Uno sguardo sui profili processuali delle nullità negoziali

Di Fabio Santangeli -

Sommario:1.Nullità e rimedi all’eccesso delle nullità sostanziali in dottrina e giurisprudenza. — 2. La frantumazione delle nullità in chiave sostanziale e la contraria tendenziale tensione unitaria in chiave processuale. — 3. Segue. La più limitata auspicabile evoluzione del processo. In tema di nullità di protezione in particolare per la tutela del consumatore. — 4. Segue. In tema di nullità “classiche”. Un tentativo in chiave esclusivamente processuale di temperare l’eccessiva rigidità della nullità sostanziale. — 5. La trasposizione nel processo dei rimedi avverso gli eccessi di nullità ricavati da dottrina e giurisprudenza. — 6. La mediazione delegata.

1.Nullità e rimedi all’eccesso delle nullità sostanziali in dottrina e giurisprudenza.

Per Gianni Verde, in tema di nullità alla radice delle scelte del legislatore “vi è indubbiamente un’ideologia autoritaria, che ha condotto ad esagerazioni, perché al cittadino di comune buon senso appare eccessivo che una nullità per difetto di forma sia disciplinata allo stesso modo della nullità derivante dalla illiceità della causa” (1).

Non sempre le recenti evoluzioni legislative, del resto, hanno aiutato a correggere eventuali eccessi; anzi, la categoria delle nullità si arricchisce di nuove fattispecie ad opera di un legislatore forse poco attento a saggiare sul campo gli effetti applicativi dell’attribuzione di tale qualificazione ad alcuni vizi. Forse, oggi, ci sono troppe nullità, soprattutto dichiarate dalla legge; e questa tendenza, particolarmente adottata ad esempio in materia di violazioni di precetti fiscali, rappresenta un portato fortemente problematico in via applicativa (2).

Per alcuni versi, una riflessione analoga può rivolgersi anche alla categoria delle nullità virtuali; le fattispecie sono state probabilmente (ma soltanto) in alcune ipotesi ricavate dagli interpreti talora con troppa ampiezza.

Alcune correzioni, dunque, si impongono; e vanno temperati, se possibile, alcuni eccessi.

De iure condendo, vanno probabilmente eliminate alcune ipotesi di nullità per legge. E forse, più ambiziosamente, diversamente ricostruite le conseguenze delle nullità classiche a seconda del “tipo” di “nullità”.

De iure condito, è compito dell’interprete individuare e fare i conti con eventuali eccessi, e incaricarsi di trovare ove possibile soluzioni ermeneutiche atte a temperarli.

In via sostanziale, individuando fattispecie bisognose di rivisitazione, e suggerendo l’introduzione di una serie di rimedi (questo è compito dei civilisti), ad esempio tramite una rilettura talora più rigorosa di alcune nullità virtuali o dei presupposti per l’esistenza delle nullità per legge, o ancora valorizzando ipotesi di recupero, anche parziale, del contratto nullo, con rimedi di nuovo conio.

Ciò induce a suggerire la necessità di riflessioni analitiche, perché adottare una ricostruzione unitaria del fenomeno della nullità sostanziale rischia oggi di tracciare una linea non al passo con i tempi; non di nullità conviene discorrere, ma di più figure di nullità, a contenuto vario e flessibile.

Mi tranquillizza molto che questa sensazione sia condivisa dal prof. Valerio Pescatore, l’esito delle cui indagini, anzi, è assai severo e pervasivo quanto alla figura della nullità oggi nel panorama italiano (riflettendo una rinnovata sensibilità degli studiosi del diritto civile sul tema (3)).

Il prof. Pescatore assume ormai doversi prendere atto della già avvenuta frammentazione, della frantumazione della categoria delle nullità nell’attuale momento storico.

Condivido, ancora, la sua tesi sulla frammentazione di fatto della categoria della nullità anche nella lettura della giurisprudenza, pur se non sempre esplicitata, oltre che in dottrina.

Semmai, dall’analisi giurisprudenziale, inclinerei anzi verso un big bang ancora più radicale che la giurisprudenza di legittimità talora opera.

Ad esempio, nella sua pregevole relazione il prof. Pescatore ricava, in particolare ma non soltanto, dalla recente sentenza che nega la nullità del contratto di mutuo fondiario sovrafinanziato (4), una generale consapevolezza delle Sezioni Unite della necessità di ridurre le nullità virtuali (5), e la necessità di una coerente azione in tal senso; ed effettivamente, nella sentenza in esame, la Corte ha espressamente ripercorso in senso critico la superfetazione delle nullità virtuali.

Diffiderei, tuttavia, in senso assoluto di una tale ricostruzione sistematica (sistematizzare, per noi studiosi è forse il nostro destino, o forse, la nostra maledizione) dell’operato della giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, ad esempio, traggo dall’esame dell’intera e complessa motivazione la sensazione (sensazione di cui ovviamente non ho una conferma e non potrò mai averla (6)) che chi ha deciso sul mutuo fondiario sovrafinanziato, non ha deciso questo in conseguenza della considerazione che le nullità virtuali debbano essere in via generale restrittivamente rivisitate, ma perché aveva pre-maturato un convincimento proprio e solo sul caso di specie, e lo ha successivamente giustificato nella motivazione del provvedimento (7), che si compone peraltro anche di varie altre rationes concorrenti, anche adottando questa considerazione di respiro più ampio.

Ricavo questa sensazione, anche, dal fatto che, nello stesso periodo, in Cassazione di nullità virtuali si discorre molto; e, accanto ad una revisione in chiave riduttiva della categoria, si mantengono diversi orientamenti che invece ne mantengono l’attualità (8).

Ne traggo una conclusione dunque, parzialmente divergente, ed anzi ancora più dirompente. La crisi della categoria unitaria delle nullità sostanziali in giurisprudenza viene provocata ed affrontata ricavando in realtà ulteriori spazi alla discrezionalità delle soluzioni adottate, che prediligono l’analisi caso per caso, la giustizia fondata sulle particolarità del caso concreto, dove le riflessioni generali o l’adozione di una tesi piuttosto che un’altra ha carattere posticcio e strumentale rispetto a scelte valoriali differenti per ogni singola fattispecie, con l’evidente rischio (o opportunità, naturalmente, per chi così ritenga) di decisioni estemporanee, affidate alla sensibilità del singolo collegio su un determinato tema sostanziale (e la cui scelta peserà per la mal compresa autorità del precedente giudiziale anche per fattispecie successive affatto differenti) che appare francamente inaccettabile (anche perché difficilmente prevedibile), altrettanto inaccettabile che il rigore ormai superato ed inattuale di alcune delle disposizioni in tema di nullità.

La frammentazione, frantumazione delle nullità sostanziali, allora, raggiunge livelli ancora più radicali.

2.La frantumazione delle nullità in chiave sostanziale e la contraria tendenziale tensione unitaria in chiave processuale.

La nullità sostanziale, è, dunque, fenomeno in evidente evoluzione.

Come e quanto questo impatta sul processo in cui la nullità viene direttamente o indirettamente in questione?

Questa è la domanda principale, o una delle domande principali a cui io ritengo di dover provare rispondere, anche se in tempi brevissimi.

La avvenuta frammentazione del fenomeno delle nullità, dunque, come impatta sul processo?

Si riverbera in una coerente esplosione della unitaria disciplina delle nullità anche in campo processuale?

Non lo credo. E, questo, nonostante sia la stessa Cassazione a “distruggere” la figura unitaria della nullità in chiave sostanziale, ed insieme ovviamente a disciplinarne il riverbero processuale.

Come è noto, l’obiettivo della stessa Corte di cassazione, nel disciplinare le nullità sostanziali nel processo, è stato ed è assai diverso, direi quasi antitetico.

La Corte di cassazione, in particolare ma non soltanto con le cosiddette sentenze gemelle del 2014 (9), ha inteso non recuperare margini di discrezionalità, ma al contrario si è assunta il compito di dare certezze. Per comprenderne l’evoluzione, appare indispensabile ricordare l’incertezza nelle applicazioni pratiche in dottrina ed in giurisprudenza; si confrontavano su quasi ogni punto controverso soluzioni assai differenti, incerte quanto all’adozione come criterio tendenziale tra il principio della domanda, ed all’opposto l’attenzione ad una decisione tesa ad una pronuncia destinata ad avere comunque oggetto e valore sull’intero rapporto.

Di qui la scelta consapevole di assumersi il compito di dare all’interprete delle indicazioni il più possibile chiare ed univoche. Un risultato ottenuto, in due fasi: una sentenza delle Sezioni Unite del 2012 (10), seguita a breve distanza nel 2014 da due sentenze gemelle sempre a Sezioni Unite, che forniscono indicazioni chiare ed univoche all’interprete attraverso un particolare sviluppo delle decisioni; una sorta di catalogo precettivo composto da ben 16 precetti più simili ad una legge che ad una pronunzia giudiziale, che oggettivamente se seguiti, consentono uno sviluppo dei processi sufficientemente predeterminato ed ordinato.

Incidentalmente, desidero essere chiaro. Non ho condiviso e non condivido molte delle soluzioni indicate nell’occasione dal supremo collegio, perché ero e resto contrario all’idea di spostare il focus del processo dalle domande della parte (ferma naturalmente la necessità comunque di esplorare i confini del dedotto e deducibile) ad una sentenza tesa ad una soluzione che impatti oltre l’indispensabile su questioni che non si sono arricchite dell’apporto delle difese delle parti (11); ed altrettanto, nella stragrande maggioranza dei casi non ho condiviso e non condivido lo stile della “sentenza-trattato”, ed ancora meno l’adozione da parte della giurisprudenza delle Sezioni Unite di un potere che si spinge appunto fino a dare precetti su questioni su cui il giudice ha al massimo il potere di intervenire come obiter, e non come ratio decidendi (12).

Ma non ho alcuna difficoltà a riconoscere come, nel caso che ci occupa, le sentenze gemelle abbiano in gran parte ottenuto i risultati che si proponevano; le indicazioni proposte sono state tendenzialmente seguite nelle decisioni successive, ed hanno garantito un non integrale ma tuttavia sufficiente grado di predeterminabilità negli orientamenti oggettivamente indispensabili per un ordinato e consapevole sviluppo del processo, e per un piano esercizio del diritto di difesa, che necessita di certezze per potere concorrere pienamente ad un proficuo sviluppo isonomico del processo.

Nella attenta motivazione delle sentenze gemelle la Corte riconosce l’esistenza di due diverse concezioni nella determinazione dell’oggetto delle controversie sul contratto; e riconosce come alla base di entrambe le concezioni riposino ragioni altrettanto nobili e legittime; avverte, ancora di come la scelta della Corte, oltre ad essere naturalmente discrezionale, si fonda sul privilegiare esigenze ritenute preminenti in quel momento storico, e come pertanto la decisione risenta di un’evidente storicizzazione, consapevolmente soggetta così a continua verifica. Infine, le soluzioni adottate in realtà sono importanti anche per evitare che dalla preferenza per un modello decisorio fondato sulla tendenziale analisi dell’intero rapporto contrattuale si possa giungere ad indicazioni ancora più radicali che la Corte sia come costruzione teorica (13) (con la ricostruzione della preclusione Zeuneriana (14)) sia come specificazione precettiva decisamente respinge (15).

La domanda di oggi, allora è: questa ricostruzione processuale, che ha garantito certezze applicative agli interpreti, che ricordo vanno dal giovane giurista a quello più scafato, dal giudice di pace al collega della Cassazione, e che si basa espressamente sulla unitarietà del fenomeno della disciplina delle nullità contrattuali nel processo, è destinato ad essere travolto dal nuovo corso che frammenta la categoria delle nullità sostanziali, e che pertanto potrebbe pretendere per ovvie esigenze di simmetria, una coerente revisione del fenomeno processuale?

In via assoluta, io ritengo di no. E ritengo di no perché le ragioni di semplificazione e certezza applicativa che hanno indotto la Corte a fornire indicazioni tendenzialmente unitarie del trattamento processuale della nullità rimangono tutte in campo (come, per correttezza, riconosco che le ragioni in termini di economia dei giudizi, alla base delle scelte nel merito adottate dalle sezioni unite, mantengono ancora oggi purtroppo un’assoluta contemporaneità), e credo siano nella gran parte dei casi destinate a prevalere, almeno, come criterio ispiratore di base.

Quindi io credo che da questo punto di vista in qualche modo la disciplina civilista della nullità e la disciplina processuale della nullità percorreranno dei binari paralleli, non destinati a incrociarsi a breve.

3.Segue. La più limitata auspicabile evoluzione del processo. In tema di nullità di protezione in particolare per la tutela del consumatore.

La richiamata necessità di ricostruire la disciplina del processo sulla base di una tensione unitaria da “esigenza di semplificazione”, naturalmente, deve tuttavia fare i conti con le modifiche normative e giurisprudenziali che hanno connotato quest’ultima decade, che ci consegna un quadro parzialmente mutato: da una parte sotto il profilo di una necessaria maggiore tutela del consumatore, dall’altra attraverso una più generale esigenza di ripensare alcune ricostruzioni giurisprudenziali per ridurre alcuni eccessi della disciplina della nullità sostanziale nel processo, ed inoltre anche con l’ulteriore necessità di introdurre nel processo i rimedi agli “eccessi delle nullità” ricavati invece in via sostanziale, traducendoli in regole processuali. A questi tre profili dedicheremo sintetiche considerazioni in questo e nei prossimi paragrafi.

Possiamo, allora, prendere le mosse dalle differenze tra le regole sostanziali delle diverse fattispecie, che già si sono estrinsecate nella forte distinzione quanto alla necessità della richiesta di parte per pronunciare sulla nullità (16) di protezione attentamente precisata del resto nelle c.d. sentenze gemelle del 2014, che disciplina, in modo decisamente differente, le regole processuali da adottare per le nullità “tradizionali” rispetto alle regole da ricavare per la tutela dalle “nullità di protezione” (17), che si connotano per la necessaria rilevazione d’ufficio del giudice che porta questa potenziale situazione a conoscenza delle parti processuali, lasciando tuttavia alla parte protetta la scelta di fare valere o no la nullità in giudizio (18).

Una disciplina differente, che si applica a tutti i rapporti connotati dall’esigenza di tutela e protezione della parte debole del rapporto, le categorie di soggetti che si trovano in una situazione di debolezza rispetto all’altra parte del contratto individuati dalla disciplina unionale o nazionale (ad esempio, il consumatore, ma anche l’impresa in posizione di dipendenza economica etc.).

E, tuttavia, un vero terremoto alla disciplina processuale delle nullità di protezione, o, quantomeno alla disciplina delle nullità di protezione quando la controversia ha ad oggetto i rapporti tra professionista e consumatore, si consuma oggi dopo le celeberrime quattro decisioni della Corte di giustizia del 2022 (19), immediatamente seguite dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 9479/2023 (20). Queste pronunce disciplinano in primo luogo fattispecie in cui vengono in considerazione il rapporto tra la tutela del consumatore ed il decreto ingiuntivo (21), impongono al giudice di non concedere il decreto ingiuntivo quando sia certa o assai probabile la invalidità nel contratto di clausole tutelate con la nullità di protezione, e di accompagnare l’eventuale concessione del decreto ingiuntivo con l’onere di segnalare comunque le clausole che potenzialmente potrebbero dare luogo a nullità, e l’espresso avvertimento che in mancanza di tempestiva opposizione il debitore-consumatore non potrà più fare valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile (22).

Una disciplina, senza dubbio, severa; alla cui violazione si collega un risultato radicale ed innovativo.

Il decreto ingiuntivo che non contenga quanto ora previsto dalle Sezioni Unite, se pur notificato e non seguito da una opposizione tempestiva del consumatore, potrà successivamente essere rimesso in discussione (23). Consumatore, quindi, la cui pur tardiva reazione va oltre a profili sulla limitazione dell’efficacia del decreto al dedotto e non anche al deducibile, o sulla preclusione pro iudicato. La successiva reazione ben potrà investire e porre nel nulla e ritenere se del caso addirittura ripetibile proprio la prestazione oggetto del concesso decreto, il c.d. “bene della vita”. Rimettere in discussione il “bene della vita” significa superare il principio del giudicato (24).

La contemperazione tra stabilità del provvedimento giudiziale e tutela del consumatore è stata fatta dalla Corte di giustizia, con una soluzione chiara e oggettivamente rivoluzionaria; è certo lecito criticarla, per chi così ritenga (25), forse meno invece cercarne di imprimere surrettiziamente una forzata riduzione (26).

Ma i precetti ricavabili dalle sentenze della Corte di giustizia prima e dalle Sezioni Unite poi non danno, purtroppo indicazioni esaustive e lasciano molti punti incerti già con riferimento alla ampiezza delle fattispecie, verosimilmente limitata solo al rapporto professionista-consumatore e non applicabile direttamente alle altre nullità di protezione; e resta ancora incerto se la nuova disciplina sia applicabile solo alle nullità di protezione ricavate dalla dir. 93/13 agli artt. 6 e 7, o a tutte le fattispecie in cui il consumatore è tutelato in simili fattispecie dalla legislazione unionale, o anche alla tutela in fattispecie analoghe del consumatore dalla legislazione nazionale (27).

Per il processo, tuttavia, la prima analisi richiesta è ulteriore ed ancora più estrema; posto che le fattispecie decise nel 2022 dalla Corte di giustizia, e nel 2023 dalle Sezioni unite, fanno riferimento solo a fattispecie in cui vengono in gioco il rapporto tra la tutela del consumatore ed il decreto ingiuntivo, la prima questione da risolvere è proprio se le regole o i principi che si desumono dalle quattro sentenze del 2022 devono o no trovare immediato spazio nella definizione anche dei processi ordinari che si introducono con un atto di parte e si concludono con una sentenza.

Nell’attesa di un auspicato ulteriore intervento della Corte di giustizia, dalle quattro decisioni non si potrà che prendere spunto; e la mia sensazione è che il giudizio di valore, la preferenza accordata dalla Corte del Lussemburgo alla tutela del consumatore anche a scapito del principio del giudicato, dovrebbe tendenzialmente applicarsi anche al processo ordinario, la cui disciplina dovrà in alcune ipotesi pertanto essere adattata (28).

Più in dettaglio. Anche ipotizzando l’applicazione dei principi desumibili dalle quattro sentenze della Corte di giustizia, rimarrà immutato l’onere del giudice di rilevare la nullità e di comunicarlo al consumatore perché decida se fare valere la nullità o no; in questa ipotesi, (o quando sia già stato il consumatore a chiedere l’accertamento della nullità), almeno quando il giudice abbia fisiologicamente espletato il suo onere comunicando al consumatore costituito la potenziale nullità, la disciplina ricavata dalle sentenze gemelle del 2014 per le nullità di protezione dovrebbe applicarsi allo stesso modo. Ma, a così ritenere, nelle ipotesi di contumacia del consumatore (quando il giudice rilevi la esistenza di una nullità cui si applicano le quattro sentenze della Corte di giustizia), laddove il giudice rilevi nel corso del giudizio di primo grado una potenziale nullità in un processo contumaciale, si dovrebbe invece ritenere che il giudice debba provvedere a che la sua lettura sia comunicata personalmente al convenuto. Una simile soluzione sembra imposta dalla necessità di garantire l’effettività della tutela del consumatore, consentendo al consumatore contumace almeno lo stesso grado di conoscibilità della potenziale nullità di quello garantito al consumatore destinatario della notifica del decreto ingiuntivo, che viene ad essere avvertito della potenziale nullità (addirittura in questa ipotesi talmente potenziale da non essere stata ritenuta fondata dal giudice che rende il decreto) grazie alla motivazione del provvedimento sulle clausole potenzialmente nulle, ed alla notifica personale del decreto. Una simile possibilità, nel nostro ordinamento, potrebbe essere costruita con l’applicazione del comma di nuovo conio (29) di cui all’art. 101, comma 2, c.p.c., laddove “il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni”. Posto che il contraddittorio va assicurato anche nei confronti del giudice, tra “i provvedimenti opportuni” ritengo debba essere ricompreso anche l’ordine di comunicare o notificare personalmente al consumatore contumace la potenziale esistenza di una nullità rilevata dal giudice. A tal fine, si è proposto di interpretare in tal senso l’art. 292, comma 1, c.p.c., introducendo una ulteriore fattispecie di obbligatoria notificazione personale di ordinanza al convenuto contumace, in applicazione del principio unionale di effettività della tutela consumeristica (30). Così operando, la differenza con la disciplina processuale ricostruita dalle Sezioni Unite del 2014 è certo assai importante; in quella ipotesi, la rilevazione della nullità di protezione da parte del giudice non deve essere notificata personalmente al convenuto contumace.

Si tratta, ancora, di valutare il valore della sentenza contumaciale quando appunto il giudice non abbia fatto provvedere personalmente alla notifica al convenuto contumace (31); coerentemente con quanto ora scritto, anche in questo caso, se la decisione non sarà impugnata, alla stabilità della decisione dovrà prevalere la tutela effettiva del consumatore. Ciò dovrebbe comportare che sulla sentenza non potrà scendere il giudicato (32) (oltre alla ulteriore considerazione sulla necessità di ripensare comunque alla disciplina del giudicato implicito per i giudizi in contumacia (33)). Una soluzione, anche questa, assai differente rispetto alla disciplina ricavata dalle sentenze delle Sezioni Unite del 2014 laddove invece la decisione, pur viziata, sarebbe passata in giudicato.

Trarre le fila da questo primo filone evolutivo, peraltro così sinteticamente rappresentato, non è agevole; de iure condito, tuttavia, potrebbe non essere poi azzardato suggerire, propria nella ottica di tentare oggi per quanto possibile di costruire discipline di chiara applicazione, quantomeno di ricostruire le fattispecie di nullità oggi, non più in due tronconi, la nullità classiche e le nullità di protezione, ma di aggiungerne a queste due discipline una terza che faccia esclusivo riferimento alle nullità di protezione nei rapporti professionista-consumatore.

De iure condendo, invece, la riflessione si apre a ulteriori scenari di indubbio fascino. La disciplina ora dettata dalle quattro sentenze della Corte di giustizia e dalla sez. un. n. 9479/2023, si applica davvero soltanto al consumatore “unionale”? Le nullità di protezione a favore del consumatore non coprono tutta la casistica delle nullità di protezione nella disciplina unionale, che si prendono cura anche della tutela di altre categorie di soggetti che si trovano in una situazione di debolezza rispetto all’altra parte del contratto (ad esempio l’impresa in posizione di dipendenza economica). E, sotto un profilo sostanziale, almeno per alcune ipotesi striderebbe non poco riservare la nuova disciplina sui limiti di stabilità della decisione solo ad alcune ipotesi di nullità-vessatorietà, tenendone indenni invece altre violazioni comunque costruite nella disciplina delle nullità di protezione; non mi sembra, tuttavia, possibile in via generale ipotizzare una estensione delle nuove regole ad altre nullità di protezione, se non previa una determinazione legislativa, o una nuova pronuncia in tal senso della Corte di giustizia, che dovrà valutare se il contemperamento tra l’interesse alla stabilità e la tutela del (diverso) soggetto debole debba o no essere trattato diversamente.

Si tratta oggi, in campo nazionale, di valutare se non sia opportuno un intervento legislativo più ampio sui processi che hanno ad oggetto quantomeno il rapporto professionista-consumatore (se non direttamente le nullità di protezione), anche oltre i soli rapporti produttore-consumatore che si ricavano dalla dir. 93/13 legge europea, per prevedere che in ogni fase processuale, anche istruttoria, sia garantita alla parte “debole” la piena effettività della tutela, anche in forza del necessario intervento d’ufficio del giudice (con regole così necessariamente differenti rispetto alla disciplina del processo civile ordinario). L’ordinamento processuale italiano naturalmente già conosce forme diversificate di tutela, in specie (ma non soltanto (34)) dedicate alla tutela di soggetti “deboli”; così, si prevede il processo del lavoro, il processo di famiglia (35), le regole del procedimento in camera di consiglio con l’applicazione anche a fattispecie di tutela delle fragilità. Sembra allora ragionevole ipotizzare una tutela diversificata con regole apposte analiticamente dettate da una legge processuale quantomeno per il consumatore; la cui tutela è stata già specificamente rafforzata da precetti ricavati dalla Corte di giustizia (36) e direttamente applicati dalla nostra giurisprudenza, come ad esempio per il potere officioso istruttorio del giudice; ma che hanno bisogno di una rivisitazione complessiva ed organica, che consenta di rileggere alcune fasi processuali alla luce di un diverso rapporto tra la parte debole ed il giudice.

Questo passa in primo luogo dalla disciplina del decreto ingiuntivo, secondo quanto si è scritto nei paragrafi precedenti; con una ulteriore riflessione, già ricavabile oggi a mio avviso in via ermeneutica de iure condito, tra l’altro sui limiti comunque a fenomeni di giudicato implicito et similia nei confronti della parte debole, e della particolare attenzione nel non concedere il decreto ingiuntivo anche per tutte le altre ipotesi di nullità, sempre a più ferma tutela della parte debole

Ferma la esigenza di imparzialità e terzietà, allora, potrebbe essere opportuno rivisitare innovativamente il ruolo del giudice con una attitudine maggiormente attiva anche nel tentativo di conciliazione e nelle proposte conciliative (fino alla ricerca di ridefinizione dei contratti viziati quando questa soluzione sia più favorevole (37)), e così anche nella definizione dei temi della controversia nelle prime fasi della stessa; una rivisitazione che consentirebbe, insieme, di definire la differenza che deve invece esistere con il normale processo di cognizione, laddove al contrario è bene a mio giudizio che il giudice mantenga un ruolo più distante dalle parti processuali, lasciando alle stesse ed ai loro difensori ampio ed esclusivo margine di manovra (fermo naturalmente, l’attenzione all’utilizzo di nuovi meccanismi, quale ad esempio la mediazione delegata (38)).

Infine, le nuove disposizioni, a mio avviso, dovrebbero poi essere estese e riferite alla generalità delle fattispecie in cui il legislatore abbia deciso, con le nullità di protezione, che una parte del rapporto contrattuale versi in situazione di potenziale debolezza e debba così essere maggiormente e diversamente tutelata nel processo, così restituendo almeno nella fase processuale un maggiore equilibrio tra le parti.

E soprattutto, in chiave direttamente europea, sarebbe importante iniziare a valutare, anche alla luce della numerosità, ampiezza e pervasività degli interventi della Corte di giustizia, se non sia il momento in ambito unionale di operare un deciso restyling delle regole sostanziali di una direttiva tutt’altro che ineccepibile (39), e di imporre un regolamento per disciplinare talune fasi processuali quantomeno delle controversie professionista-consumatore (40).

4.Segue. In tema di nullità “classiche”. Un tentativo in chiave esclusivamente processuale di temperare l’eccessiva rigidità della nullità sostanziale.

Delineate le potenziali evoluzioni della disciplina processuale delle nullità di protezione, dedichiamo una riflessione più generale alla disciplina delle nullità nel processo con considerazioni applicabili anche all regole delle nullità “classiche”.

Pur privo delle novità dirompenti introdotte per i processi sulle nullità contrattuali di protezione, la richiamata evoluzione delle letture dottrinali e giurisprudenziali sulle nullità sostanziali impone una attenta rilettura del catalogo di cui alle sentenze gemelle del 2014, per ripulirlo quantomeno dalle forzature più evidenti.

Il clima storico del 2023 sperabilmente non è quello del 2014, e impone alcuni ripensamenti importanti.

Ad esempio, appare oggi indispensabile superare l’anacronismo del giudicato implicito sulla validità del rapporto contrattuale (41), per effetto del quale una sentenza avente anche indirettamente e solo in via pregiudiziale ad oggetto un rapporto contrattuale, conclusa con una pronuncia di accoglimento, preclude in futuro un più ampio esame del rapporto contrattuale poiché sarebbe da ritenersi implicitamente già oggetto di esame, obbligato in quanto necessitato, da un giudice che pure sul punto nulla ha espresso. Ciò che è stato felicemente espresso come il rischio del “giudicato da svista” (42), ritenuto non accettabile anche da attenta dottrina certo non critica verso l’impianto di fondo delle sentenze c.d. gemelle (43).

In un certo qual modo, anche questa come altre forzature rappresentano un “eccesso” della disciplina delle nullità (in chiave processuale) che oggi va corretto (44).

Così cancellata la portata del giudicato implicito, appare conseguentemente necessitato riflettere su un altro punto del catalogo; ovvero, la prevalenza della ragione più liquida nelle scelte del giudice che proceda al rigetto della richiesta. Sorprende, infatti, costruire una architettura che presume l’importanza centrale del controllo sulla nullità del contratto, con il relativo onere del giudice della segnalazione alle parti, ed insieme lasciare il giudice libero nel rigettare richieste per differenti ragioni senza onerare ad un controllo ed ad una rilevazione di un vizio ritenuto così importante. Caduta la brillante giustificazione indiretta data dall’evidente volontà delle Sezioni Unite del 2014 di evitare almeno in questa ipotesi il “giudicato da svista”, una diversa rilettura francamente si imporrebbe.

A maggior ragione, poi, si impone, a mio giudizio, un radicale ripensamento sulle dinamiche di concessione del decreto ingiuntivo. Alla luce della importanza che l’ordinamento annette al controllo sulle nullità contrattuali, previsto appunto d’ufficio, è necessario adottare regole più rigorose nel controllo sui presupposti per la concessione del decreto, anche nelle ipotesi in cui ci si trovi in presenza di nullità contrattuali “classiche”, giungendo alla più ragionevole conclusione dell’onere per il giudice di rifiutare l’emissione del decreto ingiuntivo in tutte le ipotesi in cui si palesi seriamente la potenziale esistenza della fattispecie di nullità (45).

Altresì, è altrettanto ineludibile, nonostante la posizione ostinatamente contraria della giurisprudenza (46) ridurre comunque l’espansione della portata del decreto ingiuntivo, riconducendola ad una preclusione pro iudicato nei termini già individuati dalla teoria classica del processo civile (47), non solo nel caso del consumatore (48).

Il “tagliando” alle regole contenute nel catalogo non deve naturalmente fermarsi qui; tuttavia, poiché questo non è il punto centrale delle mie odierne riflessioni, le abbandono per procedere oltre con particolare riguardo alle novità in tema di nullità sostanziali e refluenze sul processo.

5.La trasposizione nel processo dei rimedi avverso gli eccessi di nullità ricavati da dottrina e giurisprudenza.

Il compito di queste brevi riflessioni non è ancora giunto al termine.

La disciplina processuale delle nullità sostanziali nel processo si dipana diversamente a seconda di un numero molto alto di profili potenzialmente differenti, e consiglia una indagine analitica delle diverse fattispecie, che esula dai sintetici limiti di queste riflessioni.

In estrema sintesi, restando esclusivamente in tema di nullità classiche e non di protezione (49), la nullità può essere fatta valere direttamente dall’attore con l’atto introduttivo, spesso accompagnato da altre domande in cumulo, come ad esempio la ripetizione dell’indebito o il risarcimento del danno. Ma potrebbe anche la richiesta essere accompagnata da un cumulo subordinato, ovvero una richiesta di accertamento della nullità, e, per l’eventuale ipotesi del rigetto, ad esempio una richiesta di pronuncia dell’annullamento o della risoluzione del contratto.

Altre volte, può essere il convenuto già nella prima difesa tempestiva a proporre una domanda riconvenzionale o una eccezione di nullità; cui l’attore e altri eventuali convenuti potranno a loro volta reagire (50) con contro-eccezioni, domande riconvenzionali, o domande “complanari” (51), cui potranno seguire ulteriori controdifese delle altre parti.

Dunque, l’attore, che chiede la prestazione oggetto del contratto potrebbe, già nell’atto introduttivo in cumulo subordinato, proporre un’altra richiesta per l’eventualità di una pronuncia di nullità. E lo stesso potrebbe fare, in risposta ad una eccezione di nullità proposta dal convenuto, attraverso l’uso di una domanda complanare. Ad esempio quando, richiesta in via di azione l’adempimento di una prestazione contrattuale, il pagamento di una prestazione professionale nei confronti di una Pubblica Amministrazione, la parte convenuta eccepisca la nullità della prestazione per mancanza dell’impegno di spesa; l’attore potrà, se del caso anche in via subordinata, proporre una domanda complanare di condanna della Pubblica amministrazione per arricchimento senza causa (52).

Altra volta, se le parti non lo hanno già fatto, sarà il giudice a rilevare d’ufficio la nullità; ricavandola dai fatti allegati nel processo (53).

In una auspicabile fisiologia processuale, la rilevazione della nullità processuale dovrebbe essere effettuata dalle parti nella prima fase processuale; le nuove disposizioni del processo civile, ad esempio, consentono al giudice di far valere l’eventuale nullità già nelle verifiche preliminari ai sensi dell’art. 171-bis c.p.c. La tempestività nella rilevazione consente alle parti processuali di potere ben calibrare le proprie difese nel processo, anche in questo caso con l’introduzione (54) delle eccezioni, domande riconvenzionali o domande complanari (55), e le successive eventuali controdifese delle altre parti.

Tuttavia, tanto le parti (sia nella forma della domanda che delle eccezioni (56)) che il giudice (57) possono fare valere la nullità ancora nel corso del processo (laddove il tema non sia già stato oggetto di domanda o di eccezione nel processo negli atti introduttivi della causa). Per la prima volta (58), anche soltanto (59) durante il giudizio di appello (60) (almeno come eccezione (61)), e, addirittura, nel giudizio di cassazione (62). E, quando la questione della nullità viene introdotta “tardivamente” nel processo (63), è assai complesso disciplinare il giudizio; nonostante l’intervento delle sentenze gemelle del 2014 e della giurisprudenza e della dottrina in materia, e anche a voler ancora prescindere dalle giuste critiche che alcune tra le soluzioni maggioritariamente adottate meritano, restano aperti molti interrogativi ed incertezze, e le questioni controverse si aprono a soluzioni difformi.

Certo, mettere a terra efficacemente le soluzioni dottrinali e giurisprudenziali in tema di rilevazione e dichiarazione delle nullità nel corso del giudizio, e insieme garantire il pieno rispetto dei diritti di contraddittorio e difesa per tutte le parti del processo, anche della parte che subisce l’introduzione dei nuovi elementi, non è semplice.

Si tratta tra l’altro di introdurre in via ermeneutica nel processo un giusto tasso di elasticità, pur a fronte di una disciplina talora apparentemente ingessata (il processo ordinario (64)); e garantendo un disteso esercizio del diritto di difesa nelle ipotesi in cui l’elasticità sia imposta per legge all’interno di un processo pensato per giudizi meno complessi (il processo semplificato (65)), se del caso trasferendo un processo informale in un processo più strutturato quando la complessità della vicenda processuale, che si caratterizza per successive intromissioni, consiglia dei passaggi più meditati, da valutare su ogni fattispecie concreta e non in via generale (il giudizio semplificato, e, quando necessario, la sua trasformazione in ordinario (66)).

Nuovi elementi possono dunque essere introdotti o rilevati nella fase introduttiva o nel corso del giudizio di primo grado, come per la prima volta nelle fasi di impugnazione; e si tratterà di decidere se tutto questo possa o no essere sempre garantito nel corso del giudizio, con la necessità di garantire alle parti processuali il pieno esercizio del diritto di difesa, anche potenzialmente con nuove allegazioni con una potenziale necessaria riapertura di tutti i termini processuali.

Laddove poi dovesse essere ritenuta ammissibile una pur limitata compressione dei diritti di difesa in una simile eventuale ipotesi, tuttavia, sarà importante agire sull’ampiezza del potenziale giudicato (67) che assista il provvedimento reso al termine di un giudizio dove non sia stato possibile introdurre alcuni elementi; in questo caso, deve rimanere fermo, per il rispetto ineludibile del diritto di difesa, che l’ampiezza del giudicato sulla decisione non possa mai comprendere quantomeno gli elementi che in ipotesi si ritenga non poter più essere introdotti nel processo, che dovranno potere essere almeno successivamente utilizzati. Si tratta, ancora, di agire sul principio del dedotto e del deducibile. Ma il deducibile dovrà attenere solo a ciò che in astratto ed in concreto avrebbe potuto essere appunto dedotto; se questo non è stato reso di fatto possibile, una limitazione alla successiva difesa non può evidentemente scattare. E sulla necessità di garantire, prima o dopo, il pieno svolgersi del diritto di difesa, nel nostro ordinamento, non è (ancora?) consentito dividersi.

La riflessione abbraccia, ad esempio, le domande complanari (68), domande che è preferibile ritenere comunque possibile fare valere eventualmente anche in altro giudizio, sottraendole alla preclusione del deducibile (69), lasciando alla parte dunque la scelta, che potrà essere presa anche sul presupposto della difficoltà processuale di aggiungere in una fase avanzata del processo troppa nuova carne al fuoco, oltre alle ipotesi in cui la domanda complanare non possa essere presentata (70), perché il processo ormai verte nelle fasi di impugnazione. La tesi della esclusione dal giudicato della domanda complanare non è però univoca, ed anzi v’è chi ritiene che la mancata proposizione della complanare la renda non più proponibile, perché assorbita nel deducibile (71); ciò, a maggior ragione, naturalmente, ad esempio nelle ipotesi in cui e per chi ritenga la domanda principale e la domanda complanare non due distinti diritti, ma un diritto unico con un concorso di norme (72): a mio avviso, anche ritenendo in via di principio preclusa la proponibilità della complanare in nuovo giudizio, nel caso che ci occupa, per la indispensabile pienezza di tutela del diritto di difesa, bisognerebbe comunque permettere alla parte di fare valere in un successivo processo la nuova domanda (73).

Ad un quadro così complesso ed eterogeneo si aggiunge, oggi, una ulteriore riflessione.

Dottrina e giurisprudenza ci hanno consegnato una talora radicale rivisitazione della disciplina sostanziale delle nullità, e, soprattutto, hanno dato conto di come esistano oggi anche altre esigenze, che tendono a temperare eventuali “eccessi delle nullità”, esigenze ricostruite da parte della dottrina e della giurisprudenza che valorizzano nuove riflessioni o accadimenti.

Non si tratta qui solo di rilevazione delle nullità, ma anche all’opposto entrano in gioco nuovi elementi che semmai riducono e circoscrivono, o escludono, una fattispecie su cui si è fondata la proposta di rilevare una nullità; va così ricostruita la disciplina processuale di questi elementi, l’onere della allegazione e della prova, i margini eventuali del giudice nella rilevazione di ufficio (non di nullità, appunto si tratta) etc.

E permane, poi, in ogni caso, l’esigenza di garantire pienamente il diritto di difesa e contrattacco quando nel corso del giudizio vengono introdotti nuovi elementi (per alcune fattispecie, si tratterà decisamente di nuovi temi di indagine). Entro quest’ambito, le riflessioni ora enucleate per la ricostruzione della fattispecie nelle ipotesi di nullità in particolare nella eventuale introduzione “tardiva” (laddove ammissibile) nel processo, devono mutatis mutandis intendersi confermate.

Queste vicende, già assai complesse nella gestione processuale, sono quindi spesso soggette inevitabilmente ad ulteriori difficoltà ogni volta in cui, ad esempio, le novità processuali si allargano fino alla potenziale proposizione di nuove fattispecie, ad es. l’abuso del diritto, per difendersi da una contestazione di nullità; in specie se la rilevazione della nullità sia sopravvenuta nel corso del processo, o addirittura nelle fasi di impugnazione, si tratta di ricostruire dinamiche che valutino se consentire o no l’introduzione anche di questi ulteriori nuovi fatti nel processo, per i quali potrebbe doversi riaprire anche la fase delle allegazioni e istruttoria, ed ancora, in queste ipotesi, garantire all’altra parte la piena difesa avverso questi nuovi elementi, che potrebbero comportare a loro volta anche in questo caso nuove necessità in chiave di allegazione di fatti e anche in chiave istruttoria.

L’analisi e la proposta ricostruttiva, tuttavia, è ulteriormente complicata dalla diversità dei “tipi” di nullità sostanziale cui potrebbero corrispondere diverse risposte processuali, nonché, ed in particolare dai diversi strumenti di potenziale riduzione degli eccessi di nullità che potrebbero sollecitare risposte diverse nel processo.

Questo consiglia di procedere con una analisi astrattamente unitaria, ma analiticamente separata; chi si occupa del processo, infatti, sa bene quanto l’impatto sul processo naturalmente diverge anche a seconda delle fattispecie.

Ma una simile analisi è impossibile in questa sede per evidenti ragioni di tempo, se non a livello meramente esemplificativo e per sommi capi.

Ragionando allora adesso per sommi capi ed a livello meramente esemplificativo.

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Un modo per rispondere agli eccessi delle nullità è ridurre le ipotesi di nullità virtuali (74). Si nega che la fattispecie sia riconducibile alla nullità; la nullità non c’è, anche se, talora, sono ricavabili differenti conseguenze invalidanti (75). Oppure, quanto alle nullità previste per legge, si ricostruiscono in chiave più rigorosa gli elementi necessari per la pronuncia (76).

Quale è, in tali ipotesi, l’impatto sul processo della potenziale lettura riduttiva ad opera del giudice di una fattispecie, ad esempio, di cui sia controversa l’attribuzione alla categoria della nullità virtuale (così temperando se del caso un “eccesso delle nullità”) piuttosto che dell’annullamento? L’attore, che agisce per l’accertamento della nullità, potrebbe “curarsi in salute“ proponendo in via principale domanda di accertamento della nullità, ed in cumulo subordinato in caso di rigetto della domanda principale una richiesta di pronunciare l’annullamento.

Si tratta, a mio avviso, di un tema che attiene solo all’interpretazione del diritto, e non è qualificabile come eccezione, neanche in senso lato. La questione, allora, se anche sollevata dal convenuto, potrebbe ritenersi non legittimare l’attore a proporre in corso del giudizio una domanda “complanare”, se consentita solo in risposta ad una eccezione, non ad una mera difesa, come si evince dall’art. 171-ter c.p.c.; tuttavia, la lettura delle Sezioni Unite sembra legittimare la domanda complanare anche se la stessa sia collegata alle mere difese proposte dalla controparte, dovendosi ricomprendere ogni deduzione difensiva, e non soltanto ad una domanda o eccezione, e pertanto in armonia con la posizione giurisprudenziale deve aprirsi alla possibilità di introdurre nel giudizio domande complanari (77).

Quanto al giudice, il problema sembra attenere solo alla necessità o no da parte del giudice di provvedere alla segnalazione alle parti del problema onde sollecitare il contraddittorio sul punto, piuttosto che al contrario riservare la questione alla decisione (come mi sembra preferibile), mantenendo una posizione di alterità e lasciando alle parti di esercitare la loro attività difensiva, sopportandone le conseguenze senza ausili preventivi del decidente.

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Altre volte, gli “eccessi della nullità” possono essere “curati” riducendone le conseguenze. In questo caso, la nullità c’è, ma si cerca di mitigarne l’impatto sostanziale consentendo alle parti di proporre soluzioni alternative.

Possiamo fare l’esempio della nullità parziale, o del recupero del contratto nullo tramite la conversione, o nelle residuali ipotesi di successiva convalida.

Un modo per temperare gli eccessi della nullità può così essere ricavato le volte in cui, ad una richiesta di accertamento della nullità del contratto, si ritenga invece doversi ricavare una “semplice” nullità parziale” dello stesso.

L’attore potrà agire in cumulo subordinato richiedendo con la domanda principale l’accertamento della nullità dell’intero contratto, ed in subordine l’accertamento della nullità parziale.

Anche il convenuto, peraltro, potrebbe chiedere con domanda la pronuncia di accertamento della nullità parziale del contratto, se la domanda non sia già stata avanzata dall’attore.

A sua volta l’attore, laddove il convenuto abbia semplicemente contestato la domanda di nullità totale segnalando come la fattispecie semmai potesse al massimo qualificarsi come nullità parziale (si tratta di una mera difesa, non di una eccezione), potrà richiedere un accertamento della nullità parziale, alla luce della liberale lettura dei requisiti richiesti dalle Sezioni Unite per l’ammissibilità in giudizio della domanda complanare, con i relativi limiti (78).

Il ruolo del giudice, invece, è espressamente delineato dalle Sezioni Unite del 2014 (con tratti, francamente, sorprendenti). In un giudizio sulla richiesta di accertamento della nullità totale di un contratto (79), il giudice che propenda invece per una fattispecie di nullità solo parziale dello stesso ha l’onere di segnalarlo alle parti, ma se le parti (almeno una delle parti) non fanno una richiesta specifica di pronunciare la nullità parziale, questa non sarà pronunciata, e la domanda di nullità totale sarà rigettata.

La giurisprudenza, poi, in altra pronuncia ha espressamente manifestato il favore dell’ordinamento per la conservazione per quanto possibile degli atti di autonomia anche se difformi dallo schema legale, con conseguente carattere eccezionale dell’estensione della nullità che colpisce la singola clausola all’interno contratto. Da qui, ai fini che ci occupano, un corollario processuale in termini di allegazione e onere della prova: « è a carico di chi ha interesse a far cadere in toto l’assetto di interessi programmato fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre resta precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto » (80). Anche questo, in un certo senso, è un rimedio ad un eccesso delle nullità.

Le Sezioni Unite, però, non disciplinano espressamente l’ipotesi in cui sia il giudice delle impugnazioni a ritenere per la prima volta l’assenza della nullità totale e la potenziale presenza di una ipotesi di nullità parziale (e dunque, in ogni caso, l’assenza della nullità totale); in tutte le ipotesi in cui non si dovesse ritenere più ammissibile la richiesta in quel giudizio della proposizione di una domanda di nullità parziale (in sintonia riterrei con la posizione delle sentenze gemelle sulla nullità), ritengo tuttavia che le parti potranno proporre la domanda di nullità parziale (che dunque non rientrerebbe nel “deducibile”) liberamente in un nuovo giudizio.

In via generale, poi, non ritengo che, data una domanda di accertamento della nullità totale, quando le parti hanno deciso di non proporre una domanda di accertamento della nullità parziale nel processo, la pronuncia di rigetto della nullità totale precluda l’ammissibilità di una successiva domanda tesa alla diversa pronuncia di una nullità parziale in un nuovo giudizio; non ritengo che il tema sia compreso nel deducibile, specie quando il tema non sia stato sollevato nel processo, o quando, se sollevato, il giudice non abbia trattato poi la questione nella motivazione della sentenza. Più complesso il caso espressamente regolato dalle Sezioni Unite, in cui il giudice ha rilevato la nullità parziale e invitato le parti (e lo riterrei possibile anche come cumulo subordinato con la domanda principale di nullità totale), a farla valere nel processo, le parti non abbiano accolto l’invito, ed il giudice nella motivazione della sentenza abbia rigettato la domanda di nullità totale, esprimendosi espressamente però sulla esistenza o no della nullità parziale (81).

Laddove, invece, il giudice abbia accolto la domanda di nullità totale, un successivo giudizio sulla nullità parziale sarà precluso per incompatibilità; il giudicato sulla nullità totale preclude la domanda.

Un altro modo per temperare gli eccessi delle nullità è la conversione del contratto nullo in un altro contratto, ciò che permette di ridurre le conseguenze severe della pronuncia di nullità.

Le due fattispecie, effettivamente, hanno molto in comune. Tuttavia, a mio avviso, ai fini che ci occupano va rilevata una distinzione assai importante: a differenza che per la nullità parziale, nella conversione non vengono in gioco interessi pubblici.

Tuttavia, le Sezioni Unite del 2014, se pure con espressione sincopata ed apodittica, sembrano volere estendere la disciplina dalle stesse dettata per la nullità parziale anche alla conversione; se così fosse, le regole della vicenda processuale, mutatis mutandis, sono anche in questo caso quelle ora enucleate per la nullità parziale. Così, con la necessità in queste ipotesi di riaprire se del caso anche in fase avanzata del processo i termini per l’allegazione eventuale di fatti nuovi necessari o opportuni per la decisione sulla domanda di conversione, e di tutta l’istruttoria nuova che le parti, nel loro pieno esercizio del diritto di contraddittorio e difesa, debbono poter introdurre (e che, per la domanda di conversione potrebbe sovente essere necessaria); o se impossibile o eccessivamente complesso, riterrei, negare l’ampliamento rimandando a altro eventuale processo

Ritengo, tuttavia, che la posizione delle Sezioni Unite sul punto possa e debba essere rivisitata. Ineccepibile laddove individua nella conversione una domanda autonoma con petitum differente che non può che essere pronunciata se non a seguito di espressa domanda delle parti, e non d’ufficio (82). Da superare, invece, nella parte in cui non si limita a prendere atto che siamo in tema di interessi meramente privati, e, nel nostro ordinamento, il giudice non deve allora essere onerato ad un rilievo d’ufficio cui fare seguire, per decisione delle parti, una eventuale complicazione processuale anche nel corso del processo.

A così ritenere, la domanda di conversione (83), ad esempio, potrebbe poi essere già proposta dall’attore che richiesta in via principale la prestazione, potrebbe (anche alla luce della possibile pronuncia d’ufficio della nullità) in subordine richiedere la conversione del contratto nullo in un contratto diverso (84).

Una richiesta che potrebbe provenire anche dal convenuto, che potrebbe eccepire alla domanda principale della prestazione la nullità del contratto, e chiedere la conversione (o un accertamento negativo della stessa); l’attore, a sua volta, potrebbe proporre la domanda di conversione come una domanda complanare, alla eccezione di nullità del convenuto, nei limiti in via generale ricavati per l’utilizzo di questo istituto (85), e così tendenzialmente a fasi inziali della controversia, con la già ragionata possibilità di chiedere in altro processo la conversione del contratto, siccome non compresa nella preclusione da deducibile. Ad una sentenza che rigetti la nullità del contratto, non potrà seguire la conversione, che la presuppone; ad una sentenza che accerti la nullità, potrà seguire un successivo giudizio in cui chiedere una pronuncia di conversione del negozio nullo (86) (salvo che rientri nel dedotto, per essere stata espressamente richiesta o eccepita e presa in considerazione in motivazione).

Un altro rimedio avverso un eccesso di nullità attiene al diverso istituto della convalida, che ai sensi dell’art. 1423 c.c. è riservato solo (87) alle ipotesi di espressa previsione legislativa (88) (a differenza del più ampio istituto della convalida del negozio annullato ex art. 1444 c.c.),

L’istituto è non facilmente identificabile, perché dottrina e giurisprudenza spesso hanno opinioni diverse su quali siano e quali no le fattispecie di convalida (89), che scontano comunque notevoli eterogeneità e che consigliano letture analitiche.

Una breve riflessione vorrei soltanto introdurre per quelle fattispecie in cui la nullità del testamento o della donazione “non può essere fatta valere”(art. 590, 799 c.c.), la conferma ed esecuzione volontaria delle disposizioni testamentarie e donazioni nulle (90). Ai sensi dell’art. 590 c.c., la questione si porrà, ad esempio, quando un attore agisca per la dichiarazione di nullità di una disposizione testamentaria; a questa domanda, il convenuto potrà eccepire l’avvenuta convalida, ovvero che “l’attore non può fare valere…”, allegando quanto necessario (91). Si tratta di una eccezione: in assenza della eccezione, si pronuncerà sulla domanda di nullità, e, se accolta, le parti saranno ad essa vincolate (copertura del deducibile).

Ma questa eccezione non è espressamente riservata all’iniziativa di parte, e non mi sembra necessariamente rientrare nelle ridotte ipotesi in cui la giurisprudenza oggi relega l’eccezione ad istanza di parte; è pertanto rilevabile anche d’ufficio, certo, solo laddove nei fatti processuali comunque allegati si ricavassero tutti gli elementi necessari per la pronuncia.

Con le conseguenze sul processo di cui, in termini generali, abbiamo dato conto.

Le ipotesi di convalida, almeno ai sensi dell’art. 1423, per il contratto, sono dunque limitate; in via tendenziale, sembrano fare riferimento all’esistenza di fatti successivi che consentono di ritenere ormai superata la questione della nullità, originariamente fondata (92).

*****

La limitazione della convalida a specifiche fattispecie di legge palesa la severità della disciplina sostanziale della nullità desumibile dal codice.

E tuttavia, ho già dato conto della tensione di parte della dottrina e della giurisprudenza a ricercare ulteriori fattispecie tese a superare alcuni “eccessi della nullità”; anche in contrasto con il disposto di cui all’art. 1423, del quale ci occuperemo adesso solo per analizzare alcuni aspetti delle refluenze processuali.

Una lettura di difficile univoca lettura processuale (come per i civilisti, il tentativo di sistematizzare è anche una nostra condanna), sia per la eterogeneità delle potenziali fattispecie (e una ricerca di una forzosa unitarietà sarebbe forse addirittura inopportuna), sia per la difficoltà di inquadramento di istituti sostanziali giurisprudenziali di affascinante ma incerta definizione.

In alcuni casi, ad esempio, alcune fattispecie di contratti nulli in origine, vengono “salvati” per fatti successivi.

Ad esempio, la nullità del contratto di acquisto per immobili da costruire per mancata consegna della fideiussione all’acquirente, che si considera superata se successivamente la fideiussione viene consegnata (93). Oppure, ancora, la nullità di un contratto di acquisto di immobile da costruire senza il rilascio della fideiussione, “superata” dalla costruzione e ultimazione dell’edificio (e dunque dalla sopravvenuta inutilità della fideiussione) (94).

In tutte queste ipotesi, rimane fermo naturalmente il già ricordato principio di allegazione, che vuole che tutti i fatti siano allegati ed introdotti nel processo (95), ed il principio di acquisizione istruttoria che vuole gli elementi probatori da chiunque introdotti o richiesti integralmente utilizzabili dal giudice o in generale da tutti i partecipanti al processo.

Una volta introdotti ritualmente nel processo e debitamente provati (se necessario attraverso una attività istruttoria costituenda da svolgersi nella trattazione processuale) i fatti successivi al contratto, si tratta di capire come qualificare queste fattispecie invero particolari.

Una linea ricostruttiva potrebbe rimarcare che il giudice, ai sensi dell’art. 1421 c.c., ha poteri di rilevazione e pronuncia d’ufficio della nullità, ma qui si tratta semmai di elementi impeditivi e non costitutivi della nullità qualificabili, allora, alla stregua di una eccezione alla domanda di nullità (o di contro-eccezione alla eccezione di nullità), di cui è stata talora ritenuta la natura di eccezione di parte e non d’ufficio (96). Rozzamente, si può fare riferimento quantomeno alle c.d. nullità di protezione, categoria che costitutivamente pretende l’esistenza di un qualcosa da proteggere, ma che non si giustifica se non come abuso quando, appunto, da proteggere non ci sia più nulla. Almeno per tali ipotesi si potrebbe adottare una lettura processuale del fenomeno ricostruttivo, che (senza alcuna necessità di fare perno in termini generali sulla necessità di un utilizzo leale e probo del processo (97)) pretende l’attualità dell’esigenza di tutela del diritto nel processo, come fenomeno collegato al diritto sostanziale. La giurisprudenza, da ultimo, ha ritenuto l’assenza della condizione dell’interesse ad agire o resistere nel giudizio nelle ipotesi in esame (che tuttavia pretendono di non considerare, come invece tradizionalmente, la nullità un diritto già maturato e non modificabile). Inquadrare la fattispecie (98) all’interno della categoria dell’interesse ad agire, come condizione dell’azione, ne renderebbe possibile il controllo d’ufficio e ne richiederebbe la sussistenza al momento della decisione (99); sicché eventuali fatti sopravvenuti nel corso del giudizio, se ritualmente introdotti, dovrebbero essere considerati al fine di valutare l’eventuale carenza sopravvenuta dell’interesse ad agire (nella accezione che ne offre la giurisprudenza), la mancanza di interesse al provvedimento.

L’assunto non convince pienamente. Ferma la necessità di ricostruire una fattispecie che non premi quello che nel concreto potrebbe qualificarsi come un abuso del diritto da parte dell’attore, lo strumento dell’interesse ad agire non appare il più adeguato; la pronuncia sull’assenza di interesse, dunque una pronuncia a carattere tendenzialmente processuale, è in teoria non adatta ad una pronuncia sul merito (ed appare quasi “priva di interesse” se non resa nella fasi introduttive della controversia), e l’interesse ad agire sembra più adatto se rivolto soltanto all’esame semplice della utilità o no del potenziale risultato processuale per l’attore (che in questo caso evidentemente, pur se ingiustamente, c’è) piuttosto che ulteriormente esteso. L’abuso del diritto da parte dell’attore appare più coerentemente sindacabile e sanzionabile altrimenti.

La soluzione ora, ricavata fondamentalmente dalla giurisprudenza e che fa perno su una peculiare lettura della condizione dell’interesse ad agire, non è invece adottata dalle Sezioni Unite in un’altra fattispecie di grande interesse, ovvero l’ammissibilità o no dell’azione di nullità proposta dal cliente in relazione solo a specifici ordini di acquisto di titoli che deriva dal difetto dalla nullità del contratto quadro. Le Sezioni Unite, ferma la esclusiva legittimazione dell’investitore a fare valere la nullità di protezione e gli effetti caducatori e restitutori che ne derivano, hanno tuttavia aggiunto che, l’intermediario, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione delle nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro (100).

Le diverse fattispecie, tuttavia, hanno anche dei tratti comuni; ci si muove sempre nell’ambito delle nullità di protezione, si valorizzano comportamenti successivi alla conclusione del contratto, e la tensione comune è volta a limitare l’esercizio dei poteri attribuiti alla “parte debole” solo quando ci sia effettivamente qualcosa da proteggere, mentre quando l’azione non sia invece tesa a questo, ecco il fenomeno dell’abuso del diritto, dell’abuso delle nullità di protezione, che va combattuto. Tuttavia, nel caso della nullità selettiva, le Sezioni Unite raggiungono il risultato (101) attraverso la enucleazione di una “eccezione di buona fede”, che potrà appunto essere opposta alla parte debole le volte in cui la tutela richiesta manifesti una forma di “abuso del diritto”. E le Sezioni Unite hanno cura di precisare anche che questa eccezione può essere rilevata d’ufficio dal giudice, una lettura (a mio avviso affatto scontata) ispirata verosimilmente alla nozione riduttiva della eccezione di parte nel panorama giurisprudenziale ma anche e più specificamente riterrei per la lettura della nullità di protezione pur sempre come tutela, non solo della parte debole, ma anche del corretto funzionamento del mercato.

Poiché è costruita in risposta ad una domanda “mal posta” del consumatore, si tratta esclusivamente di una eccezione che potrà essere fatta valere naturalmente solo nel processo, con la preclusione del deducibile.

La ricostruzione della reazione all’abuso della tutela della nullità di protezione in chiave di eccezione mi sembra maggiormente convincente (rispetto alla condizione dell’interesse ad agire); ed individua, ritengo, l’eccezione di buona fede come riferita ad un fatto impeditivo e non costitutivo, che dovrà essere pertanto provata perché la parte debole non ottenga la tutela richiesta. L’investitore, pertanto, non avrà l’onere di dimostrare la propria buona fede per ottenere una condanna “selettiva”, mentre sarà l’intermediario, semmai, ad avere interesse a dimostrare l’ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini.

Ferma la possibilità per il giudice di disporre quei mezzi istruttori d’ufficio che il nostro processo, retto dal principio del “dispositivo attenuato”, in sede istruttoria a lui riserva.

Una ricostruzione, allora, non dissimile potrebbe essere offerta per tutte le figure sintomatiche individuate da dottrina e giurisprudenza per illustrare e regolamentare variamente, i rimedi de dolo, l’eccezione di dolo (102); ferma sempre la necessità, tuttavia, di un esame analitico delle diverse fattispecie per la ricostruzione della disciplina processuale.

6.La mediazione delegata.

Una breve notazione conclusiva.

Abbiamo notato le difficoltà che obiettivamente si ricavano dalle rigidità della disciplina delle nullità contrattuali sul piano sostanziale; e, dall’altra, la difficoltà di gestire processualmente le (controverse) ricavate ipotesi di salvezza dalla nullità tramite il recupero del contratto. Dinamiche, talora comunque insoddisfacenti se rapportate alle esigenze economiche sottese alla disciplina.

Forse, in tutte queste ipotesi, appare opportuno riflettere se almeno in alcuni casi non sia opportuno provare a rimettere le parti in mediazione delegata (103), a maggior ragione quando l’incertezza nella decisione della fattispecie in concreto in esame possa ancor più fare propendere per una rinegoziazione dei termini contrattuali, che talora potrà addirittura essere più utile al risultato conseguibile in via giurisdizionale pubblica, che sconta invece una rigidità che allo stato nessun interprete può fruttuosamente alleggerire.

Ferma restando una ragionata insoddisfazione per un necessitato uso del tentativo di conciliazione quando le parti hanno già imboccato la strada del processo ed allora è opportuno che l’ordinamento si risolva a decidere efficacemente e rapidamente la controversia, forse le fattispecie analizzate in queste odierne riflessioni richiedono spesso un tasso di libertà ed originalità che al processo non può essere chiesta.

[1] Questo scritto è tratto da una relazione da me svolta al Convegno  “I rimedi contrattuali tra autonomia privata e processo civile”, organizzato dalla Associazione civilisti italiani e alla Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, che si è tenuto a Padova il 12 e 13 maggio 2023.

(1) Verde, Sulla rilevabilità d’ufficio delle nullità negoziali, in Riv. dir. proc., 2015, 747.

(2) Pescatore, Eccessi delle nullità, rimedi de dolo e recupero del contratto invalido, in questo volume, § 3.

(3) Pescatore, op. cit., § 4 e § 6.

(4) Cass. sez. un., 16 novembre 2022, n. 33719. La decisione (in distonia con i precedenti orientamenti della Cassazione che a partire dal 2017 riteneva la nullità del mutuo e, per un filone giurisprudenziale, la riqualificazione in mutuo ipotecario ordinario), mette in discussione la natura imperativa della disposizione di cui all’art. 38 t.u.b.; e, inoltre, assume che non ogni violazione di norme imperative possa dare automaticamente luogo ad una nullità contrattuale, ma « solo quella che pone il contratto in contrasto con lo specifico interesse che la norma imperativa intende tutelare » (p. 27).

E, tuttavia a me sembra che la decisione si incentri invece sulla determinazione della “scelta di politica economica”.

Il cuore della sentenza è così da ricavarsi, a mio avviso, da una scelta di valore, operata dalle Sezioni Unite, sulla opportunità o no di tutelare alcuni assetti economici o no delle parti in causa, e la motivazione si diffonde sulle conseguenze macroeconomiche di una o dell’altra decisione concreta (con considerazioni la cui evidente arbitrarietà potrebbero avere consigliato la Corte a essere supportate da un assunto più generale e strutturale).

(5) V. più avanti alla nota 75.

(6) Del “contesto di invenzione”, di decisione, l’analisi delle argomentazioni nelle motivazioni della sentenza altro non è che una spia, e naturalmente non può che essere assunta che come indizio. In arg., Santangeli, La sentenza civile come precedente giudiziale. Il suo valore, le modalità di estrazione, i suoi interpreti, Catania, 1996, 142 ss.

(7) Sulla valutazione persuasiva dei principi nel complesso della sentenza, in ipotesi di pluralità di rationes decidendi, e sui “motivi nascosti” della sentenza e le massime mentitorie, Santangeli, op. ult. cit., 133 ss. e 139 ss.

(8) V. nota 75.

(9) Cass., 12 dicembre 2014, n. 26242 e Cass., 12 dicembre 2014, n. 26243, in Foro. it, I, 2015, 862, con note di Palmieri-Pardolesi, Nullità negoziale e rilevazione officiosa a tutto campo (o quasi); Di Ciommo, La rilevabilità d’ufficio ex art. 1421 c.c. secondo le sezioni unite: la nullità presa (quasi) sul serio; Pagliantini, Nullità di protezione e facoltà di non avvalersi della dichiarabilità: « quid iuris »?; Menchini, Le sezioni unite fanno chiarezza sull’oggetto dei giudizi di impugnativa negoziale: esso è rappresentato dal rapporto giuridico scaturito dal contratto; Proto Pisani, Rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale: una decisione storica delle sezioni unite, in Giur. it., 2015, 70, con note di Pagni, Nullità del contratto – Il « sistema » delle impugnative negoziali dopo le sezioni unite; Bove, Rilievo d’ufficio della questione di nullità – Rilievo d’ufficio della questione di nullità e oggetto del processo nelle impugnative negoziali); Consolo-Godio, Patologia dei contratti e (modi dell’) accertamento processuale, in Corr. Giur. , 2015, 225 ss.

(10) Cass. sez. un., 4 settembre 2012, n. 14828, in Giur. it., 2013, 907, con nota di D’Alessandro, Le Sezioni unite compongono il contrasto giurisprudenziale riguardante la rilevabilità ex officio della nullità del contratto nell’ambito del processo intentato per ottenerne la risoluzione. Il punto di vista del processual-civilista.

(11) Panzarola, Principi e regole in epoca di utilitarismo processuale, Bari, 2022, 236 ss., per una convincente dimostrazione della necessità di prediligere il principio dispositivo.

(12) In arg., condivido il self restraint enucleato da Cass. sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839 « Osservano le Sezioni Unite come non tutti i quesiti posti dall’ordinanza di rimessione pongano questioni la cui soluzione è necessaria ai fini della decisione del caso sottoposto; essi, pertanto, verranno esaminati dal Collegio nei limiti della loro rilevanza, ossia in quanto rappresentino un presupposto o una premessa sistematica indispensabile per l’enunciazione di principi di diritto utili alla soluzione delle questioni sottoposte con i motivi del ricorso in esame.

Questa necessaria delimitazione delle questioni da trattare è legata alle funzioni ordinamentali e alle attribuzioni processuali delle Sezioni Unite, compito delle quali non è l’enunciazione di principi generali e astratti o di tesi teoriche su ogni possibile questione di diritto collegata al caso da decidersi, ma l’enunciazione di quei soli principi di diritto che risultano necessari alla decisione del caso della vita da decidersi (in questo senso già Cass., Sez. un., n. 12564 del 22/05/2018); basti osservare che lo stesso “principio di diritto nell’interesse della legge”, che la Corte di cassazione può essere chiamata ad enunciare ai sensi dell’art. 363 c.p.c., deve comunque corrispondere alla regola giuridica alla quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi nella risoluzione della specifica controversia ».

(13) Rimane tuttavia incerto, e non è ovviamente cosa di poco conto, se, in tema di accoglimento della domanda ad esempio di adempimento contrattuale senza rilievo di nullità, la preclusione sulla successiva proponibilità della questione sia da costruirsi nell’ordine del giudicato implicito (così Pagni, Il “sistema” delle impugnative negoziali, in Giur.it, 2015, 76) o con meno impatto, come semplice preclusione alla riproposizione della questione in altro processo (così Consolo-Godio, Patologia del contratto e (modi dell’) accertamento processuale, in Corr. Giur., 2015, II, 228 ss.)

Rimane comunque la possibilità per la parte, laddove il giudice abbia rilevata la potenziale nullità, di proporre domanda di accertamento incidentale della nullità ex art. 34 c.p.c. In arg. Pilloni, Profili processuali della domanda di accertamento incidentale, Torino, 2020, spec. 244 ss.

(14) Cass. sez. un., n. 26242/2014, punto 7.3. In argomento, tuttavia, Consolo, il giudizio sulle nullità (anche inessenziali) e il giudice “omniinspiciente”: pensieri operazionali e verificabili (nuove prove di truthtelling processual-civilistico), in Riv. dir. priv., 2016, 196 ss., per una chiara dimostrazione invece della lontananza della ricostruzione operata dalle Sezioni unite (che non limita certo il giudicato al motivo portante) dalla ricostruzione Zeuneriana.

(15) Le Sezioni unite infatti precisano che il rigetto della domanda di adempimento, risoluzione etc. senza rilevare la nullità e trattarne in motivazione ma fondata su altre ragioni, sulla base teoria della ragione più liquida, non conduce alla formazione implicita del giudicato sulla non nullità.

Critico Di Ciommo, La rilevabilità d’ufficio ex art. 1421 c.c. secondo le sezioni unite; la nullità presa (quasi) sul serio, cit., 927 ss; Menchini, Le Sezioni unite fanno chiarezza sull’oggetto dei giudizi di impugnativa negoziale: esso è rappresentato dal rapporto giuridico scaturito dal contratto, cit., 940 ss.

(16) Per esigenze editoriali non si approfondirà il tema, del resto abbondantemente arato, dell’effetto di “sanatoria” della nullità di protezione a seguito della scelta della parte debole. In tema per un riesame delle differenti opinioni, se vuoi, Vulpiani, Unità frammentazione e sanabilità della nullità del contratto, Napoli, 2021, 230 ss.

(17) Le Sezioni Unite del 2014, (numerazione interna 3.10) individuano una unitarietà di fondo tra le nullità “classiche” e le nullità di protezione valorizzando anche per queste ultime la tutela anche di interessi generali, e non solo degli interessi particolari della parte debole.

(18) Consolo-Godio, op. cit., 229, rilevano come per le Sezioni Unite 2014, nell’ipotesi in cui la parte non faccia valere la nullità rilevata e sottopostale dal giudice « non si pone alcun problema di giudicato, attesa la peculiare natura della nullità »; ne desumono che, in una simile fattispecie, nessuna preclusione potrebbe formarsi per la parte, stavolta libera di fare se del caso valere la nullità di protezione in successivi giudizi.

(19) Cause C-693/19 e C-831/19 (cause riunite), SPV Project e Banco di Desio e della Brianza; causa C-725/19 Impuls Leasing România; causa C-600/19 Ibercaja Banco e causa C-869/19 Unicaja Banco, leggibili su curia.europa.eu.

(20) Cass. sez. un., 6 aprile 2023, n. 9479, in Foro it., 2023, V, 1452 ss.

(21) In tema, senza alcuna pretesa di esaustività, Auletta, Tutela del consumatore e decreto ingiuntivo non opposto: il ruolo del giudice dell’esecuzione alla luce della recente giurisprudenza della Cgue, in giustiziacivile.com, 6 febbraio 2023; Baccaglini, Nullità di protezione, decreto ingiuntivo non opposto e giudicato implicito, in Riv. dir. banc., 2023, 57; Bove, La tutela del consumatore tra esigenze eurounionali e creatività della nostra Corte di cassazione: una proposta alternativa, in www.judicium.it, 1 agosto 2023; Capponi, Primissime considerazioni su sez. un. 6 aprile 2023, n. 9479, in giustiziainsieme.it; Id, La Corte di Giustizia stimola una riflessione su contenuto e limiti della tutela monitoria, in judicium.it; Carratta, Introduzione. L’ingiuntivo europeo nel crocevia della tutela del consumatore, in Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo, (a cura di) Caporusso-D’Alessandro, in Giur. it, 2022; Crivelli, Appunti sulla requisitoria del P.G. presso la Corte di Cassazione in ordine ai poteri del g.e. rispetto alle clausole abusive nei contratti con i consumatori, in Riv. es. forz., 2022, 707 ss; Id, Le Sezioni Unite e il titolo nei confronti del consumatore. Ovvero come il diritto eurounitario trasforma il diritto processuale esecutivo, in Riv. es. forz., 2023, 384 ss; Consolo, Istruttoria monitoria “ricarburata” e, residualmente, opposizione tardiva consumeristica “rimaneggiata” (specie) su invito del g.e., in Giur. it., 2023, 1054 ss.; Cirulli, La tutela del consumatore ed il vaso di pandora, in Judicium.it, 1 giugno 2023; Costantino, « Certezza » del diritto risultante dal titolo esecutivo, « accertamento con prevalente funzione esecutiva », « normativa senza giudizio », « preclusione pro judicato » e clausole vessatorie, in inexecutivis.it; D’Alessandro, Il decreto ingiuntivo non opposto emesso nei confronti del consumatore dopo Corte di giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19): in attesa delle Sezioni Unite, in judicium, III, 2022; Id, Dir. 93/13/CEE e decreto ingiuntivo non opposto: le sez. un. cercano di salvare l’armonia (e l’autonomia) del sistema processuale nazionale attraverso una lettura creativa dell’art. 650 c.p.c., in Giur. it., 2023, 1060 ss.; P. Farina, Le sezioni unite rispondono alla Corte di giustizia creando un nuovo istituto. L’opposizione ultra-tardiva decreto ingiuntivo e l’effettività della tutela consumeristica, in Foro it, 2023, V, 1474 ss.; Febbi, La Corte di giustizia crea scompiglio: il superamento del giudicato implicito nel provvedimento monitorio, in judicium.it; Garofalo, Decreto ingiuntivo non opposto e protezione del consumatore dalle clausole vessatorie, in Nuova giur. civ., 2023, 86; Giussani, Decreto ingiuntivo non opposto dal consumatore: la lettura della Corte di giustizia, in Riv. dir. proc., 2023, 291 ss.; Latini Vaccarella, La Terza sezione e la rilevabilità d’ufficio delle clausole abusive a tutela del consumatore (a proposito di ord. 29 marzo 2023 n. 8911 e di Sez. Un. 6 aprile 2023 n. 9479), in www.judicium.it, 28 luglio 2023; Marchetti, Note a margine di Corte di Giustizia UE, 17 maggio 2022, (cause riunite C-693/19 e C-831/19), ovvero quel che resta del brocardo “res iudicata pro veritate habetur” nel caso di ingiunzioni a consumatore non opposte, in judicium.it; Metafora, Dalle sezioni unite un vademecum sugli strumenti a tutela del consumatore in caso di vessatorietà delle clausole, in inexecutivis.it; Pagliantini, « Ce n’est qu’un début »: spigolature civilistiche sul decalogo europeista di sez. un. 9479/23, in Foro it., 2021, V, 1491 ss.; Rossi, Decreto ingiuntivo non opposto e tutela effettiva del consumatore, in judicium.it, 3 marzo 2023; Scarselli, La tutela del consumatore secondo la Cgue e le sezioni unite, e lo Stato di diritto secondo la civil law, in judicium.it; Pardolesi-Sassani, Clausole abusive nei contratti B2C, decreto ingiuntivo non opposto, giurisprudenza eurounitaria e sezioni unite: meta-realtà e diritto a metà, in Foro it, 2023, V, 1486 ss.; Rasia, Giudicato, tutela del consumatore, ruolo del giudice in sede monitoria ed esecutiva, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2023, 63; Rossi, Decreto ingiuntivo non opposto e tutela effettiva del consumatore, in judicium.it, 3 marzo 2023; Soldi-Capponi, Consumatore e decreto ingiuntivo: le soluzioni ermeneutiche percorribili per l’integrazione tra diritto eurounitario e diritto interno, in judicium.it.

(22) Ancora una considerazione. Le Sezioni unite con la sentenza n. 9479/2023 in realtà non hanno colto l’assist fornito dalla Corte di giustizia per rimettere in discussione anche l’ulteriore assunto, pacifico in giurisprudenza, ed invece assai controverso in dottrina, della estensione del giudicato derivante dal decreto ingiuntivo non opposto, in particolare sui “presupposti impliciti” e logicamente necessari” (anche oltre dunque la stabilità del credito). Le Sezioni unite, anzi sul punto, precisano tetragonicamente come rimanga ferma « la configurazione del decreto ingiuntivo non opposto quale provvedimento idoneo a passare in giudicato formale ed a produrre effetti di giudicato sostanziale », quando appunto il consumatore, ormai consapevole della potenziale nullità, decida di non proporre l’opposizione tardiva o “ultratardiva”. Una nuova riflessione sul punto è invece a mio avviso indispensabile (a maggior ragione per chi, come me, dubita della correttezza della nozione di giudicato implicito più in generale anche per il giudicato su sentenza). Per quanto attiene alla tutela del consumatore, l’attuale disciplina disegnata oggi dalle Sezioni unite appare tendenzialmente disarmonica. Essa è tesa a proteggere il consumatore dal rischio della mancata informazione, quantomeno in via monitoria; ma questo rischio si presenta, e a maggior ragione, anche per il consumatore che non sa che la scelta di non opporre il decreto potrà avere conseguenze sulla sua posizione sostanziale ben oltre il procedimento in esame, non potendo più mettere in discussione in altri giudizi (non solo l’attribuzione dello specifico bene della vita ma anche) questioni pregiudiziali non espresse nel decreto; questa consapevolezza, che non può che ricavarsi da una conoscenza di tematiche del diritto processuale che non possono ritenersi conosciute dal consumatore in assenza di una difesa tecnica, appare ancor più oggi meritevole di tutela, e tale da imporre una modifica giurisprudenziale sul punto già in via ermeneutica, escludendo per il decreto ingiuntivo emesso nei confronti del consumatore ogni effetto preclusivo ulteriore alla necessità di tutelare l’intangibilità del “bene della vita”, e quindi appunto non ricomprendendo nella preclusione in successivi giudizi i presupposti impliciti e logicamente necessari.

(23) In arg. se vuoi, Santangeli, Il processo civile e le nullità di protezione alla luce dei recenti interventi della Corte di Giustizia e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in corso di pubblicazione in Banca borsa e titoli credito, § 3.

(24) Santangeli, se vuoi, op. ult. cit., § 3.

(25) V. ad es. De Stefano, Questioni processuali, giudicato interno e rapporti con il giudicato UE. In particolare: le sentenze della CGUE dal 17 maggio ad oggi in tema di titolo esecutivo giudiziale e tutela effettiva del consumatore, § 6, che tra l’altro ritiene irrinunciabile la certezza del diritto derivante dal regime di definitività dei titoli giudiziali, contesta il rapporto tra giudice dell’esecuzione e giudice della cognizione, sottolinea l’incidenza perniciosa sui tempi del processo, fino ad interrogarsi sulla ipotesi di una prospettazione di non tollerabilità per l’ordinamento nazione del portato di queste recenti decisioni, fino a valutarne la compatibilità con l’ordinamento nazionale ai fini di una “meditata attivazione dei controlimiti interni”. Certamente, la tutela così ricostruita ha delle asimmetrie da brivido. Cirulli, op. cit., § 3, « Con l’opposizione monitoria tardiva (ma dalla S.C. sottoposta al medesimo termine di quella tempestiva, benché con una decorrenza differita alla comunicazione dell’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione abbia rilevato la nullità protettiva), rectius ultratardiva (in quanto ammessa decorsi dieci giorni dal pignoramento), il consumatore può dolersi “solo ed esclusivamente” della pretesa vessatorietà della clausola. Non può invece eccepire la prescrizione, la novazione, i vizi del consenso, la lesione enorme ecc., che sono preclusi dalla definitività dell’ingiunzione. E non può neppure eccepire l’eventuale nullità assoluta di fonte codicistica, che sarebbe stata rilevabile d’ufficio, ma che la preclusione del deducibile gli impedisce di far valere. Se il contratto è nullo per un vizio strutturale, per violazione di norme imperative o per illiceità della causa o dei motivi, il riesame della questione è impedito dal giudicato. E così se, per assurdo, al debitore viene ingiunto di pagare il prezzo di un reato-contratto (si pensi al compenso per un atto contrario ai doveri d’ufficio: art. 319 c.p.), senza che la nullità sia stata doverosamente rilevata ex officio, ed il decreto non viene opposto, al debitore non spetta alcun rimedio. Invece, se il fideiussore consumatore non oppone l’ingiunzione emessa da giudice territorialmente incompetente (che non abbia disapplicato la clausola derogatoria del foro del consumatore, dichiarando inammissibile il ricorso per difetto di una condizione di trattabilità nel merito), il giudicato è solo apparente e può essere caducato ». Si tratta, perciò di decidere se fare un passo indietro, o non piuttosto un passo avanti.

(26) Ma diversamente, con interessanti considerazioni, Caporusso, Decreto ingiuntivo non opposto e protezione del consumatore: la certezza arretra di fronte all’effettività, in Giur. it., 2022, 2121 ss.; Stella, Il procedimento monitorio nella curvatura delle nullità di protezione consumeristiche, in Giur. it., 2022, 2126 ss.; D’Alessandro, Il decreto ingiuntivo non opposto emesso nei confronti del consumatore dopo Corte di giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19): in attesa delle Sezioni Unite, cit., § 3.

(27) V., più ampiamente, Santangeli, Il processo civile e le nullità di protezione alla luce dei recenti interventi della Corte di Giustizia e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Il processo civile, cit., § 2.

(28) Così Santangeli, Il processo civile e le nullità di protezione alla luce dei recenti interventi della Corte di Giustizia e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, cit., §12-13; contra D’Alessandro, il decreto ingiuntivo non opposto, cit., § 7.

(29) Comma così modificato dall’art. 3, comma 7, d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149.

(30) Cirulli, op. cit., p. 23.

(31) Il tema si pone, in termini ancora più complessi, nelle ipotesi in cui il giudice non provveda a rilevare la nullità avvertendo la parte costituita nel processo con una difesa legale.

(32) La decisione potrà ovvero essere rimessa in discussione, pur limitatamente alle clausole potenzialmente abusive utilizzate per la decisione.

(33) V. retro alla nota 22.

(34) Per un esame generale delle forme differenziate di tutela nel processo civile, si rimanda al d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150, e successive modifiche. V. se vuoi, Riordino e semplificazione dei procedimenti civili. Commentario al decreto legislativo 1 settembre 2011 n. 150, a cura di Fabio Santangeli, Milano, 2012.

Il legislatore ha individuato riti speciali anche per ragioni ben lontane dalla tutela delle parti deboli; penso al processo societario, introdotto con il d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 e successive modifiche, e poi abrogato.

(35) Ovvero il nuovo Titolo IV-bis del libro secondo del codice di procedura civile, art. 473-bis-473-bis 71 c.p.c., introdotto dall’art. 3 comma 33 d.lgs., 10 ottobre 2022, n. 149.

Come per il processo del lavoro, si tratta di un processo inserito sistematicamente nel II libro del codice di procedura civile, e non più di un procedimento speciale.

(36) La tutela del consumatore, in tema di nullità di protezione, è tema oggetto di particolare attenzione da parte della Corte di giustizia, ed aveva raggiunto risultati importanti, già prima delle quattro decisioni del 17 maggio 2022.

Per un esaustivo esame delle sentenze della Corte di giustizia sulla tutela del consumatore, delle quali le quattro decisioni in commento sono ritenute un logico sviluppo, D’Alessandro, Il decreto in-giuntivo non opposto emesso nei confronti del consumatore dopo Corte di giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19): in attesa delle Sezioni Unite, cit., spec. § 3; così anche Rasia, Giudicato, tutela del consumatore, ruolo del giudice in sede monitoria ed esecutiva, in Riv. trim. dir. e proc. civ., cit., 83 ss. rammenta ulteriori recenti fattispecie in cui la normativa processuale italiana è stata disapplicata o reinterpretata per adeguarla alla tutela offerta dalla Corte di giustizia al consumatore.

(37) Il tema della rideterminazione dei contratti con ruolo proattivo del giudice ed il rapporto con l’autonomia privata, recentemente rilanciato dall’analisi delle ripercussioni in specie sui contratti di durata della pandemia COVID sulla solvibilità del debitore e più in generale sulla esecuzione dei rapporti contrattuali (e della conservazione del contratto, e della rinegoziazione del contratto squilibrato, anche sulla base della complessa legislazione emergenziale, non può essere trattato in questo breve saggio. Una attenta lettura, comunque, è offerta dall’8 luglio 2020 n. 56 dell’ufficio del massimario e del ruolo della Corte Suprema di Cassazione.

(38) Art. 5-quater d.lgs. 28/2010.

(39) Pardolesi-Sassani, op. cit., 1487.

(40) Così D’Alessandro, op. cit., § 7.

(41) Il giudicato implicito è già oggetto di decisa contestazione da una parte importante della dottrina processualista. In arg. v. le critiche a mio avviso insuperabili di De Cristofaro, Giudicato e motivazione, in Riv. dir. proc., 2017, 41 ss. spec. 56 ss.; e altrettanto di Panzarola, Principi e regole in epoca di utilitarismo processuale, Bari, 2022, 235 ss.

(42) Consolo, Postilla di completamento. Il giudicato ed il rilievo officioso della nullità del contratto: quanto e come devono essere ampi?, in Il corriere giuridico, 2013, 2, 184 ss.; Id., Il giudizio delle nullità (anche inessenziali) e il Giudice “omnisciente”: pensieri operazionali e verificabili (nuove prove di truthtelling processual-civilistico), cit., 196 ss., anche per chiare esemplificazioni, tuttavia, di alcune ipotesi” Zeuneriane”, fattispecie in cui, prescindendo dal giudicato implicito, alcune domande successive siano comunque precluse alla parte soccombente, se con queste si possa mettere di fatto in discussione il bene della vita attribuito nella precedente decisione.

Del resto, la necessità di tutelare il bene della vita attribuito con la decisione è condiviso dalla più parte anche dei critici del c.d. giudicato implicito; che limitano tuttavia logicamente l’incontrovertibilità solo al diritto accertato nel dispositivo. Una chiara soluzione è offerta da De Cristofaro, op. cit., 71 ss., ivi anche per il richiamo all’art. 34 c.p.c., come strumento azionabile dalle parti per giustificare un vincolo del giudicato più ampio.

(43) Consolo-Godio, op. cit., 234.

(44) In via più generale, la riflessione dovrebbe ripartire da un ripensamento della inaccettabile compressione del principio dispositivo. Si rimanda alle considerazioni di Panzarola, op. cit., 239.

(45) Condivido la posizione di Luiso, Diritto processuale civile, IV, Milano 2019, 150, che ritiene che il giudice debba sempre rifiutare l’emissione del decreto ingiuntivo ogni volta che egli rilevi un motivo di opposizione fondato in rito o in merito.

(46) V. ad esempio, Cass., 4 novembre 2021, n. 31636; Cass., 28 novembre 2017, n. 28318, in Riv. dir. proc., 2018, 1390 con nota di Lolli. Le Sezioni unite 9479/2023 espressamente mantengono la configurazione del decreto non opposto quale provvedimento idoneo al giudicato cui si applica pienamente il criterio del dedotto e deducibile.

(47) La dottrina si affida alla differente categoria della preclusione pro iudicato, A titolo meramente esemplificativo, già Redenti, Diritto processuale civile, I, Nozioni e regole generali, Milano, 1957, 1 ss.; Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, III, Roma, 1956, 136; Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato di diritto civile fondato da Vassalli, XIV, 4, Torino, 1994, 261; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 134; Proto Pisani, Note problematiche e no sui limiti oggettivi del giudicato civile, in Foro it., 1987, I, 446; De Cristofaro, Giudicato e motivazione, in Riv. dir. proc., 2017, 63 ss.; Recchioni, Rapporto giuridico fondamentale, pregiudizialità di merito c.d. logica e giudicato implicito, in Riv. dir. proc., 2018, 1611 ss. Da ultimo, Capponi, La Corte di Giustizia stimola una riflessione su contenuto e limiti della tutela monitoria, cit.

(48) V. retro la nota 22.

(49) Per le nullità di protezione, ad esempio, v. retro alla nota 18.

(50) Alla semplice eccezione di nullità, l’attore potrebbe anche reagire con una domanda di accertamento della nullità ex 34 c.p.c.. V. anche più avanti alla nota 61 per l’esame della possibilità o no di proporre una domanda di accertamento incidentale nel giudizio di impugnazione. Sui profili temporali processuali della domanda di accertamento incidentale ex 34 c.p.c., ed i tratti distintivi dall’eccezione e dalla domanda riconvenzionale, Pilloni, Profili processuali della domanda di accertamento incidentale, Torino, 2020, spec. 107 ss.

(51) In evidente contrasto con la lettera di cui all’art. 183 c.p.c., (oggi 171-ter) che circoscrive severamente il possibile ampliamento dell’oggetto processuale già nella fase introduttiva del processo, le Sezioni Unite della Cassazione hanno superato la precedente posizione giurisprudenziale con una lettura decisamente innovativa del significato della modificazione della domanda ai sensi dell’art. 183 c.p.c., nel senso del privilegiare la definizione ove possibile in un unico giudizio delle questioni sul rapporto sostanziale (in coerenza con la linea espresse dalle sez. un. con le già analizzate sentenze n. 26242-26243 del 2014).

La Cassazione fornisce una definizione delle domande complanari, distinguendola dalla domanda riconvenzionale dell’attore: domanda riconvenzionale dell’attore (avente ad oggetto un diritto diverso da quello introdotto con la domanda originaria, ma con questo compatibile, si che entrambe le domande potrebbero trovare accoglimento), e domanda “complanare” (avente ad oggetto un diritto diverso da quello dedotto originariamente in giudizio, ma incompatibile-alternativo, si che le due domande non potrebbero trovare entrambe accoglimento).

La disciplina delle domande “complanari” si ricava dalle Sezioni Unite 15 giugno 2015 n. 12310 (su cui v. ad es. Consolo, Le Sezioni Unite aprono alle domande “complanari”: ammissibili in primo grado ancorché (chiaramente e irriducibilmente) diverse da quella originaria cui si cumuleranno, in Corr. Giur., 2015, 968 ss.; Motto, Le sezioni unite sulla modificazione della domanda giudiziale, in Foro it, 2015, I, 3190 ss.

La pronuncia è stata poi ripresa e approfondita da Cass. sez. un. 13 settembre 2018, n. 22404 (Consolo-Godio, Le Sezioni Unite di nuovo sulle domande cc.dd. complanari, ammissibili anche se introdotte in via di cumulo (purché non incondizionato) rispetto alla domanda originaria, in Corr. Giur., 2019, 267 ss.) che ne ha precisato ed esteso la dimensione, specificando che le domande complanari si possono proporre anche come domande subordinate senza dovere necessariamente rinunciare alla domanda principale.

Queste sezioni unite (richiamando però precedenti particolarmente del c.d. rito societario) sembrano precisare come l’attore possa proporre domande nuove purché attinenti alla medesima vicenda sostanziale dedotta in lite o ad essa collegata, e come reazione non solo alle eccezioni, in senso stretto o lato, ma anche alle mere difese.

Tuttavia, molte incertezze applicative permangono. Per un esame delle contraddittorie soluzioni adottate nella giurisprudenza della Cassazione, già nel corso del giudizio di primo grado, ma che talora si spingono a ritenere proponibile per la prima volta in appello la domanda se fatta valere sulle medesime circostanze di fatto già oggetto della controversia in primo grado, come anche per l’esame di altre decisioni di parere opposto, A. Scarpa, Il nuovo confine tra emendatio e mutatio libelli, in Judicium, 2022, 501 ss.

(52) La fattispecie nasconde una particolare difficoltà ricostruttiva, trattandosi di una fattispecie paradigmatica della difficoltà di stabilire se si sia in presenza di un solo diritto con un potenziale concorso di norme (ad es. Menchini, Il giudicato civile, Torino, 2002, 128 ss.), o di due diritti diversi, incompatibili sul terreno sostanziale (ad es. Merlin, Ammissibilità della mutatio libelli da “alternatività sostanziale” nel giudizio di primo grado, in Riv. dir. proc., 2016, 816 ss.)

(53) Bisogna naturalmente distinguere tra il potere di rilevazione della nullità da parte del giudice, e il potere di introduzione dei fatti nel processo, di regola introdotti dalle parti nel processo.

Condiviso il principio del divieto di scienza privata del giudice, la dottrina è discorde sulla vastità del potere del giudice; per Carratta, in Carratta-Taruffo, Poteri del giudice, Bologna, 2015, 160, il giudice dovrà attenersi solo alle allegazioni fattuali delle parti, per garantire la propria imparzialità; diversamente, Merlin, Compensazione e Processo, I, Milano, 1991, 336 ss., ritiene che il giudice possa ricavare il fatto giuridico che emerga dagli atti della causa o dalle risultanze probatorie in funzione del principio di acquisizione probatoria. Così anche Ghirga, Sull’accertamento della nullità contrattuale, in Riv. dir. proc., 2019, 1651.

Anche le indicazioni delle Sezioni Unite 2642 del 2014 v. al § 6.13.3 propendono per tale soluzione.

(54) E la parte, allora, potrà proporre domanda di accertamento incidentale della nullità rilevata dal giudice.

(55) Sembra tuttavia che la parte debba essere tempestiva nel reagire al rilievo officioso della nullità, quindi con l’onere di attivarsi nella prima difesa successiva; così ritiene Consolo, Il giudizio sulle nullità (anche inessenziali) e il giudice “omniinspiciente”: pensieri operazionali e verificabili (nuove prove di truthtelling processual-civilistico), cit., 195.

(56) È una eccezione rilevabile d’ufficio.

(57) Anche eventualmente in fase di deliberazione, con le conseguenze di cui all’art. 101 comma 2 c.p.c.

(58) Se la sentenza di primo grado abbia pronunciato sulla nullità, la sentenza sia stata impugnata senza contestare la parte della pronuncia sulla nullità, su questa scenderà il giudicato. Cass., 10 maggio 2018, n. 11259, sembra così limitare i poteri di rilevazione del giudice di appello. Nel senso invece della possibilità di rilevare una nullità sul contratto differente da quella decisa in primo grado, Consolo, Istruttoria monitoria “ricarburata” e, residualmente, opposizione tardiva consumeristica “rimaneggiata” (specie) su invito del g.e., in Giur. it., 2023, 1059.

(59) Così anche Cass. sez. un., 22 marzo 2017, n. 7294, anche sulla base dell’art. 345 c.p.c. e del potere di rilevazione d’ufficio delle nullità soggette a rilievo officioso.

(60) Fermo l’assunto, rimane oggetto di diversa lettura se in grado di appello in cui si tratti per la prima volta di un motivo di nullità possano o no allegati fatti e ammettersi anche la richiesta di nuove prove o la produzione di documenti (così Merlin, Indispensabilità delle prove e giudizio di appello, in Riv. Dir. Proc., 2019, 557 ss.), Ghirga, Sull’accertamento della nullità contrattuale, cit., 1648-1649, o se l’impianto probatorio debba invece ritenersi già definitivamente chiuso per il normale operare delle preclusioni in primo grado, così Consolo, Spiegazioni di Diritto processuale, Torino, 2023, 146, e Motto, Sulla modificazione in grado di appello della domanda ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento del già avvenuto effetto traslativo, in Foro it., 2016, 2503.

(61) Le sezioni unite, nelle sentenze gemelle, hanno affermato che la parte non potrà proporre in appello una domanda di nullità, e che in tal caso la domanda sarà convertita dal giudice in eccezione.

La lettura è decisamente contradetta in dottrina.

Pagni, Il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite, in Giur. it, 2015, 75: « In proposito mi sembra di poter dire che la proposizione della domanda di accertamento incidentale della nullità se ammessa senza preclusioni in primo grado, non dovrebbe trovare ostacoli neppure nell’articolo 345 c.p.c., trattandosi di un’attività della parte derivante dalla sollecitazione, anch’essa tardiva, del giudice: ma la questione merita una ulteriore riflessione, cui potrebbero contribuire, credo, anche le recenti aperture manifestate dalle sezioni unite con riferimento alla proponibilità, financo in appello, della domanda di risarcimento del danno da risoluzione, quando quest’ultima venga proposta in corso di causa, convertendosi in essa la domanda di adempimento nei termini consentiti dall’articolo 1453, secondo comma c.c. Il fatto che la Cassazione, in questo caso, abbia ritenuto irrazionale costringere l’attore a promuovere un successivo processo, ritenendo che il divieto dei Nova (anche quello contemplato dall’articolo 345 c.p.c.) debba essere derogato quante volte sia necessario evitare la moltiplicazione dei giudizi in relazione alla medesima fattispecie, potrebbe suggerire di raggiungere analoga soluzione anche nell’ipotesi che stiamo esaminando, visto il rischio, altrimenti, della moltiplicazione dei giudizi, stante l’indiscutibile interesse della parte di ottenere una pronunzia di accoglimento della domanda di invalidità, che, oltre a produrre appieno gli effetti della cosa giudicata, porti ad una pronunzia trascrivibile e come tale opponibile ».

Anche Pilloni, op. cit., 274 ss. critica la lettura delle Sezioni Unite sul punto, e propone di superare il confinamento della richiesta ex art. 34 c.p.c. al contesto del primo grado di giudizio.

(62) Consolo-Godio, Patologia del contratto e (modi dell’) accertamento processuale, in Corr. giur., 2015, 240, nota come allora per le Sezioni Unite sia possibile il rilievo d’ufficio sulla lite sostanziale in un giudizio esclusivamente di legittimità. propone il dubbio di come possa la Cassazione rilevare d’ufficio visto che non è giudice del fatto.

(63) L’iniziativa del giudice nella rilevazione di ufficio della nullità, così come della eventuale valorizzazione di differenti motivi di nullità non oggetto di previa analisi delle parti, deve essere sottoposta all’esame ed al confronto con le parti, nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, che richiede pertanto la rimessione in termini per le parti per i poteri probatori eventualmente già preclusi.

(64) 163 ss. c.p.c.

(65) V. art. 281-decies ss. c.p.c., su questo processo di nuovo conio, se vuoi, v. Santangeli, Commentario alla riforma del processo civile, Napoli, 2023, 153 ss.

(66) V. art. 281-duodecies c.p.c.

(67) In via di prima approssimazione, la ritenuta natura autodeterminata della nullità conduce tra l’altro alla copertura, con il giudicato di rigetto sulla richiesta di nullità, di tutte le possibili ragioni per ottenere la dichiarazione di nullità, il cui esame sarà precluso così in un eventuale successivo processo. La tesi della natura autodeterminata della azione di nullità, oggi preminente, non è tuttavia pacifica, ed anzi, prima delle sentenze gemelle del 2014, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità di fatto qualificava come eterodeterminata la domanda di accertamento della nullità di un contratto. In argomento, Consolo, Spiegazioni di Diritto processuale civile, I, cit., 149-150.

(68) V. retro nota 51.

(69) Così Pilloni, op. cit, 176 ss.

(70) Il problema si pone se la domanda principale sia stata rigettata, perché se accolta mancherebbe ormai l’interesse ad agire per ottenere la complanare.

(71) Così ad es. Motto, Sulla modificazione in grado di appello della domanda ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento del già avvenuto effetto traslativo, in Foro it., 2016, I, 2500 ss.

(72) In tema, v. retro alla nota 36 quanto al rapporto adempimento-arricchimento senza causa.

(73) La riflessione, si completa, ancora, con la necessità di assicurare però anche alla parte che “subisce” la richiesta della complanare nel corso del giudizio la pienezza del diritto di difesa con domande, eccezioni, nuove allegazioni di fatti e mezzi di prova (che, dovrebbe essere valutato anche nel diritto al doppio grado di giudizio di merito); per tale ipotesi, laddove questo non sia possibile nel giudizio in corso, la scelta non è per la compressione incolpevole di quel diritto di difesa, ma per la non pronuncia sulla complanare, da riservare ad un nuovo processo in cui consentire alle parti il pieno esercizio delle difese.

(74) Ovvero le nullità non espressamente disposte dalla legge ma che si ricavano in via ermeneutica individuando quali siano e quali no le norme imperative di cui all’art. 1418 c.c.

(75) Talora la giurisprudenza delle Sezioni Unite, pur quando ascrive la nullità alle categorie che « nel mondo del diritto, che non sono monopolio de legislatore, ma scaturiscono spontaneamente dal sistema giuridico, al di fuori e prima della legge », non esita come soluzione interpretativa a fornirne in determinati contesti una funzione solo residuale rispetto ad altre categorie ritenute nel caso in specie più funzionali per la ricostruzione della fattispecie legale. Così, infatti, si esprime Cass. sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839 (relatore Luigi Lombardo), sulla invalidità delle delibere assembleari di condominio, con una ricostruzione che adotta le ipotesi di annullamento e circoscrive le ipotesi di nullità al minimo indispensabile.

Non è una ricostruzione isolata. Cass. sez. un., 15 marzo 2022, n. 8472, rinvenuta in giurisprudenza la tensione recente ad allargare la nozione della nullità virtuale sulla natura dell’interesse leso che si indirizza nei preminenti interessi generali della collettività, e ravvisata una eccessiva genericità della nozione, richiama alla necessità che la nullità debba discendere dalla violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati.

Ancor più recentemente, Cass. sez. un., 16 novembre 2022, n. 33719, che tra l’altro assume che non ogni violazione di norme imperative possa dare automaticamente luogo ad una nullità contrattuale, ma « solo quella che pone il contratto in contrasto con lo specifico interesse che la norma imperativa intende tutelare » (p. 27) (sulla decisione, v. già alla nota 4 per una differente interpretazione dell’essenza della decisione).

La tendenza alla riduzione delle nullità virtuali, tuttavia, non mi pare un fenomeno generalizzato, nel panorama giurisprudenziale della Corte di legittimità.

In senso contrario, ad esempio, mi sembra anche da ultimo inclinare la giurisprudenza di legittimità che ritiene il contratto concluso per mezzo della condotta estorsiva affetto da nullità ab origine ex art. 1418 c.c. (piuttosto che da annullabilità per violenza) in ragione della importanza degli interessi tutelati dall’art. 629 c.p. (Cass., 31 maggio 2022, n. 17568; Cass., 24 febbraio 2022, n. 6271; Cass., 27 agosto 2020, n. 17959).

Così, ancora, ad es. anche Cass. sez. un., 9 ottobre 2017, n. 23061, che individua una nullità virtuale insanabile nella stipulazione di un patto occulto non registrato di maggiorazione del canone. In arg., Vulpiani, op. cit., 239 ss., in riferimento alla violazione della normativa tributaria nei contratti di locazione.

(76) V. ad es. Cass. sez. un., 16 gennaio 2018, n. 898, incentrata sulla validità o no del contratto di intermediazione c.d. monofirma, ovvero firmato solo dal cliente e non anche dall’intermediato. Componendo un contrasto giurisprudenziale particolarmente composito, le Sezioni Unite hanno “salvato” il contratto quando la copia sia stata almeno consegnata, sulla tesi per la quale la nullità della forma di cui all’art. 1325 comma 4 c.c. va intesa non in senso strutturale, ma funzionale, avendo riguardo alle finalità proprie della norma.

(77) Sulle domande complanari, anche sui limiti temporali della proposizione nel corso del giudizio, v. retro alla nota 51.

(78) V. retro alla nota 51.

(79) Le Sezioni Unite 26242 si occupano al punto 6.16 della nullità parziale. Vengono analizzate due fattispecie, la domanda di nullità totale, con il rilievo del giudice della potenziale presenza di una nullità parziale, fattispecie su cui ci soffermiamo; e, altresì, anche l’ipotesi opposta, ovvero un processo introdotto con una domanda di nullità parziale, ed il rilievo del giudice della potenziale nullità totale.

(80) Cass. sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994, con la sentenza che ritiene parzialmente nulli, ai sensi dell’art. 2, comma 3, l. 287/1990, i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

(81) Consolo-Godio, Patologia del contratto, cit., 239, rilevano tuttavia come le Sezioni Unite non si esprimano chiaramente sul contenuto della motivazione, ovvero se debba o no trovare spazio in motivazione l’accertamento sulla nullità parziale, e se su questo accertamento scatti o no la preclusione nei successivi giudizi.

(82) La stessa esegesi dell’art. 1424 c.c. conferma che il giudice “può” convertire, non è onerato; e dovrà così attendere l’eventuale richiesta di una delle parti.

(83) Consolo-Godio, op. cit., 238 ss., quando sia l’attore ad agire per la pronuncia di una nullità totale, configurano una “eccezione di convertibilità” del contratto nullo da parte del convenuto, qualificata come eccezione in senso stretto.

(84) L’attore potrebbe anche proporre in via principale una domanda di conversione del contratto in altro contratto alla luce della sua nullità.

(85) V. retro in corrispondenza e alla nota 51.

(86) Cass. sez. un., 2642 del 2014 rigetta espressamente al punto 6.18.1 la tesi secondo cui ove il giudice dichiari la nullità del contratto, le parti sarebbero spogliate dalla facoltà di avvalersi dell’art. 1424 c.c. Diversamente, invece, Consolo-Godio, op. cit., 241.

(87) Il legislatore, tuttavia, ha negli ultimi anni, moltiplicato ipotesi di recupero del contratto nullo, spesso disponendo insieme nuove figure di nullità e contestuali fattispecie di sanatoria (ad esempio, in tema di nullità urbanistiche). Un ampio esame sul punto è offerto da Vulpiani, op. cit., 221 ss.

(88) Una lettura più aperta della disposizione, tuttavia, è ad es. offerta da Pagliantini, Autonomia privata e divieto di convalida del negozio nullo, Torino, 2007, 127 ss. cit. verifica

(89) Vulpiani, op. cit., 221 ss.

(90) Che la natura giuridica della fattispecie sia inquadrabile nella convalida del negozio nullo, poi, è controverso; per un esame delle diverse lettura offerte in dottrina, Vulpiani, op. cit., 224-230.

(91) Oppure, richiesta la prestazione, il convenuto propone una domanda o una eccezione di nullità, cui a sua volta l’attore opporrà che quel convenuto “non può fare valere..”.

(92) Non tratto, in questa sede, del fenomeno speculare, ovvero di un contratto che nasce valido ma va diversamente valutato alla luce di fatti sopravvenuti, in specie nei contratti ad effetti differiti o di durata, come ad esempio l’usura sopravvenuta per interessi legittimi al momento della pattuizione, ma divenuti in seguito usurari a causa della variazione del c.d. tasso soglia in corso di rapporto. In tema, Vulpiani, op. cit., 174 ss.

(93) Cass., 22 novembre 2019, n. 30555.

(94) Cass., 8 febbraio 2023, n. 3817.

(95) V. retro alla nota 53.

(96) Così Dalla Massara, L’eccezione di dolo generale nel pensiero attuale della corte suprema, in Riv. Dir. Civ. 2008, 236, ritiene che l’eccezione di dolo generale sia qualificabile come una eccezione in senso stretto.

(97) Così invece Dalla Massara, L’eccezione di dolo generale nel pensiero attuale della corte suprema, cit., 236, arg. ex art. 88 c.p.c. In via generale, Ghirga, La meritevolezza della tutela richiesta. Contributo allo studio dell’abuso dell’azione giudiziale, Milano, 2004, 155 ss., assume il necessario controllo della meritevolezza della tutela richiesto con la domanda, sanzionando l’abuso della processo con il rigetto in rito per mancanza dell’interesse ad agire. Ragionevolmente perplesso, Marinelli, La clausola generale dell’art. 100 c.p.c. Origini, metamorfosi e nuovi ruoli, Trento, 2005, 83 ss.

(98) Ad es., Cass., 8 febbraio 2023, n. 3817: « Infatti, muovendo dalla premessa che l’interesse ad agire consiste nell’esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, l’azione di nullità in concreto esperita non risulta assistita da tale interesse… ».

(99) Almeno, secondo la lettura corrente della categoria della condizione dell’azione. Però proprio Cass. n. 3817/2023, richiede invece l’attualità dell’interesse al momento in cui sia proposta la domanda giudiziale di nullità.

(100) Cass. n. 28314/2019, § 23: « L’eccezione sarà opponibile nei limiti del petitum azionato, come conseguenza dell’azione di nullità, ove gli investimenti, relativi agli ordini non coinvolti dall’azione, abbiamo prodotto vantaggi economici per l’investitore. Ove il petitum sia pari o inferiore ai vantaggi conseguiti, l’effetto impeditivo della azione restitutoria promossa dall’investitore sarà integrale. L’effetto impeditivo sarà, invece, parziale, ove gli investimenti non colpiti dalla azione di nullità abbiano prodotto risultati positivi ma questi siano di entità inferiore al pregiudizio determinato nel petitum. L’eccezione di buona fede operando su un piano diverso da quello dell’estensione degli effetti della nullità dichiarata, non è configurabile come eccezione in senso stretto non agendo sui fatti costitutivi dell’azione (di nullità) dalla quale scaturiscono gli effetti restitutori ma sulle modalità di esercizio dei poteri endocontrattuali delle parti. Deve essere, tuttavia, oggetto di specifica allegazione ».

(101) Nell’ambito di questo saggio ho evitato di prendere posizione sulla bontà delle soluzioni adottate in chiave sostanziale dalla giurisprudenza. Sia consentito, tuttavia di rinviare a Guizzi, Le Sezioni Unite e “le nullità selettive” nell’ambito della prestazione di servizi di investimento. Qualche notazione problematica, in www.dirittobancario.it, 2019, per una lettura della fattispecie ancorata non al contratto di scambio, ma al rapporto di mandato tra investitore e intermediario per l’effettuazione delle singole operazioni di investimento.

(102) Per un esame delle fattispecie, Pescatore, op. cit., § 5.

(103) Art. 5-quater d.lgs. 28/2010.