisione di merito. Per questa ragione, si è scelta per essi l’etichetta di “definitori” (in contrapposto a “anticipatori”) con conseguente loro collocazione nel Libro II, anziché nel IV: a significare che costituiscono provvedimenti non speciali (alternativi alla tutela ordinaria) essendo alternativi alla finale sentenza di merito, ma pur sempre collocati nell’alveo dell’ordinario processo di cognizione. Con la caratteristica peculiare di non dar luogo ad alcun accertamento del diritto[4]; quindi “definitori” del processo, senza tuttavia poter realizzare il risultato istituzionale proprio del processo di cognizione[5].
In ogni caso, è destinato a rimanere immutato l’impianto dei provvedimenti anticipatori introdotti nel 1990 (artt. 186-bis e ter c.p.c.) e nel 1995 (art. 186-quater c.p.c.) che rispondono a funzionalità diverse. Potrà osservarsi che anche l’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione presenta una chiara vocazione a sostituirsi alla sentenza di merito; tuttavia, essa nasce pur sempre come provvedimento revocabile con la sentenza che definisce il giudizio (comma 2), e la deviazione dal modello anticipatorio è nel fatto che essa potrà valere come sentenza «sull’oggetto dell’istanza» o allorché il processo si estingue ovvero qualora l’intimato non richieda la pronuncia della sentenza (cosa che sarà indotto a non fare per poter immediatamente appellare l’ordinanza, che è titolo esecutivo, e chiederne l’inibitoria). Quindi, lo strumento del 186-quater non nasce come provvedimento definitorio, pur potendo diventarlo in presenza di determinate condizioni che rimandano pur sempre a comportamenti di parte e previa sua “trasformazione” in sentenza appellabile.
L’esistenza dei provvedimenti anticipatori di anteriore concezione finisce per tradursi in un criterio di lettura e inquadramento dei nuovi strumenti, posto che tutti sono destinati a convivere nel medesimo contesto: e così, ad es., quando l’art. 183-ter parla di «fatti costitutivi provati» non potrà intendere (anche) fatti «non contestati», perché tale presupposto richiama l’applicazione dell’art. 186-bis. In questo modo i due provvedimenti vengono virtualmente collocati in distinti momenti del processo: l’art. 186-bis a valle della fase introduttiva, l’art. 183-ter a valle di quella istruttoria (se vi sia necessità di raccogliere la prova). Qualora invece la prova documentale sia offerta fin dalla citazione introduttiva, sorge il problema del concorso col procedimento monitorio ovvero, in corso di causa, con l’ordinanza del 186-ter che però, per un banale errore del legislatore del 1990, potrebbe essere pronunciata anche in forma non esecutiva.
Se è vero, dunque, che la convivenza di tutti questi modelli (costituenti un repertorio senz’altro eccedente e disordinato) potrà servire a chiarire gli àmbiti di applicazione rispettivi, è indubbio che la presenza, nel quadro del giudizio ordinario di cognizione, di ben cinque alternative di sommario non cautelare finisce per dare all’interprete una fastidiosa sensazione di casualità e sciatteria. Sensazione destinata a crescere se, contro quanto qui proposto, si ritenesse che le diverse condizioni di ammissibilità non valgano a differenziare gli accessi alla tutela, di modo che il richiedente sempre potrebbe scegliere à la carte tra i vari modelli disponibili che, del resto, realizzano risultati diversi.
2.- Funzione. Funzione comune, come tutti i commentatori hanno osservato, è quella della formazione semplificata del titolo esecutivo: l’art. 186-bis per il pagamento di somme; l’art. 186-ter anche per la consegna di beni mobili; l’art. 186-quater aggiunge il riferimento al rilascio immobiliare. Per l’ordinanza dell’art. 183-ter il discorso si presenta più complesso, perché si parla qui di «controversie … aventi ad oggetto diritti disponibili»: l’àmbito della tutela, letteralmente inteso, non sembra limitato alla condanna e tuttavia la funzione dell’ordinanza non può essere disgiunta dalle previsioni: (a) della sua immediata esecutorietà; (b) della sua inidoneità al giudicato sostanziale; (c) del difetto di “autorità” in altri processi tra le stesse parti (cfr. l’art. 337, comma 2, c.p.c.).
È da escludere che il legislatore abbia profittato dell’occasione per risolvere – senza dettare norme particolari – l’annoso problema dell’esecutorietà provvisoria dei provvedimenti diversi da quelli di condanna[6]; occorre piuttosto ritenere, con la dottrina maggioritaria, che il riferimento implicito (ed esclusivo) è appunto a questa forma di tutela, grazie al complesso delle previsioni che abbiamo appena elencato.
Il margine di opinabilità resta per quei provvedimenti di condanna che presuppongono statuizioni di diversa natura (es., risoluzione contrattuale e risarcimento del danno), casi che nella giurisprudenza hanno prodotto sinora soluzioni altalenanti[7]. In questa materia si annida però un equivoco di fondo: nel provvedimento anticipatorio, l’efficacia immediata (o “provvisoria”) della statuizione di condanna non è distaccata dalla statuizione costitutiva bensì la presuppone: soltanto che essa acquisterà efficacia in un tempo successivo, con la formazione del giudicato. Nel nostro caso, come vedremo, la regola è che nessuna statuizione sarà mai suscettibile di passare in giudicato; assistiamo così al fenomeno di una condanna che per definizione non potrà essere sorretta da una pronuncia costitutiva e che, in conseguenza, sarà destinata a venir meno qualora, in un successivo giudizio, ne venga contestato in radice il presupposto (nell’esempio fatto, la responsabilità della risoluzione contrattuale).
In termini pratici, l’economia dei giudizi si realizza soltanto se la parte intimata, sapendo di aver torto, finisca per accettare il provvedimento condannatorio; se invece intenderà contestarlo, è evidente che il risultato sarà quello della proliferazione dei giudizi in cui il merito venga discusso, e di contenziosi anche in sede esecutiva.
3.- Cenni alla stabilità. Il riferimento ai possibili contenziosi insorgenti in sede esecutiva consente di mettere a fuoco una diversa questione: se l’ordinanza di condanna è titolo esecutivo giudiziale, varrà anche per essa la tradizionale regola secondo cui in sede di opposizione all’esecuzione non potranno dedursi motivi relativi all’intrinseco del titolo?
La principale giustificazione della regola è nel fatto che occorre delimitare il confine tra l’intervento del giudice dell’impugnazione, da un lato, e quello del giudice dell’opposizione all’esecuzione, dall’altro. Nel nostro caso, però, il giudice dell’impugnazione non esiste, perché l’unico strumento di reazione avverso il provvedimento positivo è il reclamo al collegio sulla falsariga del cautelare: non quindi un giudice superiore, ma lo stesso giudice diversamente composto.
Quasi tutti gli interpreti[8] si sono espressi nel senso che, come avviene appunto in materia cautelare, il provvedimento del collegio non sarebbe impugnabile. Ma va osservato che, nel contesto del cautelare, la regola viene giustificata con le caratteristiche stesse del provvedimento anche nella sua relazione col giudizio di merito; problematiche che nel nostro caso mancano del tutto. Verosimilmente il legislatore ha richiamato il reclamo cautelare desiderando estendere al nostro caso il relativo regime, senza però considerare che la condanna sommaria non ha natura cautelare né esiste un “merito” rispetto al quale il sommario è funzionalizzato.
La novità della questione[9] potrebbe giustificare qualsiasi soluzione:
– quella di costruire il provvedimento condannatorio alla stregua di un titolo stragiudiziale[10];
– quella di riconoscergli una stabilità limitata, di genere preclusivo (pro judicato);
– quella di riconoscergli stabilità solo in quanto titolo esecutivo, non diversamente da ciò che accade in applicazione del comma 2 dell’art. 186-bis;
– quella di confermare la regola tradizionale, con la sola specificazione che la competenza del giudice dell’impugnazione verrà qui assorbita dalla competenza del diverso giudice che potrebbe essere chiamato a conoscere del merito sottostante al provvedimento, posto che tale merito non viene in alcun modo impegnato dal titolo esecutivo.
Quest’ultima soluzione, che a prima vista potrebbe sembrare la più coerente rispetto al sistema, rischia in realtà di rivelarsi la più anomala, perché in difetto di qualsiasi indicazione da parte del legislatore la competenza del giudice dell’opposizione all’esecuzione verrebbe limitata dalla mera possibilità che una causa di merito sia introdotta per contestare il fondamento di legittimità del titolo esecutivo, e una simile causa potrebbe in realtà non venire mai intentata.
4.- Le difese manifestamente infondate. Si tratta dell’elemento più sfuggente e ambiguo dell’intera disciplina. Si è visto che i fatti costitutivi del diritto dell’attore debbono essere provati nei modi ordinari, e dunque per questo aspetto il giudizio non risulta sommarizzato. Lo stesso non può ripetersi dal lato del convenuto, sia per il verbo utilizzato (“appaiono”) che rimanda a una valutazione di tipo soggettivo se non addirittura provvisorio (“appaiono allo stato”), sia per il risultato stesso di tale valutazione. L’attuale contesto della fase preparatoria fa pensare che, nel momento in cui il giudice viene chiamato a scrutinare la posizione del convenuto, le parti si saranno scambiate ben quattro scritti e di conseguenza risulterà assai scarsa la possibilità di introdurre nuove difese o di modificare quelle già precisate. È ragionevole pensare che l’introduzione di una domanda riconvenzionale o una chiamata di terzo escludano in modo automatico l’applicabilità della norma. Siamo dell’idea che una difesa è manifestamente infondata quanto i fatti costitutivi dedotti dall’attore non siano scalfiti dalla contestazione del convenuto. Molto più delicato stabilire quando una difesa sia manifestamente infondata in diritto, specie se per “diritto” si intenda, come ora usa[11], l’ultimo orientamento di legittimità. Ma ciò che va sottolineato è che la sommarietà riguarda il giudizio, cioè la valutazione individuale che il giudice compie, non l’esame delle difese che non potrà che essere completo ed esaustivo. Siamo dunque lontanissimi dalla proposta della commissione Luiso che immaginava una condanna con riserva in un contesto di anticipazione della tutela.
5.- Qualche breve considerazione finale. L’ordinanza sommaria di accoglimento è uno strumento pensato, nell’interesse dell’attore che aspira all’ottenimento rapido del provvedimento condannatorio, per semplificare e velocizzare la fase di decisione. È anche uno strumento vòlto allo smaltimento dei contenziosi, come emerge chiaramente dalla regola secondo cui «In caso di pluralità di domande l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrono per tutte» (comma 2). I presupposti vogliono che l’attore debba dare la prova piena dei fatti costitutivi del suo diritto, a fronte della qual prova il giudice valuterà se le difese del convenuto “appaiono” manifestamente infondate. Il giudizio dunque, sino alla decisione sommaria, si svolge nelle forme ordinarie. Opportunamente (si sarebbe posto in caso di pronuncia d’ufficio un serio problema di costituzionalità) il meccanismo è attivato da una domanda di parte, la quale deve però sapere che la tutela sommaria realizzerà risultati molto diversi da quella ordinaria inizialmente richiesta. Tali risultati potrebbero non corrispondere all’interesse dell’attore, che nella situazione processuale maturata potrebbe facilmente ottenere una sentenza assistita dalla forza del giudicato. Il modello è mal confezionato anche quanto alla fase di controllo perché il richiamo al reclamo cautelare, possibile solo in caso di accoglimento dell’istanza, non può trascinare il regime proprio della tutela cautelare; e dunque non è da escludere che avverso il provvedimento di reclamo si finisca per ammettere il ricorso straordinario (si pensi al regolamento delle spese). È facile preconizzare uno scarso successo dell’istituto[12] perché, se è vero che l’attore potrà ottenere in tempi più rapidi il titolo esecutivo, è anche vero che quel titolo risulterà sommamente instabile e prevedibilmente risulterà attaccabile tanto in separato giudizio, tanto in sede di opposizione all’esecuzione; meglio così attendere i tempi della sentenza, in una situazione processuale evoluta in modo tale da far presumere l’ottenimento di una pronuncia favorevole.
Mettendo insieme tutti i dati, si può parlare di provvedimento Frankenstein, che assembla forme di tutela e di controllo in modo disordinato, assicurando all’«attore che ha ragione» una tutela imperfetta e inadeguata, ben lontana dagli obiettivi divisati dai proponenti.
[1] Una ricostruzione dettagliata in G. Trisorio Liuzzi, Le nuove ordinanze definitorie (artt. 183 ter e quater c.p.c.), in La riforma del processo civile, a cura di D. Dalfino, Gli Speciali del Foro Italiano, 2023, 125 ss.; utili riferimenti anche in G.P. Califano, Le nuove ordinanze “decisorie” di cui agli articoli 183-ter e quater c.p.c., in www.ildirittoprocessualecivileitalianoecomparato, dal 31 gennaio 2023; A. D’Addazio, Ordinanze di accoglimento e di rigetto (artt. 183-ter e 183-quater, c.p.c.), in La riforma Cartabia del processo civile, a cura di R. Tiscini, Pisa, 2023, 312 ss.
[2] Ci permettiamo di rinviare a Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, in Legittimità, interpretazione, merito. Saggi sulla Cassazione civile, Napoli, 2023, 29 ss.
[3] Sul secondo mi permetto di rinviare a Sulla nuova ordinanza di rigetto (art. 183-quater c.p.c.), in Foro it., 2022, V, 299 ss.
[4] B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano, 9°ed., Milano, 2023, 387 ss.
[5] Siamo dinanzi a una nuova specie di sommario non cautelare, ove si condivida la classificazione “chiovendiana” operata da L. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1985, 243 ss.
[6] Su questi temi v. il recente studio di U. Corea, Condanna civile e misure coercitive, Pisa, 2023.
[7] Ci permettiamo di rinviare alla casistica che abbiamo esaminato in Manuale di diritto dell’esecuzione civile, 6°ed., Torino, 2020, 149 ss.
[8] Fa eccezione G. Trisorio Liuzzi, op. loc. cit., alle cui osservazioni aggiungerei che il comma 4 dell’art. 183-ter riferisce l’inimpugnabilità alla sola ordinanza (non reclamata o con reclamo respinto), senza nulla aggiungere circa il regime del provvedimento di reclamo. Sull’assenza di natura cautelare non possono esservi dubbi, e anche su questo la dottrina è unanime.
[9] Che discende dalla novità strutturale del provvedimento sommario, del quale vanamente si cercherebbero omologhi oltralpe, nonostante quanto affermato nella relazione ministeriale: cfr. C. Silvestri, Considerazioni sulla riforma prevista dagli emendamenti al d.d.l. n. 1662/S/XVIII: l’istituzione di un «provvedimento sommario e provvisorio con efficacia esecutiva», in www.giustiziainsieme.it dal 12 giugno 2021.
[10] G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, II, 6°ed., Bari, 2023, 273, afferma che l’opposizione all’esecuzione sarebbe ammissibile «perfino sulla base di eccezioni che (il convenuto) aveva formulato o avrebbe potuto formulare nel processo di cognizione».
[11] Cfr., ad es., E. Lupo, Il giudizio interpretativo tra norma scritta e diritto effettivo, in www.giustiziainsieme.it dal 28 dicembre 2023.
[12] G. Trisorio Liuzzi, op. loc. cit.; G. Balena, op. loc. cit.