Tutela dell’attivo nella liquidazione giudiziale e legittimazione ad agire del curatore

Di Giulio Nicola Nardo -

SOMMARIO: 1. Premessa introduttiva – 2. La centralità del ruolo del curatore nel sistema della tutela concorsuale del credito: il programma di liquidazione ex art. 213 c.c.i.i. e la ricostituzione dell’attivo – 3. Effetti processuali e sostanziali della sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale e legittimazione ad agire del curatore – 4. Le azioni a tutela dell’attivo concorsuale nella procedura di liquidazione giudiziale  – 5: Segue: esame delle singole azioni: a) il giudizio di accertamento del passivo; b) azione di inefficacia; c) azione revocatoria ordinaria concorsuale; d) azione di recupero crediti in generale (decreto ingiuntivo, rito semplificato di cognizione;  e) azioni esecutive; f) azioni cautelari; g) azione di responsabilità verso amministratori, soci e collegio sindacale; costituzione di parte civile nel processo penale; f) giudizio arbitrale.

 

1.Premessa introduttiva.Il sistema della tutela dei diritti dapprima nella procedura fallimentare ed ora nel codice della crisi di impresa e della insolvenza [d’ora in poi, il codice della crisi] – è sempre stato oggetto di proficuo dibattito in dottrina e di continui interventi della giurisprudenza di merito e legittimità – alcuni condivisibili, altri meno –  tesi ad assicurare in pendenza di una procedura concorsuale liquidatoria, quale quella della liquidazione giudiziale, un sistema che possa favorire una tutela giurisdizionale efficace dell’attivo della procedura concorsuale. [1]

Scopo della presente indagine è quello di valutare se la precedente legislazione fallimentare – ed ora, secondo una definizione più moderna la legislazione sulla “crisi di impresa”- sia stata nel tempo, e sia tutt’ora, effettiva e tale da preservare adeguati strumenti di tutela giurisdizionale delle ragioni – id est: crediti – della procedura di liquidazione (prima fallimentare ora) giudiziale dell’imprenditore e, non di meno dei diritti di credito dei  creditori i quali, rimangono, loro malgrado, ancora in attesa di un’adeguata soddisfazione degli stessi, dovendosi confrontare con le lacune fisiologiche del sistema della precedente procedura concorsuale fallimentare ed ora della nuova procedura liquidatoria giudiziale,  che certo non è la più idonea ad assicurare, anche in termini di giusto processo[2] e di piena soddisfazione del credito la tutela concorsuale del credito.

Dunque il tema è quello di valutare la efficienza delle azioni ora normate dal codice della crisi finalizzate al rispristino dell’attivo, e più in generale l’efficienza del sistema processuale che  consente il recupero di ogni credito nell’interesse della procedura e, parimenti, del ceto dei creditori, posto che nella misura in cui sarà possibile aumentare i valori dell’attivo, ciò gioverà agli stessi creditori ammessi al passivo e come tali abilitati alla soddisfazione concorsuale del proprio credito.

In tale direzione viene confermata la centralità del ruolo del curatore anche nel codice della crisi, laddove questi è messo nelle condizioni di valutare e avviare le specifiche azioni a supporto proprio di quella peculiare e non semplice attività di ricostituzione e ripristino dell’attivo, mediante l’esercizio delle relative azioni.

Dacché consegue che qualsiasi tentativo di procedere ad una analisi sistematica del meccanismo di tutela giurisdizionale dei diritti dei creditori in pendenza di procedura di liquidazione giudiziale, non può prescindere dall’esame del ruolo dell’organo della procedura medesima, ossia il curatore, che è l’attore principale nello scenario ed al quale anche il Codice della crisi affida un ruolo di gravosa responsabilità, conferendogli ampi poteri di gestione ed indirizzo della procedura.

Certo la nuova legislazione del codice della crisi entrato in vigore da qualche anno è ancora alla prova dei fatti, anche se il cantiere rimane aperto per effetto dei continui interventi c.d. correttivi [3]che, talora, più che correggere conferiscono a tale  legislazione un carattere sempre più tecnico e complesso, finanche contorto, e come tale di non facile applicazione, confermando tuttavia centrale il ruolo del curatore nella procedura liquidatoria, esposto sempre ad un doveroso controllo da parte degli altri organi della procedura in un’ottica di continua condivisione e monitoraggio dei poteri nell’interesse della procedur
a.

2.La centralità del ruolo del curatore nel sistema della tutela dell’attivo: il programma di liquidazione ex art. 213. c.c.i.i.

La centralità del ruolo del curatore nella procedura è dunque confermata dal codice della crisi che ne valorizza le funzioni e la forza propulsiva che questi ha nella procedura, dando un certo ritmo alla stessa e indirizzandola verso una utile gestione nell’interesse del ceto dei creditori.[4]

Ciò perché, come noto, il curatore assume un ruolo di primo rilievo in ragione delle finalità che deve perseguire attraverso l’esercizio delle sue funzioni, attesa anche la sua qualità di pubblico ufficiale, che rende ancora più delicata la propria attività gestoria finalizzata oltre  che alla mera liquidazione del patrimonio già esistente dell’imprenditore, anche quale generale condotta volta a perseguire utilmente ogni vantaggio economico finalizzato ad aumentare i valori dell’attivo da poter  poi  utilizzare per la soddisfazione dei crediti concorsuali.

Tali funzioni possono essere distinte in quattro gruppi, ossia i) funzioni inerenti alla amministrazione del patrimonio compreso nella liquidazione giudiziale; ii) funzioni di informazione e di impulso nelle varie fasi della procedura; iii) funzioni processuali; iv) funzioni di collaborazione con il giudice delegato.

Come noto, il ruolo di tale organo della procedura, già per effetto di una importante riforma[5], e ancora di più con le previsioni del codice della crisi, impone una maggiore e più articolata specializzazione dei professionisti chiamati a svolgere tale delicata funzione nell’ottica di una gestione non solo meramente liquidatoria del patrimonio della impresa, ma soprattutto di un possibile recupero del “bene impresa” da ricollocare sul mercato[6].

Per vero, già i precedenti articoli della legge fallimentare erano chiari: l’art. 27 l.f. riformato, in stretta correlazione con le previsioni contenute negli art. 25, 1° comma, e 41, 1° comma, l.f. chiarivano la linea di fondo della riforma: il curatore veniva investito della completa amministrazione del patrimonio fallimentare sotto (non più la direzione ma) la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori.

Dunque, da organo in rapporto di stretta e continua collaborazione funzionale con il giudice delegato, egli era diventato il protagonista e responsabile pressoché esclusivo della gestione della procedura, ed in questa ottica di “fuga dalla giurisdizione”[7], non competono più al giudice delegato i poteri di indirizzo, direzione, vigilanza e controllo anche nel merito delle scelte del curatore medesimo, residuando una supervisione sostanzialmente di mera legalità della procedura, nell’ottica della tutela dei diritti.[8]

La centralità del ruolo trovava una ben articolata sistemazione nella precedente legislazione fallimentare che accanto alla fondamentale attività che si concretizza con la relazione ex art. 130 c.c.i.i. (la nota relazione ex art. 33 l.f.) e le successive informazioni periodiche individua, soprattutto, nel c.d. programma di liquidazione, ex art. 213 c.c.i.i.

il vero fulcro della legittimazione ad agire di questi per la tutela degli interessi del fallimento[9], e che anche nel codice della crisi mantiene la sua centralità,[10]  posto che proprio attraverso il programma di liquidazione il curatore individua le possibili azioni volte a favorire la ricostituzione dell’attivo e più in generale i diritti patrimoniali della medesima procedura.

A ciò poi, vanno ad aggiungersi le non secondarie attività della apposizione dei sigilli e della redazione dell’inventario, che costituiscono, peraltro, i primissimi adempimenti che segnano il momento del c.d. spossessamento del fallito dal suo patrimonio e più in generale dalla sua attività di impresa, nonché quella che evidenzia il ruolo cruciale del curatore – non di meno sotto il profilo della legittimazione processuale a partecipare al relativo procedimento –  nella fase di accertamento del passivo.

Dunque varie e variamente articolate sono le attività correlate alla sua funzione laddove l’aspetto dinamico della legittimazione dello stesso si evidenzia sia sotto il profilo sostanziale (apposizione dei sigilli, redazione di inventario, custodia dei beni, primi adempimenti fiscali, relazione ex art. 130 c.c.i.i., programma di liquidazione ex art. 213 c.c.i.i.), che sotto quello processuale, relativamente alla sua veste di parte nel giudizio sommario di accertamento dei crediti ex art. 151 c.c.i.i., sia in quello che lo vede quale attore nei diversi giudizi che egli riterrà di dover avviare nell’interesse della procedura di liquidazione giudiziale.

Dacché, non può non evidenziarsi la sua piena legittimazione ad agire, quale concreto  esercizio della propria  funzione che rientra nella attività latu sensu gestionale e che lo vede in primo piano oltre che nella mera fase di liquidazione del patrimonio dell’imprenditore, anche quale parte attiva in tutta quella fase “dinamica” di ricostituzione del patrimonio dell’imprenditore finalizzato al recupero delle varie voci di attivo: e proprio in tale direzione  rientra la legittimazione processuale del curatore all’esercizio delle azioni correlate alla gestione  della procedura  secondo la tipologia che di seguito verrà esaminata e che diventa l’argomento di maggiore approfondimento nel presente lavoro.

Infatti, con riferimento alla legittimazione di tipo sostanziale, al netto dei primi adempimenti gestori e della fondamentale attività di analisi – la quale ultima sfocia nella redazione della relazione ex art. 130 c.c.i.i.  – è proprio attraverso la stesura del programma di liquidazione che egli  rappresenta agli organi della procedura – comitato dei creditori e Giudice delegato – quale sia la attività programmatica di gestione della procedura medesima, e verso quali orizzonti la stessa verrà indirizzata: è proprio dal suddetto programma che si può in un certo senso fotografare come e quale sarà anche l’attività processuale di tale organo e dunque la sua legittimazione attiva all’esercizio delle varie azioni legali, posto che la ricostruzione dell’attivo e soprattutto il recupero dello stesso passa proprio attraverso il proficuo esperimento delle azioni legali tese appunto a tale traguardo.

Nel suddetto programma, invero, il curatore illustra al comitato dei creditori quali saranno le iniziative (rectius: le azioni legali) che già da una prima analisi della documentazione della società e, più in generale, dell’attività gestoria della stessa, è in grado di individuare quale percorso di possibili azioni finalizzate a favorire il ceto dei creditori per i quali la procedura liquidatoria diventa obbligatoriamente l’unico meccanismo di tutela giurisdizionale dei propri crediti per effetto del combinato disposto di cui agli artt. 150- 151  ss.  c.c.i.i.

Come noto, il contenuto del programma di liquidazione ricomprende un’ampia serie di attività e di interventi, molti dei quali possono riferirsi appunto alla necessità di avviare precise azioni giudiziali a tutela del patrimonio del fallito e nell’ottica della migliore preservazione dello stesso, in ossequio al principio di garanzia patrimoniale ex art. 2740 – 2741c.c.

La funzione operativa e quasi manageriale  – soprattutto in ipotesi di esercizio provvisorio dell’attività di impresa – del curatore viene in un certo senso esaltata proprio nel suddetto programma che tale organo deve predisporre e sottoporre al giudizio e alla approvazione del comitato dei creditori, e la predisposizione del suddetto piano segna un passaggio importante che riflette le competenze ed in un certo senso le qualità imprenditoriali del curatore chiamato ad amministrare non tanto il patrimonio ma, più in generale, l’attività dimensionale di una impresa, seppur fallita.

Cosicché, volgendo l’ottica della gestione dal patrimonio dell’imprenditore all’impresa dello stesso – nei termini poco su esposti – si giustificano le suddette attività, sicuramente in maggiore sintonìa con altre tipologie di procedure concorsuali, quali ad esempio la amministrazione straordinaria, e, ancora meglio, le diverse scelte del legislatore come anche questa relativa al programma di liquidazione che, come noto, nelle altre procedure diverse dalla liquidazione giudiziale rappresenta una fase importante della gestione e, finanche, del buon esito della procedura stessa.

Nella liquidazione dell’attivo i poteri del curatore assumono dunque una certa rilevanza, evidenziando il ruolo di primo piano dell’organo anche nel rapporto fiduciario diretto che egli deve avere con il comitato i creditori e che il legislatore ha conferito in tutta la fase della procedura.

Da qui la conferma che la legittimazione ad agire nasce direttamente dal ruolo a questi attribuito dalla legge e trova una prima base di partenza proprio dalla articolazione del contenuto del programma di liquidazione che questi – salve successive e talora inevitabili integrazioni – deve redigere in tempi peraltro ristretti proprio per dare un certo dinamismo alla propria attività di gestione della procedura che certo, nelle valutazioni dello stesso legislatore non deve essere affatto statica ma, al contrario, dinamica siccome rivolta a avviare ogni iniziativa a tutela del ceto dei creditori.

Ed è proprio attraverso il programma di liquidazione che questi individua, accanto alle mere – seppur importanti – attività di liquidazione del patrimonio già esistente, le prossime azioni civili con finalità ripristinatoria e recuperatoria, al fine di riacquistare e aumentare l’attivo concorsuale per la soddisfazione (id est: il pagamento) dei crediti concorsuali ammessi al passivo.

Il suddetto programma, seppur incompleto e destinato a successive integrazioni, viene comunicato al comitato dei creditori per la sua analisi ed approvazione e ciò conferma la delicatezza delle funzioni del curatore ed i suoi rapporti fiduciari con gli altri organi, che nascono appunto dalla sua funzione e proprio dalla sua legittimazione ad avviare qualsiasi utile e doverosa attività gestoria che passa sempre al vaglio di di altri organi della procedura in funzione di controllo e di condivisione della attività medesima del curatore.

Dunque all’interno del programma di liquidazione egli dovrà indicare le azioni che intende svolgere dando giustificazione e ragione delle motivazioni giuridiche che stanno alla base delle medesime e delle finalità che intende perseguire a fronte anche di costi e spese che gravano sulla procedura concorsuale in prededuzione.

Solo in via esemplificativa e rimandando in avanti un più approfondito esame delle stesse proprio in relazione allo stretto rapporto con la legittimazione ad agire, verosimilmente egli informerà il comitato dei creditori del proprio intendimento di i) avviare azioni revocatorie ordinarie e concorsuali, laddove ricorrano i presupposti di fatto e diritto e dare seguito ad azioni di inefficacia di atti di disposizione del patrimonio da parte dell’imprenditore che come tali non possono produrre effetti verso la procedura fallimentare; ii) promuovere azioni di responsabilità verso l’imprenditore ed in ipotesi di liquidazione giudiziale  di società verso i soci e gli organi sociali, di gestione e controllo, per condotte illecite – anche penalmente rilevanti – in danno della società sottoposta a liquidazione giudiziale, più in generale, dei creditori che evidentemente egli rappresenta e deve tutelare in pendenza della procedura; iii) avviare azioni legali “attive” di recupero di crediti e dunque di voci dell’attivo destinate alla sua ricostituzione.

Ecco che il tema teso ad analizzare la legittimazione ad agire del curatore riceve un fondamentale impulso proprio dal contenuto del programma di liquidazione e dagli orizzonti dello stesso che saranno destinati a concretare la stessa legittimazione dell’organo ad avviare le diverse azioni (civili e penali) nell’interesse della procedura ed in assolvimento della sua funzione.

Con la conseguenza che, come detto, va esaminato non tanto il ruolo di questi nella fase statica di gestione liquidatoria della procedura, ma in quella per così dire “dinamica” che, per vero, da tempo questi ha avuto e che nel corso delle successive riforme dal 2006 in poi gli è stata attribuita sempre di più ed in modo più organico ed articolato,[11] al punto da giungere a qualificare la sua funzione quale Ufficio del curatore.

Ed allora, l’approfondimento riguarderà proprio la c.d. legittimazione ad agire, ossia di quella condizione della azione che si rappresenta come necessaria per l’esercizio della azione, e che deve necessariamente ricorrere anche con riguardo alle varie e diversamente articolate azioni che il curatore può, ragionevolmente, esercitare a tutela del ceto dei creditori.

L’analisi avrà ad oggetto il tema della tutela giurisdizionale dei diritti di credito dei creditori concorsuali e la legittimazione ad agire di tale organo nell’esercizio delle diverse azioni previste dal codice della crisi, nel quadro del sistema delle garanzie giurisdizionali previste dal nostro ordinamento giuridico, ed in correlazione con la legittima aspettativa di tutela giurisdizionale dei propri diritti di credito da parte dei medesimi creditori concorsuali.

3.Effetti processuali e sostanziali della sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale e legittimazione processuale ad agire del curatore.

 

L’analisi della legittimazione processuale attiva in riferimento alle azioni a tutela della liquidazione giudiziale, non può prescindere da un inquadramento generale della stessa nel processo civile.

Come noto, la legittimazione ad agire, costituisce una condizione della azione affinché il processo possa giungere ad una decisione di merito ma il legislatore non ha previsto una specifica norma che disciplini in positivo la legittimazione ad agire.

Invero, la disciplina della legittimazione ad agire si desume in senso contrario dalla norma dell’art. 81 c.p.c. che disciplina la c.d. legittimazione straordinaria, e non enuncia alcuna regola generale della medesima, laddove la norma in questione stabilisce che fuori dai casi espressamente previsti dalla legge nessuno può far valere in un processo in nome proprio un diritto altrui.

In ogni caso comunque dalla lettura a contrario della norma processuale del codice di rito è possibile desumere il concetto di legittimazione ad agire[12] precisando che chi agisce in giudizio deve farlo per la tutela di un proprio diritto e deve proporre la domanda nei confronti del titolare del correlativo dovere funzionale alla soddisfazione delle stesso, laddove poi la legittimazione ad agire si determina dal contenuto della domanda ed il giudice la valuterà solo sulla base della domanda dell’attore, non addentrandosi in alcuna indagine di merito circa la reale esistenza della legittimazione processuale dell’attore che si afferma titolare del diritto di cui chiede la tutela.

Invero, il problema della legittimazione coincide con quello dei destinatari del provvedimento giudiziale ed è regolato indirettamente dal punto di vista attivo, dall’art. 81 c.p.c. e dal punto di vista passivo dall’art. 102 c.p.c.

Sarà solo in conseguenza delle difese del convenuto e dall’esito della attività istruttoria che emergerà la reale esistenza e titolarità del diritto in capo all’attore e prima ancora la fondatezza della sua legittimazione processuale che, se mancante, determinerà una pronuncia di rigetto nel merito della sua domanda.

Occorre allora domandarsi quale sia il reale meccanismo di tutela dei crediti in pendenza di procedura concorsuale, laddove gli artt. 151 e 152 e ss. c.c.i.i. prevedono alcune regole generali secondo cui, da un lato l’apertura della procedura determina il c.d. divieto di azioni esecutive (salve le eccezioni ivi previste) e, dall’altro, con la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale si apre il concorso dei creditori nell’unica generale procedura concorsuale di soddisfazione dei crediti ammessi.

Il vero problema credo possa così essere riassunto: posto che la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale produce determinati effetti oltre che sostanziali anche processuali, ne deriva che la tutela giurisdizionale dei diritti di credito dei creditori trova l’unica garanzia nel patrimonio del debitore (rectius: imprenditore) che rappresenta la sola fonte di soddisfazione dei crediti stessi secondo un meccanismo di tutela che soffre del peculiare sistema proprio della procedura concorsuale che prevede il pagamento in moneta concorsuale e che certo non rappresenta la giusta risposta alle aspettative di tutela dei creditori.

E ancora di più, laddove il patrimonio dell’imprenditore, come accade sovente, consente il pagamento del credito ammesso al passivo secondo una percentuale molto limitata e ridotta e affatto soddisfacente, si tratta di verificare se dalla procedura liquidatoria, e più in generale dalla liquidazione giudiziale, possano nascere delle azioni volte a favorire la migliore soddisfazione dei creditori: ed in tale direzione, ecco che ritorna il ruolo primario del curatore che già all’inizio delle proprie funzioni deve valutare quali possano essere in concreto le azioni a tutela degli interessi della procedura (o meglio, del ceto dei creditori).

Ciò in considerazione del fatto che la garanzia patrimoniale dell’imprenditore per i creditori è rappresentata oltre che dall’attivo già esistente al momento della dichiarazione di liquidazione giudiziale (il c.d. attivo statico), dalle varie voci di attivo che si possono aggiungere e che sin dalla prima analisi del liquidatore possono (o meglio, devono) essere avviate.

Come detto, il momento in cui il curatore individua e sottopone al vaglio del comitato dei creditori e più in generale dell’intero ceto dei creditori, oltre che del Giudice delegato la attività che andrà a svolgere, è il programma di liquidazione, che rappresenta una valutazione attuale e prognostica di tutte le attività gestorie del patrimonio dell’imprenditore finalizzate alla liquidazione dell’attivo esistente, ma soprattutto – e talora in modo molto più rappresentativo – delle possibili e fondate azioni legali latu sensu recuperatorie e ripristinatorie del patrimonio dell’imprenditore che consentono un ampliamento della garanzia patrimoniale del medesimo in favore dei creditori.

In tale ottica si innestano le note azioni di inefficacia degli atti negoziali dispositivi compiuti dall’imprenditore, quelle revocatorie e quelle di responsabilità verso l’imprenditore (se persona fisica), o verso gli organi di gestione e controllo della società soggetta a liquidazione giudiziale  (se persona giuridica), quelle di risarcimento danni, di costituzione di parte civile in procedimenti penali nei confronti dell’imprenditore e, più in generale, quelle a tutela di posizione attive, già pendenti prima della procedura (per effetto del fenomeno della successione nel processo), o da avviare ex novo.

Tanto basta, dunque, quale prima fotografia che consente di inquadrare il meccanismo di tutela giurisdizionale volto alla tutela dell’attivo e gli strumenti processuali a garanzia dello stesso, nell’ottica di favorire un più generale sistema di tutele dei diritti della procedura e del ceto dei creditori che ha adeguata cittadinanza nel nostro ordinamento.

E proprio il non secondario tema della soddisfazione dei crediti concorsuali, se da un lato subisce spesso  la limitata consistenza, se non proprio l’incapienza del patrimonio dell’imprenditore da liquidare, dall’altro lato è destinata a ricevere tutti i vantaggi economici del buon esito delle varie azioni giudiziarie che il liquidatore – per averle già inserite nel programma di liquidazione o per averle individuate in seguito – di fatto è legittimato ad esercitare e che ragionevolmente avranno un esito favorevole.

Di modo che, come detto, all’attivo statico rappresentato dal patrimonio dell’imprenditore già esistente e da liquidare, va ad aggiungersi, appunto, quello “dinamico” che è il risultato dell’esito positivo delle suddette azioni attive che saranno promosse su iniziativa del curatore e che potranno sfociare oltre che in pronunce favorevoli anche in possibili transazioni che in ogni caso vanno ad incrementare il patrimonio dell’imprenditore da liquidare per soddisfare (pagare) i crediti concorsuali.

Da qui la conferma della rilevanza e delicatezza del ruolo del curatore in tutta la fase di gestione della procedura che sarà utile anche per il ceto dei creditori nella misura in cui, pur attraverso il pagamento dei crediti in moneta concorsuale, consentirà la migliore percentuale di soddisfazione soprattutto dei creditori chirografari, destinati sempre a ricevere una tutela affatto adeguata e soddisfacente del proprio credito, peraltro dopo una non ragionevole durata della procedura.

Di modo che la garanzia patrimoniale a vantaggio dei creditori è destinata ad espandersi favorendo la migliore tutela degli stessi in termini di percentuale di pagamento.

Basti solo considerare quale possa essere l’effetto positivo di una azione di inefficacia di pagamenti – eseguiti o ricevuti dall’imprenditore – dopo la dichiarazione di pagamento, o ancora di una azione revocatoria della costituzione di fondo patrimoniale o di trust illegittimamente costituito dall’imprenditore nel periodo sospetto di cui all’art. 167 c.c.i.i., ed in pregiudizio dei creditori.[13]

O ancora, la più comune azione revocatoria di atti a titolo oneroso o gratuito compiuti dall’imprenditore, sempre in danno dei creditori, che hanno proprio la finalità di ripristinare un patrimonio talora impoverito dalla condotta dell’imprenditore.

Senza tacere poi delle delicate azioni di responsabilità che il curatore è legittimato ad esercitare nei confronti dell’imprenditore o degli organi sociali della società in ipotesi comprovate di condotte penalmente rilevanti in danno della medesima società, oltre che del ceto dei creditori e più in generale della economia e del mercato: il riferimento è ai reati di bancarotta nelle diverse modalità previste già dalla legge fallimentare e dal codice penale, e non di  meno ora dal codice della crisi, oltre che delle variegate condotte illecite penalmente rilevanti in danno della procedura che rappresenta gli interessi dei creditori ed in tal senso deve tutelarli nelle diverse sedi civili e penali: da qui la previsione della azione civile trasferita nel processo penale attraverso il meccanismo della costituzione di parte civile nel processo penale pendente nei confronti dell’imprenditore, avente una finalità risarcitoria e la cui utilità economica va a tutto vantaggio dei creditori, ossia di quell’attivo dinamico cui si accennava destinato a lievitare progressivamente fino a che a rappresentare la voce più rilevante dell’attivo.

Invero, non sono pochi i casi in cui, a fronte di un attivo già esistente molto ridotto, si possa giungere a realizzare un ulteriore attivo nel corso della procedura a tutto vantaggio dei creditori, con un progressivo aumento della percentuale di pagamento dei crediti dei creditori concorsuali.

Dunque la legittimazione ad agire è determinante nella misura in cui il curatore, quale rappresentante dei creditori, agisce in giudizio promuovendo le varie azioni civili che, seppur rivolte in via diretta a ripristinare il patrimonio illegittimamente depauperato, di riflesso assicurano l’effettività della tutela giurisdizionale di crediti medesimi, essendo destinate a ricostituire proprio quell’attivo che verrà utilizzato per il pagamento dei creditori, dunque favorendo la migliore soddisfazione degli stessi crediti.

 

4.Le azioni a tutela dell’attivo concorsuale nella procedura di liquidazione giudiziale

L’analisi della legittimazione ad agire del curatore, impone a questo punto di valutare in concreto in che modo tale condizione si concretizza proprio con riferimento alle specifiche azioni legali disciplinate dal codice della crisi e, più in generale dal codice civile e dalle leggi speciali, tese a conseguire la migliore tutela degli interessi della procedura tra i quali senza dubbio vanno ricompresi quelli dei creditori.

Tra queste, un ruolo di primo rilievo è rivestito dall’azione revocatoria di cui all’art. 167 c.c.i.i. che, come noto, ha una precisa finalità ripristinatoria del patrimonio dell’imprenditore nella misura in cui ha come orizzonte quello di revocare ogni atto a titolo oneroso o atto estintivo di debito o garanzie costituite entro un arco temporale precedente alla dichiarazione di liquidazione giudiziale “sospetto”, siccome caratterizzato da una situazione tale da incidere sul sinallagma contrattuale del rapporto che lega il debitore ed il suo creditore, ma più in generale sul patrimonio dell’imprenditore incidendo sulla garanzia patrimoniale dello stesso ed in pregiudizio dei creditori.

Dunque la suddetta azione risponde ad una finalità ben precisa: laddove il curatore riscontri, dall’analisi della documentazione della società, l’esistenza di diversi atti negoziali a titolo oneroso, o di pagamenti o costituzioni di garanzie in pregiudizio dei creditori e che comunque hanno favorito il determinarsi della insolvenza della impresa, egli è, appunto, legittimato ad agire per l’esercizio delle relative azioni revocatorie nell’interesse della procedura.

Ecco che il ruolo del suddetto organo emerge in tutta la sua evidenza proprio in riferimento a quella fase di ricostituzione dell’attivo, che rappresenta sì una variabile dello stesso, spesso di fondamentale importanza, che impegna proprio il curatore nell’avvio di una serie di azioni previste nel programma di liquidazione, che confermano la ratio della legittimazione ad agire di questi e la necessità che egli si attivi in tal senso, dando luogo ad ogni necessario adempimento volto a conseguire le opportune utilità economiche.

E proprio in tale prospettiva che il legislatore ha costruito la legittimazione attiva del curatore assegnando a tale organo anche la responsabilità della gestione della procedura il cui successo, evidentemente, dipende ed è condizionato dai risultati che egli saprà raggiungere dando il giusto impulso alle sue attività.

L’azione revocatoria, pertanto, nella misura in cui a seguito di approfondita analisi del curatore risulti fondata, giustificherà l’esercizio della stessa, confermando quale sia anche l’interesse legittimo ad agire in giudizio, e dunque la concreta possibilità di avviare una tutela giurisdizionale degli interessi della procedura da parte dell’organo che li rappresenta nella sua interezza.

Cosicché l’utilità della azione in esame ed il traguardo che la stessa saprà raggiungere in concreto, daranno conferma della rilevanza della legittimazione attiva del curatore da intendersi in buona sostanza non solo limitatamente alla fase di gestione liquidatoria del patrimonio, ma soprattutto a quella processuale, ossia rivolta a dare concreta attuazione alle specifiche azioni in tal senso necessarie ed utili.

E non v’è dubbio che l’azione revocatoria nel confermare la esclusività della legittimazione processuale del curatore quale parte del processo deputato ad agire per la tutela degli interessi della procedura, gli consente nella sua veste di rappresentante della procedura di ripristinare l’attivo ampliando quella garanzia patrimoniale che magari al momento della apertura della procedura concorsuale non è affatto capiente o lo è in misura alquanto ridotta e insoddisfacente.

Revocare un atto negoziale di disposizione del diritto di natura patrimoniale compiuto dall’imprenditore, o magari un pagamento di un debito effettuato in modo non regolare e illegittimo in danno dei creditori, significa recuperare una voce di attivo che, unita alle altre esistenti e anche esse da recuperare, rappresentano dei valori importanti per la procedura.

5- Segue: esame delle singole azioni: a) il giudizio di accertamento del passivo; b) azione di inefficacia; c) azione revocatoria; d) azione di recupero crediti in generale (decreto ingiuntivo, rito semplificato di cognizione; e) azioni esecutive; f) azioni cautelari; g) azione di responsabilità verso amministratori, soci e collegio sindacale; la costituzione di parte civile nel processo penale; e) giudizio arbitrale.

 

L’analisi fin qui compiuta, circa il ruolo del curatore, correlato alla sua funzione e alla conseguente responsabilità propria del ruolo che questi assume, offre ora l’occasione concreta per una disamina che, per il profilo che qui interessa, rileva principalmente per evidenziare la ratio della legittimazione ad agire di questo organo in pendenza della procedura che, con riguardo alle azioni giudiziali, ha un ampio ambito di applicazione.

Dunque è quanto mai opportuno procedere ad un esame della casistica delle azioni tipiche a tutela della procedura di liquidazione giudiziale che vedono il curatore quale attore principale.

Invero, in questa sede non è necessario – e per ciò non sarà fatto – analizzare le varie azioni giudiziali fini a se stesse, in ragione dunque della loro finalità e delle varie criticità e peculiarità che le caratterizzano, quanto piuttosto evidenziare come dalle stesse emerge e viene confermata l’attività per così dire dinamica del curatore in relazione al processo, dunque la sua legittimazione ad agire in giudizio, dando avvio ad ogni azione che, all’esito delle proprie valutazioni egli reputi di fondamentale rilevanza per la procedura o meglio per la gestione utile della procedura.

Dacché sarà proprio la legittimazione ad agire di tale organo che consentirà di rivelare la capacità di questi di ripristinare il patrimonio dell’imprenditore e dunque recuperare quell’attivo andato disperso in modo non giustificato in pregiudizio dei creditori.

Ecco che, al netto della funzione di questi quale organo della procedura nella fase gestionale della medesima e, dunque, della sua legittimazione sostanziale, esiste e appare ancora di più rilevante, la sua legittimazione processuale ad agire in giudizio, non solo quale parte attrice, ma, non di meno, in ipotesi, anche quale parte convenuta, sempre a difesa degli interessi della procedura che questi è legittimato ad esercitare.

L’analisi delle stesse, sempre nella ottica su riferita, consente di fare una verifica in concreto.

a)il giudizio di accertamento del passivo

Anche il giudizio di accertamento del passivo, che vede il curatore quale parte del procedimento sommario di cognizione, merita una certa attenzione in riferimento al tema della legittimazione processuale attiva di questi a tutela dell’attivo e ciò nel senso che seppur tale procedimento sia  finalizzato ad accertare e quantificare la consistenza del passivo fallimentare a seguito dell’ amissione dei crediti, nondimeno ricorrono circostanze in cui il curatore nel momento in cui esamina la domanda di ammissione al passivo e ne propone il rigetto, assume un ruolo centrale per la esatta formazione dello stato passivo. Per vero il suo ruolo va oltre, nella misura in cui è chiaro che la eventuale esclusione di una domanda dal passivo del fallimento si riflette in modo non secondario sulla tutela dell’attivo concorsuale e ciò nel senso che da quell’attivo da liquidare in favore dei creditori sarà conseguentemente escluso quel creditore il cui diritto, non ammesso nell’an (si pensi alla totale esclusione o a quella diversa ma dirimente degradazione da privilegio in chirografo) o nel quantum viene appunto escluso quel credito, con ciò preservando l’attivo medesimo: in tale direzione la legittimazione processuale del curatore a contestare la fondatezza della domanda di ammissione del credito al passivo incide fortemente e per l’effetto può ragionevolmente essere ricompresa nelle azioni a tutela dell’attivo.

Ciò perché la legittimazione processuale va vista non solo quale legittimazione attiva, ossia con riferimento alla azione giudiziale dello stesso finalizzata alla ricostituzione del patrimonio del fallito e dunque a rendere effettiva la garanzia patrimoniale del debitore di cui all’art. 2740 c.c., ma anche in particolari giudizi che pur non perseguendo le suddette finalità, riflettono allo stesso tempo l’importanza del ruolo dinamico del curatore nei suddetti processi fino a poter evidenziare come anche con riferimento al procedimento sommario di cognizione del passivo, ossia di accertamento dei crediti, egli sia legittimato nel suddetto giudizio a svolgere ogni azione utile che, da un lato, tuteli il patrimonio dell’imprenditore e dall’altro, proprio per la peculiarità della sua presenza in tale giudizio, il diritto dei creditori a far sì che le ragioni di ognuno di essi vengano pregiudicate da quelle degli altri, magari erroneamente ammessi al passivo.

In tale direzione  dunque il ruolo del curatore riveste una non secondaria centralità ai fini della tutela dell’attivo della procedura nella misura in cui proprio in tale giudizio di accertamento sarà in grado per esempio di contestare – e dunque proporre la non ammissione – di un certo credito, o di porre in compensazione  un credito con un credito della procedura, in ciò favorendo la non ammissione di un credito al passivo del fallimento se ed in quanto non fondato e in altra misura neutralizzando un credito proprio attraverso la compensazione, con la ovvia conseguenza che nella misura in cui il passivo è contenuto l’attivo da distribuire in favore dei creditori consentirà il soddisfacimento in una misura superiore.

In altre parole non v’è dubbio che nella fase di accertamento del passivo è evidente anche la legittimazione processuale del curatore nella fase in cui questi, esaminate le domande dei creditori e la allegata documentazione di supporto possa – anzi, debba – formulare eccezioni di rito o merito concludendo o per il parziale accoglimento del credito di cui si chiede la ammissione al passivo, o magari per la sua totale esclusione.

Ecco dunque la ratio della legittimazione processuale di tale organo che nel suddetto giudizio quando redige e deposita nei termini di legge il progetto di stato passivo, esercita una funzione prospettata anche nel giudizio di accertamento cui è appunto legittimato e lo fa, in tale caso, oltre che a tutela della reale responsabilità patrimoniale del fallito, e dunque della sua garanzia patrimoniale ai sensi dell’art. 2740 c.c., non di meno del ceto dei creditori,  e dunque dell’Attivo concorsuale per il pagamento dei debiti ammessi al passivo.

Infatti, come detto, nel momento in cui questi propone il parziale accoglimento della domanda, ovvero la diversa qualificazione giuridica di un credito – magari degradandolo dal grado di privilegio al chirografo – lo fa in quanto soggetto (rectius: parte processuale) legittimato che, seppur non agendo in veste si attore ricorrente, ma piuttosto di parte latu sensu convenuta, ha il potere di svolgere tutte le garanzie difensive proprie del processo a disposizione delle parti, e nel farlo trova la fonte del suo potere processuale proprio nella legge che lo legittima a tanto, ossia a svolgere in modo efficace il suo ruolo, come può accadere in ipotesi in cui il curatore  di fronte alla domanda di ammissione al passivo presentata dal creditore sollevi un’eccezione di prescrizione di merito del credito.

In tale circostanza poi, di recente, si è verificato che la giurisprudenza, abbia allargato la portata dei poteri difensivi di tale organo laddove ha concluso nel senso che questi, in sede di giudizio di opposizione allo stato passivo, su richiesta del creditore, possa essere chiamato a prestare il giuramento decisorio in ordine alla estinzione del debito.[14]

E allora nessun dubbio che la legittimazione processuale del curatore sia di primo rilievo nel procedimento in questione, laddove nella sua veste di parte del processo è addirittura chiamato a rendere una dichiarazione – quale quella di cui all’art. 238 c.p.c. – con finalità di prova legale come tale vincolante per il giudice medesimo e di decisione della causa, sul presupposto poi che a rendere il giuramento in questione sia il titolare del diritto su cui incidono gli effetti della medesima dichiarazione di scienza.

Ecco dunque come si sviluppa tale condizione dell’azione con riferimento alla parte del giudizio legittimata a svolgerla nell’interesse della procedura concorsuale, in considerazione della circostanza che anche in un procedimento, quale quello di accertamento dei crediti, in cui il creditore chiede la ammissione al passivo fallimentare del proprio credito, il curatore, quale parte del processo non rimane in una posizione per così dire passiva ma, al contrario, può svolgere qualsiasi azione che vada oltre la mera contestazione dell’altrui pretesa creditoria, incidendo fortemente finanche sull’esito del giudizio, in ossequio alla legittimazione processuale ad agire che conferma la centralità del ruolo di tale organo in tutta la procedura concorsuale sia nella fase gestionale del patrimonio, sia in quella di impulso processuale ossia di esercizio delle opportune e necessarie azioni giudiziali nell’interesse della procedura concorsuale che lo vede quale organo di primo rilievo.

 

b)azione di inefficacia degli atti pregiudizievoli ai creditori

 

La ratio della disciplina in esame, concretizza la “parabola” del c.d. spossessamento sostanziale e processuale dell’imprenditore già tracciata dalla legge fallimentare, ed ora ripresa dal codice della crisi.

Infatti, poiché a causa della dichiarazione di liquidazione giudiziale conseguono precisi effetti giuridici di natura processuale oltre che sostanziale, la norma in questione dispone quali siano le sanzioni in ipotesi di loro violazione.

Come noto la dichiarazione di liquidazione giudiziale cristallizza il passivo concorsuale ma, non di meno, segna una linea di confine dirimente per ciò che concerne la disciplina degli effetti della dichiarazione stessa sugli atti pregiudizievoli ai creditori, i quale come noto vanno intesi quali atti di disposizione del patrimonio sia a titolo gratuito o oneroso o più in generale pagamenti di debiti in violazione della normativa che al contrario, nell’ottica di preservazione del patrimonio, e appunto dell’attivo, legittimano il curatore ad avviare ogni utile e necessaria azione legale finalizzata in tale direzione.

Ciò perché la cristallizzazione dei rapporti attivi e passivi pendenti alla data della dichiarazione di liquidazione giudiziale comporta, per fare qualche esempio, che ogni atto compiuto dall’imprenditore in favore di esso successivamente alla dichiarazione di liquidazione giudiziale non produce alcun effetto, o meglio produce effetti non opponibili verso la procedura.

L’effetto in questione riguarda il fenomeno della c.d. inefficacia relativa degli atti compiuti post sentenza di liquidazione giudiziale – ex art. 162 codice della crisi – che pur facendo salva la validità tra le parti dell’atto negoziale compiuto, la rende inefficace verso la procedura pendente, trattandosi di atto comunque produttivo di effetti in pregiudizio dei creditori che, al contrario, proprio per effetto della apertura della procedura vanno tutelati: è la ipotesi della c.d. inefficacia relativa.

Dunque dal suddetto fenomeno dello spossessamento sostanziale e processuale, in uno a quello della cristallizzazione dei rapporti alla data della liquidazione giudiziale interviene la ratio della legittimazione processuale attiva ad agire del curatore, il quale, verificata la sussistenza di tali atti negoziali, sia attivi (es: ricezione di pagamento da parte del fallito) che passivi (esecuzione di un pagamento diretto da parte dello stesso) deve intervenire e avviando la specifica azione rende concreta quella generale previsione sanzionatoria che in generale il legislatore prima fallimentare ed ora del codice della crisi ha previsto quale garanzia del sistema a tutela degli interessi della procedura.

Ecco dunque la legittimazione del curatore già nella prima fase di analisi della documentazione della societaria anche contabile nonché di quella bancaria dalla quale emergono, all’evidenza, le varie operazioni post dichiarazione di liquidazione giudiziale, magari proprio in quella fase temporale in cui la Banca non avendo avuto contezza della dichiarazione di liquidazione giudiziale esegue le suddette operazioni richieste dal correntista.

In altre parole il pagamento di un credito eseguito con bonifico in favore del creditore è pagamento inefficace siccome post liquidazione giudiziale, ricadendo nella previsione di cui al disposto normativo dell’art. 163 codice della crisi.

Da ciò consegue che il curatore è pienamente legittimato ad attivarsi per ottenere la declaratoria di inefficacia con provvedimento del Giudice competente il quale accoglierà la suddetta domanda sulla base delle seguenti risultanze probatorie: i) data della registrazione della sentenza di liquidazione giudiziale  ai fini della opponibilità della stessa (ovvero dei suoi effetti) verso i terzi; ii) data in cui è stato compiuto l’atto negoziale per la cui declaratoria di inefficacia il liquidatore ha agito in giudizio; iii) indicazione degli effetti giuridici in pregiudizio dei creditori che si producono per effetto del suddetto atto negoziale.

Ecco che proprio in considerazione della funzione del curatore, questi già nel programma di liquidazione dovrà inserire la suddetta azione, magari anticipata da formali comunicazioni di contestazione alle parti, finanche in buona fede, il che non fa venir meno l’operatività della suddetta sanzione processuale.

E la ratio della suddetta legittimazione trova conferma proprio nella finalità di detta azione che esalta e conferma la principalità del ruolo del curatore sul quale ricade la individuazione delle azioni da esercitare nell’interesse della procedura che egli è dunque legittimato a promuovere.

In questa sede non diventa di particolare rilievo analizzare la tipologia di atti negoziali che in quanto produttivi di effetti verso la procedura sono sanzionati dalla inefficacia relativa, quanto piuttosto mettere nel giusto rilievo l’importanza della attività del curatore di fonte a tali fenomeni, ossia agli atti negoziali che in quanto compiuti  ragionevolmente arrecano pregiudizio economico alla procedura e colpiscono proprio quel patrimonio che al contrario il curatore è legittimato a ripristinare, anche al fine di rendere fattiva quella garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.

Senza tacere poi che la suddetta legittimazione attiva a far valere l’inefficacia dell’atto posto in essere dall’imprenditore spetta al curatore e non anche al singolo creditore o al terzo contraente.[15]

c)azione revocatoria ordinaria e concorsuale

L’azione revocatoria di cui all’art. 164 ss.  c.c.i.i., storicamente ha rappresentato nel tempo – per vero ora con forza molto minore e ridimensionata – l’azione cardine a tutela degli interessi della procedura.

Infatti, allorquando questi, sin dalla redazione della relazione ex art. 151 codice della crisi, ma soprattutto attraverso il programma di liquidazione affronta proprio il delicato tema della possibile ricostituzione del patrimonio dell’imprenditore e dunque dell’attivo da poter utilizzare per la soddisfazione dei creditori attraverso il pagamento dei rispettivi crediti, non v’è dubbio che emerge in tutta evidenza che cosa questi possa e debba fare in ossequio alla sua funzione, unendo alla migliore capacità gestionale correlata alla sua funzione, quella di valutare con la massima attenzione e professionalità la azione da esercitare.

Ciò nel senso che egli dovrà effettuare la necessaria due diligence della situazione contabile e finanziaria dell’impresa, unitamente a quella giuridica che diventa la fase più interessante della procedura, dove si determina la capacità dell’organo di svolgere al meglio il suo ruolo di rappresentante del ceto dei creditori da tutelare attraverso la procedura concorsuale che si è aperta.[16]

Non v’è dubbio che l’esercizio delle azioni revocatorie  concorsuali  (ma, non di meno, anche di quella ordinaria seppur gravate dall’inversione dell’onere della prova), rappresentano per il curatore un momento in cui egli, individuati tutti quegli atti negoziali in pregiudizio dei creditori compiuti dall’imprenditore quando ancora era in bonis ma in un arco temporale definito come sospetto, è legittimato ad agire in giudizio per promuovere le medesime e ciò con finalità da un lato di ripristinare un patrimonio depauperato, dall’altro di assicurare il rispetto del principio della par condicio tra i creditori allorché l’atto da revocare abbia sostanzialmente concretato un pagamento preferenziale di qualche credito per nulla giustificato, anzi contrario alla legge ed in quanto tale da revocare.

Senza che ciò significhi o possa in alcun modo significare che il curatore si avventura in azioni legali poco fondate e di nessuna rilevanza giuridica, con il rischio che all’esito del
relativo giudizio, la procedura risulti soccombente con conseguente condanna alle spese in favore della controparte.

Invero, non sono poche le circostanze in cui il giudice chiamato a giudicare in revocatoria respinga le domande della curatela, sul chiaro presupposto della infondatezza delle medesime.

Certo, l’analisi delle potenziali azioni da avviare compiuta dal curatore è soggetta alla approvazione del comitato dei creditori attraverso l’approvazione del programma di liquidazione che contiene anche il piano delle azioni giudiziali da esercitare e che il curatore propone al comitato dei creditori nonché alla specifica autorizzazione all’esercizio delle stesse – occorrendo che queste siano, quanto meno in un’ottica di valutazione prognostica, fondate e dunque da esercitare.

Si tratta poi di prendere in considerazione con la dovuta cautela e prudenza quale sarà l’esito del giudizio in relazione alle risultanze della attività istruttoria sulle quali sostanzialmente è destinata a fondarsi la pronuncia del giudice, ma non vi è dubbio che sarà proprio dall’attività del curatore e dalla sua capacità di offrire al giudice ogni supporto probatorio idoneo ad ottenere una decisione favorevole alla procedura che si misura la ratio della sua legittimazione processuale ad agire, la quale poi diventa il riflesso nel processo della sua delicata funzione.

Ciò perché ottenere la pronuncia di revocatoria di un atto negoziale, significherà per il curatore aver fornito adeguata prova che l’atto in questione i) è stato compiuto in un arco temporale che si colloca in periodo sospetto, ii) si tratta di un atto produttivo di effetti giuridici in pregiudizio dei creditori, magari iii) compiuto con la conoscenza da parte del terzo della situazione di insolvenza del debitore poi sottoposto a liquidazione giudiziale, se non addirittura, iv) con l’intento di voler arrecare proprio ai creditori un grave pregiudizio economico.

Ecco che, proprio attraverso e per effetto della legittimazione ad agire che il curatore  è abilitato a dare seguito ad ogni azione utile alla procedura tesa ad annullare qualsiasi ingiusto profitto economico di terzi – e magari in via riflessa dell’imprenditore – in pregiudizio dei creditori che proprio con l’esercizio della specifica e peculiare azione revocatoria il legislatore intende eliminare in nuce riconoscendo proprio al curatore, quale organo della procedura, il compito di realizzare tale traguardo, preservando l’attivo concorsuale.

d)azione di recupero crediti in generale: ricorso per ingiunzione; rito semplificato di cognizione.

Tra i vari giudizi in cui è oltremodo confermata la legittimazione processuale del curatore, non v’è dubbio che quelli relativi ai vari giudizi civili disciplinati nel codice di rito ed aventi finalità di tutela giurisdizionale dei crediti, volti dunque ad ottenere un provvedimento di condanna al pagamento di una certa somma in favore del creditore, va annoverato il procedimento monitorio ex art. 633 c.p.c., per mezzo del quale il curatore, laddove valuti come esistente una ragione di credito allo stato non soddisfatta, ha titolo per esserne legittimato ad agire per recuperare la suddetta somma e ricevere il pagamento di quanto dovuto.

Prescindendo dalle ragioni di fatto o diritto che giustificano tale azione, ora a tutela degli interessi della procedura concorsuale, non v’è dubbio che pendente la procedura di liquidazione giudiziale questi possa, anzi debba, attivarsi in tal senso essendo onerato a ripristinare il patrimonio dell’imprenditore, ricostituendone l’attivo.

Questa è pertanto la legittimazione processuale che in tal contesto concreta la sua funzione e la rende effettiva nell’ottica della gestione utile della procedura, laddove poi una funzione così delicata ed importante non correlata da una reale legittimazione ad processum, vanificherebbe il ruolo medesimo e la finalità istituzionale che il legislatore assegna al curatore medesimo a conferma che la titolarità di un diritto sostanziale in una alla titolarità della azione assicura la piena ed effettiva tutela giurisdizionale del diritto di credito in favore della curatela.

Attraverso il ricorso monitorio per ingiunzione di pagamento di una certa somma o di restituzione di un bene di proprietà dell’imprenditore, il curatore ha piena legittimazione al recupero di quella data somma o dello specifico bene, da apprendere nel patrimonio per favorire la migliore soddisfazione del ceto dei creditori, in tal modo attivandosi per raggiungere la piena soddisfazione di un credito non pagato dal debitore e ora di spettanza della procedura.

Sarà onere del curatore produrre la necessaria documentazione prevista dagli art. 633 ss. c.p.c a supporto della propria domanda creditoria che certo va allegata e provata nella sua interezza e completezza al pari di qualsiasi soggetto creditore legittimato ad avviare tale azione giudiziale a tutela del diritto in questione.

Parimenti, l’azione di cui al procedimento semplificato di cognizione[17], introdotto da qualche anno nell’ottica di una riduzione dei tempi del processo di cognizione, rappresenta anche uno strumento di tutela giurisdizionale del credito di pertinenza della procedura, con la conseguenza che sul presupposto che la domanda giudiziale sia supportata dalla sola prova documentale, di per sé idonea e sufficiente e fornire nel processo la prova del fatto costitutivo della domanda, egli è legittimato ad avviare il relativo giudizio per ottenere in tempi ragionevolmente più brevi e contenuti un provvedimento decisorio del giudice favorevole che assicuri la tutela sostanziale del diritto in questione.

Ecco allora che anche con riferimento al giudizio semplificato di cognizione ritornano di attualità le medesime valutazioni fatte in generale per le precedenti azioni cui il curatore è legittimato, e ciò nell’ottica di offrire il panorama entro cui questi è deputato a svolgere il suo ruolo, servendosi del processo.

Dunque l’introduzione del rito semplificato di cognizione diventa strumento di tutela anche in pendenza di procedura concorsuale atteso che anche il curatore, di fronte alla necessità di attivarsi per tutelare gli interessi della procedura ha legittimazione ad instaurare il relativo procedimento per ottenere in tempi più celeri e spediti un provvedimento del giudice utile a favorire la ricostituzione più rapida ed efficace del patrimonio della procedura, e dunque dell’attivo della stessa.

Ciò favorisce, più in generale, la gestione più adeguata della procedura consentendo al curatore di ottenere, proprio attraverso l’esercizio delle varie azioni civili cui è legittimato, il ripristino del patrimonio ora di pertinenza della procedura per favorire la migliore soddisfazione, ovvero il pagamento, dei crediti ammessi al passivo e dunque in attesa di soddisfazione.

Ecco allora che la legittimazione processuale attiva, anche con riferimento a tale tipologia di azioni, si conferma la condizione necessaria affinché il delicato ruolo di tale organo della procedura abbia la giusta dimensione avendo riguardo all’orizzonte della procedura concorsuale medesima, che, non va dimenticato, è sempre quello di garantire ai creditori la migliore soddisfazione del proprio credito, che seppur pagato in moneta concorsuale deve poter raggiungere la migliore percentuale.

e)azioni esecutive;

 

Il sistema delle azioni esecutive disciplinate dal codice di rito a tutela del diritto di credito del creditore singolare, senza dubbio rappresenta un adeguato ed efficace strumento di tutela anche allorché il creditore – agente o interveniente – sia una procedura concorsuale rappresentata dal curatore.

Invero la tutela giurisdizionale del credito attraverso le procedure esecutive disciplinate dalle norme di cui agli artt. 483 c.p.c. ss., nelle diverse forme del pignoramento mobiliare, immobiliare, presso terzi, diventano azioni esperibili allorché la liquidazione giudiziale sia titolare di un titolo esecutivo di cui all’art. 474 c.p.c., il tutto previo proficuo esperimento della indagine di cui all’artt. 492 bis c.p.c.

Ecco dunque che sulla base del titolo esecutivo il curatore avrà legittimazione attiva ad agire mediante una delle procedure esecutive utili per conseguire la soddisfazione sostanziale del diritto di credito di pertinenza della procedura e ciò al fine di recuperare un credito da collocare nella voce di attivo.

Sulla base del titolo esecutivo in questione e avuto riguardo alla garanzia patrimoniale del debitore della procedura (es: cliente dell’imprenditore che non ha pagato un credito) il curatore  legittimamente azionerà la procedura avviando, per esempio, la richiesta di pignoramento mobiliare di uno o più beni a soddisfazione del credito in questione, ovvero, attivandosi direttamente per la notifica e trascrizione dell’atto di pignoramento immobiliare di un bene immobile di proprietà del debitore, o, ancora, procedendo all’espropriazione di crediti presso terzi, allo scopo di ottenere la assegnazione diretta da parte del Giudice della esecuzione delle somme (crediti) legittimamente espropriati presso il terzo debitore.

La procedura di liquidazione giudiziale dunque, potrà avviare qualsiasi procedura esecutiva quale creditore procedente o legittimamente intervenire in una procedura esecutiva pendente, siccome avviata da altri creditori e nella quale la curatela può intervenire, avendone titolo.

Cosicché, a prescindere dalla tipologia delle azioni esecutive per mezzo delle quali la liquidazione giudiziale potrà conseguire un utile economico, diventa fondamentale rilevare come il sistema processuale mette a disposizione anche delle procedure concorsuali, e tra queste della liquidazione giudiziale un meccanismo di azioni esecutive che favoriscono l’effettiva tutela dell’attivo concorsuale attraverso le procedure esecutive normate dal codice di rito.

f)azioni cautelari;

Anche il meccanismo della tutela cautelare, la cui fondamentale importanza nel sistema della tutela giurisdizionale dei diritti è evidente, diventa uno strumento utile e allo stesso tempo efficace per la procedura  che, o prima dell’avvio di una azione di cognizione, o in pendenza di un giudizio di merito, può legittimamente richiedere un provvedimento cautelare, per come normato agli artt. 670 – 671 ss. c.p.c., al fine di preservare ogni ragione di credito che verrà riconosciuta dal giudice di merito all’esito del relativo giudizio.

È nota infatti l’importanza della azione cautelare e del traguardo che con la stessa è possibile raggiungere, ossia una tutela sì anticipata e provvisoria, ma parimenti efficace nella misura in cui con la stessa sarà stato possibile vincolare uno o più beni del debitore a garanzia della futura soddisfazione.

Ecco che se per ipotesi il curatore avesse in progetto l’esercizio di azione di responsabilità verso gli organi sociali potrebbe, prima della instaurazione del giudizio o anche in pendenza dello stesso, richiedere un sequestro conservativo di beni della controparte, al fine proprio di assicurare l’effettiva soddisfazione del credito da risarcimento eventualmente riconosciuto alla procedura a conclusione del giudizio.

Legittimato a tanto è senza dubbio il curatore che o per averlo già previsto nel programma di liquidazione, o intendendo esercitarlo in corso di causa – previa autorizzazione del G.d. e del comitato dei creditori – in tal modo rende possibile la tutela degli interessi della procedura utilizzando tali mezzi cautelari con le finalità proprie delle suddette misure.

Non è rilevante, al fine del presente lavoro, approfondire le varie tipologie dei provvedimenti cautelari disciplinati dal codice di rito, ma non c’è dubbio che oltre al sequestro conservativo, anche quello giudiziario, nelle forme del sequestro probatorio o di quello di beni la cui proprietà è in contestazione, rappresentano un utilissimo strumento di tutela della procedura e nella misura in cui il curatore saprà attivarsi in tal senso, avrà favorito la migliore tutela degli stessi dei creditori che rappresenta quale organo della procedura.

g) azione di responsabilità verso amministratori, soci e collegio sindacale; la costituzione di parte civile nel processo penale;

 

Il sistema delle suddette azioni civili, senza dubbio rappresenta una fase molto delicata, se non la più delicata, che riguarda la legittimazione ad agire del curatore e ciò perché la sua attività per dovere di ufficio è principalmente rivolta già nella redazione della relazione ex art. 151 del codice della crisi alla individuazione della cause della liquidazione giudiziale la cui analisi potrà portarlo alla conclusione che le stesse siano,  anche in parte, riconducibili a condotte degli organi sociali, e per esse principalmente a quelli di gestione, con la conseguenza che egli, proprio perché rappresentante del ceto dei creditori e organo della procedura a ciò deputato, è obbligato ad esercitare ogni azione di responsabilità verso gli organi sociali al fine di ottenere il giusto risarcimento dei danni cagionati alla società o comunque che si riflettono sul patrimonio dell’imprenditore.

Tale prospettiva troverà la sua collocazione sin dalla redazione del programma di liquidazione di cui all’art.213 c.c.i.i., e se non già prevista verrà comunicata al comitato dei creditori e al G.d. per la sua approvazione.

E’ evidente come l’esito della suddetta azione diventi per le legittime aspettative dei creditori di fondamentale rilievo poiché ragionevolmente rappresenta la parte più rilevante della ricostituzione del patrimonio fortemente ridotto dalle condotte illecite altrui, le quali ultime poi, laddove dovessero configurare illeciti penalmente rilevanti, potrebbero portare a giudizi penali promossi d’ufficio in ipotesi di reati di cui agli art. 322 ss. codice della crisi, in presenza dei quali il curatore ha legittimazione a costituirsi, così trasferendo nel processo penale la azione civile già avviata o da avviare.

E dunque dipenderà proprio dalla scelta del curatore dopo una accurata analisi della reale situazione societaria e delle condotte illecite riconducibili alla responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., o alla responsabilità civile professionale o, evidentemente,[18] in ipotesi di reato ascrivibili alla condotta dei suddetti organi, l’esercizio della relativa azione essendone all’uopo legittimato nell’ottica di una legittimazione ad agire che sostanzialmente conferma la rilevanza del ruolo e l’aspettativa che i creditori della procedura riversano sul curatore  e sulla sua capacità di ricomporre l’attivo della procedura.

Anche in questa sede non è rilevante approfondire la natura giuridica e le finalità delle suddette azioni diventando evidentemente fondamentale soffermarsi sulla portata della legittimazione ad agire del curatore, ossia di dare seguito ad ogni azione finalizzata anche alla tutela giurisdizionale del ceto dei creditori concorsuali, magari ancora in attesa di una reale soddisfazione (rectius: pagamento) del proprio credito ancora in attesa.

e) il giudizio arbitrale

L’ipotesi che la tutela dei diritti di un imprenditore possa essere rimessa al giudizio arbitrale era già ben contemplata dal legislatore fallimentare con la previsione espressa dell’art. 83 l.f., ed ora anche nel codice della crisi all’ art.192, nonché all’art. 123 per ciò che concerne la nomina degli arbitri. [19]

È opportuno evidenziare che già la precedente riforma, con la previsione dell’art. 83bis l.f. aveva recepito sia pur parzialmente, il già prevalente orientamento giurisprudenza e dottrina, secondo il quale la clausola compromissoria mantiene i suoi effetti rispetto alla procedura concorsuale in caso di subentro del curatore nel contratto che la contiene, rigettandosi invece il principio dell’applicabilità dell’art. 5 c.p.c. in ipotesi in cui il giudizio arbitrale già pendente.

Va ricordato come in generale è stata affermata l’inammissibilità dell’arbitrato all’interno di una procedura concorsuale, in quanto il compromesso, derogando alle norme sulla competenza, contrastava con il disposto dell’art. 24 l.f., che attribuiva al tribunale fallimentare una competenza esclusiva e inderogabile, anche se l’orientamento prevalente lo reputava ammissibile partendo dalla disposizione di cui all’art. 35 l.f., sostenendosi che il curatore potesse deferire ad arbitri determinate controversie.Altra tesi, orientata nel senso della compatibilità tra la procedura fallimentare e il giudizio arbitrale, fondava la propria ratio sulla compromettibilità delle cause derivanti dal fallimento, per cui sarebbe opportuno effettuare una distinzione tra quelle suscettibili di essere compromesse in arbitrato e quelle di competenza del Tribunale.

Il giudizio arbitrale [20] è certo inammissibile nei casi che prevedono i procedimenti camerali, ossia conclusi con decreti del giudice delegato: decreto di esecutività dello stato passivo, di ammissione tardiva al concorso, quello pronunciato a seguito di domande di rivendicazione e restituzione di cose mobili, di esecutività del piano di riparto; nei procedimenti conclusi con decreti ingiuntivi emessi dal giudice delegato durante il fallimento riguardo a pretese di pagamento avanzate dall’amministrazione fallimentare: l’ingiunzione verso l’associato in partecipazione o dei soci della società fallita che siano debitori per i conferimenti;  nei procedimenti iniziati con reclamo,  quando il processo ordinario è configurato per legge come processualmente necessario per conseguire l’effetto proposto.

Concorde è stata la dottrina nell’ammettere la compatibilità tra fallimento e arbitrato seppur sia emersa la tesi della compromettibilità delle situazioni giuridiche sorte prima del fallimento, concludendo come l’amministrazione concorsuale del fallimento abbia la totale disponibilità del patrimonio del fallito, dacché consegue la importanza della legittimazione ad agire del curatore anche in tale sede.

L’accordo compromissorio, in quanto atto straordinario, necessita dell’autorizzazione del comitato dei creditori e la mancanza di autorizzazione sarebbe, secondo alcuni e parte della giurisprudenza, causa di annullabilità da proporsi su istanza del curatore, secondo altri determinerebbe la nullità assoluta dell’accordo o l’inefficacia.

Tali valutazioni rimangono di attualità anche con il codice della crisi.

L’ipotesi del giudizio arbitrale iniziato prima della dichiarazione di liquidazione giudiziale di una delle parti del giudizio medesimo, è regolamentata dal combinato disposto degli art. 32 codice della crisi e 816 sexies c.p.c., dalla cui interpretazione sistematica si riesce a giungere ad una soluzione condivisa.

La prima norma disciplina gli effetti della dichiarazione di liquidazione giudiziale sui rapporti processuali, ossia di quei giudizi pendenti o da intraprendere, che riguardano l’imprenditore in bonis poi soggetto a procedura liquidatoria ciò va correlata la legittimazione processuale del curatore.

Dacché i diversi effetti che conseguono alla dichiarazione di liquidazione giudiziale dell’imprenditore sono destinati ad incidere oltre che sui rapporti di natura sostanziale – per i quali interviene la disciplina di cui agli art. 172 ss. c.c.i.i. con i diversi richiami alle norme codicistiche e alle leggi speciali, anche su quelli processuali, ossia sul processo che vede l’imprenditore (prima o dopo la sua dichiarazione di liquidazione giudiziale) quale parte del processo, e più in generale parte del rapporto sostanziale che, in quanto tale, è destinataria degli effetti della sentenza che sarà pronunciata all’esito del giudizio che definisce la controversia in questione.

Tra i vari effetti processuali che la sentenza di liquidazione giudiziale – nella sua comune accezione di sentenza di natura determinativa-costitutiva – produce, vi rientrano quelli che la dottrina classifica tra le c.d. vicende anomale del processo, ossia tra quei fenomeni extra processuali che possono portare alla conclusione del processo al di là del naturale orizzonte della sentenza.

Si tratta in particolare dell’interruzione del processo, vicenda come detto anomala e non fisiologica di chiusura dello stesso che consegue al venir meno (per morte o cessazione della persona giuridica) della parte processuale a causa di un evento esterno che la colpisce.

E laddove si dovessero verificare tali eventi che riguardano la parte processuale, il processo non rimane insensibile, anzi, al contrario, subisce un particolare effetto diretto ossia la sua interruzione.

Tutto ciò, pacificamente, riguarda senza particolari dubbi interpretativi il rapporto che lega le vicende dell’imprenditore – e dunque il rischio della sua dichiarazione di fallimento – rispetto al processo davanti al giudice statale che pende davanti a questi, e sotto tale aspetto la lettura combinata dell’art. 32 codice della crisi  con gli art. 300 ss. c.p.c. è abbastanza chiara: il processo davanti al giudice si interrompe allorché la parte del processo venga meno (per morte o incapacità giuridica della persona fisica o perdita della natura giuridica per le persone giuridiche), ed il processo dichiarato interrotto va riassunto in termini perentori dalla parte che abbia interesse, pena l’estinzione dello stesso.

Alla stessa conclusione non si perviene con riferimento agli effetti della dichiarazione di liquidazione giudiziale sul giudizio arbitrale:[21]in altri termini, la chiara seppur rigida, applicazione della norma di cui all’art 32 codice della crisi che richiama espressamente la disciplina della interruzione del processo davanti al giudice statale, non trova parimenti applicazione o almeno non la trova in termini così rigorosi.

In realtà, al giudizio arbitrale viene estesa la disposizione dell’art. 32 codice della crisi, secondo il quale il curatore sta in giudizio in tutte le controversie relative a diritti patrimoniali dell’imprenditore e gli atti che questi pone in essere in corso di procedura restano comunque in vita, per cui il liquidatore assume la lite nello stato in cui essa si trova.

Dunque in pendenza di giudizio arbitrale – evidentemente a seguito di controversia insorta tra l’imprenditore ed un terzo riguardante un contratto nel quale era inserita una clausola compromissoria arbitrale, o per evento di un compromesso in tal senso – non trova identica soluzione e sotto diversi aspetti è destinata ad alimentare il dibattito dottrinale e della giurisprudenza, seppur comunque con il conforto del dato normativo di cui all’art. 816 sexies c.p.c.

Il quale articolo sul punto esprime il tendenziale favor per la prosecuzione del processo arbitrale anche a seguito della dichiarazione di liquidazione giudiziale dell’imprenditore parte del processo medesimo, con la chiara indicazione che in tale ipotesi l’arbitro deve adottare ogni provvedimento idoneo ed opportuno per garantire il rispetto del contraddittorio a tutela di quella parte che rispetto al giudizio arbitrale è nuova e non ha nemmeno scelto la via del processo arbitrale per la tutela dei propri diritti.

Determinante è la legittimazione del curatore con riferimento a tali circostanze posto che il processo arbitrale, al contrario di quello pendente davanti al giudice statale, è destinato a proseguire con il subentro del curatore all’imprenditore nell’interesse della procedura concorsuale.

Lo scopo del legislatore è in questa ipotesi quello di far proseguire il processo arbitrale – e da qui a conferma della legittimazione processuale del curatore ad agire e/o proseguire un giudizio civile pendente – per giungere ad una decisione senza che l’effetto dichiarativo di liquidazione giudiziale dell’imprenditore possa drammaticamente incidere sul processo medesimo in modo tale da determinarne una interruzione con il rischio di una mancata prosecuzione per omessa riassunzione nei termini perentori.

La norma del codice di rito obbliga l’arbitro ad informare il curatore della pendenza del giudizio allo scopo di stimolare la sua legittimazione processuale a proseguire nel giudizio medesimo pendente.

L’arbitro dunque fisserà una nuova udienza comunicando al curatore della formale pendenza del processo arbitrale e della opportunità e necessità di difendersi nel giudizio quale nuova parte del processo: fatto ciò sarà onere del curatore attivarsi in tal senso e dunque difendersi nel processo, favorendosi la prosecuzione del giudizio arbitrale in ossequio al disposto di cui all’art. 816 sexies c.p.c.

In ipotesi in cui non sia pendente il giudizio arbitrale, invero, occorre riferire di una dottrina che  riguardo al compromesso e alla clausola compromissoria già stipulati dall’imprenditore ha sempre sostenuto che non producono effetti nei confronti del curatore e le ragioni di ciò sarebbero ravvisabili – secondo alcuni che si allineano al filone su indicato – nella circostanza che, non avendo gli arbitri esternato la loro accettazione, l’accordo non spiegherebbe ancora i suoi effetti: dunque lo stesso sarebbe imperfetto e, come tale, non solo non vincolerebbe la procedura liquidatoria, ma non sarebbe neanche opponibile allo stesso, non dimenticandosi però che potrebbe invocarsi anche la applicabilità dell’art. 32 codice della crisi che riserva alla competenza del Tribunale competente  tutte le controversie relative alla curatela.

In ogni caso, a prescindere dai reali effetti della sentenza dichiarativa sul giudizio arbitrale, nessun dubbio rileva con riferimento alla legittimazione processuale del curatore sia che per esso si prospetti la prosecuzione di una azione davanti al giudice ordinario sia che ci si trovi di fronte alla pendenza di un giudizio arbitrale – rituale o irrituale15 – o per ipotesi da poter avviare.

[1] Ampia è la analisi sul tema ed è utile rinviare alla letteratura in dottrina sulle procedure concorsuali: PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, 1 ss.: SATTA, Diritto fallimentare, Padova, 1974. 1 ss.; FERRARA, Il fallimento, Milano, 1966, 1 ss.; BONSIGNORI, Il fallimento, Milano, 1986, 1 ss. La recente introduzione del codice della crisi di impresa e della insolvenza ha favorito moltissimi contributi. Qui di seguito si segnalano alcuni di essi, tra cui DI MARZIO, Codice della crisi di impresa e della insolvenza, Milano, 2002; SANTANGELI, Il codice della crisi di impresa e della insolvenza. In Le nuove leggi civili, Milano, 2023.

[2] Sul tema del giusto processo, fallimentare, si veda SASSANI, Miti e realtà del giusto processo fallimentare, in Judicium. DE SANTIS, La ragionevole durata del processo per la dichiarazione di fallimento, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da BUONOCORE e BASSI, Coordinato da CAPO – DE SANTIS – MEOLI, Padova 2010, 189 ss.; ID, Il processo per la dichiarazione di fallimento, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico della economia, diretto da GALGANO, 2012, 1 ss.;

[3] Ci si riferisce al D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136

[4] La figura del curatore fallimentare da sempre è stato oggetto di ampia analisi da parte di tutti i commentatori, anche qui nella consapevolezza della difficoltà di indicare riferimenti bibliografici completi, ci sia consentito il rinvio ai più autorevoli Commentari, tra cui, PAJARDI, Codice del fallimento, Padova, sub art27 ss.; Milano, 2013, 40 ss.; VELLA, Commento sub art.27 ss., in La legge fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2017, 418 ss.; SERAO – NUVOLO, Il curatore, in Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura di FAUCEGLIA – PANZANI, Torino, 2009, 309 ss.; RUGGERI, Del curatore, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, Milano, 2010, 663 ss.; FERRETTI, Poteri, competenze e revoca del curatore, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da GHIA-PICCINNINI – SEVERINI, Torino, 2010, 107 ss.; CAGNASSO – PANZANI, Crisi di impresa e procedure concorsuali, Torino; SANTANGELI, Il curatore, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di JORIO – SASSANI, Milano, 2017, 821 ss. PATTI, Il curatore nella nuova procedura di liquidazione concorsuale, in Fall. 2005, 714; PANZANI, Il curatore nella riforma della legge fallimentare, Milano, 2006, 1 ss. VATTERMOLI – NIGRO, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2022, 159 ss.

[5] Si tratta del d.lgs. vo 5/2006.

[6] Così RUGGIERO, Gli organi giurisdizionali, il tribunale ed il giudice delegato, in www.il fallimento.ipsoa.it

[7] Di “mito” contemporaneo della deregulation, che sembra ormai caratterizzare ogni intervento legislativo di riforma in materie che toccano la giustizia, parla APRILE, C’era una volta la par condicio, in www.fallimentoipsoa.it, 5

[8] MINUTOLI, Quale futuro per il giudice delegato, in Fall. 2005, 1460 ss.

[9] Sul programma di liquidazione si veda, NONNO, Commento sub art. 104 ter, L.F., in La legge fallimentare, a cura di Ferro, 2014, 1393 ss.; ed ora, FAROLFI, in Codice della crisi di impresa e della insolvenza, a cura di F. Di Marzio, cit, p. 1062 ss.

[10] FAROLFI, Commento sub art. 121, in Codice della crisi di impresa e della insolvenza, cit., p 589 ss.

[11] Era il noto disegno di legge di riforma della legge fallimentare della Commissione Rodorf.

[12] VERDE, Diritto processuale civile, 1 vol., Bologna, 2023, 151 ss. Il tema della legittimazione ad agire è sempre stato di grande fascino tra gli studiosi del processo civile e vastissima è la letteratura. Rinunciando alla citazione di quella “classica”, è sufficiente rimandare al recente fondamentale approfondimento di MONTELEONE, Che cosa è la legittimazione ad agire? in Judicium.

[13] In tema di azione revocatoria di trust, si segnala TONELLI, Le possibili soluzioni a disposizione del curatore rispetto al trust istituito dal disponente fallito in proprio, in Diritto della crisi, 2023.

[14] Sul punto si veda Trib. Milano, 1.2.2017, con nota di CONTE, Prescrizioni presuntive e giuramento decisorio de scientia del curatore, in Fall. 2018, 224 ss.

[15] MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, sub art.67 l.f., Padova, 2013.

[16] Di estremo interesse è quanto precisa Cass. 21.10.2021, n. 29294, secondo cui Il curatore del fallimento della società di persone ha la legittimazione ad agire per la revocatoria degli atti di disposizione del socio, atteso che, nonostante le masse del fallimento della società e quello del socio siano distinte, l’accrescimento del patrimonio di quest’ultimo, in conseguenza dell’accoglimento dell’azione, produce risultati positivi ai fini del soddisfacimento non solo dei suoi creditori particolari, ma anche dei creditori della società, il cui credito si intende dichiarato per intero anche nel fallimento del primo.

[17] Sul rito semplificato e più in generale sulla riforma Cartabia del processo civile numerosi sono stati i commenti e non è il caso di riportarli in nota. E’ sufficiente rinviare, CARPI-TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2023; LUISO, Il nuovo processo civile, Milano, 2023.

[18] Di chiaro interesse è la pronuncia della Cassazione 30.5.2024, 15196, in tema d legittimazione ad agire nelle azioni di responsabilità verso amministratori di gruppi di imprese, per la quale In tema di gruppi societari, la società eterodiretta non è legittimata ad esperire direttamente l’azione di responsabilità nei confronti della società che esercita l’attività di direzione e coordinamento, poiché l’art. 2497, comma 3, c.c., nel riconoscere tale legittimazione ai soci ed ai creditori della controllata, offre un sistema di tutela completo, garantendo, ai primi, il risarcimento del pregiudizio alla redditività ed al valore della partecipazione e, ai secondi, la difesa dell’integrità del patrimonio sociale ed evitando inammissibili duplicazioni, sicché, in caso di fallimento della società eterodiretta, il curatore è legittimato ad esercitare soltanto l’azione già spettante ai creditori sociali, non essendogli riconosciuto un generalizzato potere di rappresentanza. Non di meno è interessante anche quanto sottolinea Cass. 27.10.2013, n. 29840, che conferma la legittimazione ad agire del curatore in ipotesi di azione di responsabilità per concessione abusiva di credito, precisando che In tema di abusiva concessione di credito, sussiste la legittimazione del curatore fallimentare ad azionare la responsabilità correlata al danno patrimoniale sofferto dalla società finanziata poi fallita, in quanto l’organo concorsuale in parola è gestore ex art. 31 L. fall. del patrimonio dell’imprenditore fallito, dunque abilitato ad azionare ex artt. 42 e 43 L. fall. i diritti soggettivi già radicati nel patrimonio di quest’ultimo.

[19] Proprio sul tema delicato della nomina degli arbitri si veda FAROLFI, Commento sub. art. 123, in Codice della crisi e della insolvenza, cit., p. 579.

[20] La letteratura sull’arbitrato è vastissima ed in questa sede non è dato indicarne la bibliografia. In ogni caso si rinvia a PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2012; Si segnalano i recentissimi scritti di BRIGUGLIO; Scritti sull’arbitrato, Napoli, 2024; BOVE, giustizia privata, Padova, 2021; ZUCCONI GALLI FONSECA, Diritto dell’arbitrato, Bologna 2021.; SASSANI, Divagazioni su arbitrato e giurisdizione, in Lectio magistralis tenuta il 16 ottobre 2020 presso l’Università della Calabria e poi pubblicata in Judicium.

[21] Pare più che esaustiva la sentenza n. 10800/2015 della Suprema Corte, secondo cui “Nel caso di convenzione contenente una clausola compromissoria stipulata prima della dichiarazione di fallimento di una delle parti (nella specie, una clausola di arbitrato internazionale), il mandato conferito agli arbitri non è soggetto alla sanzione dello scioglimento prevista dall’art. 78 legge fall., configurandosi come atto negoziale riconducibile all’istituto del mandato collettivo e di quello conferito anche nell’interesse di terzi. Tale interpretazione trova indiretta conferma nel disposto dell’art. 83 bis legge fall., atteso che, se il procedimento arbitrale pendente non può essere proseguito nel caso di scioglimento del contratto contenente la clausola compromissoria, deve, di contro, ritenersi che detta clausola conservi la sua efficacia ove il curatore subentri nel rapporto, non essendo consentito a quest’ultimo recedere da singole clausole del contratto di cui chiede l’adempimento.” Ai sensi dell’art. 72 L.F., il Curatore, subentrato nel fallimento si è assunto tutti i relativi obblighi.