Informativa sul trattamento dei dati personali (ai sensi dell’art. 13 Regolamento UE 2016/679)
La vigente normativa in materia di trattamento dei dati personali definita in conformità alle previsioni contenute nel Regolamento UE 2016/679 del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (Regolamento generale sulla protezione dei dati, di seguito “Regolamento Privacy UE”) contiene disposizioni dirette a garantire che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, con particolare riguardo al diritto alla protezione dei dati personali.
Finalità del Trattamento e base giuridica
Il trattamento dei dati personali è finalizzato a:
– fornire il servizio e/o prodotto richiesto dall’utente, per rispondere ad una richiesta dell’utente, e per assicurare e gestire la partecipazione a manifestazioni e/o promozioni a cui l’utente ha scelto di aderire (richiesta e acquisto abbonamento periodici; richiesta e acquisto libri; servizio di fatturazione; invio periodici in abbonamento postale, invio newsletter rivolte a studiosi e professionisti).
– inviare newsletter promozionale di pubblicazioni a chi ne ha fatto richiesta; ferma restando la possibilità per l’utente di opporsi all’invio di tali invii in qualsiasi momento.
– inviare all’utente informazioni promozionali riguardanti servizi e/o prodotti della Società di specifico interesse professionale ed a mandare inviti ad eventi della Società e/o di terzi; resta ferma la possibilità per l’utente di opporsi all’invio di tali comunicazioni in qualsiasi momento.
– gestire dati indispensabili per espletare l’attività della società: clienti, fornitori, dipendenti, autori. Pacini Editore srl tratta i dati personali dell’utente per adempiere a obblighi derivanti da legge, regolamenti e/o normativa comunitaria.
– gestire i siti web e le segreterie scientifiche per le pubblicazioni periodiche in ambito medico-giuridico rivolte a studiosi e professionisti;
Conservazione dei dati
Tutti i dati di cui al successivo punto 2 verranno conservati per il tempo necessario al fine di fornire servizi e comunque per il raggiungimento delle finalità per le quali i dati sono stati raccolti, e in ottemperanza a obblighi di legge. L’eventuale trattamento di dati sensibili da parte del Titolare si fonda sui presupposti di cui all’art. 9.2 lett. a) del GDPR.
Il consenso dell’utente potrà essere revocato in ogni momento senza pregiudicare la liceità dei trattamenti effettuati prima della revoca.
Tipologie di dati personali trattati
La Società può raccogliere i seguenti dati personali forniti volontariamente dall’utente:
nome e cognome dell’utente,
il suo indirizzo di domicilio o residenza,
il suo indirizzo email, il numero di telefono,
la sua data di nascita,
i dettagli dei servizi e/o prodotti acquistati.
La raccolta può avvenire quando l’utente acquista un nostro prodotto o servizio, quando l’utente contatta la Società per informazioni su servizi e/o prodotti, crea un account, partecipa ad un sondaggio/indagine. Qualora l’utente fornisse dati personali di terzi, l’utente dovrà fare quanto necessario perchè la comunicazione dei dati a Pacini Editore srl e il successivo trattamento per le finalità specificate nella presente Privacy Policy avvengano nel rispetto della normativa applicabile, (l’utente prima di dare i dati personali deve informare i terzi e deve ottenere il consenso al trattamento).
La Società può utilizzare i dati di navigazione, ovvero i dati raccolti automaticamente tramite i Siti della Società. Pacini editore srl può registrare l’indirizzo IP (indirizzo che identifica il dispositivo dell’utente su internet), che viene automaticamente riconosciuto dal nostro server, pe tali dati di navigazione sono utilizzati al solo fine di ottenere informazioni statistiche anonime sull’utilizzo del Sito .
La società utilizza i dati resi pubblici (ad esempio albi professionali) solo ed esclusivamente per informare e promuovere attività e prodotti/servizi strettamente inerenti ed attinenti alla professione degli utenti, garantendo sempre una forte affinità tra il messaggio e l’interesse dell’utente.
Trattamento dei dati
A fini di trasparenza e nel rispetto dei principi enucleati dall’art. 12 del GDPR, si ricorda che per “trattamento di dati personali” si intende qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione. Il trattamento dei dati personali potrà effettuarsi con o senza l’ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati e comprenderà, nel rispetto dei limiti e delle condizioni posti dal GDPR, anche la comunicazione nei confronti dei soggetti di cui al successivo punto 7.
Modalità del trattamento dei dati: I dati personali oggetto di trattamento sono:
trattati in modo lecito e secondo correttezza da soggetti autorizzati all’assolvimento di tali compiti, soggetti identificati e resi edotti dei vincoli imposti dal GDPR;
raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, e utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi;
esatti e, se necessario, aggiornati;
pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o successivamente trattati;
conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati;
trattati con il supporto di mezzi cartacei, informatici o telematici e con l’impiego di misure di sicurezza atte a garantire la riservatezza del soggetto interessato cui i dati si riferiscono e ad evitare l’indebito accesso a soggetti terzi o a personale non autorizzato.
Natura del conferimento
Il conferimento di alcuni dati personali è necessario. In caso di mancato conferimento dei dati personali richiesti o in caso di opposizione al trattamento dei dati personali conferiti, potrebbe non essere possibile dar corso alla richiesta e/o alla gestione del servizio richiesto e/o alla la gestione del relativo contratto.
Comunicazione dei dati
I dati personali raccolti sono trattati dal personale incaricato che abbia necessità di averne conoscenza nell’espletamento delle proprie attività. I dati non verranno diffusi.
Diritti dell’interessato.
Ai sensi degli articoli 15-20 del GDPR l’utente potrà esercitare specifici diritti, tra cui quello di ottenere l’accesso ai dati personali in forma intelligibile, la rettifica, l’aggiornamento o la cancellazione degli stessi. L’utente avrà inoltre diritto ad ottenere dalla Società la limitazione del trattamento, potrà inoltre opporsi per motivi legittimi al trattamento dei dati. Nel caso in cui ritenga che i trattamenti che Lo riguardano violino le norme del GDPR, ha diritto a proporre reclamo all’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali ai sensi dell’art. 77 del GDPR.
Titolare e Responsabile per la protezione dei dati personali (DPO)
Titolare del trattamento dei dati, ai sensi dell’art. 4.1.7 del GDPR è Pacini Editore Srl., con sede legale in 56121 Pisa, Via A Gherardesca n. 1.
Per esercitare i diritti ai sensi del GDPR di cui al punto 6 della presente informativa l’utente potrà contattare il Titolare e potrà effettuare ogni richiesta di informazione in merito all’individuazione dei Responsabili del trattamento, Incaricati del trattamento agenti per conto del Titolare al seguente indirizzo di posta elettronica: privacy@pacinieditore.it. L’elenco completo dei Responsabili e le categorie di incaricati del trattamento sono disponibili su richiesta.
Ai sensi dell’art. 13 Decreto Legislativo 196/03 (di seguito D.Lgs.), si informano gli utenti del nostro sito in materia di trattamento dei dati personali.
Quanto sotto non è valido per altri siti web eventualmente consultabili attraverso i link presenti sul nostro sito.
Il Titolare del trattamento
Il Titolare del trattamento dei dati personali, relativi a persone identificate o identificabili trattati a seguito della consultazione del nostro sito, è Pacini Editore Srl, che ha sede legale in via Gherardesca 1, 56121 Pisa.
Luogo e finalità di trattamento dei dati
I trattamenti connessi ai servizi web di questo sito hanno luogo prevalentemente presso la predetta sede della Società e sono curati solo da dipendenti e collaboratori di Pacini Editore Srl nominati incaricati del trattamento al fine di espletare i servizi richiesti (fornitura di volumi, riviste, abbonamenti, ebook, ecc.).
I dati personali forniti dagli utenti che inoltrano richieste di servizi sono utilizzati al solo fine di eseguire il servizio o la prestazione richiesta.
L’inserimento dei dati personali dell’utente all’interno di eventuali maling list, al fine di invio di messaggi promozionali occasionali o periodici, avviene soltanto dietro esplicita accettazione e autorizzazione dell’utente stesso.
Comunicazione dei dati
I dati forniti dagli utenti non saranno comunicati a soggetti terzi salvo che la comunicazione sia imposta da obblighi di legge o sia strettamente necessario per l’adempimento delle richieste e di eventuali obblighi contrattuali.
Gli incaricati del trattamento che si occupano della gestione delle richieste, potranno venire a conoscenza dei suoi dati personali esclusivamente per le finalità sopra menzionate.
Nessun dato raccolto sul sito è oggetto di diffusione.
Tipi di dati trattati
Dati forniti volontariamente dagli utenti
L’invio facoltativo, esplicito e volontario di posta elettronica agli indirizzi indicati su questo sito comporta la successiva acquisizione dell’indirizzo del mittente, necessario per rispondere alle richieste, nonché degli eventuali altri dati personali inseriti nella missiva.
Facoltatività del conferimento dei dati
Salvo quanto specificato per i dati di navigazione, l’utente è libero di fornire i dati personali per richiedere i servizi offerti dalla società. Il loro mancato conferimento può comportare l’impossibilità di ottenere il servizio richiesto.
Modalità di trattamento dei dati
I dati personali sono trattati con strumenti manuali e automatizzati, per il tempo necessario a conseguire lo scopo per il quale sono stati raccolti e, comunque per il periodo imposto da eventuali obblighi contrattuali o di legge.
I dati personali oggetto di trattamento saranno custoditi in modo da ridurre al minimo, mediante l’adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
Diritti degli interessati
Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
Dati degli abbonati
I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 e adeguamenti al Regolamento UE GDPR 2016 (General Data Protection Regulation) a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore Srl – Via A. Gherardesca 1 – 56121 Pisa. Per ulteriori approfondimenti fare riferimento al sito web http://www.pacinieditore.it/privacy/
Subscriber data
Subscriber data are treated according to Italian law in DLgs, 30 June 2003, n. 196 as updated with the UE General Data Protection Regulation 2016 – by means of computers operated by specifically responsible personnel. These data are used by the Publisher to mail this publication. In accordance with Art. 7 of the above mentioned DLgs, 30 June 2003, n. 196, subscribers can, at any time, view, change or delete their personal data or withdraw their use by writing to Pacini Editore S.r.L. – Via A. Gherardesca 1, 56121 Ospedaletto (Pisa), Italy. For further information refer to the website: http://www.pacinieditore.it/privacy/
Cookie
Che cos’è un cookie e a cosa serve?
Un cookie e una piccola stringa di testo che un sito invia al browser e salva sul tuo computer quando visiti dei siti internet. I cookie sono utilizzati per far funzionare i siti web in maniera più efficiente, per migliorarne le prestazioni, ma anche per fornire informazioni ai proprietari del sito.
Che tipo di cookie utilizza il nostro sito e a quale scopo? Il nostro sito utilizza diversi tipi di cookie ognuno dei quali ha una funzione specifica, come indicato di seguito:
TIPI DI COOKIE
Cookie di navigazione
Questi cookie permettono al sito di funzionare correttamente sono usati per raccogliere informazioni su come i visitatori usano il sito. Questa informazione viene usata per compilare report e aiutarci a migliorare il sito. I cookie raccolgono informazioni in maniera anonima, incluso il numero di visitatori del sito, da dove i visitatori sono arrivati e le pagine che hanno visitato.
Cookie Analitici
Questi cookie sono utilizzati ad esempio da Google Analytics per elaborare analisi statistiche sulle modalità di navigazione degli utenti sul sito attraverso i computer o le applicazioni mobile, sul numero di pagine visitate o il numero di click effettuati su una pagina durante la navigazione di un sito.
Questi cookie sono utilizzati da società terze. L’uso di questi cookie normalmente non implica il trattamento di dati personali. I cookie di terze parti derivano da annunci di altri siti, ad esempio messaggi pubblicitari, presenti nel sito Web visualizzato. Possono essere utilizzati per registrare l’utilizzo del sito Web a scopo di marketing.
Come posso disabilitare i cookie?
La maggior parte dei browser (Internet Explorer, Firefox, etc.) sono configurati per accettare i cookie. Tuttavia, la maggior parte dei browser permette di controllare e anche disabilitare i cookie attraverso le impostazioni del browser. Ti ricordiamo però che disabilitare i cookie di navigazione o quelli funzionali può causare il malfunzionamento del sito e/o limitare il servizio offerto.
Per avere maggiori informazioni
l titolare del trattamento è Pacini Editore Srl con sede in via della Gherardesca n 1 – Pisa.
Potete scrivere al responsabile del trattamento Responsabile Privacy, al seguente indirizzo email rlenzini@pacinieditore.it per avere maggiori informazioni e per esercitare i seguenti diritti stabiliti dall’art. 7, D. lgs 196/2003: (i) diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali riguardanti l’interessato e la loro comunicazione, l’aggiornamento, la rettificazione e l’integrazione dei dati, la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge; (ii) diritto di ottenere gli estremi identificativi del titolare nonché l’elenco aggiornato dei responsabili e di tutti i soggetti cui i suoi dati sono comunicati; (iii) diritto di opporsi, in tutto o in parte, per motivi legittimi, al trattamento dei dati relativi all’interessato, a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazioni commerciali.
Per modificare le impostazioni, segui il procedimento indicato dai vari browser che trovi alle voci “Opzioni” o “Preferenze”.
Per saperne di più riguardo ai cookie leggi la normativa.
Uno sguardo sui profili processuali delle nullità negoziali
Di Fabio Santangeli -
Sommario:1.Nullità e rimedi all’eccesso delle nullità sostanziali in dottrina e giurisprudenza. — 2. La frantumazione delle nullità in chiave sostanziale e la contraria tendenziale tensione unitaria in chiave processuale. — 3. Segue. La più limitata auspicabile evoluzione del processo. In tema di nullità di protezione in particolare per la tutela del consumatore. — 4. Segue. In tema di nullità “classiche”. Un tentativo in chiave esclusivamente processuale di temperare l’eccessiva rigidità della nullità sostanziale. — 5. La trasposizione nel processo dei rimedi avverso gli eccessi di nullità ricavati da dottrina e giurisprudenza. — 6. La mediazione delegata.
1.Nullità e rimedi all’eccesso delle nullità sostanziali in dottrina e giurisprudenza.
Per Gianni Verde, in tema di nullità alla radice delle scelte del legislatore “vi è indubbiamente un’ideologia autoritaria, che ha condotto ad esagerazioni, perché al cittadino di comune buon senso appare eccessivo che una nullità per difetto di forma sia disciplinata allo stesso modo della nullità derivante dalla illiceità della causa” (1).
Non sempre le recenti evoluzioni legislative, del resto, hanno aiutato a correggere eventuali eccessi; anzi, la categoria delle nullità si arricchisce di nuove fattispecie ad opera di un legislatore forse poco attento a saggiare sul campo gli effetti applicativi dell’attribuzione di tale qualificazione ad alcuni vizi. Forse, oggi, ci sono troppe nullità, soprattutto dichiarate dalla legge; e questa tendenza, particolarmente adottata ad esempio in materia di violazioni di precetti fiscali, rappresenta un portato fortemente problematico in via applicativa (2).
Per alcuni versi, una riflessione analoga può rivolgersi anche alla categoria delle nullità virtuali; le fattispecie sono state probabilmente (ma soltanto) in alcune ipotesi ricavate dagli interpreti talora con troppa ampiezza.
Alcune correzioni, dunque, si impongono; e vanno temperati, se possibile, alcuni eccessi.
De iure condendo, vanno probabilmente eliminate alcune ipotesi di nullità per legge. E forse, più ambiziosamente, diversamente ricostruite le conseguenze delle nullità classiche a seconda del “tipo” di “nullità”.
De iure condito, è compito dell’interprete individuare e fare i conti con eventuali eccessi, e incaricarsi di trovare ove possibile soluzioni ermeneutiche atte a temperarli.
In via sostanziale, individuando fattispecie bisognose di rivisitazione, e suggerendo l’introduzione di una serie di rimedi (questo è compito dei civilisti), ad esempio tramite una rilettura talora più rigorosa di alcune nullità virtuali o dei presupposti per l’esistenza delle nullità per legge, o ancora valorizzando ipotesi di recupero, anche parziale, del contratto nullo, con rimedi di nuovo conio.
Ciò induce a suggerire la necessità di riflessioni analitiche, perché adottare una ricostruzione unitaria del fenomeno della nullità sostanziale rischia oggi di tracciare una linea non al passo con i tempi; non di nullità conviene discorrere, ma di più figure di nullità, a contenuto vario e flessibile.
Mi tranquillizza molto che questa sensazione sia condivisa dal prof. Valerio Pescatore, l’esito delle cui indagini, anzi, è assai severo e pervasivo quanto alla figura della nullità oggi nel panorama italiano (riflettendo una rinnovata sensibilità degli studiosi del diritto civile sul tema (3)).
Il prof. Pescatore assume ormai doversi prendere atto della già avvenuta frammentazione, della frantumazione della categoria delle nullità nell’attuale momento storico.
Condivido, ancora, la sua tesi sulla frammentazione di fatto della categoria della nullità anche nella lettura della giurisprudenza, pur se non sempre esplicitata, oltre che in dottrina.
Semmai, dall’analisi giurisprudenziale, inclinerei anzi verso un big bang ancora più radicale che la giurisprudenza di legittimità talora opera.
Ad esempio, nella sua pregevole relazione il prof. Pescatore ricava, in particolare ma non soltanto, dalla recente sentenza che nega la nullità del contratto di mutuo fondiario sovrafinanziato (4), una generale consapevolezza delle Sezioni Unite della necessità di ridurre le nullità virtuali (5), e la necessità di una coerente azione in tal senso; ed effettivamente, nella sentenza in esame, la Corte ha espressamente ripercorso in senso critico la superfetazione delle nullità virtuali.
Diffiderei, tuttavia, in senso assoluto di una tale ricostruzione sistematica (sistematizzare, per noi studiosi è forse il nostro destino, o forse, la nostra maledizione) dell’operato della giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, ad esempio, traggo dall’esame dell’intera e complessa motivazione la sensazione (sensazione di cui ovviamente non ho una conferma e non potrò mai averla (6)) che chi ha deciso sul mutuo fondiario sovrafinanziato, non ha deciso questo in conseguenza della considerazione che le nullità virtuali debbano essere in via generale restrittivamente rivisitate, ma perché aveva pre-maturato un convincimento proprio e solo sul caso di specie, e lo ha successivamente giustificato nella motivazione del provvedimento (7), che si compone peraltro anche di varie altre rationes concorrenti, anche adottando questa considerazione di respiro più ampio.
Ricavo questa sensazione, anche, dal fatto che, nello stesso periodo, in Cassazione di nullità virtuali si discorre molto; e, accanto ad una revisione in chiave riduttiva della categoria, si mantengono diversi orientamenti che invece ne mantengono l’attualità (8).
Ne traggo una conclusione dunque, parzialmente divergente, ed anzi ancora più dirompente. La crisi della categoria unitaria delle nullità sostanziali in giurisprudenza viene provocata ed affrontata ricavando in realtà ulteriori spazi alla discrezionalità delle soluzioni adottate, che prediligono l’analisi caso per caso, la giustizia fondata sulle particolarità del caso concreto, dove le riflessioni generali o l’adozione di una tesi piuttosto che un’altra ha carattere posticcio e strumentale rispetto a scelte valoriali differenti per ogni singola fattispecie, con l’evidente rischio (o opportunità, naturalmente, per chi così ritenga) di decisioni estemporanee, affidate alla sensibilità del singolo collegio su un determinato tema sostanziale (e la cui scelta peserà per la mal compresa autorità del precedente giudiziale anche per fattispecie successive affatto differenti) che appare francamente inaccettabile (anche perché difficilmente prevedibile), altrettanto inaccettabile che il rigore ormai superato ed inattuale di alcune delle disposizioni in tema di nullità.
La frammentazione, frantumazione delle nullità sostanziali, allora, raggiunge livelli ancora più radicali.
2.La frantumazione delle nullità in chiave sostanziale e la contraria tendenziale tensione unitaria in chiave processuale.
La nullità sostanziale, è, dunque, fenomeno in evidente evoluzione.
Come e quanto questo impatta sul processo in cui la nullità viene direttamente o indirettamente in questione?
Questa è la domanda principale, o una delle domande principali a cui io ritengo di dover provare rispondere, anche se in tempi brevissimi.
La avvenuta frammentazione del fenomeno delle nullità, dunque, come impatta sul processo?
Si riverbera in una coerente esplosione della unitaria disciplina delle nullità anche in campo processuale?
Non lo credo. E, questo, nonostante sia la stessa Cassazione a “distruggere” la figura unitaria della nullità in chiave sostanziale, ed insieme ovviamente a disciplinarne il riverbero processuale.
Come è noto, l’obiettivo della stessa Corte di cassazione, nel disciplinare le nullità sostanziali nel processo, è stato ed è assai diverso, direi quasi antitetico.
La Corte di cassazione, in particolare ma non soltanto con le cosiddette sentenze gemelle del 2014 (9), ha inteso non recuperare margini di discrezionalità, ma al contrario si è assunta il compito di dare certezze. Per comprenderne l’evoluzione, appare indispensabile ricordare l’incertezza nelle applicazioni pratiche in dottrina ed in giurisprudenza; si confrontavano su quasi ogni punto controverso soluzioni assai differenti, incerte quanto all’adozione come criterio tendenziale tra il principio della domanda, ed all’opposto l’attenzione ad una decisione tesa ad una pronuncia destinata ad avere comunque oggetto e valore sull’intero rapporto.
Di qui la scelta consapevole di assumersi il compito di dare all’interprete delle indicazioni il più possibile chiare ed univoche. Un risultato ottenuto, in due fasi: una sentenza delle Sezioni Unite del 2012 (10), seguita a breve distanza nel 2014 da due sentenze gemelle sempre a Sezioni Unite, che forniscono indicazioni chiare ed univoche all’interprete attraverso un particolare sviluppo delle decisioni; una sorta di catalogo precettivo composto da ben 16 precetti più simili ad una legge che ad una pronunzia giudiziale, che oggettivamente se seguiti, consentono uno sviluppo dei processi sufficientemente predeterminato ed ordinato.
Incidentalmente, desidero essere chiaro. Non ho condiviso e non condivido molte delle soluzioni indicate nell’occasione dal supremo collegio, perché ero e resto contrario all’idea di spostare il focus del processo dalle domande della parte (ferma naturalmente la necessità comunque di esplorare i confini del dedotto e deducibile) ad una sentenza tesa ad una soluzione che impatti oltre l’indispensabile su questioni che non si sono arricchite dell’apporto delle difese delle parti (11); ed altrettanto, nella stragrande maggioranza dei casi non ho condiviso e non condivido lo stile della “sentenza-trattato”, ed ancora meno l’adozione da parte della giurisprudenza delle Sezioni Unite di un potere che si spinge appunto fino a dare precetti su questioni su cui il giudice ha al massimo il potere di intervenire come obiter, e non come ratio decidendi (12).
Ma non ho alcuna difficoltà a riconoscere come, nel caso che ci occupa, le sentenze gemelle abbiano in gran parte ottenuto i risultati che si proponevano; le indicazioni proposte sono state tendenzialmente seguite nelle decisioni successive, ed hanno garantito un non integrale ma tuttavia sufficiente grado di predeterminabilità negli orientamenti oggettivamente indispensabili per un ordinato e consapevole sviluppo del processo, e per un piano esercizio del diritto di difesa, che necessita di certezze per potere concorrere pienamente ad un proficuo sviluppo isonomico del processo.
Nella attenta motivazione delle sentenze gemelle la Corte riconosce l’esistenza di due diverse concezioni nella determinazione dell’oggetto delle controversie sul contratto; e riconosce come alla base di entrambe le concezioni riposino ragioni altrettanto nobili e legittime; avverte, ancora di come la scelta della Corte, oltre ad essere naturalmente discrezionale, si fonda sul privilegiare esigenze ritenute preminenti in quel momento storico, e come pertanto la decisione risenta di un’evidente storicizzazione, consapevolmente soggetta così a continua verifica. Infine, le soluzioni adottate in realtà sono importanti anche per evitare che dalla preferenza per un modello decisorio fondato sulla tendenziale analisi dell’intero rapporto contrattuale si possa giungere ad indicazioni ancora più radicali che la Corte sia come costruzione teorica (13) (con la ricostruzione della preclusione Zeuneriana (14)) sia come specificazione precettiva decisamente respinge (15).
La domanda di oggi, allora è: questa ricostruzione processuale, che ha garantito certezze applicative agli interpreti, che ricordo vanno dal giovane giurista a quello più scafato, dal giudice di pace al collega della Cassazione, e che si basa espressamente sulla unitarietà del fenomeno della disciplina delle nullità contrattuali nel processo, è destinato ad essere travolto dal nuovo corso che frammenta la categoria delle nullità sostanziali, e che pertanto potrebbe pretendere per ovvie esigenze di simmetria, una coerente revisione del fenomeno processuale?
In via assoluta, io ritengo di no. E ritengo di no perché le ragioni di semplificazione e certezza applicativa che hanno indotto la Corte a fornire indicazioni tendenzialmente unitarie del trattamento processuale della nullità rimangono tutte in campo (come, per correttezza, riconosco che le ragioni in termini di economia dei giudizi, alla base delle scelte nel merito adottate dalle sezioni unite, mantengono ancora oggi purtroppo un’assoluta contemporaneità), e credo siano nella gran parte dei casi destinate a prevalere, almeno, come criterio ispiratore di base.
Quindi io credo che da questo punto di vista in qualche modo la disciplina civilista della nullità e la disciplina processuale della nullità percorreranno dei binari paralleli, non destinati a incrociarsi a breve.
3.Segue. La più limitata auspicabile evoluzione del processo. In tema di nullità di protezione in particolare per la tutela del consumatore.
La richiamata necessità di ricostruire la disciplina del processo sulla base di una tensione unitaria da “esigenza di semplificazione”, naturalmente, deve tuttavia fare i conti con le modifiche normative e giurisprudenziali che hanno connotato quest’ultima decade, che ci consegna un quadro parzialmente mutato: da una parte sotto il profilo di una necessaria maggiore tutela del consumatore, dall’altra attraverso una più generale esigenza di ripensare alcune ricostruzioni giurisprudenziali per ridurre alcuni eccessi della disciplina della nullità sostanziale nel processo, ed inoltre anche con l’ulteriore necessità di introdurre nel processo i rimedi agli “eccessi delle nullità” ricavati invece in via sostanziale, traducendoli in regole processuali. A questi tre profili dedicheremo sintetiche considerazioni in questo e nei prossimi paragrafi.
Possiamo, allora, prendere le mosse dalle differenze tra le regole sostanziali delle diverse fattispecie, che già si sono estrinsecate nella forte distinzione quanto alla necessità della richiesta di parte per pronunciare sulla nullità (16) di protezione attentamente precisata del resto nelle c.d. sentenze gemelle del 2014, che disciplina, in modo decisamente differente, le regole processuali da adottare per le nullità “tradizionali” rispetto alle regole da ricavare per la tutela dalle “nullità di protezione” (17), che si connotano per la necessaria rilevazione d’ufficio del giudice che porta questa potenziale situazione a conoscenza delle parti processuali, lasciando tuttavia alla parte protetta la scelta di fare valere o no la nullità in giudizio (18).
Una disciplina differente, che si applica a tutti i rapporti connotati dall’esigenza di tutela e protezione della parte debole del rapporto, le categorie di soggetti che si trovano in una situazione di debolezza rispetto all’altra parte del contratto individuati dalla disciplina unionale o nazionale (ad esempio, il consumatore, ma anche l’impresa in posizione di dipendenza economica etc.).
E, tuttavia, un vero terremoto alla disciplina processuale delle nullità di protezione, o, quantomeno alla disciplina delle nullità di protezione quando la controversia ha ad oggetto i rapporti tra professionista e consumatore, si consuma oggi dopo le celeberrime quattro decisioni della Corte di giustizia del 2022 (19), immediatamente seguite dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 9479/2023 (20). Queste pronunce disciplinano in primo luogo fattispecie in cui vengono in considerazione il rapporto tra la tutela del consumatore ed il decreto ingiuntivo (21), impongono al giudice di non concedere il decreto ingiuntivo quando sia certa o assai probabile la invalidità nel contratto di clausole tutelate con la nullità di protezione, e di accompagnare l’eventuale concessione del decreto ingiuntivo con l’onere di segnalare comunque le clausole che potenzialmente potrebbero dare luogo a nullità, e l’espresso avvertimento che in mancanza di tempestiva opposizione il debitore-consumatore non potrà più fare valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile (22).
Una disciplina, senza dubbio, severa; alla cui violazione si collega un risultato radicale ed innovativo.
Il decreto ingiuntivo che non contenga quanto ora previsto dalle Sezioni Unite, se pur notificato e non seguito da una opposizione tempestiva del consumatore, potrà successivamente essere rimesso in discussione (23). Consumatore, quindi, la cui pur tardiva reazione va oltre a profili sulla limitazione dell’efficacia del decreto al dedotto e non anche al deducibile, o sulla preclusione pro iudicato. La successiva reazione ben potrà investire e porre nel nulla e ritenere se del caso addirittura ripetibile proprio la prestazione oggetto del concesso decreto, il c.d. “bene della vita”. Rimettere in discussione il “bene della vita” significa superare il principio del giudicato (24).
La contemperazione tra stabilità del provvedimento giudiziale e tutela del consumatore è stata fatta dalla Corte di giustizia, con una soluzione chiara e oggettivamente rivoluzionaria; è certo lecito criticarla, per chi così ritenga (25), forse meno invece cercarne di imprimere surrettiziamente una forzata riduzione (26).
Ma i precetti ricavabili dalle sentenze della Corte di giustizia prima e dalle Sezioni Unite poi non danno, purtroppo indicazioni esaustive e lasciano molti punti incerti già con riferimento alla ampiezza delle fattispecie, verosimilmente limitata solo al rapporto professionista-consumatore e non applicabile direttamente alle altre nullità di protezione; e resta ancora incerto se la nuova disciplina sia applicabile solo alle nullità di protezione ricavate dalla dir. 93/13 agli artt. 6 e 7, o a tutte le fattispecie in cui il consumatore è tutelato in simili fattispecie dalla legislazione unionale, o anche alla tutela in fattispecie analoghe del consumatore dalla legislazione nazionale (27).
Per il processo, tuttavia, la prima analisi richiesta è ulteriore ed ancora più estrema; posto che le fattispecie decise nel 2022 dalla Corte di giustizia, e nel 2023 dalle Sezioni unite, fanno riferimento solo a fattispecie in cui vengono in gioco il rapporto tra la tutela del consumatore ed il decreto ingiuntivo, la prima questione da risolvere è proprio se le regole o i principi che si desumono dalle quattro sentenze del 2022 devono o no trovare immediato spazio nella definizione anche dei processi ordinari che si introducono con un atto di parte e si concludono con una sentenza.
Nell’attesa di un auspicato ulteriore intervento della Corte di giustizia, dalle quattro decisioni non si potrà che prendere spunto; e la mia sensazione è che il giudizio di valore, la preferenza accordata dalla Corte del Lussemburgo alla tutela del consumatore anche a scapito del principio del giudicato, dovrebbe tendenzialmente applicarsi anche al processo ordinario, la cui disciplina dovrà in alcune ipotesi pertanto essere adattata (28).
Più in dettaglio. Anche ipotizzando l’applicazione dei principi desumibili dalle quattro sentenze della Corte di giustizia, rimarrà immutato l’onere del giudice di rilevare la nullità e di comunicarlo al consumatore perché decida se fare valere la nullità o no; in questa ipotesi, (o quando sia già stato il consumatore a chiedere l’accertamento della nullità), almeno quando il giudice abbia fisiologicamente espletato il suo onere comunicando al consumatore costituito la potenziale nullità, la disciplina ricavata dalle sentenze gemelle del 2014 per le nullità di protezione dovrebbe applicarsi allo stesso modo. Ma, a così ritenere, nelle ipotesi di contumacia del consumatore (quando il giudice rilevi la esistenza di una nullità cui si applicano le quattro sentenze della Corte di giustizia), laddove il giudice rilevi nel corso del giudizio di primo grado una potenziale nullità in un processo contumaciale, si dovrebbe invece ritenere che il giudice debba provvedere a che la sua lettura sia comunicata personalmente al convenuto. Una simile soluzione sembra imposta dalla necessità di garantire l’effettività della tutela del consumatore, consentendo al consumatore contumace almeno lo stesso grado di conoscibilità della potenziale nullità di quello garantito al consumatore destinatario della notifica del decreto ingiuntivo, che viene ad essere avvertito della potenziale nullità (addirittura in questa ipotesi talmente potenziale da non essere stata ritenuta fondata dal giudice che rende il decreto) grazie alla motivazione del provvedimento sulle clausole potenzialmente nulle, ed alla notifica personale del decreto. Una simile possibilità, nel nostro ordinamento, potrebbe essere costruita con l’applicazione del comma di nuovo conio (29) di cui all’art. 101, comma 2, c.p.c., laddove “il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni”. Posto che il contraddittorio va assicurato anche nei confronti del giudice, tra “i provvedimenti opportuni” ritengo debba essere ricompreso anche l’ordine di comunicare o notificare personalmente al consumatore contumace la potenziale esistenza di una nullità rilevata dal giudice. A tal fine, si è proposto di interpretare in tal senso l’art. 292, comma 1, c.p.c., introducendo una ulteriore fattispecie di obbligatoria notificazione personale di ordinanza al convenuto contumace, in applicazione del principio unionale di effettività della tutela consumeristica (30). Così operando, la differenza con la disciplina processuale ricostruita dalle Sezioni Unite del 2014 è certo assai importante; in quella ipotesi, la rilevazione della nullità di protezione da parte del giudice non deve essere notificata personalmente al convenuto contumace.
Si tratta, ancora, di valutare il valore della sentenza contumaciale quando appunto il giudice non abbia fatto provvedere personalmente alla notifica al convenuto contumace (31); coerentemente con quanto ora scritto, anche in questo caso, se la decisione non sarà impugnata, alla stabilità della decisione dovrà prevalere la tutela effettiva del consumatore. Ciò dovrebbe comportare che sulla sentenza non potrà scendere il giudicato (32) (oltre alla ulteriore considerazione sulla necessità di ripensare comunque alla disciplina del giudicato implicito per i giudizi in contumacia (33)). Una soluzione, anche questa, assai differente rispetto alla disciplina ricavata dalle sentenze delle Sezioni Unite del 2014 laddove invece la decisione, pur viziata, sarebbe passata in giudicato.
Trarre le fila da questo primo filone evolutivo, peraltro così sinteticamente rappresentato, non è agevole; de iure condito, tuttavia, potrebbe non essere poi azzardato suggerire, propria nella ottica di tentare oggi per quanto possibile di costruire discipline di chiara applicazione, quantomeno di ricostruire le fattispecie di nullità oggi, non più in due tronconi, la nullità classiche e le nullità di protezione, ma di aggiungerne a queste due discipline una terza che faccia esclusivo riferimento alle nullità di protezione nei rapporti professionista-consumatore.
De iure condendo, invece, la riflessione si apre a ulteriori scenari di indubbio fascino. La disciplina ora dettata dalle quattro sentenze della Corte di giustizia e dalla sez. un. n. 9479/2023, si applica davvero soltanto al consumatore “unionale”? Le nullità di protezione a favore del consumatore non coprono tutta la casistica delle nullità di protezione nella disciplina unionale, che si prendono cura anche della tutela di altre categorie di soggetti che si trovano in una situazione di debolezza rispetto all’altra parte del contratto (ad esempio l’impresa in posizione di dipendenza economica). E, sotto un profilo sostanziale, almeno per alcune ipotesi striderebbe non poco riservare la nuova disciplina sui limiti di stabilità della decisione solo ad alcune ipotesi di nullità-vessatorietà, tenendone indenni invece altre violazioni comunque costruite nella disciplina delle nullità di protezione; non mi sembra, tuttavia, possibile in via generale ipotizzare una estensione delle nuove regole ad altre nullità di protezione, se non previa una determinazione legislativa, o una nuova pronuncia in tal senso della Corte di giustizia, che dovrà valutare se il contemperamento tra l’interesse alla stabilità e la tutela del (diverso) soggetto debole debba o no essere trattato diversamente.
Si tratta oggi, in campo nazionale, di valutare se non sia opportuno un intervento legislativo più ampio sui processi che hanno ad oggetto quantomeno il rapporto professionista-consumatore (se non direttamente le nullità di protezione), anche oltre i soli rapporti produttore-consumatore che si ricavano dalla dir. 93/13 legge europea, per prevedere che in ogni fase processuale, anche istruttoria, sia garantita alla parte “debole” la piena effettività della tutela, anche in forza del necessario intervento d’ufficio del giudice (con regole così necessariamente differenti rispetto alla disciplina del processo civile ordinario). L’ordinamento processuale italiano naturalmente già conosce forme diversificate di tutela, in specie (ma non soltanto (34)) dedicate alla tutela di soggetti “deboli”; così, si prevede il processo del lavoro, il processo di famiglia (35), le regole del procedimento in camera di consiglio con l’applicazione anche a fattispecie di tutela delle fragilità. Sembra allora ragionevole ipotizzare una tutela diversificata con regole apposte analiticamente dettate da una legge processuale quantomeno per il consumatore; la cui tutela è stata già specificamente rafforzata da precetti ricavati dalla Corte di giustizia (36) e direttamente applicati dalla nostra giurisprudenza, come ad esempio per il potere officioso istruttorio del giudice; ma che hanno bisogno di una rivisitazione complessiva ed organica, che consenta di rileggere alcune fasi processuali alla luce di un diverso rapporto tra la parte debole ed il giudice.
Questo passa in primo luogo dalla disciplina del decreto ingiuntivo, secondo quanto si è scritto nei paragrafi precedenti; con una ulteriore riflessione, già ricavabile oggi a mio avviso in via ermeneutica de iure condito, tra l’altro sui limiti comunque a fenomeni di giudicato implicito et similia nei confronti della parte debole, e della particolare attenzione nel non concedere il decreto ingiuntivo anche per tutte le altre ipotesi di nullità, sempre a più ferma tutela della parte debole
Ferma la esigenza di imparzialità e terzietà, allora, potrebbe essere opportuno rivisitare innovativamente il ruolo del giudice con una attitudine maggiormente attiva anche nel tentativo di conciliazione e nelle proposte conciliative (fino alla ricerca di ridefinizione dei contratti viziati quando questa soluzione sia più favorevole (37)), e così anche nella definizione dei temi della controversia nelle prime fasi della stessa; una rivisitazione che consentirebbe, insieme, di definire la differenza che deve invece esistere con il normale processo di cognizione, laddove al contrario è bene a mio giudizio che il giudice mantenga un ruolo più distante dalle parti processuali, lasciando alle stesse ed ai loro difensori ampio ed esclusivo margine di manovra (fermo naturalmente, l’attenzione all’utilizzo di nuovi meccanismi, quale ad esempio la mediazione delegata (38)).
Infine, le nuove disposizioni, a mio avviso, dovrebbero poi essere estese e riferite alla generalità delle fattispecie in cui il legislatore abbia deciso, con le nullità di protezione, che una parte del rapporto contrattuale versi in situazione di potenziale debolezza e debba così essere maggiormente e diversamente tutelata nel processo, così restituendo almeno nella fase processuale un maggiore equilibrio tra le parti.
E soprattutto, in chiave direttamente europea, sarebbe importante iniziare a valutare, anche alla luce della numerosità, ampiezza e pervasività degli interventi della Corte di giustizia, se non sia il momento in ambito unionale di operare un deciso restyling delle regole sostanziali di una direttiva tutt’altro che ineccepibile (39), e di imporre un regolamento per disciplinare talune fasi processuali quantomeno delle controversie professionista-consumatore (40).
4.Segue. In tema di nullità “classiche”. Un tentativo in chiave esclusivamente processuale di temperare l’eccessiva rigidità della nullità sostanziale.
Delineate le potenziali evoluzioni della disciplina processuale delle nullità di protezione, dedichiamo una riflessione più generale alla disciplina delle nullità nel processo con considerazioni applicabili anche all regole delle nullità “classiche”.
Pur privo delle novità dirompenti introdotte per i processi sulle nullità contrattuali di protezione, la richiamata evoluzione delle letture dottrinali e giurisprudenziali sulle nullità sostanziali impone una attenta rilettura del catalogo di cui alle sentenze gemelle del 2014, per ripulirlo quantomeno dalle forzature più evidenti.
Il clima storico del 2023 sperabilmente non è quello del 2014, e impone alcuni ripensamenti importanti.
Ad esempio, appare oggi indispensabile superare l’anacronismo del giudicato implicito sulla validità del rapporto contrattuale (41), per effetto del quale una sentenza avente anche indirettamente e solo in via pregiudiziale ad oggetto un rapporto contrattuale, conclusa con una pronuncia di accoglimento, preclude in futuro un più ampio esame del rapporto contrattuale poiché sarebbe da ritenersi implicitamente già oggetto di esame, obbligato in quanto necessitato, da un giudice che pure sul punto nulla ha espresso. Ciò che è stato felicemente espresso come il rischio del “giudicato da svista” (42), ritenuto non accettabile anche da attenta dottrina certo non critica verso l’impianto di fondo delle sentenze c.d. gemelle (43).
In un certo qual modo, anche questa come altre forzature rappresentano un “eccesso” della disciplina delle nullità (in chiave processuale) che oggi va corretto (44).
Così cancellata la portata del giudicato implicito, appare conseguentemente necessitato riflettere su un altro punto del catalogo; ovvero, la prevalenza della ragione più liquida nelle scelte del giudice che proceda al rigetto della richiesta. Sorprende, infatti, costruire una architettura che presume l’importanza centrale del controllo sulla nullità del contratto, con il relativo onere del giudice della segnalazione alle parti, ed insieme lasciare il giudice libero nel rigettare richieste per differenti ragioni senza onerare ad un controllo ed ad una rilevazione di un vizio ritenuto così importante. Caduta la brillante giustificazione indiretta data dall’evidente volontà delle Sezioni Unite del 2014 di evitare almeno in questa ipotesi il “giudicato da svista”, una diversa rilettura francamente si imporrebbe.
A maggior ragione, poi, si impone, a mio giudizio, un radicale ripensamento sulle dinamiche di concessione del decreto ingiuntivo. Alla luce della importanza che l’ordinamento annette al controllo sulle nullità contrattuali, previsto appunto d’ufficio, è necessario adottare regole più rigorose nel controllo sui presupposti per la concessione del decreto, anche nelle ipotesi in cui ci si trovi in presenza di nullità contrattuali “classiche”, giungendo alla più ragionevole conclusione dell’onere per il giudice di rifiutare l’emissione del decreto ingiuntivo in tutte le ipotesi in cui si palesi seriamente la potenziale esistenza della fattispecie di nullità (45).
Altresì, è altrettanto ineludibile, nonostante la posizione ostinatamente contraria della giurisprudenza (46) ridurre comunque l’espansione della portata del decreto ingiuntivo, riconducendola ad una preclusione pro iudicato nei termini già individuati dalla teoria classica del processo civile (47), non solo nel caso del consumatore (48).
Il “tagliando” alle regole contenute nel catalogo non deve naturalmente fermarsi qui; tuttavia, poiché questo non è il punto centrale delle mie odierne riflessioni, le abbandono per procedere oltre con particolare riguardo alle novità in tema di nullità sostanziali e refluenze sul processo.
5.La trasposizione nel processo dei rimedi avverso gli eccessi di nullità ricavati da dottrina e giurisprudenza.
Il compito di queste brevi riflessioni non è ancora giunto al termine.
La disciplina processuale delle nullità sostanziali nel processo si dipana diversamente a seconda di un numero molto alto di profili potenzialmente differenti, e consiglia una indagine analitica delle diverse fattispecie, che esula dai sintetici limiti di queste riflessioni.
In estrema sintesi, restando esclusivamente in tema di nullità classiche e non di protezione (49), la nullità può essere fatta valere direttamente dall’attore con l’atto introduttivo, spesso accompagnato da altre domande in cumulo, come ad esempio la ripetizione dell’indebito o il risarcimento del danno. Ma potrebbe anche la richiesta essere accompagnata da un cumulo subordinato, ovvero una richiesta di accertamento della nullità, e, per l’eventuale ipotesi del rigetto, ad esempio una richiesta di pronuncia dell’annullamento o della risoluzione del contratto.
Altre volte, può essere il convenuto già nella prima difesa tempestiva a proporre una domanda riconvenzionale o una eccezione di nullità; cui l’attore e altri eventuali convenuti potranno a loro volta reagire (50) con contro-eccezioni, domande riconvenzionali, o domande “complanari” (51), cui potranno seguire ulteriori controdifese delle altre parti.
Dunque, l’attore, che chiede la prestazione oggetto del contratto potrebbe, già nell’atto introduttivo in cumulo subordinato, proporre un’altra richiesta per l’eventualità di una pronuncia di nullità. E lo stesso potrebbe fare, in risposta ad una eccezione di nullità proposta dal convenuto, attraverso l’uso di una domanda complanare. Ad esempio quando, richiesta in via di azione l’adempimento di una prestazione contrattuale, il pagamento di una prestazione professionale nei confronti di una Pubblica Amministrazione, la parte convenuta eccepisca la nullità della prestazione per mancanza dell’impegno di spesa; l’attore potrà, se del caso anche in via subordinata, proporre una domanda complanare di condanna della Pubblica amministrazione per arricchimento senza causa (52).
Altra volta, se le parti non lo hanno già fatto, sarà il giudice a rilevare d’ufficio la nullità; ricavandola dai fatti allegati nel processo (53).
In una auspicabile fisiologia processuale, la rilevazione della nullità processuale dovrebbe essere effettuata dalle parti nella prima fase processuale; le nuove disposizioni del processo civile, ad esempio, consentono al giudice di far valere l’eventuale nullità già nelle verifiche preliminari ai sensi dell’art. 171-bis c.p.c. La tempestività nella rilevazione consente alle parti processuali di potere ben calibrare le proprie difese nel processo, anche in questo caso con l’introduzione (54) delle eccezioni, domande riconvenzionali o domande complanari (55), e le successive eventuali controdifese delle altre parti.
Tuttavia, tanto le parti (sia nella forma della domanda che delle eccezioni (56)) che il giudice (57) possono fare valere la nullità ancora nel corso del processo (laddove il tema non sia già stato oggetto di domanda o di eccezione nel processo negli atti introduttivi della causa). Per la prima volta (58), anche soltanto (59) durante il giudizio di appello (60) (almeno come eccezione (61)), e, addirittura, nel giudizio di cassazione (62). E, quando la questione della nullità viene introdotta “tardivamente” nel processo (63), è assai complesso disciplinare il giudizio; nonostante l’intervento delle sentenze gemelle del 2014 e della giurisprudenza e della dottrina in materia, e anche a voler ancora prescindere dalle giuste critiche che alcune tra le soluzioni maggioritariamente adottate meritano, restano aperti molti interrogativi ed incertezze, e le questioni controverse si aprono a soluzioni difformi.
Certo, mettere a terra efficacemente le soluzioni dottrinali e giurisprudenziali in tema di rilevazione e dichiarazione delle nullità nel corso del giudizio, e insieme garantire il pieno rispetto dei diritti di contraddittorio e difesa per tutte le parti del processo, anche della parte che subisce l’introduzione dei nuovi elementi, non è semplice.
Si tratta tra l’altro di introdurre in via ermeneutica nel processo un giusto tasso di elasticità, pur a fronte di una disciplina talora apparentemente ingessata (il processo ordinario (64)); e garantendo un disteso esercizio del diritto di difesa nelle ipotesi in cui l’elasticità sia imposta per legge all’interno di un processo pensato per giudizi meno complessi (il processo semplificato (65)), se del caso trasferendo un processo informale in un processo più strutturato quando la complessità della vicenda processuale, che si caratterizza per successive intromissioni, consiglia dei passaggi più meditati, da valutare su ogni fattispecie concreta e non in via generale (il giudizio semplificato, e, quando necessario, la sua trasformazione in ordinario (66)).
Nuovi elementi possono dunque essere introdotti o rilevati nella fase introduttiva o nel corso del giudizio di primo grado, come per la prima volta nelle fasi di impugnazione; e si tratterà di decidere se tutto questo possa o no essere sempre garantito nel corso del giudizio, con la necessità di garantire alle parti processuali il pieno esercizio del diritto di difesa, anche potenzialmente con nuove allegazioni con una potenziale necessaria riapertura di tutti i termini processuali.
Laddove poi dovesse essere ritenuta ammissibile una pur limitata compressione dei diritti di difesa in una simile eventuale ipotesi, tuttavia, sarà importante agire sull’ampiezza del potenziale giudicato (67) che assista il provvedimento reso al termine di un giudizio dove non sia stato possibile introdurre alcuni elementi; in questo caso, deve rimanere fermo, per il rispetto ineludibile del diritto di difesa, che l’ampiezza del giudicato sulla decisione non possa mai comprendere quantomeno gli elementi che in ipotesi si ritenga non poter più essere introdotti nel processo, che dovranno potere essere almeno successivamente utilizzati. Si tratta, ancora, di agire sul principio del dedotto e del deducibile. Ma il deducibile dovrà attenere solo a ciò che in astratto ed in concreto avrebbe potuto essere appunto dedotto; se questo non è stato reso di fatto possibile, una limitazione alla successiva difesa non può evidentemente scattare. E sulla necessità di garantire, prima o dopo, il pieno svolgersi del diritto di difesa, nel nostro ordinamento, non è (ancora?) consentito dividersi.
La riflessione abbraccia, ad esempio, le domande complanari (68), domande che è preferibile ritenere comunque possibile fare valere eventualmente anche in altro giudizio, sottraendole alla preclusione del deducibile (69), lasciando alla parte dunque la scelta, che potrà essere presa anche sul presupposto della difficoltà processuale di aggiungere in una fase avanzata del processo troppa nuova carne al fuoco, oltre alle ipotesi in cui la domanda complanare non possa essere presentata (70), perché il processo ormai verte nelle fasi di impugnazione. La tesi della esclusione dal giudicato della domanda complanare non è però univoca, ed anzi v’è chi ritiene che la mancata proposizione della complanare la renda non più proponibile, perché assorbita nel deducibile (71); ciò, a maggior ragione, naturalmente, ad esempio nelle ipotesi in cui e per chi ritenga la domanda principale e la domanda complanare non due distinti diritti, ma un diritto unico con un concorso di norme (72): a mio avviso, anche ritenendo in via di principio preclusa la proponibilità della complanare in nuovo giudizio, nel caso che ci occupa, per la indispensabile pienezza di tutela del diritto di difesa, bisognerebbe comunque permettere alla parte di fare valere in un successivo processo la nuova domanda (73).
Ad un quadro così complesso ed eterogeneo si aggiunge, oggi, una ulteriore riflessione.
Dottrina e giurisprudenza ci hanno consegnato una talora radicale rivisitazione della disciplina sostanziale delle nullità, e, soprattutto, hanno dato conto di come esistano oggi anche altre esigenze, che tendono a temperare eventuali “eccessi delle nullità”, esigenze ricostruite da parte della dottrina e della giurisprudenza che valorizzano nuove riflessioni o accadimenti.
Non si tratta qui solo di rilevazione delle nullità, ma anche all’opposto entrano in gioco nuovi elementi che semmai riducono e circoscrivono, o escludono, una fattispecie su cui si è fondata la proposta di rilevare una nullità; va così ricostruita la disciplina processuale di questi elementi, l’onere della allegazione e della prova, i margini eventuali del giudice nella rilevazione di ufficio (non di nullità, appunto si tratta) etc.
E permane, poi, in ogni caso, l’esigenza di garantire pienamente il diritto di difesa e contrattacco quando nel corso del giudizio vengono introdotti nuovi elementi (per alcune fattispecie, si tratterà decisamente di nuovi temi di indagine). Entro quest’ambito, le riflessioni ora enucleate per la ricostruzione della fattispecie nelle ipotesi di nullità in particolare nella eventuale introduzione “tardiva” (laddove ammissibile) nel processo, devono mutatis mutandis intendersi confermate.
Queste vicende, già assai complesse nella gestione processuale, sono quindi spesso soggette inevitabilmente ad ulteriori difficoltà ogni volta in cui, ad esempio, le novità processuali si allargano fino alla potenziale proposizione di nuove fattispecie, ad es. l’abuso del diritto, per difendersi da una contestazione di nullità; in specie se la rilevazione della nullità sia sopravvenuta nel corso del processo, o addirittura nelle fasi di impugnazione, si tratta di ricostruire dinamiche che valutino se consentire o no l’introduzione anche di questi ulteriori nuovi fatti nel processo, per i quali potrebbe doversi riaprire anche la fase delle allegazioni e istruttoria, ed ancora, in queste ipotesi, garantire all’altra parte la piena difesa avverso questi nuovi elementi, che potrebbero comportare a loro volta anche in questo caso nuove necessità in chiave di allegazione di fatti e anche in chiave istruttoria.
L’analisi e la proposta ricostruttiva, tuttavia, è ulteriormente complicata dalla diversità dei “tipi” di nullità sostanziale cui potrebbero corrispondere diverse risposte processuali, nonché, ed in particolare dai diversi strumenti di potenziale riduzione degli eccessi di nullità che potrebbero sollecitare risposte diverse nel processo.
Questo consiglia di procedere con una analisi astrattamente unitaria, ma analiticamente separata; chi si occupa del processo, infatti, sa bene quanto l’impatto sul processo naturalmente diverge anche a seconda delle fattispecie.
Ma una simile analisi è impossibile in questa sede per evidenti ragioni di tempo, se non a livello meramente esemplificativo e per sommi capi.
Ragionando allora adesso per sommi capi ed a livello meramente esemplificativo.
*****
Un modo per rispondere agli eccessi delle nullità è ridurre le ipotesi di nullità virtuali (74). Si nega che la fattispecie sia riconducibile alla nullità; la nullità non c’è, anche se, talora, sono ricavabili differenti conseguenze invalidanti (75). Oppure, quanto alle nullità previste per legge, si ricostruiscono in chiave più rigorosa gli elementi necessari per la pronuncia (76).
Quale è, in tali ipotesi, l’impatto sul processo della potenziale lettura riduttiva ad opera del giudice di una fattispecie, ad esempio, di cui sia controversa l’attribuzione alla categoria della nullità virtuale (così temperando se del caso un “eccesso delle nullità”) piuttosto che dell’annullamento? L’attore, che agisce per l’accertamento della nullità, potrebbe “curarsi in salute“ proponendo in via principale domanda di accertamento della nullità, ed in cumulo subordinato in caso di rigetto della domanda principale una richiesta di pronunciare l’annullamento.
Si tratta, a mio avviso, di un tema che attiene solo all’interpretazione del diritto, e non è qualificabile come eccezione, neanche in senso lato. La questione, allora, se anche sollevata dal convenuto, potrebbe ritenersi non legittimare l’attore a proporre in corso del giudizio una domanda “complanare”, se consentita solo in risposta ad una eccezione, non ad una mera difesa, come si evince dall’art. 171-ter c.p.c.; tuttavia, la lettura delle Sezioni Unite sembra legittimare la domanda complanare anche se la stessa sia collegata alle mere difese proposte dalla controparte, dovendosi ricomprendere ogni deduzione difensiva, e non soltanto ad una domanda o eccezione, e pertanto in armonia con la posizione giurisprudenziale deve aprirsi alla possibilità di introdurre nel giudizio domande complanari (77).
Quanto al giudice, il problema sembra attenere solo alla necessità o no da parte del giudice di provvedere alla segnalazione alle parti del problema onde sollecitare il contraddittorio sul punto, piuttosto che al contrario riservare la questione alla decisione (come mi sembra preferibile), mantenendo una posizione di alterità e lasciando alle parti di esercitare la loro attività difensiva, sopportandone le conseguenze senza ausili preventivi del decidente.
*****
Altre volte, gli “eccessi della nullità” possono essere “curati” riducendone le conseguenze. In questo caso, la nullità c’è, ma si cerca di mitigarne l’impatto sostanziale consentendo alle parti di proporre soluzioni alternative.
Possiamo fare l’esempio della nullità parziale, o del recupero del contratto nullo tramite la conversione, o nelle residuali ipotesi di successiva convalida.
Un modo per temperare gli eccessi della nullità può così essere ricavato le volte in cui, ad una richiesta di accertamento della nullità del contratto, si ritenga invece doversi ricavare una “semplice” nullità parziale” dello stesso.
L’attore potrà agire in cumulo subordinato richiedendo con la domanda principale l’accertamento della nullità dell’intero contratto, ed in subordine l’accertamento della nullità parziale.
Anche il convenuto, peraltro, potrebbe chiedere con domanda la pronuncia di accertamento della nullità parziale del contratto, se la domanda non sia già stata avanzata dall’attore.
A sua volta l’attore, laddove il convenuto abbia semplicemente contestato la domanda di nullità totale segnalando come la fattispecie semmai potesse al massimo qualificarsi come nullità parziale (si tratta di una mera difesa, non di una eccezione), potrà richiedere un accertamento della nullità parziale, alla luce della liberale lettura dei requisiti richiesti dalle Sezioni Unite per l’ammissibilità in giudizio della domanda complanare, con i relativi limiti (78).
Il ruolo del giudice, invece, è espressamente delineato dalle Sezioni Unite del 2014 (con tratti, francamente, sorprendenti). In un giudizio sulla richiesta di accertamento della nullità totale di un contratto (79), il giudice che propenda invece per una fattispecie di nullità solo parziale dello stesso ha l’onere di segnalarlo alle parti, ma se le parti (almeno una delle parti) non fanno una richiesta specifica di pronunciare la nullità parziale, questa non sarà pronunciata, e la domanda di nullità totale sarà rigettata.
La giurisprudenza, poi, in altra pronuncia ha espressamente manifestato il favore dell’ordinamento per la conservazione per quanto possibile degli atti di autonomia anche se difformi dallo schema legale, con conseguente carattere eccezionale dell’estensione della nullità che colpisce la singola clausola all’interno contratto. Da qui, ai fini che ci occupano, un corollario processuale in termini di allegazione e onere della prova: « è a carico di chi ha interesse a far cadere in toto l’assetto di interessi programmato fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre resta precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto » (80). Anche questo, in un certo senso, è un rimedio ad un eccesso delle nullità.
Le Sezioni Unite, però, non disciplinano espressamente l’ipotesi in cui sia il giudice delle impugnazioni a ritenere per la prima volta l’assenza della nullità totale e la potenziale presenza di una ipotesi di nullità parziale (e dunque, in ogni caso, l’assenza della nullità totale); in tutte le ipotesi in cui non si dovesse ritenere più ammissibile la richiesta in quel giudizio della proposizione di una domanda di nullità parziale (in sintonia riterrei con la posizione delle sentenze gemelle sulla nullità), ritengo tuttavia che le parti potranno proporre la domanda di nullità parziale (che dunque non rientrerebbe nel “deducibile”) liberamente in un nuovo giudizio.
In via generale, poi, non ritengo che, data una domanda di accertamento della nullità totale, quando le parti hanno deciso di non proporre una domanda di accertamento della nullità parziale nel processo, la pronuncia di rigetto della nullità totale precluda l’ammissibilità di una successiva domanda tesa alla diversa pronuncia di una nullità parziale in un nuovo giudizio; non ritengo che il tema sia compreso nel deducibile, specie quando il tema non sia stato sollevato nel processo, o quando, se sollevato, il giudice non abbia trattato poi la questione nella motivazione della sentenza. Più complesso il caso espressamente regolato dalle Sezioni Unite, in cui il giudice ha rilevato la nullità parziale e invitato le parti (e lo riterrei possibile anche come cumulo subordinato con la domanda principale di nullità totale), a farla valere nel processo, le parti non abbiano accolto l’invito, ed il giudice nella motivazione della sentenza abbia rigettato la domanda di nullità totale, esprimendosi espressamente però sulla esistenza o no della nullità parziale (81).
Laddove, invece, il giudice abbia accolto la domanda di nullità totale, un successivo giudizio sulla nullità parziale sarà precluso per incompatibilità; il giudicato sulla nullità totale preclude la domanda.
Un altro modo per temperare gli eccessi delle nullità è la conversione del contratto nullo in un altro contratto, ciò che permette di ridurre le conseguenze severe della pronuncia di nullità.
Le due fattispecie, effettivamente, hanno molto in comune. Tuttavia, a mio avviso, ai fini che ci occupano va rilevata una distinzione assai importante: a differenza che per la nullità parziale, nella conversione non vengono in gioco interessi pubblici.
Tuttavia, le Sezioni Unite del 2014, se pure con espressione sincopata ed apodittica, sembrano volere estendere la disciplina dalle stesse dettata per la nullità parziale anche alla conversione; se così fosse, le regole della vicenda processuale, mutatis mutandis, sono anche in questo caso quelle ora enucleate per la nullità parziale. Così, con la necessità in queste ipotesi di riaprire se del caso anche in fase avanzata del processo i termini per l’allegazione eventuale di fatti nuovi necessari o opportuni per la decisione sulla domanda di conversione, e di tutta l’istruttoria nuova che le parti, nel loro pieno esercizio del diritto di contraddittorio e difesa, debbono poter introdurre (e che, per la domanda di conversione potrebbe sovente essere necessaria); o se impossibile o eccessivamente complesso, riterrei, negare l’ampliamento rimandando a altro eventuale processo
Ritengo, tuttavia, che la posizione delle Sezioni Unite sul punto possa e debba essere rivisitata. Ineccepibile laddove individua nella conversione una domanda autonoma con petitum differente che non può che essere pronunciata se non a seguito di espressa domanda delle parti, e non d’ufficio (82). Da superare, invece, nella parte in cui non si limita a prendere atto che siamo in tema di interessi meramente privati, e, nel nostro ordinamento, il giudice non deve allora essere onerato ad un rilievo d’ufficio cui fare seguire, per decisione delle parti, una eventuale complicazione processuale anche nel corso del processo.
A così ritenere, la domanda di conversione (83), ad esempio, potrebbe poi essere già proposta dall’attore che richiesta in via principale la prestazione, potrebbe (anche alla luce della possibile pronuncia d’ufficio della nullità) in subordine richiedere la conversione del contratto nullo in un contratto diverso (84).
Una richiesta che potrebbe provenire anche dal convenuto, che potrebbe eccepire alla domanda principale della prestazione la nullità del contratto, e chiedere la conversione (o un accertamento negativo della stessa); l’attore, a sua volta, potrebbe proporre la domanda di conversione come una domanda complanare, alla eccezione di nullità del convenuto, nei limiti in via generale ricavati per l’utilizzo di questo istituto (85), e così tendenzialmente a fasi inziali della controversia, con la già ragionata possibilità di chiedere in altro processo la conversione del contratto, siccome non compresa nella preclusione da deducibile. Ad una sentenza che rigetti la nullità del contratto, non potrà seguire la conversione, che la presuppone; ad una sentenza che accerti la nullità, potrà seguire un successivo giudizio in cui chiedere una pronuncia di conversione del negozio nullo (86) (salvo che rientri nel dedotto, per essere stata espressamente richiesta o eccepita e presa in considerazione in motivazione).
Un altro rimedio avverso un eccesso di nullità attiene al diverso istituto della convalida, che ai sensi dell’art. 1423 c.c. è riservato solo (87) alle ipotesi di espressa previsione legislativa (88) (a differenza del più ampio istituto della convalida del negozio annullato ex art. 1444 c.c.),
L’istituto è non facilmente identificabile, perché dottrina e giurisprudenza spesso hanno opinioni diverse su quali siano e quali no le fattispecie di convalida (89), che scontano comunque notevoli eterogeneità e che consigliano letture analitiche.
Una breve riflessione vorrei soltanto introdurre per quelle fattispecie in cui la nullità del testamento o della donazione “non può essere fatta valere”(art. 590, 799 c.c.), la conferma ed esecuzione volontaria delle disposizioni testamentarie e donazioni nulle (90). Ai sensi dell’art. 590 c.c., la questione si porrà, ad esempio, quando un attore agisca per la dichiarazione di nullità di una disposizione testamentaria; a questa domanda, il convenuto potrà eccepire l’avvenuta convalida, ovvero che “l’attore non può fare valere…”, allegando quanto necessario (91). Si tratta di una eccezione: in assenza della eccezione, si pronuncerà sulla domanda di nullità, e, se accolta, le parti saranno ad essa vincolate (copertura del deducibile).
Ma questa eccezione non è espressamente riservata all’iniziativa di parte, e non mi sembra necessariamente rientrare nelle ridotte ipotesi in cui la giurisprudenza oggi relega l’eccezione ad istanza di parte; è pertanto rilevabile anche d’ufficio, certo, solo laddove nei fatti processuali comunque allegati si ricavassero tutti gli elementi necessari per la pronuncia.
Con le conseguenze sul processo di cui, in termini generali, abbiamo dato conto.
Le ipotesi di convalida, almeno ai sensi dell’art. 1423, per il contratto, sono dunque limitate; in via tendenziale, sembrano fare riferimento all’esistenza di fatti successivi che consentono di ritenere ormai superata la questione della nullità, originariamente fondata (92).
*****
La limitazione della convalida a specifiche fattispecie di legge palesa la severità della disciplina sostanziale della nullità desumibile dal codice.
E tuttavia, ho già dato conto della tensione di parte della dottrina e della giurisprudenza a ricercare ulteriori fattispecie tese a superare alcuni “eccessi della nullità”; anche in contrasto con il disposto di cui all’art. 1423, del quale ci occuperemo adesso solo per analizzare alcuni aspetti delle refluenze processuali.
Una lettura di difficile univoca lettura processuale (come per i civilisti, il tentativo di sistematizzare è anche una nostra condanna), sia per la eterogeneità delle potenziali fattispecie (e una ricerca di una forzosa unitarietà sarebbe forse addirittura inopportuna), sia per la difficoltà di inquadramento di istituti sostanziali giurisprudenziali di affascinante ma incerta definizione.
In alcuni casi, ad esempio, alcune fattispecie di contratti nulli in origine, vengono “salvati” per fatti successivi.
Ad esempio, la nullità del contratto di acquisto per immobili da costruire per mancata consegna della fideiussione all’acquirente, che si considera superata se successivamente la fideiussione viene consegnata (93). Oppure, ancora, la nullità di un contratto di acquisto di immobile da costruire senza il rilascio della fideiussione, “superata” dalla costruzione e ultimazione dell’edificio (e dunque dalla sopravvenuta inutilità della fideiussione) (94).
In tutte queste ipotesi, rimane fermo naturalmente il già ricordato principio di allegazione, che vuole che tutti i fatti siano allegati ed introdotti nel processo (95), ed il principio di acquisizione istruttoria che vuole gli elementi probatori da chiunque introdotti o richiesti integralmente utilizzabili dal giudice o in generale da tutti i partecipanti al processo.
Una volta introdotti ritualmente nel processo e debitamente provati (se necessario attraverso una attività istruttoria costituenda da svolgersi nella trattazione processuale) i fatti successivi al contratto, si tratta di capire come qualificare queste fattispecie invero particolari.
Una linea ricostruttiva potrebbe rimarcare che il giudice, ai sensi dell’art. 1421 c.c., ha poteri di rilevazione e pronuncia d’ufficio della nullità, ma qui si tratta semmai di elementi impeditivi e non costitutivi della nullità qualificabili, allora, alla stregua di una eccezione alla domanda di nullità (o di contro-eccezione alla eccezione di nullità), di cui è stata talora ritenuta la natura di eccezione di parte e non d’ufficio (96). Rozzamente, si può fare riferimento quantomeno alle c.d. nullità di protezione, categoria che costitutivamente pretende l’esistenza di un qualcosa da proteggere, ma che non si giustifica se non come abuso quando, appunto, da proteggere non ci sia più nulla. Almeno per tali ipotesi si potrebbe adottare una lettura processuale del fenomeno ricostruttivo, che (senza alcuna necessità di fare perno in termini generali sulla necessità di un utilizzo leale e probo del processo (97)) pretende l’attualità dell’esigenza di tutela del diritto nel processo, come fenomeno collegato al diritto sostanziale. La giurisprudenza, da ultimo, ha ritenuto l’assenza della condizione dell’interesse ad agire o resistere nel giudizio nelle ipotesi in esame (che tuttavia pretendono di non considerare, come invece tradizionalmente, la nullità un diritto già maturato e non modificabile). Inquadrare la fattispecie (98) all’interno della categoria dell’interesse ad agire, come condizione dell’azione, ne renderebbe possibile il controllo d’ufficio e ne richiederebbe la sussistenza al momento della decisione (99); sicché eventuali fatti sopravvenuti nel corso del giudizio, se ritualmente introdotti, dovrebbero essere considerati al fine di valutare l’eventuale carenza sopravvenuta dell’interesse ad agire (nella accezione che ne offre la giurisprudenza), la mancanza di interesse al provvedimento.
L’assunto non convince pienamente. Ferma la necessità di ricostruire una fattispecie che non premi quello che nel concreto potrebbe qualificarsi come un abuso del diritto da parte dell’attore, lo strumento dell’interesse ad agire non appare il più adeguato; la pronuncia sull’assenza di interesse, dunque una pronuncia a carattere tendenzialmente processuale, è in teoria non adatta ad una pronuncia sul merito (ed appare quasi “priva di interesse” se non resa nella fasi introduttive della controversia), e l’interesse ad agire sembra più adatto se rivolto soltanto all’esame semplice della utilità o no del potenziale risultato processuale per l’attore (che in questo caso evidentemente, pur se ingiustamente, c’è) piuttosto che ulteriormente esteso. L’abuso del diritto da parte dell’attore appare più coerentemente sindacabile e sanzionabile altrimenti.
La soluzione ora, ricavata fondamentalmente dalla giurisprudenza e che fa perno su una peculiare lettura della condizione dell’interesse ad agire, non è invece adottata dalle Sezioni Unite in un’altra fattispecie di grande interesse, ovvero l’ammissibilità o no dell’azione di nullità proposta dal cliente in relazione solo a specifici ordini di acquisto di titoli che deriva dal difetto dalla nullità del contratto quadro. Le Sezioni Unite, ferma la esclusiva legittimazione dell’investitore a fare valere la nullità di protezione e gli effetti caducatori e restitutori che ne derivano, hanno tuttavia aggiunto che, l’intermediario, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione delle nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro (100).
Le diverse fattispecie, tuttavia, hanno anche dei tratti comuni; ci si muove sempre nell’ambito delle nullità di protezione, si valorizzano comportamenti successivi alla conclusione del contratto, e la tensione comune è volta a limitare l’esercizio dei poteri attribuiti alla “parte debole” solo quando ci sia effettivamente qualcosa da proteggere, mentre quando l’azione non sia invece tesa a questo, ecco il fenomeno dell’abuso del diritto, dell’abuso delle nullità di protezione, che va combattuto. Tuttavia, nel caso della nullità selettiva, le Sezioni Unite raggiungono il risultato (101) attraverso la enucleazione di una “eccezione di buona fede”, che potrà appunto essere opposta alla parte debole le volte in cui la tutela richiesta manifesti una forma di “abuso del diritto”. E le Sezioni Unite hanno cura di precisare anche che questa eccezione può essere rilevata d’ufficio dal giudice, una lettura (a mio avviso affatto scontata) ispirata verosimilmente alla nozione riduttiva della eccezione di parte nel panorama giurisprudenziale ma anche e più specificamente riterrei per la lettura della nullità di protezione pur sempre come tutela, non solo della parte debole, ma anche del corretto funzionamento del mercato.
Poiché è costruita in risposta ad una domanda “mal posta” del consumatore, si tratta esclusivamente di una eccezione che potrà essere fatta valere naturalmente solo nel processo, con la preclusione del deducibile.
La ricostruzione della reazione all’abuso della tutela della nullità di protezione in chiave di eccezione mi sembra maggiormente convincente (rispetto alla condizione dell’interesse ad agire); ed individua, ritengo, l’eccezione di buona fede come riferita ad un fatto impeditivo e non costitutivo, che dovrà essere pertanto provata perché la parte debole non ottenga la tutela richiesta. L’investitore, pertanto, non avrà l’onere di dimostrare la propria buona fede per ottenere una condanna “selettiva”, mentre sarà l’intermediario, semmai, ad avere interesse a dimostrare l’ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini.
Ferma la possibilità per il giudice di disporre quei mezzi istruttori d’ufficio che il nostro processo, retto dal principio del “dispositivo attenuato”, in sede istruttoria a lui riserva.
Una ricostruzione, allora, non dissimile potrebbe essere offerta per tutte le figure sintomatiche individuate da dottrina e giurisprudenza per illustrare e regolamentare variamente, i rimedi de dolo, l’eccezione di dolo (102); ferma sempre la necessità, tuttavia, di un esame analitico delle diverse fattispecie per la ricostruzione della disciplina processuale.
6.La mediazione delegata.
Una breve notazione conclusiva.
Abbiamo notato le difficoltà che obiettivamente si ricavano dalle rigidità della disciplina delle nullità contrattuali sul piano sostanziale; e, dall’altra, la difficoltà di gestire processualmente le (controverse) ricavate ipotesi di salvezza dalla nullità tramite il recupero del contratto. Dinamiche, talora comunque insoddisfacenti se rapportate alle esigenze economiche sottese alla disciplina.
Forse, in tutte queste ipotesi, appare opportuno riflettere se almeno in alcuni casi non sia opportuno provare a rimettere le parti in mediazione delegata (103), a maggior ragione quando l’incertezza nella decisione della fattispecie in concreto in esame possa ancor più fare propendere per una rinegoziazione dei termini contrattuali, che talora potrà addirittura essere più utile al risultato conseguibile in via giurisdizionale pubblica, che sconta invece una rigidità che allo stato nessun interprete può fruttuosamente alleggerire.
Ferma restando una ragionata insoddisfazione per un necessitato uso del tentativo di conciliazione quando le parti hanno già imboccato la strada del processo ed allora è opportuno che l’ordinamento si risolva a decidere efficacemente e rapidamente la controversia, forse le fattispecie analizzate in queste odierne riflessioni richiedono spesso un tasso di libertà ed originalità che al processo non può essere chiesta.
[1] Questo scritto è tratto da una relazione da me svolta al Convegno “I rimedi contrattuali tra autonomia privata e processo civile”, organizzato dalla Associazione civilisti italiani e alla Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, che si è tenuto a Padova il 12 e 13 maggio 2023.
E, tuttavia a me sembra che la decisione si incentri invece sulla determinazione della “scelta di politica economica”.
Il cuore della sentenza è così da ricavarsi, a mio avviso, da una scelta di valore, operata dalle Sezioni Unite, sulla opportunità o no di tutelare alcuni assetti economici o no delle parti in causa, e la motivazione si diffonde sulle conseguenze macroeconomiche di una o dell’altra decisione concreta (con considerazioni la cui evidente arbitrarietà potrebbero avere consigliato la Corte a essere supportate da un assunto più generale e strutturale).
Questa necessaria delimitazione delle questioni da trattare è legata alle funzioni ordinamentali e alle attribuzioni processuali delle Sezioni Unite, compito delle quali non è l’enunciazione di principi generali e astratti o di tesi teoriche su ogni possibile questione di diritto collegata al caso da decidersi, ma l’enunciazione di quei soli principi di diritto che risultano necessari alla decisione del caso della vita da decidersi (in questo senso già Cass., Sez. un., n. 12564 del 22/05/2018); basti osservare che lo stesso “principio di diritto nell’interesse della legge”, che la Corte di cassazione può essere chiamata ad enunciare ai sensi dell’art. 363 c.p.c., deve comunque corrispondere alla regola giuridica alla quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi nella risoluzione della specifica controversia ».
Rimane comunque la possibilità per la parte, laddove il giudice abbia rilevata la potenziale nullità, di proporre domanda di accertamento incidentale della nullità ex art. 34 c.p.c. In arg. Pilloni, Profili processuali della domanda di accertamento incidentale, Torino, 2020, spec. 244 ss.
Critico Di Ciommo, La rilevabilità d’ufficio ex art. 1421 c.c. secondo le sezioni unite; la nullità presa (quasi) sul serio, cit., 927 ss; Menchini, Le Sezioni unite fanno chiarezza sull’oggetto dei giudizi di impugnativa negoziale: esso è rappresentato dal rapporto giuridico scaturito dal contratto, cit., 940 ss.
Il legislatore ha individuato riti speciali anche per ragioni ben lontane dalla tutela delle parti deboli; penso al processo societario, introdotto con il d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 e successive modifiche, e poi abrogato.
Come per il processo del lavoro, si tratta di un processo inserito sistematicamente nel II libro del codice di procedura civile, e non più di un procedimento speciale.
Per un esaustivo esame delle sentenze della Corte di giustizia sulla tutela del consumatore, delle quali le quattro decisioni in commento sono ritenute un logico sviluppo, D’Alessandro, Il decreto in-giuntivo non opposto emesso nei confronti del consumatore dopo Corte di giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19): in attesa delle Sezioni Unite, cit., spec. § 3; così anche Rasia, Giudicato, tutela del consumatore, ruolo del giudice in sede monitoria ed esecutiva, in Riv. trim. dir. e proc. civ., cit., 83 ss. rammenta ulteriori recenti fattispecie in cui la normativa processuale italiana è stata disapplicata o reinterpretata per adeguarla alla tutela offerta dalla Corte di giustizia al consumatore.
Del resto, la necessità di tutelare il bene della vita attribuito con la decisione è condiviso dalla più parte anche dei critici del c.d. giudicato implicito; che limitano tuttavia logicamente l’incontrovertibilità solo al diritto accertato nel dispositivo. Una chiara soluzione è offerta da De Cristofaro, op. cit., 71 ss., ivi anche per il richiamo all’art. 34 c.p.c., come strumento azionabile dalle parti per giustificare un vincolo del giudicato più ampio.
La Cassazione fornisce una definizione delle domande complanari, distinguendola dalla domanda riconvenzionale dell’attore: domanda riconvenzionale dell’attore (avente ad oggetto un diritto diverso da quello introdotto con la domanda originaria, ma con questo compatibile, si che entrambe le domande potrebbero trovare accoglimento), e domanda “complanare” (avente ad oggetto un diritto diverso da quello dedotto originariamente in giudizio, ma incompatibile-alternativo, si che le due domande non potrebbero trovare entrambe accoglimento).
La disciplina delle domande “complanari” si ricava dalle Sezioni Unite 15 giugno 2015 n. 12310 (su cui v. ad es. Consolo, Le Sezioni Unite aprono alle domande “complanari”: ammissibili in primo grado ancorché (chiaramente e irriducibilmente) diverse da quella originaria cui si cumuleranno, in Corr. Giur., 2015, 968 ss.; Motto, Le sezioni unite sulla modificazione della domanda giudiziale, in Foro it, 2015, I, 3190 ss.
La pronuncia è stata poi ripresa e approfondita da Cass. sez. un. 13 settembre 2018, n. 22404 (Consolo-Godio, Le Sezioni Unite di nuovo sulle domande cc.dd. complanari, ammissibili anche se introdotte in via di cumulo (purché non incondizionato) rispetto alla domanda originaria, in Corr. Giur., 2019, 267 ss.) che ne ha precisato ed esteso la dimensione, specificando che le domande complanari si possono proporre anche come domande subordinate senza dovere necessariamente rinunciare alla domanda principale.
Queste sezioni unite (richiamando però precedenti particolarmente del c.d. rito societario) sembrano precisare come l’attore possa proporre domande nuove purché attinenti alla medesima vicenda sostanziale dedotta in lite o ad essa collegata, e come reazione non solo alle eccezioni, in senso stretto o lato, ma anche alle mere difese.
Tuttavia, molte incertezze applicative permangono. Per un esame delle contraddittorie soluzioni adottate nella giurisprudenza della Cassazione, già nel corso del giudizio di primo grado, ma che talora si spingono a ritenere proponibile per la prima volta in appello la domanda se fatta valere sulle medesime circostanze di fatto già oggetto della controversia in primo grado, come anche per l’esame di altre decisioni di parere opposto, A. Scarpa, Il nuovo confine tra emendatio e mutatio libelli, in Judicium, 2022, 501 ss.
Condiviso il principio del divieto di scienza privata del giudice, la dottrina è discorde sulla vastità del potere del giudice; per Carratta, in Carratta-Taruffo, Poteri del giudice, Bologna, 2015, 160, il giudice dovrà attenersi solo alle allegazioni fattuali delle parti, per garantire la propria imparzialità; diversamente, Merlin, Compensazione e Processo, I, Milano, 1991, 336 ss., ritiene che il giudice possa ricavare il fatto giuridico che emerga dagli atti della causa o dalle risultanze probatorie in funzione del principio di acquisizione probatoria. Così anche Ghirga, Sull’accertamento della nullità contrattuale, in Riv. dir. proc., 2019, 1651.
Anche le indicazioni delle Sezioni Unite 2642 del 2014 v. al § 6.13.3 propendono per tale soluzione.
Pagni, Il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite, in Giur. it, 2015, 75: « In proposito mi sembra di poter dire che la proposizione della domanda di accertamento incidentale della nullità se ammessa senza preclusioni in primo grado, non dovrebbe trovare ostacoli neppure nell’articolo 345 c.p.c., trattandosi di un’attività della parte derivante dalla sollecitazione, anch’essa tardiva, del giudice: ma la questione merita una ulteriore riflessione, cui potrebbero contribuire, credo, anche le recenti aperture manifestate dalle sezioni unite con riferimento alla proponibilità, financo in appello, della domanda di risarcimento del danno da risoluzione, quando quest’ultima venga proposta in corso di causa, convertendosi in essa la domanda di adempimento nei termini consentiti dall’articolo 1453, secondo comma c.c. Il fatto che la Cassazione, in questo caso, abbia ritenuto irrazionale costringere l’attore a promuovere un successivo processo, ritenendo che il divieto dei Nova (anche quello contemplato dall’articolo 345 c.p.c.) debba essere derogato quante volte sia necessario evitare la moltiplicazione dei giudizi in relazione alla medesima fattispecie, potrebbe suggerire di raggiungere analoga soluzione anche nell’ipotesi che stiamo esaminando, visto il rischio, altrimenti, della moltiplicazione dei giudizi, stante l’indiscutibile interesse della parte di ottenere una pronunzia di accoglimento della domanda di invalidità, che, oltre a produrre appieno gli effetti della cosa giudicata, porti ad una pronunzia trascrivibile e come tale opponibile ».
Anche Pilloni, op. cit., 274 ss. critica la lettura delle Sezioni Unite sul punto, e propone di superare il confinamento della richiesta ex art. 34 c.p.c. al contesto del primo grado di giudizio.
Non è una ricostruzione isolata. Cass. sez. un., 15 marzo 2022, n. 8472, rinvenuta in giurisprudenza la tensione recente ad allargare la nozione della nullità virtuale sulla natura dell’interesse leso che si indirizza nei preminenti interessi generali della collettività, e ravvisata una eccessiva genericità della nozione, richiama alla necessità che la nullità debba discendere dalla violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati.
Ancor più recentemente, Cass. sez. un., 16 novembre 2022, n. 33719, che tra l’altro assume che non ogni violazione di norme imperative possa dare automaticamente luogo ad una nullità contrattuale, ma « solo quella che pone il contratto in contrasto con lo specifico interesse che la norma imperativa intende tutelare » (p. 27) (sulla decisione, v. già alla nota 4 per una differente interpretazione dell’essenza della decisione).
La tendenza alla riduzione delle nullità virtuali, tuttavia, non mi pare un fenomeno generalizzato, nel panorama giurisprudenziale della Corte di legittimità.
In senso contrario, ad esempio, mi sembra anche da ultimo inclinare la giurisprudenza di legittimità che ritiene il contratto concluso per mezzo della condotta estorsiva affetto da nullità ab origine ex art. 1418 c.c. (piuttosto che da annullabilità per violenza) in ragione della importanza degli interessi tutelati dall’art. 629 c.p. (Cass., 31 maggio 2022, n. 17568; Cass., 24 febbraio 2022, n. 6271; Cass., 27 agosto 2020, n. 17959).
Così, ancora, ad es. anche Cass. sez. un., 9 ottobre 2017, n. 23061, che individua una nullità virtuale insanabile nella stipulazione di un patto occulto non registrato di maggiorazione del canone. In arg., Vulpiani, op. cit., 239 ss., in riferimento alla violazione della normativa tributaria nei contratti di locazione.