Una transazione chiude la vicenda Dieselgate: riflessioni sull’epilogo della più grande class action italiana

Di Beatrice De Santis -

SOMMARIO: 1. L’ultimo episodio della ‘Dieselgate saga’; – 2. I precedenti gradi di giudizio – 3. La decisione del Consiglio di Stato sul fronte del public enforcement; – 4. I limiti intrinseci dell’azione di classe italiana nel rapporto con il sistema della responsabilità civile; – 5. Una transazione chiude la vicenda: considerazioni ulteriori.

 

1.L’ultimo episodio della ‘Dieselgate saga’ – Dopo nove lunghi anni arriva la parola ‘fine’ ad una vicenda che ha avuto un certo clamore e ciò non tanto, evidentemente, per gli esiti sorprendenti cui è giunta, quanto perchè si è trattato della più grande azione collettiva (sia pure, beninteso, tra le non molte proposte) che, fin dalla sua introduzione, l’Italia abbia conosciuto[1].

E se all’indomani della sentenza d’appello aveva manifestato la sua volontà di ricorrere per Cassazione[2], l’Associazione dei consumatori deve aver poi fatto valutazioni di altro tipo. Difatti, con un comunicato pubblicato sul proprio sito web, Altroconsumo ha annunciato di aver raggiunto un accordo con cui, in cambio della rinuncia alla proposizione del ricorso per Cassazione, Volkswagen riconosce a ciascun automobilista aderente alla class action (circa 60.000 consumatori) una somma che oscilla tra i 550 ai 1.100 euro, a seconda della diversa situazione soggettiva di ciascun aderente.

L’esborso che la casa automobilistica si è impegnata a sopportare ammonta in totale a circa 50 milioni di euro, essendo, quindi, superiore alla condanna della sentenza della Corte d’Appello di Venezia (la n. 2260/2023), che, si ricorda, aveva condannato le società convenute esclusivamente a rifondere il danno non patrimoniale, individuato nella somma pro capite di trecento euro, ritenendo, invece, non provato il danno patrimoniale.

Ebbene, l’accordo raggiunto tra la casa produttrice e i consumatori italiani può essere qualificato, a seconda del punto di vista da cui si scorge la vicenda, come un significativo successo per i danneggiati e quindi un segnale positivo delle capacità insite nello strumento processuale dell’azione di classe o, all’estremo opposto, come una conferma delle già in più occasioni evidenziate.

Se, allora, qualche riflessione complessiva è d’obbligo, è bene prima ripercorrere brevemente le principali tappe in cui si è sviluppata la vicenda,

offre utili spunti di riflessione per una messa a fuoco del problema della tutela risarcitoria nell’azione di classe.

2. I precedenti gradi di giudizio – La vicenda, ormai nota ai più sotto il profilo fattuale, e soprannominata da tempo come il ‘caso Dieselgate’, che aveva preso avvio negli Stati Uniti d’America nel 2015 (quando veniva contestata a Volkswagen la violazione delle disposizioni vigenti in materia di emissioni inquinanti[3]) sin da subito assumeva un grandissimo eco mediatico, producendo un effetto domino anche in Europa[4].

Pur non essendo questa la sede né l’occasione per ripercorrere le fasi e gli esiti del variegato contenzioso europeo, è opportuno soffermarsi sugli antecedenti che, nei giudizi dinanzi all’autorità giudiziaria italiana, hanno portato, dopo due gradi di giudizio, a chiudere la vicenda con una transazione del valore di circa 50 milioni di euro.

Come si ricorderà, lungi da una volontà di Volkswagen di concludere, all’epoca, la vicenda italiana in via transattiva, il giudizio veniva introdotto, dinanzi al tribunale di Venezia, ratione temporis nelle forme dell’art. 140-bis cod. cons., dall’Associazione Altroconsumo che trainava l’azione di classe nell’interesse dei circa 60.000 consumatori aderenti, danneggiati dall’acquisto di una vettura con caratteristiche qualitative e classe di emissione inquinante inferiori rispetto ai valori dichiarati.[5]

Per quel che qui interessa, dal punto di vista privatistico, la sentenza resa dal Tribunale di Venezia aveva delineato il perimetro del danno risarcibile identificandolo nella lesione della libertà di autodeterminazione negoziale del consumatore[6], determinata da un’inadeguata informazione e da una scorretta pubblicità, nonché conseguente all’esercizio delle pratiche commerciali violando principi di buona fede, correttezza e lealtà, di cui all’art. 2 cod. cons.. Di tale lesione le imprese convenute, pur non avendo avuto rapporti contrattuali diretti con gli acquirenti dei veicoli, venivano chiamate a rispondere a titolo di illecito aquiliano.[7]

Il giudice di prime cure, difatti, dopo aver affermato la responsabilità extracontrattuale delle società convenute,[8] quantificava il pregiudizio patrimoniale in modo uniforme per tutti i consumatori coinvolti nel giudizio (fatto salvo un esiguo numero di eccezioni),[9] facendo applicazione dell’art. 140-bis, comma 12, D.Lgs. n. 206/2005.

In altre parole, per il Tribunale lagunare la condotta tenuta dalla Volkswagen risultava sorretta, sul piano soggettivo, da un atteggiamento psicologico da ritenersi oltre il difetto di diligenza, essendo tale da determinare una lesione della libertà contrattuale della classe di consumatori venuti in contatto con il Gruppo Volkswagen, i quali, se consapevoli delle caratteristiche reali del prodotto, non avrebbero adottato quella scelta di acquisto.

Al riconoscimento del danno, il Tribunale veneziano perveniva attraverso una fine concatenazione argomentativa, così strutturata: a) la responsabilità civile ha una funzione anche sanzionatoria e di deterrenza; b) nella prospettiva di disincentivare condotte dirette a creare micro danni, l’azione collettiva evita di lasciare il danno lì dove cade; c) con l’inclusione nell’art. 2043 cod. civ. di ogni interesse che non sia di mero fatto, viene assicurata la tutela aquiliana anche al contraente che non si sia determinato liberamente nello svolgimento dell’attività negoziale; d) anche in assenza di un rapporto diretto tra aderenti alla classe e società automobilistica, è consentita la tutela aquiliana per l’ingiustizia del danno, in quanto la condotta posta in essere dalla VW è lesiva del diritto alla autodeterminazione ex art. 2 cod. cons., essendo altresì ravvisabile l’elemento soggettivo dell’illecito (in particolare, il dolo posto in essere dalla casa automobilistica).

Su tale iter logico argomentativo, brevemente richiamato, veniva riconosciuto il risarcimento del danno nella misura di € 3.000 per ogni aderente, applicando un criterio omogeneo di calcolo individuato nel 15% del prezzo medio di acquisto dei veicoli coinvolti nella vicenda, operando una liquidazione equitativa considerata congrua in relazione alla natura collettiva del giudizio ed alla pluralità dei crediti vantati, che, se soggetti alle ordinarie regole probatorie, avrebbero determinato la paralisi del procedimento.

Nella medesima prospettiva liquidatoria, veniva quantificato anche il danno non patrimoniale, determinato – invero, questo, assai discutibilmente (v. infra) – aumentando del 10% l’importo del danno patrimoniale, in applicazione dei criteri previsti dalle Tabelle del Tribunale di Venezia per la parametrazione del danno morale, per una cifra pari a € 300,00 per ogni consumatore (nel caso di specie, il danno non patrimoniale riconosciuto dal collegio veniva individuato nel pregiudizio di tipo morale da reato, avendo il Tribunale inquadrato la fattispecie esaminata nel reato di frode in commercio di cui all’art. 515 c.p.). Ciò, per la complessiva somma di circa duecentocinquanta milioni di euro.

Peraltro, a riprova del ‘coraggio’ mostrato dal Tribunale, la condanna inflitta a Volkswagen si ‘colorava’, per così dire, anche di una ulteriore componente, quella prevista dall’art. 96 comma 3 c.p.c., ossia da un quid riconosciuto a titolo di responsabilità aggravata.[10]

In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello veneziana, condividendo gli assunti di Volkswagen, accoglieva l’appello in relazione al profilo della (mancata) prova del danno patrimoniale: si legge, nella sentenza, che, poiché il danno deve necessariamente consistere in un danno-conseguenza, tale componente difetta nell’iter logico seguito dal Tribunale, che lo ha rinvenuto nel pagamento di un prezzo maggiorato rispetto ad un calcolo figurativo del prezzo giusto in presenza della manipolazione.[11]

In altre parole, la Corte d’appello di Venezia, pur riconoscendo la condotta contra legem delle società convenute, ha escluso la ricorrenza della prova del quantum risarcitorio del danno patrimoniale, confermando, d’altra parte, il criterio equitativo adottato per la determinazione del danno non patrimoniale.

Difatti, la Corte lagunare ha ritenuto mancante l’elemento imprescindibile del danno-conseguenza, necessario in quanto elemento costitutivo della responsabilità civile: il rapporto tra lesione del diritto all’autodeterminazione dei consumatori e loro pregiudizio patrimoniale mira, difatti, ad evitare che si scivoli nel pregiudizio in re ipsa, occorrendo sempre la prova della perdita concretamente sofferta. Per tale ragione, la Corte ribadisce la necessità che l’esame della questione non possa darsi in astratto bensì vada svolto rispetto allo specifico danno domandato e riconosciuto dalla sentenza di primo grado.[12], al pagamento di una cifra che è diventata di poco inferiore a venti milioni di euro

Ed è, dunque, su tale aspetto che il collegio veneziano ha finito per sconfessare gli approdi cui coraggiosamente era pervenuto il Tribunale: il richiamo ai principi generali da parte del giudice di primo grado era finalizzato a stabilire se nella class action debbano o meno trovare applicazione gli ordinari criteri risarcitori, tuttavia nella pronuncia d’appello si imputa, al tribunale, la poca chiarezza nell’individuare il limite fino al quale ci si possa discostare dai principi generali vigenti in materia di responsabilità civile e, dunque, al complesso di regole esistenti per il danno individuale. Il punctum dolens è, appunto, l’individuazione del danno patrimoniale nella riduzione del valore dei veicoli.[13]

Difatti, ciò che resta insuperabile nelle argomentazioni del Collegio è il mancato rinvenimento, nella specie, della prova del concreto danno patrimoniale subìto dai consumatori: non basta, in altri termini, il danno che il tribunale raffigura nella differenza tra valore e prezzo, restando indimostrato che sia intervenuta una effettiva perdita economica.

Anzi, il risparmio di costi, tentato dalla casa automobilistica attraverso l’installazione di un dispositivo vietato in grado di dissimulare la mancanza di qualità nel prodotto, circostanza questa che implica che ogni automobile aveva un valore inferiore al prezzo pagato dai consumatori, non è di per sé sufficiente a ritenere provato un danno patrimoniale.

Quale conseguenza del ragionamento giuridico seguito, nella pronuncia di secondo grado si riforma la sentenza non solo con il riferimento al danno patrimoniale ma, altresì, all’importo riconosciuto a titolo di responsabilità aggravata, con ciò sottolineandosi l’aspetto del limite intrinseco alla forza deterrente del modello di class adottato in Italia.

3.La decisione del Consiglio di Stato sul fronte del public enforcement

Peraltro, la transazione è intervenuta a breve distanza da un’altra pronuncia, stavolta della giustizia amministrativa.

Facendo nuovamente un passo indietro, come già ricordato, il Dieselgate italiano aveva preso avvio con la sanzione irrogata dall’A.g.c.m. in relazione alla pratica commerciale considerata scorretta,[14] ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21, comma 1, lett. b), e 23, comma 1, lett. d), cod. consumo, e consistente nella “commercializzazione di autoveicoli diesel sul mercato italiano […], a partire dall’anno 2009 e fino al settembre 2015, la cui omologazione è stata ottenuta attraverso l’utilizzo di un software nella centralina di controllo del motore […] in grado di far sì che il comportamento del veicolo sia diverso durante i test di banco per il controllo delle emissioni rispetto al normale utilizzo su strada”. [15]

La legittimità di detta sanzione era, quindi, stata confermata dapprima Tar Lazio,[16] che aveva respinto il ricorso avanzato da Volkswagen avverso il provvedimento dell’Autorità, e, ora, anche dal Consiglio di Stato che, con la pronuncia n. 2791 del 22 marzo 2024,[17] ha confermato la presenza della pratica commerciale scorretta.

Più nel dettaglio, il Consiglio di Stato ha ribadito come, nel caso di specie, sussistano entrambi i requisiti necessari a configurarla, ossia la contrarietà alla diligenza professionale e l’idoneità a falsare in misura apprezzabile le scelte economiche da parte del consumatore medio, ribadendosi, altresì, la non necessità di ravvisare, in capo al professionista, l’elemento soggettivo del dolo specifico o, comunque, una intenzionalità della condotta.

Difatti, la pratica commerciale scorretta in relazione all’installazione sui veicoli Volkswagen coinvolti nello scandalo di defeat device manipolati[18], rappresenta una pratica da considerarsi in re ipsa ingannevole, non richiedendosi anche la verifica concreta dell’idoneità a falsare il comportamento economico del consumatore medio.

Parimenti, il Consiglio di Stato ha confermato la natura ingannevole, già accertata dall’A.g.c.m., dei messaggi pubblicitari diffusi dal Gruppo automobilistico, laddove lo stesso Gruppo automobilistico basava le proprie campagne pubblicitarie su una pretesa attenzione all’ambiente e a pratiche green, ingenerando, di conseguenza, false convinzioni nei consumatori.[19]

Quanto al rischio di ne bis in idem, infine, il Consiglio di Stato ha ritenuto che esso non sussista nel caso di specie, non solo in quanto la decisione afflittiva emessa dall’autorità giudiziaria tedesca deve considerarsi antecedente a quella dell’A.g.c.m., ma, poi, in quanto difettano i necessari presupposti dell’identità soggettiva ed oggettiva tra le due decisioni.

 

4. I limiti intrinseci dell’azione di classe italiana nel rapporto con il sistema della responsabilità civile

Ebbene, ritornando al fronte privatistico della intricata vicenda, qualche riflessione alla luce delle pronunce sopra ricordate merita la dimensione – e gli esatti confini – del danno risarcibile, vero punto problematico (allo stato, non risolto) dell’azione di classe italiana[20].

All’uopo, si deve ricordare che dalla pronuncia d’appello sono emersi, ancora una volta, i limiti della azione di classe italiana e, in particolare, quel forte timore di sconfinamenti in condanne punitive, avulse dal riscontro delle componenti del danno evento e del danno conseguenza.

Invero, nonostante la convenuta avesse ufficialmente e pubblicamente riconosciuto nel merito l’illiceità della condotta, avesse subìto un provvedimento sanzionatorio dell’A.g.c.m. (confermato dal Tar, e ora anche dal Consiglio di Stato), avesse mostrato la disponibilità a concludere ben più onerose transazioni sulle sponde dell’Atlantico, decideva comunque di resistere spregiudicatamente al giudizio, sì da rendere necessario un impegno oltre modo gravoso (ed evitabile) da parte del tribunale e degli ausiliari.

La decisione della Corte d’Appello di Venezia ha, d’altro canto, finito essenzialmente per ribadire il problema di fondo che caratterizza lo strumento dell’azione di classe italiana, ossia quello di comprendere se, oltre alla facilitazione di carattere processuale che lo strumento offre, si possa arrivare anche, per il suo tramite, ad un modellamento della categoria sostanziale, e delle relative regole, del danno risarcibile. Se, cioè, possa accogliersi la conclusione per cui i due danni – quello individuale e quello collettivo – non debbano necessariamente sottostare alle medesime regole.

Difatti, se è vero che, a rigore, sembrerebbe azzardato postulare un’autonoma nozione di danno collettivo,[21] tuttavia chiedersi se i danni individualmente sofferti ma collettivamente fatti valere in ragione di un illecito collettivo debbano necessariamente sottostare ad un unico insieme di regole, o se, invece, la valutazione dell’esistenza dei danni possa esigere un proprio statuto continua ad apparire legittimo.

Certo è che alla possibilità di sganciare l’accertamento dell’illecito collettivo dai limiti propri del regime dell’illecito individuale, sembrano opporsi sia il testo (nonché, si direbbe, la voluntas) della legge, sia la consapevole differenza tra il sistema italiano e quelli (come il nordamericano) caratterizzati dalla condanna punitiva.

Allora, il problema diviene quello della possibilità o meno di giungere a ritagliare il complesso di regole che valgono per il danno individuale sulla categoria dell’insieme di danni individuali collettivamente rilevanti, cioè sta nella (im)possibilità di parlare di una ontologica diversità di questi, al fine di giungere alla conclusione per cui le due categorie non devono necessariamente sottostare alle medesime regole.

La corte d’Appello nel caso Dieselgate ha concordato sul fatto che la disciplina dell’azione di classe impone di riconoscere la specifica esigenza, che caratterizza detto strumento processuale, di bilanciare il principio dell’integrale risarcimento del danno con l’utilizzo di criteri standardizzati per tutti gli appartenenti alla classe, e che questo comporta la necessaria rinuncia ad una precisa quantificazione del danno calibrata sul singolo danneggiato in favore di una quantificazione standardizzata, ma non ritiene che ciò giustifichi anche un superamento delle regole che valgono per il danno individuale e, in particolare, dell’art. 1223 c.c..  La necessaria standardizzazione non osta a che comunque si debba individuare un pregiudizio tangibile, evidentemente standardizzabile ma solo rispetto alla quantificazione del risarcimento, non rispetto ad un nocumento patito che deve sempre essere individuato e provato.[22]

Come ricordato, nel processo logico di liquidazione del danno, il Collegio applica l’art. 140-bis, comma 12°, cod. cons., che nella formulazione vigente ratione temporis prevede che, nel liquidare le somme dovute agli aderenti all’azione di classe, detta liquidazione avvenga ai sensi dell’art. 1226 c.c. o stabilendo il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione di dette somme.[23]

Tuttavia la stessa Corte d’Appello, modificando, sul punto, le conclusioni cui era giunto il Tribunale, e, pur consapevole che il richiamo al criterio di liquidazione equitativa del danno dell’art. 1226 c.c., quale «principale parametro liquidatorio» contenuto nell’art. 140-bis cod. cons., rivela l’esigenza di procedere ad una liquidazione standardizzata dei risarcimenti, ritiene comunque che, in mancanza di indicazioni da parte del legislatore, anche nel contesto di una class action debbano operare le rigide regole della responsabilità civile di diritto comune[24].

Il quantum risarcitorio del danno patrimoniale, in altre parole, non può prescindere dalla concreta differenza tra il prezzo del veicolo e il valore effettivo determinato dalla mancanza di determinate qualità o caratteristiche.

E dunque, la Corte ritiene che il richiamo all’art. 1226 cod. civ. abbia la funzione esclusivamente di esonerare l’attore dall’onere di dimostrare esattamente la misura del pati di ogni singolo class member, e non quella – diversa – di escludere l’allegazione e la prova di tale misura, contravvenendo alle ordinarie regole in tema di onere probatorio. E ciò, si ritiene, in quanto tanto l’azione di classe ex art. 140 bis cod. cons., tanto quella di cui agli art. 840 bis e ss. c.p.c. non contengono previsioni speciali per l’accertamento del quantum risarcitorio ma l’unica differenza consiste nel richiamo, che il 12° comma dell’art. 140 bis effettuava, all’art. 1226 c.c. (che scompare nella disciplina vigente della class action)[25].

Rimanendo il danno risarcibile solo il c.d. danno conseguenza, l’azione di classe non potrebbe giungere ad alterare l’assetto dei principii della responsabilità civile, che sono e rimangono orientati verso la funzione compensativa[26].

Dovendosi, peraltro, tenere in debita considerazione la condotta di VW, che ha promosso una campagna di revisione gratuita delle automobili interessate dalla manipolazione.

E, allora, delle due l’una: a) se l’acquirente ha partecipato alla revisione gratuita promossa dalla casa automobilistica, il danno patrimoniale sarebbe stato ristorato in forma specifica o, più correttamente, mancherebbe la prova che permanga un danno dopo l’intervento messo a punto dalla società; b) se l’acquirente si è invece rifiutato di partecipare alla campagna di richiamo, significa che evidentemente non era interessato, non potendo di conseguenza residuare alcun danno ma dovendosi diversamente tener conto della sua condotta rilevante ex art. 1227, comma 2°, cod. civ.

Su tale punto la Corte d’Appello censura la decisione di primo grado ritenendo che questa, prescindendo dalla suddetta campagna di richiamo delle automobili coinvolte – e volta a rendere i prodotti conformi – ma affermando che il danno risulti indissolubilmente legato al momento della formazione della volontà negoziale, rimanga ancorata al danno in re ipsa.[27]

Quanto al danno non patrimoniale, modificando quanto statuito dalla sentenza, la Corte d’appello, pur riconoscendolo dovuto, ha modificato il discutibile criterio utilizzato dal Tribunale, basato su una “analogica dei criteri previsti dalle Tabelle del Tribunale di Venezia nella parametrazione del danno morale in rapporto al danno biologico” (ossia, ottenuto aumentando del 10% l’importo riconosciuto a titolo di danno patrimoniale).

Ciò appare condivisibile: infatti, la tecnica di liquidazione utilizzata dal Tribunale era priva di un vero fondamento logico, essendo stata estrapolata da una percentuale del danno patrimoniale, con ciò confondendo poste di danno decisamente eterogenee[28].

Dunque, la Corte d’Appello conferma la liquidazione operata in primo grado, che anzi viene ritenuta “con tutta probabilità non integrale”, ma insuscettibile di essere riveduta in aumento, difettando una impugnazione incidentale da parte di Altroconsumo.

5.Una transazione chiude la vicenda: considerazioni ulteriori

Contravvenendo alla ricordata volontà (palesata) di ricorrere per Cassazione, sulla vicenda è intervenuta una transazione che, fa sapere Altroconsumo, prevede la corresponsione delle somme riconosciute a ciascun aderente che accetti la proposta formulata dalla Volkswagen entro otto mesi che decorreranno dalla fine del 2024. Chi non intenda giovarsi dell’accordo, potrà richiedere la somma, minore, accertata dalla Corte d’Appello, passata in giudicato. La fase liquidatoria sarà gestita direttamente da Altroconsumo, mediante piattaforma ad hoc.

L’esito raggiunto non sembra deporre nel senso di un aumento di gradimento della azione di classe italiana, ossia di una sua virata – dopo un primo decennio essenzialmente privo di colpi di scena – verso il ben più noto rimedio statunitense.

Difatti, se pure deve ricordarsi come, oltreoceano, la chiusura transattiva del contenzioso di classe (il settlement) rappresenta l’epilogo più frequente delle damages class actions, non possono tacersi le (insuperabili) differenze che intercorrono tra il nostro modello e quello statunitense[29].

La vicenda conclama, semmai, l’approccio completamente differente seguito dalla Volkswagen: se negli Stati Uniti la società automobilistica si è affrettata, all’indomani dello scandalo, a chiudere la vicenda accettando transazioni milionarie,[30] in Europa, diversamente[31], i processi non solo sono partiti in ritardo ma non hanno neppure avuto le tempistiche brevi né, tantomeno, gli esiti conosciuti in America.

Il fondamentale problema rimane quello della volontà del legislatore, prima, e degli interpreti del diritto, poi, di rendere lo strumento davvero efficace. Ed infatti, la normativa (sia quella passata sia, anche, quella attuale) sembrerebbe essere in linea con la lettura restrittiva operata dalla Corte d’appello.

Nonostante ciò, l’attenzione degli interpreti è giustificata: si tratta della prima conciliazione collettiva[32] della storia del nostro ordinamento.

Come già osservato, peraltro, il problema insito nella class action tricolore non si annida solo nel timore dei giudici, ma anche nel poco coraggio del legislatore: ce lo ha ricordato la Corte d’appello quando, in un passaggio della pronuncia, sembra addirittura volersi giustificare per il suo (parziale) dietrofront, considerandolo la conseguenza obbligata della scelta poco coraggiosa del legislatore italiano di prediligere, per la formazione della classe di aderenti, un meccanismo di opt-out in luogo di quello, ben più inclusivo, dell’opt-in, utilizzato nel modello statunitense.[33]

E se la linea adottata dalla sentenza d’appello si inserisce nella già richiamata adesione a quella che sembra effettivamente essere la volontà del legislatore dell’art. 140-bis cod. cons. (ossia di limitare il risarcimento alla somma esattamente corrispondente al danno materialmente subìto dai class members), il quadro non sarebbe cambiato granché utilizzando l’art. 840-bis cod. proc. civ., che pure è stato scritto col dichiarato intento di favorire l’uso dell’azione di classe.

Se si vuole un rimedio efficace (o almeno praticabile, considerata la scarsissima attrattiva, allo stato, dell’azione) il punto problematico resta connesso alla possibilità di superare il dogma del danno-conseguenza, superando il timore che, altrimenti, si ammetterebbe quasi uno “sconto di disciplina” rispetto alle regole ordinariamente applicabili al risarcimento del danno.

Qualche timida speranza potrebbe provenire dall’introduzione delle nuove azioni rappresentative di cui agli art. 140 ter e ss. cod. consumo?

L’art. 1, 1° comma, d.leg. 10 marzo 2023, n. 28[34], ha inserito nel codice del consumo il Titolo II.1, regolante le azioni inibitorie e compensative, proponibili da un numerus clausus di associazioni dei consumatori a partire dal 25 giugno 2023. Ebbene, la lett. h, del 1° comma, del nuovo art. 140 ter apre alla possibilità di azione collettive, strutturate sulla falsariga dell’azione di classe ex art. 840 bis e ss. c.p.c., e finalizzate ad ottenere «una misura rivolta a rimediare al pregiudizio subito dal consumatore, anche attraverso il pagamento di una somma di denaro, la riparazione, la sostituzione, la riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto o il rimborso del prezzo pagato, secondo quanto previsto dalle disposizioni di cui all’allegato II-septies».

Peraltro, da ultimo, la disciplina è stata interessata dal correttivo, ma per profili diversi da quelli che qui interessano [35].

In attesa di scoprirlo, non rimane che prendere atto della transazione che chiude questa lunga, sofferta e tutto sommato nuova (per la giurisprudenza nazionale) vicenda processuale.

[1] La notizia è stata affidata ad un comunicato stampa pubblicato in data 15 maggio 2024 sul sito di Altroconsumo e reperibile al link Accordo tra Altroconsumo e Volkswagen: tutti i dettagli. Per un commento alla vicenda si veda B. Sassani – A.D. De Santis, Dieselgate ai titoli di coda. Con una transazione collettiva si chiude la più grande azione di classe consumeristica italiana, in Foro news, 4 giugno 2024. Più specificamente sulla transazione, A. Palmieri – R. Pardolesi, Dieselgate e tutela collettiva: ennesimo rovescio o nuovo inizio? e B. Sassani – A.D. De Santis, Cosa resterà dell’accordo che chiude il c.d. Dieselgate? tutti in corso di pubblicazione in Foro it. 2024.

[2] La volontà di ricorrere per cassazione era stata manifestata, all’indomani della sentenza d’appello, sempre con un comunicato stampa pubblicato sul sito di Altroconsumo.

[3] Si veda Bertelli, Profili civilistici del «dieselgate». Questioni risolte e tensioni irrisolte tra mercato e sostenibilità, ESI, 2021, 5 ss.; Geraci, Il Dieselgate. Riflessioni sul private e public enforcement nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Riv. di diritto Industriale, II, 2018, 61.

[4] Trib. Venezia, 7 luglio 2021, in www.Judicium.it 2021 con Nota di Guarnieri, Il Tribunale di Venezia si pronuncia sul caso Dieselgate: l’azione di classe approda alla condanna del gruppo Volkswagen; in Foro it., 2021, I, 4023, con Nota di A.D. De Santis e A. Palmieri; in Danno e resp. 2022, 239 con Nota di Santoro, Dieselgate italiano: (e)mission impossible. Il Tribunale di Venezia accoglie la class action e, in sintonia con i Tribunali di Avellino e Genova, riconosce il risarcimento dei danni da illecito antitrust e da pratiche commerciali scorrette.

[5] Il processo ha riguardato le auto vendute in Italia dal 15 agosto del 2009, data in cui sono stati immessi sul mercato i veicoli muniti del defeat device, al 26 settembre 2015, allorquando il Gruppo Volkswagen ha sospeso la consegna dei veicoli con motore turbodiesel euro 5 ed ha annunciato un piano di richiamo di tutte le vetture interessate. Sul punto si veda GUARNIERI, op. cit..

[6] Sostiene Monateri, Le fonti delle obbligazioni, La responsabilità civile, vol. III, in Trattato diretto da Sacco, Utet, 1988, che “il diritto di determinarsi liberamente rispetto al proprio patrimonio è uno strumento di tutela contro le false informazioni dovute a colpa”.

[7] Circa l’esperibilità dell’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. per lesione della libertà negoziale, anche in presenza di un contratto valido o della mancata impugnativa di un contratto invalido basata sugli ordinari rimedi contrattuali, v. Cass. Civ. 17 settembre 2013, n. 21255, in Foro it., I, 2013, p. 3121, con nota di Costantino, Palmieri-Pardolesi; commentata anche da Sassani, In difesa del senso comune. Noterelle intorno al dolo del giudice e al suo libero apprezzamento in sede risarcitoriaid., I, 2015, p. 2910. Sul punto si veda anche Busnelli- Patti, Danno e responsabilità civile, Utet, 2013; Busnelli, Itinerari europei nella “terra di nessuno tra contratto e fatto illecito”: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contr. e impr., 1991, p. 539.

[8] Si legge in sentenza: “Posto che la loro condotta integra tutti gli elementi dell’illecito civile, attesa sia l’ingiustizia del danno, in quanto lesiva del diritto fondamentale del consumatore all’autodeterminazione ex art. 2 Codice del Consumo, sia la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’assenza ‘della specifica competenza ed attenzione’- se non proprio del dolo – del danneggiante, per aver Volkswagen veicolato dei messaggi pubblicitari contenti informazioni non conformi al vero ovvero omissive, sia il nesso causale in ragione dell’idoneità di detti messaggi a trarre in errore il consumatore e, quindi, ad incidere sulle determinazioni commerciali del medesimo.”.

[9] Le eccezioni riguardano coloro che, nel periodo interessato dalla pratica, hanno acquistato un veicolo usato o l’hanno rivenduto; per questo gruppo di persone il ristoro è stato decurtato del 50%.

[10] Nella logica seguita dal giudicante, tale condanna trovava la propria motivazione nella condotta – ritenuta meritevole di sanzione – tenuta dalla Volkswagen, in particolare nella strategia difensiva dilatoria, strumentale e defatigatoria dalla stessa seguita, che aveva imposto alla parte attrice di soggiacere al protrarsi della pendenza del giudizio, la cui lungaggine era imputabile alla ferma e aggressiva difesa delle convenute nella contestazione, pur dinanzi all’evidenza dell’addebito. Ciò protraendo In particolare, osserva il Tribunale, che l’abuso del processo si sarebbe concretizzato in uno “straordinario, quanto ripetitivo e talvolta disarticolante numero di eccezioni sollevate rispetto alle adesioni”, che avrebbe reso necessaria l’effettuazione di una relazione integrativa da parte degli ausiliari incaricati di valutare le contestazioni formulate dalle convenute. Per questa ragione “è possibile liquidare per tale voce di danno un importo pari a quello delle spese di lite”.

[11] Sulla pronuncia d’appello, App. Venezia 16 novembre 2023, Foro it., 2024, I, 271, con note di A.D. De Santis – B. Sassani, Il lungo e mesto addio all’azione di classe consumeristica, con un bagliore all’orizzonte e Palmier- Pardolesi, Adagi veneziani (ed emissioni truccate): come ridimensionare il Dieselgate all’italiana; si v. anche La scomparsa del danno patrimoniale nel Dieselgate. La Corte d’Appello di Venezia e l’esito infelice della class action italiana, di questo autore, in NGCC, I, 2024, 25; si veda anche Sassani – A.D. De Santis, Dieselgate. La Corte d’appello di Venezia riduce il risarcimento in favore dei consumatori, in Foro News, 2023; C. Scognamiglio, Il risarcimento del danno e la sua prova nell’azione di classe (a proposito del c.d. Dieselgate), NGCC., 169; Id., Il risarcimento del danno nell’azione di classe: ancora su App. Venezia 16 novembre 2023 n. 2260 (e sui primi commenti ad essa), in Accademia, 2024, 269; Zuffi, Riformata in appello la condanna emessa nella class action contro Volkswagen: aspetti processuali, ibid., 257;Ibid., Scandalo Dieselgate e azione di classe: decurtati dei danni patrimoniali i risarcimenti riconosciuti ai consumatori italiani, in Giurisprudenza Italiana, 6/2024, Utet, 1348 ss.

[12] Anche se la distinzione tra danno evento e danno conseguenza è oggetto di critica da una parte della dottrina, per cui si veda Sirena, Danno-evento, danno-conseguenza e relativi nessi causali. Una storia di superfetazioni interpretative e ipocrisie giurisprudenziali, in Resp. civ. e prev., 2023, 68 ss. Secondo questa prospettiva critica, l’art. 2043 detterebbe una norma generale sulla responsabilità civile in grado di bastare a sé stessa e, dunque, non bisognosa della stampella dell’art. 1223 c.c. per innescare l’obbligazione risarcitoria. Da tale affermazione si vorrebbe trarre la conclusione per cui la risarcibilità del danno-conseguenza non si sovrapporrebbe alla risarcibilità del danno-evento dell’art. 2043 c.c., ma la presupporrebbe, al più integrandola.

[13] La sentenza sul punto è tranchant: la class action (come disciplinata all’epoca dei fatti dall’art. 140-bis cod. cons.), “non consentiva di deviare dalle ordinarie regole risarcitorie, fermo restando che fosse, e rimane ancora oggi, esperibile solo in presenza di danni uniformi riconducibili agli appartenenti a una determinata classe di consumatori e che alla quantificazione di un danno standardizzato deve necessariamente pervenirsi attraverso una valorizzazione del criterio equitativo”.

[14] Provv. 4 agosto 2016, n. 26137, Bollettino Agcm, 2016, n. 28

[15] Peraltro, nel corso del procedimento dinanzi al Consiglio di Stato, la VI sezione (con ord. 7 gennaio 2022, n. 68, reperibile in giustizia-amministrativa it) aveva invocato l’intervento della Corte di giustizia in ordine all’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che sancisce il principio del ne bis in idem, sul presupposto che alla VW erano già state inflitte sanzioni in Germania, censure non accolte, però, dalla Corte di Giustizia (Corte giust. 14 settembre 2023, causa C-27/22, Volkswagen Group Italia e Volkswagen Aktiengesellschaft, in ForoPlus). Sul punto, si rimanda, tra gli altri, a Rizzuto, A missed opportunity to fill the enforcement coordination gap in cross-border proceedings? The Volkswagen ruling of the Court of Justice of the European Union regarding unfair commercial practices, in European Competition Law Review, 2024, vol. 45, issue 2, 60.

[16] Tar Lazio, Sez. I, 31 maggio 2019, n. 6920, in Foro it..

[17] Cons. Stato, sez. VI. 22 marzo 2024, n. 2791, in Foro News, III, con nota di Palmieri.

[18] Rientrando così nell’alveo della pratica che l’art. 23, comma 1, lett. d), cod. consumo – in attuazione del punto 4 dell’allegato I alla direttiva 2005729/Ce.

[19] Come osservato da Palmieri, cit., a livello unionale si sono iniziate ad emanare disposizioni volte a impedire lo sfruttamento indebito della propensione del consumatore a effettuare scelte di acquisto sostenibili: v., in argomento, sempre Palmieri, Il consumatore «verde»: nuove sensibilità, nuovi rischi e un reticolo di tutele e incentivi, in Foro it., 2024, V, 115.

[20]Sul danno nella class action si veda V. Sassani, Responsabilità civile e rimedi processuali collettivi, in Enc. dir. – I TEMATICI, Responsabilità civile (in corso di pubblicazione); si v., tra gli altri, Astone, Azione di classe e tutela del consumatore: dall’art. 140-bis cod. cons. all’art. 840-bis c.p.c., in Persona e mercato, 2021, 110 ss; Benatti F., Il danno nell’azione di classe, in Danno e responsabilità, 2011, 20; A.D. De Santis, La tutela giurisdizionale collettiva. Contributo allo studio della legittimazione ad agire e delle tecniche inibitorie e risarcitorie, Napoli, 2013; Munari, Azione di classe e risarcimento del danno non patrimoniale, in Il diritto marittimo 2019, 794 ss.

[21] Contrario a tale possibilità è anche C. Scognamiglio, op. cit., che, a p. 174 ss., osserva che ciò vale tanto più all’interno della regolamentazione vigente in materia, come contenuta negli artt. 840- bis ss. c.p.c., in cui si fa riferimento alla nozione di danno e di risarcimento senza alcuna specificazione che consenta di accreditare l’idea di un modello di danno diversamente articolato rispetto a quello generale. Lo stesso Autore osserva che neppure dagli artt. 140- ter ss. cod. cons. è possibile trarre elementi di segno diverso, ed anzi da questi ultimi si desumerebbe semmai una sorta di annacquamento del concetto di danno, che imporrebbe ancor più di avere riguardo alla nozione generale di danno desumibile dal codice civile.

[22] A riprova della bontà delle proprie conclusioni, la Corte d’appello richiama il caso del danno da fermo tecnico, riconoscendo che neppure questo sarebbe risarcibile in maniera forfettizzata, dovendo anch’esso essere concretamente provato (cfr. Cass., 19.9.2022, n. 27389; Cass., 28.2.2020, n. 5447 e Cass., 14.10.2015, n. 20620).

[23] Il punto era stato oggetto di analisi da parte del Tribunale che aveva scritto: «Il richiamo del solo art. 1226 c.c. (…) verosimilmente riflette una peculiarità della tutela collettiva risarcitoria, che nel fotografare la lesione di diritti omogenei si presta a focalizzare l’attenzione su ipotesi di danno di tipo massificato, che, in quanto tali, vedono nella liquidazione equitativa il principale parametro liquidatorio, ponendo da parte la rigorosa geometria differenziale atta a far sì che il creditore sia posto sulla medesima curva di indifferenza. Ed infatti, se da un lato va esclusa la compatibilità dello strumento processuale così delineato dal legislatore con l’esecuzione di accertamenti calibrati su specifiche situazioni personali o con valutazioni che si soffermino sulla consistenza specifica della sfera emotiva o dell’esperienza dinamico-relazionale di singoli danneggiati, dall’altro lato, come è stato osservato da una parte significativa della dottrina, il richiamo all’equità è legato ad esigenze di semplificazione probatoria ed esclude la necessità di un accertamento personalizzato di fatto, da cui di regola dipende l’esatta determinazione del quantum debeatur, valorizzando la natura collettiva del giudizio e la pluralità dei crediti vantati, i quali, se soggetti alle ordinarie regole probatorie, determinerebbero la paralisi dello stesso giudizio necessario a realizzarli. Questa necessità, inoltre, induce il collegio a pervenire ad una decisione di tipo uniforme, senza operare alcuna differenziazione … appare meglio rispondente ad agevolare la fase esecutiva altrimenti esposta a prevedibili opposizioni proporzionate alle contestazioni svolte dalle convenute nei confronti dello straordinario numero di adesioni pervenute (nella specie, 72.286 riferite a targhe univoche)».

[24] Nel senso che il richiamo dell’art. 140-bis cod. cons. all’art. 1226 c.c. avrebbe potuto essere inteso come «un segnale significativo di una propensione del legislatore ad adottare un metodo standardizzato di liquidazione, sintomo di una malcelata rinuncia alla esatta attuazione del diritto sostanziale», si rinvia a A.D. De Santis, La tutela giurisdizionale collettiva. Contributo allo studio della legittimazione ad agire e delle tecniche inibitorie e risarcitorie, Jovene, 2013, p. 746 ed ai riferimenti dottrinari ivi richiamati.

[25] Anche se, come osservato in dottrina, l’omissione del richiamo non sembra sufficiente ad escluderne l’applicazione; si v. C. Scognamiglio, op. cit., 175, secondo cui «la circostanza stessa che il riferimento alla liquidazione equitativa del danno sia senz’altro scomparso, come si è già osservato, nella successiva evoluzione normativa dell’istituto, sconsiglia interpretazioni del comma 12 dell’art. 140-bis cod. cons. tali da caricare questa disposizione di un significato troppo eccentrico rispetto al dato sistematico, a livello di codice civile, della disciplina del risarcimento del danno».

[26] Quale espressione del rigido approccio tenuto dalla giurisprudenza rispetto alla prova del quantum nelle azioni risarcitorie si richiamano Cass. 25.10.2023, n. 29610, in Foro plus, secondo cui «il risarcimento è subordinato alla prova dell’an e del quantum dei danni, non operando conseguentemente la limitazione quantitativa prevista dalla clausola penale contrattualmente pattuita, di cui la parte non inadempiente non si sia avvalsa, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria»; Cass. 17.11.2020, n. 26051, ibid., secondo cui «la liquidazione equitativa del danno può ritenersi legittima nel solo caso in cui il danno stesso sia non meramente potenziale, bensì certo nella sua esistenza ontologica, pur non essendo suscettibile di prova del quantum, e richiede, altresì, onde non risultare arbitraria, l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico sul quale è fondata». In dottrina, ex multis, v. Patti, Danno non patrimoniale e valutazione equitativa, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2022, 1029; Simone, La liquidazione del danno non patrimoniale: brevi istruzioni per rendersi (meno) infelici, in Foro it., I, 2022, 2697. Cfr. in senso contrario con Cass. 11.10.2023, n. 28418, Foroplus, secondo cui «Il danno patrimoniale da ritardato compimento degli studi e conseguente ritardato ingresso nel mondo del lavoro è risarcibile se provato dal danneggiato, anche tramite presunzioni»; v., anche, 17.01.2022, n. 1162 e 8.02.2022, n. 3946 in Foro it., I, 2022, 959 ss., che hanno rimesso al Primo Presidente la valutazione circa la rimessione alle sezioni unite della questione di massima di particolare importanza «se, in caso di occupazione senza titolo di immobile, la prova del danno emergente, consistente nella diminuzione patrimoniale derivante dalla perdita della facoltà di godimento del bene per la durata dell’occupazione senza titolo, debba considerarsi sussistente in re ipsa, con sua conseguente liquidabilità in via equitativa»; la questione è stata risolta da Cass., sez. un., 15.11.2022, n. 33645, id., I, 2022, 3625, ritenendosi che «nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato»; 27 novembre 2015, 24210, Foro it., I, 2016, 533.

[27] Anche se, riguardo alla qualificazione delle condotte dei consumatori che non si sono avvalsi della campagna di richiamo alla stregua di comportamento contrario a correttezza, la decisione sembra di segno contrario all’orientamento prevalente, secondo cui spetta al creditore la scelta del tipo di risarcimento, in forma specifica o per equivalente monetario (cfr. Cass. 20.04.2023, n. 10686, cit.; 21.05.2004, n. 9709, id., Rep. 2004, voce Danni in materia civile, n. 167, per la quale il principio secondo cui la scelta del tipo di risarcimento (se in forma specifica o per equivalente) spetta al danneggiato non osta a che il danneggiante risarcisca spontaneamente il danno anche in forma diversa da quella scelta dal creditore, salva la possibilità per quest’ultimo di rifiuto, che, ove ingiustificato e determinante un aggravamento del danno, comporta tuttavia la riduzione del risarcimento dovuto, ai sensi dell’art. 1227, 2 comma, c.c..

[28] La Corte esclude anche la possibilità di fare ricorso alle tabelle per la liquidazione del danno biologico da lesione del consenso informato nel quadro della responsabilità sanitaria, non essendo sovrapponibile il diritto

all’autodeterminazione del paziente a quello del consumatore.

[29] Basti considerare che, a fronte del penetrante potere di controllo sul contenuto dell’accordo e sulla convenienza per la classe, riconosciuto dalla Federal Rule of Civil Procedure 23 (e) alle corti federali statunitensi[29], nonché del rischio di pesantissimi punitive damages[29], né l’art. 140 bis cod. cons., né le disposizioni di cui agli art. 840 bis e ss. c.p.c., né quelle, di nuovo conio, regolanti le azioni rappresentative di cui agli art. 140 ter e ss. cod. cons. prevedono un meccanismo lontanamente assimilabile. Si veda, sul punto Gabellini, Azione di classe e giustizia contrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2024, 143 ss.

[30] Si ricorda, infatti, che, già il 28 giugno 2016, Volkswagen offriva 14,7 miliardi di dollari per transigere la controversia intentata dal Dipartimento di giustizia degli USA, formalmente accettata dal Governo il 25 ottobre 2016.

[31] La Corte di Giustizia dell’Unione Europea è intervenuta, per la prima volta, con la pronuncia pregiudiziale del 17 dicembre 2020 – causa C-693/2018 – in cui ha accertato la natura illecita del dispositivo resa su proposta dei Juges d’instruction du Tribunal de grande instance de Paris.

[32] Così B. Sassani – A.D. De Santis, Cosa resterà cit.

[33] Dietro i rigorosissimi capi della motivazione, si annida però una malcelata timidezza, di cui pure gli estensori, tutti e tre i componenti del collegio, accusano apertis verbis il legislatore, il quale, avendo scelto la tecnica dell’opt-in anziché quella dell’opt-out, ha le maggiori responsabilità dell’insuccesso dell’azione di classe.

[34] Che ha recepito la direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2020 relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE, su cui v. Minervini, L’azione inibitoria nella dir. 2020/1828/UE, in Nuove leggi civ., 2022, 1377; Scarchillo – Serafinelli, I collective redresses nello spazio giuridico europeo: il case study irlandese alla prova della dir. 2020/1828/Ue – Prolegomeni ad una riforma in senso transfrontaliero, in Comparazione e dir. civ., 2021, 699.

[35] Lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 febbraio 2024 (c.d. correttivo alla riforma del processo civile di cui al d.lgs. 149/2022), prevede che «all’articolo 840 ter, terzo comma, le parole «dal rito sommario di cognizione di cui agli articoli 702 bis e seguenti» siano sostituite dalle seguenti: «dal rito semplificato di cognizione di cui agli articoli 281 decies e seguenti». Al momento dell’invio del presente contributo, il decreto legislativo è ancora all’esame delle Commissioni parlamentari.