Sull’idoneità dell’atto notificato a far decorrere il termine breve per impugnare

Di Sara Gorrasi -

Sommario: 1. La sentenza della Corte d’Appello di Milano. – 2. La notificazione della sentenza: i requisiti formali previsti dal codice di rito ai fini del decorso del termine breve per impugnare; il divieto di atti equipollenti. – 3. L’equiparazione della notifica della sentenza con la notifica dell’impugnazione ai fini impugnatori ad opera della giurisprudenza maggioritaria: rilievi critici. – 4. La Corte d’Appello di Milano sul discrimen tra idoneità ed inidoneità della relata di notifica a far decorrere il termine breve per impugnare: riflessioni di più ampio raggio. – 5. Conclusioni.

1.- Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’Appello di Milano ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta da una società assicurativa avverso la sentenza del Tribunale di Milano, che l’aveva condannata al pagamento di un indennizzo, nonché alla rifusione delle spese di lite, a favore di controparte per i danni occorsi ad un bene di proprietà di quest’ultima e rientrante nel perimetro operativo della polizza.

In particolare, il Collegio ha accolto l’eccezione di tardività dell’appello formulata in via preliminare dagli appellati sulla base del seguente iter logico-argomentativo.

In primo luogo, la Corte ha ritenuto che la notificazione della sentenza di primo grado fosse stata idonea a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., nonostante presentasse in calce un ultroneo invito ad adempiere (v. infra, n. 4, nota 25). Ciò in quanto la notifica risultava comunque espressione della volontà della parte notificante di porre fine al processo. Il Collegio ha così individuato nella finalità emergente dalla relata di notifica il criterio interpretativo mediante il quale verificarne l’idoneità ai fini impugnatori, conformandosi ai precedenti giurisprudenziali richiamati in motivazione.

In secondo luogo, premesso che ai sensi del combinato disposto degli artt. 325, primo comma, e 326 c.p.c., la notificazione della sentenza determina il decorso del termine breve entro cui le parti sono tenute ad impugnare il provvedimento, a pena di decadenza, e che tale termine è pari a trenta giorni per l’appello, la Corte ha ritenuto tardiva l’impugnazione proposta, poiché intervenuta oltre trenta giorni dalla data di notifica della sentenza all’indirizzo PEC dei difensori di parte.

La pronuncia in esame offre, dunque, lo spunto per approfondire l’istituto della notificazione della sentenza con la pretesa, nello specifico, di individuare il criterio discretivo dell’idoneità dell’atto notificato a far decorrere il termine breve per impugnare.

2.- Prima di effettuare le dovute riflessioni in merito alla soluzione adottata dalla Corte d’Appello di Milano (v. infra, n. 4), pare opportuno delineare un quadro di sintesi dell’attuale assetto normativo in tema di notificazioni e decorrenza del termine breve per l’impugnazione.

È noto che il codice di rito prevede due termini acceleratori entro cui le parti sono tenute ad impugnare il provvedimento emesso dal giudice, a pena di decadenza:

a)Il termine lungo (art. 327 c.p.c.), pari a sei mesi, che decorre automaticamente a partire dalla pubblicazione della sentenza, ossia dal deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata ex 133, primo comma, c.p.c. Esso risponde all’esigenza pubblicistica dell’ordinamento di assicurare la stabilità dei rapporti e dei traffici giuridici[1];

b)Il termine breve (art. 325 c.p.c.), pari a trenta giorni (ovvero sessanta giorni, in caso di ricorso per cassazione), che presuppone l’istanza di parte e decorre a partire dalla data di notificazione della sentenza; momento, quest’ultimo, da identificarsi, ai sensi del novellato art. 326, primo comma, c.p.c., sia per il notificante, sia per il notificato nel perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario[2]. La riforma Cartabia (d. lgs. 149/2022) ha, difatti, codificato la regola della c.d. “efficacia bilaterale” della notificazione della sentenza, accogliendo così l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale prevalente[3]. Quanto poi alla funzione assolta, si tratta di un termine che consente al notificante di accelerare la formazione del giudicato, nell’ipotesi (ovviamente) in cui nessuna delle parti soccombenti decida di impugnare la sentenza notificata[4].

Inoltre, il Legislatore ha subordinato l’operatività del termine breve al rispetto di specifici requisiti formali da parte del notificante, elencati rispettivamente agli artt. 170, primo e terzo comma, e 285 c.p.c.: da un lato è richiesta l’istanza di parte, e, dall’altro, è necessario che la notifica venga effettuata al procuratore costituito, ovvero – nell’ipotesi in cui la parte si sia costituita personalmente – presso la residenza dichiarata od il domicilio eletto.

    Ne consegue che esclusivamente in presenza di una notifica rispondente ai suddetti requisiti legali è ammessa una riduzione della fase temporale (ossia, il termine lungo) entro cui le parti soccombenti possono impugnare la sentenza, impedendone il passaggio in giudicato. Ciò in quanto nel nostro ordinamento non rileva la conoscenza (effettiva o legale) del provvedimento aliunde conseguita dal destinatario ai fini del decorso del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c.[5]; circostanza da cui – unitamente ad ulteriori indici, presenti anche a livello normativo[6] – diversi autori desumono l’inammissibilità di atti equipollenti alla notificazione della sentenza ai fini impugnatori (v. infra, n. 3)[7].

Tale orientamento dottrinale trova conferma nell’universalmente riconosciuta efficacia ai meri fini esecutivi della notifica della sentenza di cui all’art. 479 c.p.c.[8], istituto mediante il quale il notificante mira a sollecitare il destinatario ad adempiere spontaneamente, rendendolo edotto che, in caso contrario, procederà esecutivamente nei suoi confronti[9]. È fatta salva la sola ipotesi in cui la notifica risulti effettuata secondo le diverse modalità di cui agli artt. 285 e 170 c.p.c.:  in quest’ultimo caso, infatti, la dottrina e la giurisprudenza concordano nell’ammettere la decorrenza del termine breve per l’impugnazione, giacché risultano integrati tutti i requisiti formali richiesti dalla legge ai fini dell’operatività del meccanismo di cui all’art. 326 c.p.c.[10]

In sintesi, ciò che rileva nel nostro ordinamento ai fini dell’identificazione del dies a quo del termine breve per impugnare è il mero rispetto dei requisiti formali previsti agli artt. 285 e 170 c.p.c.; requisiti, quest’ultimi, che costituiscono il compromesso individuato dal Legislatore per garantire non soltanto un’accelerazione del passaggio in giudicato delle sentenze, con conseguente stabilizzazione dei rapporti e dei traffici giuridici, ma anche il pieno esercizio del diritto di difesa delle parti coinvolte[11].

3.- In contrasto con quanto appena esposto si pone tuttavia l’orientamento giurisprudenziale maggioritario[12], fortemente criticato da buona parte della dottrina[13], che equipara, ai fini impugnatori, la notifica dell’impugnazione con la notificazione della sentenza, in ragione di una pretesa identità di funzione tra i due istituti. In particolare, la giurisprudenza ritiene che la ratio della notifica ex art. 285 c.p.c. – a cui il codice di rito ricollega il dies a quo del termine breve – consista nell’assicurare la conoscenza legale della sentenza alle parti[14]; risultato ugualmente assicurato tramite la notifica del gravame.

Le Sezioni Unite hanno peraltro recentemente affermato che la parte notificante manifesterebbe la propria volontà di porre fine al processo tanto nell’ipotesi in cui quest’ultima notifichi la sentenza, quanto nel momento in cui proceda alla notifica dell’impugnazione[15].

    In ogni caso, a nostro avviso, la suddetta tesi giurisprudenziale non appare condivisibile per le seguenti motivazioni.

Innanzitutto, una simile ricostruzione si sostanzia in una netta e palese violazione del divieto di atti equipollenti vigente nel nostro ordinamento[16]; principio, quest’ultimo, che, nonostante non sia rinvenibile in una norma ad hoc, è desumibile dal rigido formalismo normativo previsto per la notificazione della sentenza (v. supra, n. 2). Invero, se l’idoneità dell’atto notificato ai fini del decorso del termine breve è subordinata all’osservanza di determinati requisiti di forma, a nulla rileva che sia possibile addivenire al medesimo risultato anche attraverso differenti modalità. Dunque, quantunque si ritenesse – coerentemente con quanto sostenuto dalla giurisprudenza prevalente – che la funzione primaria della notificazione della sentenza coincida con la conoscenza legale della sentenza, è la legge stessa a non ammettere equipollenti (notificazione dell’impugnazione compresa), dando rilevanza alla conoscenza (o conoscibilità) del provvedimento intervenuta esclusivamente a seguito del rispetto di un determinato iter formale da parte del notificante[17].

Un secondo rilievo critico concerne l’ontologica diversità che connota i due istituti, specie sotto il profilo della funzione rispettivamente assolta. Sebbene in entrambi i casi sia assicurata la conoscenza legale dell’atto in capo alle parti[18], a nostro avviso l’effetto primario sotteso alla notificazione della sentenza è costituito dall’accelerazione della formazione del giudicato tra le parti[19]. Il notificante, di fatto, esercitando un proprio diritto potestativo di carattere processuale, anticipa unilateralmente il termine entro cui tutte le parti (se soccombenti) possono utilmente impugnare il provvedimento emesso dal giudice[20]. Per converso, tramite la notifica dell’impugnazione si ha l’apertura di un nuovo grado di giudizio, con conseguente impedimento del passaggio in giudicato della sentenza impugnata[21]. In questa seconda ipotesi, la parte (soccombente) notificante avrà interesse ad ottenere la riforma della sentenza impugnata, a differenza di colui che notifica la sentenza ai fini del passaggio in giudicato della stessa e che, di regola, suole essere la parte vincitrice nel giudizio appena conclusosi. Di conseguenza, contrariamente a quanto asserito dalle Sezioni Unite nel 2016, è evidente che la notifica dell’impugnazione non costituisce espressione di un impulso di parte diretto ad ottenere una rapida definizione della lite, assolvendo invece ad una funzione diametralmente opposta rispetto a quella propria della notificazione della sentenza, e cioè ad impedire il passaggio in giudicato del provvedimento di primo grado[22].

Ancora, i due istituti in esame differiscono tra loro come struttura. Da un lato, a seguito del perfezionamento della notifica della sentenza sorge ed inizia a decorrere nei confronti delle parti un termine perentorio acceleratorio entro cui è possibile impugnare l’atto. Dall’altro, la notifica dell’impugnazione può validamente effettuarsi entro la scadenza di un termine perentorio preesistente, quindi già in corso.

Da ultimo, la notifica del gravame si colloca temporalmente in uno stadio dell’iter processuale successivo rispetto alla notifica della sentenza, essendo proprio quest’ultima a condizionare ed a scandire le tempistiche entro cui è possibile proporre utilmente la prima.

Alla luce delle criticità evidenziate, ci appare dunque illogico, se non addirittura contra legem, accordare gli effetti propri della notifica della sentenza alla notifica dell’impugnazione, non potendosi ammettere alcuna interpretazione estensiva (od addirittura analogica) dell’art. 326 c.p.c., al contrario di quanto talvolta effettuato in sede di legittimità[23].

4.- Ritornando ora alla sentenza in esame, come abbiamo precedentemente esposto (v. supra, n. 1), la Corte d’Appello di Milano ha ritenuto idonea ai fini impugnatori la relata di notifica, seppur contenente in calce un insolito, quanto ultroneo, invito all’adempimento spontaneo di controparte. Conseguentemente ha dichiarato inammissibile l’appello proposto, in quanto tardivo.

Conformandosi ai diversi precedenti giurisprudenziali richiamati in motivazione, il Collegio ha, innanzitutto, affermato che il decorso del termine breve per l’impugnazione è subordinato all’effettiva sussistenza della volontà del notificante di porre fine al processo. Dunque, nell’ipotesi in cui emerga l’intento del notificante di conseguire un unico e diverso scopo rispetto ad una celere definizione della lite, non può che negarsi – a parere della Corte – l’effetto acceleratorio di cui all’art. 326 c.p.c.; e ciò – si noti – indipendentemente dal fatto che la notifica sia stata regolarmente effettuata.

Ciò premesso, la Corte si è successivamente interrogata sull’idoneità dell’atto notificato a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, giacché la relata di notifica presentava in calce un’atipica precisazione, espressiva di un diverso scopo perseguito dal notificante e coincidente con la richiesta di adempimento spontaneo[24]. In particolare, soffermandosi sul significato proprio dell’avverbio “altresì” (da intendersi quale sinonimo di “anche”), nonché evidenziando il fatto che tale termine precedesse tale specifica, il Collegio ha ritenuto sussistente (seppur in via non esclusiva) l’intento sollecitatorio rilevante ai sensi dell’art. 326 c.p.c. in capo alla parte notificante. Di conseguenza, posta l’idoneità della relata di notifica ai fini impugnatori, l’appello promosso dalla società assicurativa è stato dichiarato inammissibile, essendo, nel caso in esame, inutilmente decorso il termine breve per l’impugnazione.

Ebbene, se da un lato il risultato a cui è giunta la Corte d’Appello di Milano è certamente condivisibile, altrettanto non ci pare di poter affermare in relazione all’iter logico-argomentativo seguito dal Collegio.

    Si è già avuto modo di evidenziare come il Legislatore abbia inteso condizionare l’operatività del meccanismo di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. alla mera e pedissequa osservanza dei requisiti formali di cui agli artt. 285 e 170 c.p.c. (v. supra, n. 2); impostazione che trova conferma sia nella ritenuta idoneità della notifica della sentenza ex art. 479 c.p.c. a far decorrere il termine breve per impugnare nell’ipotesi in cui la stessa sia eseguita secondo le modalità ordinarie[25], sia nell’orientamento favorevole al divieto di atti equipollenti della notificazione della sentenza ai fini impugnatori[26].

La Corte si è, invece, soffermata sulla finalità emergente dell’atto notificato per stabilire se la notifica della sentenza avesse comportato la decorrenza del termine breve. Il tutto uniformandosi ad una serie di precedenti giurisprudenziali, che, oltre a non essere sempre pertinenti al caso di specie[27], a nostro avviso non risultano condivisibili alla luce dell’erroneità della premessa che li connota[28].

In primo luogo, la presenza di un “univoco e diverso scopo” emergente dall’atto notificato non comporta automaticamente l’inidoneità di quest’ultimo a far decorrere il termine breve per impugnare, poiché – come abbiamo già precedentemente sottolineato – l’operatività del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. discende ope legis dal mero rispetto dei requisiti formali di cui agli artt. 285 e 170 c.p.c. (v. supra, n. 2).

Inoltre, l’impostazione fatta propria dal Collegio si pone in evidente contrasto con il divieto di atti equipollenti della notificazione della sentenza vigente nel nostro ordinamento (v. supra, nn. 2 e 3). Difatti, dall’accoglimento della tesi in esame discenderebbe logicamente l’idoneità ai suddetti fini impugnatori della notificazione anche di atti atipici[29], purché gli stessi siano in grado di portare a conoscenza del destinatario il contenuto del provvedimento e risultino espressione della volontà della parte notificante di porre fine al processo. Una volontà, tuttavia, a cui il Legislatore non ha attribuito alcuna rilevanza ai fini dell’operatività del termine breve, alla pari della conoscenza aliunde conseguita del provvedimento da parte del notificato (v. supra, n. 2).

In conclusione, a nostro avviso, la Corte d’Appello di Milano ha correttamente statuito in ordine all’idoneità della relata di notifica ai fini impugnatori, con conseguente tardività dell’appello proposto per decorso del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. Non riteniamo però altrettanto condivisibile il ragionamento fatto proprio dal Collegio, posto alla base della decisione, laddove ha erroneamente individuato nella finalità emergente dalla relata di notifica il criterio discretivo alla luce del quale vagliarne l’idoneità ai fini impugnatori. Infatti, è esclusivamente dalla mera osservanza degli oneri formali di cui agli art. 285 e 170 c.p.c. che discende ope legis la decorrenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., operando – quindi – una presunzione legale assoluta circa la sussistenza in capo al notificante della volontà di accelerare la definizione della lite in presenza di una regolare relata di notifica.

5.- In definitiva, alla luce delle considerazioni svolte, il criterio interpretativo per vagliare l’idoneità dell’atto notificato ai fini della decorrenza del termine breve ad impugnare presenta un carattere duplice e si sostanzia, in prima battuta, nella verifica della forma rivestita dall’atto e, in seconda battuta, nel rispetto delle relative modalità di notificazione.

In altri termini:

a)se si è in presenza di una relata di notifica della sentenza (e quindi di un atto tipico), l’interprete sarà tenuto a ritenerla idonea ai fini della decorrenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., purché la stessa risulti effettuata in ossequio ai requisiti legali ex lege previsti;

b)se si è, invece, in presenza di un atto atipico, che si ricolleghi ad un provvedimento o che sia comunque in grado di fornirne notizia (come, ad esempio, la notifica dell’impugnazione)[30], l’interprete dovrà concludere de plano per la relativa inidoneità ai fini impugnatori.

Del resto, la soluzione così prospettata garantisce tanto una maggior speditezza e rapidità dei procedimenti, quanto il rispetto del diritto di difesa delle parti. Invero, non rilevando la finalità emergente dall’atto notificato al fine di statuirne l’idoneità ai fini impugnatori, il destinatario non è gravato da alcun onere di verifica del relativo contenuto. Più semplicemente, il notificato sarà tenuto a valutare un’eventuale impugnazione del provvedimento esclusivamente in presenza di una notifica regolarmente eseguita.

Dunque, alla pari del giudice, il difensore di parte, in presenza di una relata di notifica, dovrà soltanto verificare che siano stati osservati i requisiti formali ex lege previsti agli artt. 285 e 170 c.p.c., e non già ad indagare la finalità per la quale la stessa risulti effettuata.

[1] Cfr. inter alia C. Mandrioli – A. Carratta, Diritto processuale civile. Il processo di cognizione, II vol., Torino, Giappichelli, 2024, p. 393, e L. Montesano – G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, Vol. I, Tomo II, Padova, Cedam, 2001, p. 1702.

[2] Ciò non si pone in contrasto con la giurisprudenza della Corte costituzionale, che, a partire dalla sentenza n. 477 del 26 novembre 2002, ha sancito il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il notificato. Come evidenziato anche da Cass. civ., sez. un., 4 marzo 2019, n. 6278, tale principio trova la propria ratio nell’esigenza di tutelare il soggetto notificante dal rischio di decadenze da facoltà processuali, a lui non imputabili, presupponendo logicamente la previsione di un termine perentorio a carico della parte per l’esercizio delle stesse. Pertanto, il principio di scissione soggettiva degli effetti non opera con riferimento alla notifica della sentenza su iniziativa della parte, non essendo la relativa proposizione soggetta ad alcun termine perentorio. In senso conforme, ci appaiono, tra gli altri, in dottrina F. P. Luiso, Diritto processuale civile. I principi generali, vol. I, Milano, Giuffré, 2023, p. 253 e s., che evidenzia come il principio di scissione degli effetti operi “nell’ipotesi in cui il notificante debba effettuare la notificazione entro un certo termine”, e quindi in un’ipotesi diversa da quella che in questa sede rileva; G. Tarzia – F. Danovi – L. Salvaneschi, Lineamenti del processo civile di cognizione, VII ed., Milano, Giuffrè, 2023, p. 396; E. T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, Giuffrè, 2012, p. 232.

[3] Sul punto, in dottrina, cfr. ex multis F. Amato, Termine breve di impugnazione e bilateralità della notificazione della sentenza nel processo con due sole parti, in Riv. dir. proc. 1985, p. 342 e ss.; G. Tarzia – F. Danovi – L. Salvaneschi, op. cit., p. 216; R. Poli, Sugli equipollenti della notificazione della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, in Riv. dir. proc. 2018, p. 78 e ss., che, tuttavia, si pone nel senso della non necessarietà della vigenza di tale principio; Rob. Vaccarella, Efficacia bilaterale della notifica della sentenza, equipollenza tra la notifica dell’impugnazione e la notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare e principio dell’equipollenza bilaterale, nota critica a Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2010, n. 18184, in Judicium.it. Contra, in passato, A. Cerino Canova, Sulla soggezione del notificante al termine breve di gravame, in Riv. dir. proc. 1982, p. 624 e ss. In giurisprudenza, cfr., da ultimo, Cass. civ., sez. un., 4 marzo 2019, n. 6278, che ha statuito il principio di efficacia bilaterale della notifica della sentenza, oggi definitivamente recepito al novellato art. 326 c.p.c.

[4] Cfr. per tutti L. Montesano – G. Arieta, op. cit., p. 1703. In generale, sulla possibilità di impugnare da parte esclusivamente del soccombente, si veda, tra gli altri, L. Salvaneschi, L’interesse ad impugnare, Milano, Giuffrè, 1990.

[5] Sul punto, si veda, senza pretesa di esaustività, F. Amato, op. cit., p. 445, che definisce la conoscenza legale come “la finzione di conoscenza che si attua nei modi (e solo nei modi) presunti dalla legge ed idonea a produrre gli effetti previsti dalla legge”; A. Frassinetti, La notificazione nel processo civile, Milano, Giuffrè, 2012, p. 12, che evidenzia come, a seguito della notificazione della sentenza ex art. 326 c.p.c., “il termine breve per impugnare inizia a decorrere solo dalla conoscibilità della sentenza conseguita con la forma legale della notificazione al difensore, a nulla rilevando la conoscenza effettiva procurata in altro modo”; E. T. Liebman, op. cit., p. 230, che rammenta come la notificazione sia pienamente efficace “quando le formalità prescritte siano state osservate, indipendentemente dal fatto che il destinatario abbia avuto effettiva conoscenza dell’atto”; R. Poli, op. cit., p. 1021, il quale sottolinea come “all’ordinamento non interessa che la parte che ha partecipato al giudizio abbia acquisito conoscenza della sentenza, perché tale accadimento è rimesso alla sua ordinaria diligenza. Ciò che interessa è che il processo, inteso come sequenza di atti formali, prestabiliti, scadenzati e funzionali allo scopo di fornire alla parte la tutela dei propri diritti, giunga alla sua naturale conclusione”; L. Penasa, Le Sezioni Unite confermano l’equivalenza tra notificazione della sentenza e della impugnazione ai fini del decorso del termine breve per impugnare, nota critica a Cass. civ., sez. un., 9 giugno 2016, n. 12084, in Corr. giur. 2017, p. 539 e ss., ivi, p. 543. In tempi risalenti, cfr. G. Chiovenda, Sulla pubblicazione e notificazione delle sentenze civili, in Saggi di diritto processuale civile, vol II., Roma, Foro italiano, 1931, p. 283., che ricorda come “la scienza effettiva non dispensa dalla formalità della notificazione quando essa è richiesta. Pertanto, se pure fosse provato che la parte contro cui devono decorrere i termini… avesse piena conoscenza effettiva del provvedimento, se tuttavia questo non le fu notificato, i termini non decorrono”; C. Punzi, voce Notificazione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 642 e ss., ivi, p. 646, secondo cui “gli effetti, che dipendono dalla notificazione, si producono… dal momento in cui si conclude il ciclo del procedimento notificativo”; S. Pugliatti, voce Conoscenza, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, p. 45 e ss., ivi, p. 130. In giurisprudenza, cfr. ex multis Cass. civ., sez. un., 13 giugno 2011, n. 12898, che in parte motiva afferma: “ai fini della decorrenza del termine breve d’impugnazione, l’iniziativa della parte che, in funzione sollecitatoria, mette in mora la controparte ad impugnare, mediante notificazione della sentenza nei modi stabiliti dall’art. 285 c.p.c., è l’unica modalità di notificazione che consenta di acquisire la scienza legale della sentenza, alla quale è condizionata l’impugnazione nel termine breve”.

[6] Si annovera, tra gli altri, la seconda parte dell’art. 133, secondo comma, c.p.c., tramite cui il Legislatore ha chiarito che le comunicazioni non costituiscono atti idonei a determinare il decorso del termine breve per l’impugnazione.

[7] Cfr. ex multis F. Amato, op. cit., p. 340, nota 26; G. Chiovenda, op. loc. cit.; A. Frassinetti, op. loc. cit., secondo cui sussiste un rapporto di equipollenza tra atti laddove l’ordinamento ricolleghi il prodursi di un determinato effetto sia alla conoscenza legale, sia alla conoscenza effettiva; circostanza evidentemente opposta a quella che in questa sede rileva; E. T. Liebman, op. cit., p. 230, che evidenzia come “gli effetti della notificazione non possono essere ottenuti con nessun altro mezzo; e le notizie avute per altra via non la equivalgono”; V. Mastrangelo, «Dies a quo» del termine breve e possibili attività equipollenti alla notificazione della sentenza, nota a Cass. civ., sez. IV, 17 gennaio 2013, n. 1155, in Foro it. 2013, c. 3311 e ss., ivi, c. 3314; R. Poli, op.cit., p. 78 e ss. Contra V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, II, Jovene, Napoli, 1956, p. 594, e A. Crea, Appello principale e appello incidentale: modalità e termini di proposizione, inammissibilità e improcedibilità. La cassazione fa il punto sulla questione, in Corr. giur. 2009, p. 90 e ss. In senso contrario ci pare, altresì, porsi l’opinione di S. Pugliatti, op. cit., p. 130 e s., nota 535, secondo cui “quando l’ordinamento giuridico considera la notificazione, oltre che come mezzo sufficiente come mezzo necessario, non si tratta di inammissibilità di equipollenti della notificazione, ma dell’attribuzione di funzione surrogatoria alla notificazione rispetto alla conoscenza effettiva, che perciò diviene irrilevante”.

[8] In particolare, ai sensi dell’art. 479, secondo comma, c.p.c. la notificazione del titolo esecutivo deve essere indirizzata alla parte personalmente ex artt. 137 e ss., e non già al procuratore costituito.

[9] In dottrina, cfr., tra gli altri, L. Montesano – G. Arieta, op. ult. cit., p. 152 e s., e, in tempi più risalenti, S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, Vallardi, 1959-1965, sub art. 479 c.p.c., p. 106. In giurisprudenza, cfr. ex multis Cass. civ., sez. III, 15 giugno 2016, n. 12290, per la quale “la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ricollegare all’adempimento delle formalità richieste, rispettivamente dagli artt. 285 e 479 c.p.c., il perseguimento delle distinte finalità cui tali modalità notificatorie sono preordinate: nel primo caso la funzione acceleratoria della definizione del processo mediante la formazione del giudicato; nel secondo caso l’esercizio del diritto potestativo di procedere in executivis”.

[10] In dottrina, cfr. inter alia G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile. I processi speciali e l’esecuzione forzata, vol. III, V ed., Bari, Cacucci Editore, 2019, p. 102, che evidenzia come la notifica della sentenza munita di formula esecutiva (oggi abolita a seguito dell’entrata in vigore della riforma Cartabia) indirizzata al difensore del soccombente ex art. 285 c.p.c. sia idonea a far decorrere il termine breve per impugnare, ma non ai fini esecutivi, e L. Montesano – G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, Vol. III, Tomo II, Padova, Cedam, 2001, p. 342. Ciò, del resto, è desumibile, più in generale, da quanto evidenziato da C. Mandrioli – A. Carratta, Diritto processuale civile. Nozioni introduttive e disposizioni generali, vol. I, Torino, Giappichelli, 2024, p. 367 e s., per i quali la validità e l’efficacia degli atti processuali dipende dalla mera osservanza delle forme, non essendo a contrario ammissibile alcun controllo sulla volontà degli effetti dell’atto. In giurisprudenza, cfr. ex multis Cass. civ., sez. III, 13 agosto 2015, n. 16804; Cass. civ., sez. III, 19 settembre 2011, n. 19070; Cass. civ., sez. un., 13 giugno 2011, n. 12898; Cass. civ., sez. VI, 21 febbraio 2013, n. 4384.

[11] Considerazioni analoghe sono state svolte, tra gli altri, da R. Poli, op. cit., p. 88: “per quanto riguarda la forma prescritta in via esclusiva dalla legge – la notificazione della sentenza, su istanza di parte, a norma dell’art. 170, commi primo e terzo, c.p.c. – essa rappresenta il punto di equilibrio tra le esigenze del notificante e quelle del notificato, tenuto conto del suo scopo principale: assicurare la certezza in ordine al momento della decorrenza del termine breve per impugnare, attesa l’incidenza di tale momento sulla formazione della cosa giudicata” , e F. Amato, op. cit., p. 357 e s., e nota 63, per il quale “il legislatore, a salvaguardia degli interessi in gioco… ha, invece, ritenuto necessario che quel potere [rectius: d’impugnazione] venisse esercitato con un procedimento semplice, ma formale e solenne… che, da un lato, desse la massima certezza del momento in cui inizia a decorrere il termine breve e, dall’altro, assicurasse al destinatario dell’atto la piena possibilità di esercizio del diritto di difesa”. Più in generale sulla forma degli atti processuali, v. E. T. Liebman, op. cit., p. 213, per cui “le forme processuali rispondono ad una necessità d’ordine, di certezza, di efficienza e la loro scrupolosa osservanza rappresenta una garanzia di regolare e leale svolgimento del processo e di rispetto dei diritti delle parti”.

[12] Cfr. ex multis Cass., sez. un., 5 agosto 2016, n. 16598; Cass. civ., sez. II, 3 settembre 2012, n. 14764; Cass. civ., sez. III, 30 marzo 2010, n. 7618; Cass. civ., sez. II, 26 maggio 2010, n. 12898; Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2006, n. 835; Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2010, n. 18184, con nota critica di Rob. Vaccarella, che, peraltro, circoscrive l’ammissibilità dell’equipollenza tra le due fattispecie a determinati casi. In tempi più risalenti, cfr. inter alia Cass. civ, 20 maggio 1982, n. 3111, e Cass. civ., 25 luglio 1991, n. 8328.

[13] Cfr. tra gli altri F. Amato, op. cit., p. 374; G. Impagnatiello, Proposizione di impugnazione inammissibile, conoscenza della sentenza e decorrenza del termine breve per impugnare, nota a Cass. civ., 7 settembre 1993, n. 9393, in Foro it. 1994, I, c. 439 e ss., ivi, c. 448; Id., Sulla decorrenza del termine breve per impugnare, in Foro it. 2003, I, c. 1158 e ss.; Id., Ancora sulla decorrenza del termine breve per impugnare (e sull’art. 326, secondo comma, c.p.c.), in Foro it. 2006, I, c. 240 e ss., ivi, p. 242; R. Poli, op. cit., p. 103; N. Rascio, Sentenza non notificata e appello sottoscritto da procuratore «extra districtum»: sul termine di riproposizione dell’impugnazione viziata, nota a Cass. civ., sez. lav., 23 gennaio 1998, n. 643, in Foro it. 1998, I, c. 2942 e ss., ivi, c. 2947; Rob. Vaccarella, op. loc. cit. Contra, peraltro, si pone l’opinione di C. Mandrioli – A. Carratta, Diritto processuale civile, II vol., cit., p. 390, secondo i quali la notificazione della sentenza ex art. 285 c.p.c. non tollera equipollenti, salvo in caso eccezionali, tra i quali è possibile annoverare la proposizione di un’impugnazione poi dichiarata inammissibile o improcedibile.

[14] Non mancano pronunce di segno contrario, in cui la Suprema Corte ha ricondotto la ratio della previsione del termine breve alla volontà del notificante di abbreviare le tempistiche processuali per il passaggio in giudicato della sentenza notificata. Così, seppur in obiter, Cass. civ., sez. un., 4 marzo 2019, n. 6278, secondo la quale “la decorrenza del termine breve… è ricondotta dalla legge al sollecito indirizzato da una parte all’altra per una decisione rapida cioè entro il termine breve previsto dalla legge – in ordine all’eventuale esercizio del potere di impugnare; sollecito, come si è ricordato, veicolabile solo mediante il paradigma procedimentale tipico previsto dalla legge, quale unico modulo in grado di garantire il diritto di difesa ai fini impugnatori”.

[15] Cfr. Cass. civ., sez. un., 9 giugno 2016, n. 12084, con nota critica di L. Penasa, e in Riv. dir. proc. 2017, p. 1635 e ss., con nota parimenti critica di G. Tombolini, secondo cui “entrambi gli atti pongono capo, per il fine che ci occupa, allo stesso obbiettivo, la stabilizzazione della decisione mediante l’accelerazione della scelta processuale successiva, tanto che sia percorsa quanto che sia omessa l’impugnazione possibile”.

[16] Nel senso d’inammissibilità di atti equipollenti alla notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve, cfr. ex multis Cass. civ., sez. VI, 25 gennaio 2023, n. 2333; Cass. civ., sez. II, 19 settembre 2017, n. 21625; Cass. civ., sez. un., 3 agosto 2017, n. 19401; Cass. civ., sez. III, 19 settembre 2014, n. 19743. In passato, cfr. Cass. civ., 10 gennaio 1981, n. 208, e Cass civ., 17 giugno 1997, n. 5421.

[17] Cfr. per tutti R. Poli, op. cit., p. 88: “il principio di legalità che garantisce le parti, escludendo che forme diverse da quelle previste dalla legge possano essere considerate equipollenti al fine della costituzione dell’onere di impugnare a pena di decadenza”.

[18] Del resto, come precedentemente evidenziato nel testo (v. supra, n. 2), tale funzione è già assolta nel nostro sistema dalla pubblicazione della sentenza; momento a cui la legge riconduce il dies a quo del termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. Analogo rilievo è stato effettuato, tra gli altri, da F. Amato, op. cit., p. 344, e Rob. Vaccarella, op. cit., p. 12. In tempi più risalenti, v. G. Chiovenda, op. cit., p. 260: “la notificazione… rimaneva, come nelle origini, non altro che un mezzo, per quanto il più sicuro, il più consigliato e il più usato, per fissare il momento di conoscenza della sentenza nel gravato. Per praticato che fosse, rimaneva però un mezzo eccezionale e sussidiario, accanto al mezzo normale ch’era la pubblicazione della sentenza”.

[19] Il punto è al centro di un’annosa querelle dottrinale e giurisprudenziale. Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente la funzione primaria della notificazione della sentenza consisterebbe nell’assicurare la conoscenza legale del provvedimento alle parti, mentre l’indirizzo maggioritario in dottrina – da condividersi – riconosce in capo alla parte notificante l’esercizio di un diritto potestativo di carattere processuale, quindi modificativo della sfera giuridica del notificato, volto all’accelerazione della formazione del giudicato. In questa direzione si pone, ad esempio, il riconoscimento a livello normativo dell’efficacia bilaterale sincronica della notificazione della sentenza. Difatti, nell’ipotesi in cui si ricollegasse la formazione del dies a quo del termine breve alla conoscenza legale dell’atto, e non già alla manifestazione di un impulso di parte verso il passaggio in giudicato della sentenza notificata, si dovrebbe accogliere nel nostro sistema l’opposto principio della scissione soggettiva degli effetti della notifica. E ciò in quanto il notificante risulta già a conoscenza del provvedimento oggetto di notificazione al momento della relativa istanza. Più approfonditamente, sui profili problematici conseguenti all’accoglimento dell’una o dell’altra tesi, v. da ultimo S. Boccagna, Le nuove norme sulle impugnazioni in generale e sul giudizio di appello, in Riv. dir. proc. 2023, p. 643 e ss., ivi, p. 646: “o l’idoneità della notificazione a far decorrere il termine breve dipende (non dalla sua capacità di garantire la conoscenza della sentenza, ma) dal fatto che la parte interessata ad accelerare la formazione del giudicato ha assunto una specifica iniziativa a ciò diretta, e allora bisognerebbe coerentemente negare che detta iniziativa possa rinvenire equipollenti di sorta in altre attività (quali la proposizione di un’impugnazione) pur tali, in ipotesi, da denotare una piena conoscenza della decisione. O essa dipende dalla circostanza che con la notificazione tanto il notificante quanto il destinatario acquisiscono piena conoscenza della sentenza, e allora non si comprende perché nei giudizi con pluralità di parti il termine non debba decorrere, a carico di entrambi, per impugnare nei confronti di tutti”.

[20] In caso contrario, invero, troverebbe applicazione il termine lungo di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c., che decorre automaticamente dal momento del deposito della sentenza nella cancelleria del giudice che l’ha emessa.

[21] Come del resto già evidenziato da R. Poli, op. cit., p. 90, nota 37, secondo il quale “non è affatto vero che chi propone l’impugnazione, al pari di chi notifica la sentenza, esprime la volontà e palesa l’obiettivo della accelerazione della fine del processo e quindi della conseguente stabilizzazione della decisione impugnata”. Conf. L. Penasa, op. cit., p. 544.

[22] Conf., tra gli altri, F. Amato, op. cit., p. 375, che sottolinea come nessuna equivalenza si possa stabilire tra la notificazione della sentenza e la proposizione dell’impugnazione, ossia la notificazione di quest’ultima, contrariamente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità; G. Impagnatiello, Proposizione di impugnazione inammissibile, cit., c. 447, secondo il quale “la notifica dell’impugnazione, instaurando un giudizio nel quale la sentenza potrà essere riformata o annullata, si trova in sì macroscopico contrasto da rendere inverosimile che possano derivare effetti identici a quelli prodotti dalla notifica del provvedimento”; V. Mastrangelo, op. loc. cit., che osserva: “se il legislatore avesse voluto collegare il termine breve alla sola conoscenza della sentenza, non si spiegherebbe la previsione, contenuta nell’art. 285, per la quale la notificazione rilevante al fine della decorrenza del termine breve va effettuata «su istanza di parte». La disposizione, piuttosto, sembra ricondurre tale decorrenza ad una precisa scelta della parte interessata ad accelerare il passaggio in giudicato della sentenza, cosicché sarebbe incongruo far dipendere lo stesso effetto acceleratorio dalla proposizione di un’impugnazione, la quale invece mira al risultato opposto, cioè alla caducazione o alla riforma della sentenza”; L. Penasa, op. cit., p. 544, per il quale “la pronuncia delle Sezioni Unite appare certamente convincente ove rimedita la ratio dell’art. 326 c.p.c. Si mostra tuttavia assai meno persuasiva ove invece equipara notificazione della sentenza e notificazione dell’impugnazione, perché entrambe da un analogo impulso acceleratorio rispetto alla formazione del giudicato”, perseguendo le stesse scopi totalmente opposti.

[23] Per riflessioni più approfondite sul punto, senza pretesa di esaustività, vedasi F. Amato, op. cit., p. 376, il quale sottolinea che la ratio sottostante all’art. 326, secondo comma, c.p.c. coincide con l’unità del processo anche in fase impugnatoria; G. Impagnatiello, Ancora sulla decorrenza del termine breve per impugnare cit., p. 243; L. Penasa, op. cit., p. 544 e ss.; N. Rascio, op. cit., p. 2954. In giurisprudenza, cfr. per tutte Cass. civ., sez. un., 9 giugno 2016, n. 12084, cit.

[24] In particolare, la relata di notifica presentava la seguente (insolita) nota in calce: “Altresì comunico che è ancora dovuto da […] S.p.A., l’importo di €. […] a titolo di rimborso spese borsuali e che il relativo versamento potrà essere eseguito sul seguente c/c di […]. S.r.l.”.

[25] Si vedano gli autori e i precedenti giurisprudenziali di cui alla nota 10.

[26] Si vedano gli autori citati alla nota 7 e i precedenti giurisprudenziali di cui alla nota 16.

[27] Ci si riferisce al richiamo operato in parte motiva dalla Corte d’Appello di Milano a Cass. civ., sez. III, 15 giugno 2016, n. 12290, cit., che, nell’affermare la rilevanza dell’univoco e diverso scopo perseguito dalla notifica in termini di inidoneità della stessa ai fini impugnatori, fa riferimento alla diversa ipotesi in cui il procedimento notificatorio della sentenza sia previsto da un’altra norma processuale secondo uno schema legale del tutto sovrapponibile a quello individuato nell’art. 285 c.p.c.

[28] Cfr. Cass. civ., sez. un., 27 gennaio 2020, n. 1717, secondo la quale “ai fini dell’operatività del termine breve, è infatti necessario che la notificazione della sentenzia costituisca espressione della volontà di porre fine al processo, attraverso il compimento di un atto chiaramente preordinato a far decorrere i termini per l’impugnazione nei confronti sia del notificato che del notificante: tale univoca manifestazione di volontà, nel caso di rinvio della causa al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 353 c.p.c. o art. 354 c.p.c., non è certamente desumibile dalla mera inclusione di copia della sentenza nell’atto di riassunzione, la cui notificazione, a meno che non sia accompagnata da specifiche indicazioni testuali, nella specie non sussistenti, non può ritenersi di per sè sintomatica di un intento acceleratorio, e risulta pertanto inidonea a segnare il dies a quo del termine in questione”, e Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2019, n. 12719, che in parte motiva si conforma all’orientamento giurisprudenziale (non condivisibile) per cui “se si può certo riconoscere, in tesi generale, che la notifica di una sentenza lasci presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, l’intento sollecitatorio rilevante ai sensi dell’art. 326 c.p.c., ove invece tale volizione sia espressamente esclusa con dichiarazione contestuale che renda perfettamente conoscibile il diverso scopo perseguito, si deve negare, in concreto, l’effetto acceleratorio, non diversamente che per la notifica di sentenza a dichiarati fini esecutivi, pur se in concreto eseguita presso il difensore del soccombente”, e che, sulla scorta di tale argomentazione, ha ritenuto inidonea ai fini impugnatori la notifica della sentenza mediante diffida ad adempiere. Tuttavia, a nostro avviso, l’inidoneità di una simile notifica ai fini del decorso del termine breve per impugnare si desume, più semplicemente, dal divieto di atti equipollenti alla notificazione della sentenza (v. supra, nn. 2 e 3).

[29] A titolo esemplificativo, basti pensare alla notificazione di una diffida ad adempiere, alla notificazione di un’istanza di correzione materiale ex 287 c.p.c., oltre che alla notificazione dell’impugnazione. Sul punto, cfr. amplius V. Mastrangelo, op. cit., c. 3312 e s.

[30] La giurisprudenza, difatti, è spesso tenuta ad esprimersi circa l’idoneità ai fini impugnatori di atti atipici notificati, anche distinti dalla notifica del gravame. Da ultimo, nel senso dell’inoperatività del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. a seguito dell’estrazione e consegna della copia autentica della sentenza da impugnare da parte del cancelliere, v. Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2024, n. 8296. Ancora, in senso altrettanto negativo nell’ipotesi di notificazione della sentenza mediante diffida ad adempiere v. Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2019, n. 12719, cit.